865 resultados para SURGICAL-TREATMENT


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Este estudo teve como finalidade avaliar cefalometricamente, por meio de telerradiografias em norma lateral, as alterações dento-esqueléticas em pacientes Classe III submetidos a tratamento ortodôntico-cirúrgico. A amostra experimental constituiu-se de 16 pacientes Brasileiros, dos sexos masculino e feminino, na faixa etária pré-cirúrgica média de 21 anos e 11 meses, apresentando má oclusão de Classe III com indicação de tratamento cirúrgico representado por recuo mandibular isolado. Para cada paciente foram realizadas telerradiografias nas fases inicial, pré-cirúrgica e pós-cirúrgica, sendo comparadas a um grupo controle, constituído de telerradiografias de indivíduos com oclusão normal. Segundo a metodologia empregada e pela análise dos resultados obtidos, avaliados estatisticamente, constatou-se que os pacientes Classe III com indicação de recuo mandibular foram caracterizados por um mau relacionamento entre as bases esqueléticas representado por um bom posicionamento da maxila associado a prognatismo mandibular, aumento da altura facial ântero-inferior, incisivos inferiores e sínfise mandibular lingualizados e incisivos superiores vestibularizados. A partir do preparo ortodôntico pré-cirúrgico, observou-se uma rotação mandibular no sentido horário, descompensação dentária representada por lingualização e extrusão dos incisivos superiores e vestibularização dos incisivos inferiores, acompanhada por uma remodelação da cortical óssea vestibular da sínfise mandibular. Esta descompensação ortodôntica definiu características dento-alveolares semelhantes às dos indivíduos com oclusão normal. O comportamento das variáveis dento-esqueléticas após a cirurgia ortognática, a partir do deslocamento póstero-superior das estruturas dento-esqueléticas da mandíbula, proporcionou um equilíbrio destas estruturas, em relação à oclusão normal.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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INTRODUÇÃO E OBJETIVO: A estenose de junção ureteropélvica (EJUP) é importante causa de obstrução do trato urinário e pode levar a deterioração progressiva da função renal. Há espaço para o aprimoramento de novos métodos diagnósticos capazes de discriminar hidronefrose e uropatia obstrutiva. Acredita-se que os biomarcadores urinários podem fornecer indícios de lesão renal precoce na obstrução urinária. Neste contexto, KIM-1 pode elevar-se na urina por lesão tubular proximal, NGAL por lesão no túbulo proximal, distal ou alça de Henle, CA19-9 por produção excessiva no túbulo obstruído e ?2-microglobulina (beta2M) por injúria ao glomérulo ou ao túbulo proximal. O objetivo do presente estudo foi avaliar as propriedades diagnósticas dos biomarcadores urinários citados em adultos com EJUP, sendo o primeiro estudo na literatura a avaliar tais moléculas nesta população. MÉTODOS: Foram estudados de modo prospectivo pacientes consecutivos acima de 18 anos com diagnóstico de EJUP submetidos a pieloplastia videolaparoscópica de dezembro de 2013 a fevereiro de 2015. Foram excluídos do estudo pacientes com EJUP bilateral, rim contralateral patológico, EJUP em rim único, antecedentes de tratamento cirúrgico para estenose de JUP ou taxa de filtração glomerular inferior a 60 ml/min/1,73m2. Cada paciente forneceu quatro amostras de urina para medição de biomarcadores, uma no pré-operatório e outras com 1, 3 e 6 meses de seguimento pós-operatório. O grupo controle foi constituído por voluntários saudáveis sem hidronefrose à ultrassonografia. RESULTADOS: Foram incluídos 47 pacientes com idade média de 38,6 ± 12,7 anos (intervalo 19 a 64 anos), sendo 17 (36,2%) do sexo masculino e 30 (62,8%) do sexo feminino. O grupo controle foi composto por 40 indivíduos semelhantes ao grupo com EJUP no que concerne idade (p = 0,95) e sexo (p = 0,82). KIM-1 foi o marcador com melhores propriedades diagnósticas, apresentando área sob a curva (AUC) de 0,79 (95% CI 0,70 a 0,89). O NGAL, por sua vez, teve AUC de 0,71 (95% CI 0,61 a 0,83), CA19- 9 teve AUC de 0,70 (95% CI 0,60 a 0,81) e (beta2M) apresentou AUC de 0,61 (95% CI 0,50 a 0,73), sendo o único biomarcador com propriedades inadequadas neste cenário. O KIM-1 foi o marcador mais sensível com o ponto de corte 170,4 pg/mg de creatinina (sensibilidade 91,4%, especificidade 59,1%) e o CA 19-9 o mais específico para o ponto de corte de 51,3 U/mg de creatinina (sensibilidade 48,9%, especificidade 88,0%), enquanto o NGAL foi o que apresentou maior queda após desobstrução, com 90,0% dos pacientes apresentando clareamento superior a 50%. CONCLUSÕES: A avaliação dos biomarcadores urinários é útil no diagnóstico de obstrução em adultos com EJUP submetidos a pieloplastia videolaparoscópica. O KIM-1 foi o marcador mais sensível e o CA 19-9 o mais específico, enquanto o NGAL foi o que apresentou maior que com a desobstrução. Houve queda das concentrações dos marcadores após pieloplastia no período estudado. O papel exato dos biomarcadores urinários no cenário de obstrução em adultos deve ser mais amplamente investigado

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A síndrome de Sjögren primária (SSp) é uma doença crônica autoimune sistêmica que pode levar à hipossalivação e afetar negativamente o ambiente oral. Os objetivos deste estudo foram detectar a influência da SSp nos níveis de biomarcadores inflamatórios na saliva e no fluido gengival nas amostras de pacientes com periodontite crônica, avaliar o efeito do tratamento periodontal não cirúrgico sobre os valores do índice clínico de avaliação da atividade sistêmica de pacientes com SSp e do índice reportado pelo paciente com SSp. Amostras de fluido gengival, saliva e os parâmetros clínicos periodontais que consistiram de medida da profundidade de sondagem (PS), nível clínico de inserção (NCI), sangramento à sondagem (SS) e índice de placa (IP) foram coletadas no início do estudo e 45 dias após a terapia periodontal não-cirúrgica de pacientes sistemicamente saudáveis com periodontite crônica (PC, n = 7) e pacientes com SSp e periodontite crônica (SP, n = 7). Pacientes periodontalmente saudáveis com SSp (SC, n = 7) e sistemicamente saudáveis (C, n = 7) também foram avaliados no início do estudo. Os grupos C, PC e SC foram pareados em gênero, idade e critério socioeconômico com o grupo SP. Os níveis de interleucina-8 (IL-8), IL-10 e IL-1ß foram avaliados por ensaio multiplex. Os níveis de atividade da doença foram medidos usando o Gold Standard da literatura chamado Índice Eular de atividade da síndrome de Sjögren (ESSDAI). Já para avaliação dos sintomas reportados pelo paciente com SSp foi utilizado o Índice Eular reportado pelo paciente com Sjögren (ESSPRI). Os parâmetros clínicos melhoraram após a terapia periodontal (p <0,05). No entanto, o NCI em pacientes com SSp não melhorou significativamente após a terapia (p> 0,05). Houve um aumento nos níveis de IL-1ß, IL-8 e diminuição dos níveis de IL-10 nas amostras de saliva de pacientes do grupo SC em comparação ao grupo C (p <0,05). Já em relação ao fluido gengival, pacientes do grupo SC tiveram maiores níveis de IL-1ß em comparação com o grupo C (p<0,05). Além disso, o tratamento periodontal não cirúrgico resultou num aumento dos níveis de IL-10 no fluido gengival no grupo SP e grupo PC em relação ao valor basal (p <0,05). O fluxo salivar foi significativamente aumentado após o tratamento periodontal apenas em pacientes do grupo SP (p = 0,039). Além disso, o tratamento periodontal não influenciou o índice ESSDAI (p = 0,35) e levou a uma diminuição significativa no índice ESSPRI (p = 0,03). Os presentes dados demonstraram que a SSp influencia os níveis salivares e de fluido gengival de biomarcadores inflamatórios em favor de um perfil próinflamatório, no entanto, este perfil parece não aumentar susceptibilidade dos indivíduos SSp à destruição periodontal. Além disso, os presentes dados demonstraram que o tratamento periodontal não-cirúrgico tem um impacto positivo sobre o fluxo salivar e sobre o índice ESSPRI de pacientes com SSp. Sugere-se assim que o tratamento periodontal pode melhorar a qualidade de vida de indivíduos com SSp.

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Introdução: A obesidade é uma afecção com alta prevalência no Brasil e no mundo. É fator de risco para comorbidades como Diabetes tipo 2 (DM2), Hipertensão Arterial Sistêmica (HAS), Dislipidemia, Apneia Obstrutiva do Sono (AOS), entre outras. Seu tratamento é complexo e a cirurgia bariátrica, executada por diferentes técnicas, tem sido uma das opções. Objetivo: Analisar os resultados publicados na literatura em relação às técnicas cirúrgicas de Banda Gástrica Ajustável (BGA), Gastrectomia Vertical (GV), Gastroplastia com derivação em Y de Roux (GDYR) e Derivação Biliopancreática (DBP) - técnica de \"Scopinaro\" e de \"Duodenal Switch\" quanto às complicações operatórias, à mortalidade, à perda do excesso de peso (PEP) e ao reganho, e a resolução das comorbidades após a operação. Método: Foram analisados 116 estudos selecionados na base de dados MEDLINE por meio da PubMed publicados na Língua Inglesa entre 2003 e 2014. Para comparar as diferentes técnicas cirúrgicas (BGA, GV, GDYR e DBP), realizou-se estudo estatístico por meio da análise de variância (ANOVA) aplicando os testes de Duncan e de Kruskal Wallis avaliando: complicações pós-operatórias (fístula, sangramento e óbito); perda e reganho do excesso de peso, e resolução das comorbidades. Resultados: A ocorrência de sangramento foi de 0,6% na média entre todos os estudos, sendo 0,44% na BGA; 1,29% na GV; 0,81% na GDYR e 2,09% na DBP. Já a ocorrência de fístulas foi de 1,3% na média entre todos os estudos, 0,68% para BGA; 1,93% para GV; 2,18% para GDYR e 5,23% para DBP. A mortalidade nos primeiros 30 dias pós-operatórios foi de 0,9% na média entre todos os estudos, 0,05% na BGA; 0,16% na GV; 0,60% na GDYR e 2,52% na DBP. A PEP após cinco anos na média entre todos os estudos foi de 63,86%, especificamente na BGA, foi de 48,35%; 52,7% na GV; 71,04% na GDYR e 77,90% na DBP. A taxa de DM2 resolvida foi de 76,9% na média entre todos os estudos, sendo 46,80% na BGA; 79,38% na GV; 79,86% na GDYR e 90,78% na DBP. A taxa de Dislipidemia resolvida após a operação foi de 74,0% na média de todo o estudo, sendo 51,28% na BGA; 58,00% na GV; 73,28% na GDYR e 90,75% na DBP. A taxa de HAS resolvida após a operação foi de 61,80% na média de todo o estudo, sendo 54,50% na BGA; 52,27% na GV; 68,11% na GDYR e 82,12% na DBP. A taxa de AOS resolvida após a operação foi de 75,0% na média de todo o estudo, sendo 56,85% na BGA; 51,43% na GV; 80,31% na GDYR e 92,50% na DBP. Conclusão: quando analisadas e comparada as quatro técnicas observa-se que nos primeiros 30 dias pós-operatório a taxa de sangramento é superior nos pacientes submetidos à DBP e taxa de fístula inferior nos pacientes da BGA. Quanto à mortalidade observou-se taxa mais pronunciada nos pacientes submetidos à DBP e menos nos submetidos à BGA. Quanto à PEP observou-se uma uniformidade entre os pacientes submetidos à GV, GDYR E DBP até o terceiro ano. Após esse período observa-se reganho de peso nos submetidos à GV até o quinto ano de seguimento. Já nos pacientes submetidos à BGA observou-se taxas de PEP menos pronunciadas em relação às demais desde o início do seguimento. Quanto à resolução das comorbidades observou-se taxas de resolução de DM2 inferiores nos pacientes submetidos à BGA, e não houve diferença entre nenhuma técnica quanto à resolução das demais comorbidades: HAS, AOS e dislipidemia

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014