979 resultados para Spazio, architettura


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Nella progettazione degli edifici, si è posta molta attenzione al contesto urbano. Le varie proposte nascono dalla volontà di ricucire il tessuto urbano, trasformando quello che ora rappresenta un limite, nella vera soluzione al problema. Si propongono quindi isolati dalle più diverse forme, dimensioni e significati, andando ad attingere alle più svariate tipologie, che non intendono essere progetti in sé compiuti, ma possibili risposte.

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Il concetto di contaminazione fra architettura ed arti plastiche e figurative è molto antico. La dicotomia arte-architettura, sancita in via definitiva con il moderno museo di spoliazione napoleonica, non può che essere considerata una variazione neo-tecnicista sulla quale, non sempre giustamente, sono andati assestandosi gli insegnamenti delle scuole politecniche. Non così è sempre stato. Come il tempio greco può essere considerato un’opera plastica nel suo complesso, esempio tra i primi di fusione tra arte e architettura, moltissimi sono gli esempi che hanno guidato la direzione della ricerca che si è intesa perseguire. Molti sono gli esempi del passato che ci presentano figure di architetto-artista: un esempio fra tutti Michelangelo Buonarroti; come per altro non è nuovo, per l’artista puro, cimentarsi nella progettazione dello spazio architettonico o urbano, o per l'architetto essere coinvolto dalle indagini della ricerca artistica a lui contemporanea dalla quale trarre suggestioni culturali. Le rappresentazioni dei linguaggi visivi sono il frutto di contaminazioni che avvengono su diversi livelli e in più direzioni. Spesso le ricerche artistiche più significative hanno anticipato o influenzato il mondo del design, dell’architettura, della comunicazione. L’intenzione della ricerca è stata quindi approfondire, attraverso un viaggio nel Novecento, con particolare attenzione al Secondo Dopoguerra, i fenomeni culturali che hanno prodotto i più significativi sviluppi stilistici nell’ambito della ricerca e del rinnovo del linguaggio architettonico. Il compito, parafrasando Leonardo Benevolo, non è stato quello di elencare le singole battute della discussione ma di riconoscere gli interventi fruttuosi a lunga scadenza. Mutuando gli insegnamenti della scuola del Bauhaus, arte e architettura sono state affiancate perché considerate espressioni strettamente relazionate di coevi fenomeni culturali. L’obiettivo ha puntato all’individuazione dei meccanismi delle interazioni tra discipline, cercando di delineare il profilo della complessità dell’espressione del contemporaneo in architettura.

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La ricerca pone al suo centro lo studio dell'opera architettonica di Emil Steffann (1899-1968) la cui produzione realizzata consta, nel breve arco temporale che va dal 1950 al 1968, del ragguardevole numero di trentanove chiese, rappresentando un caso emblematico di progettazione e costruzione di edifici per il culto cristiano in grado di raffigurarne concretamente i principi fondativi liturgici, estetici e morfologici. L'architettura di Steffann, profondamente ispirata dallo spirito religioso, legata a figure primigenie che plasmano lo stare-insieme della comunità nella qualità corporea della materia, dove la presenza liturgica e monumentale si esprime nel silenzio e nella disponibilità di uno spazio circoscritto dai muri e direzionato dalla luce, concorre a definire nell'oggettivo amore per il vero la percezione estetico-teologica e la poetica formativa che connaturano, a nostro parere, progetto e segno della chiesa. Il testo concretizza il primo studio monografico completo di questo corpus architettonico e si basa sulla ricognizione diretta delle opere di Steffann; ne è derivata una narrazione non conseguente a un ordine cronologico o di presupposta importanza degli edifici, bensì che ricerca ed evidenzia corrispondenze tra nodi di una rete ideativa la quale, con diversi gradi di finitezza, in punti non sempre omogenei del tempo e dello spazio, denota un'esperienza autentica del comporre e del costruire. Il racconto individua gli oggetti architettonici, ne discute la consistenza aprendosi a riferimenti altri (in particolare il pensiero ecclesiologico-liturgico di Romano Guardini e quello estetico-teologico di Hans Urs von Balthasar) in grado di illuminarne la genesi e la manifestazione, li lega infine in sequenze analogiche. Una serie di tavole fotografiche originali, parte ineludibile e integrante della ricerca, testimonia dello stato attuale dei luoghi, connotando ulteriormente l'aspetto info-rappresentativo della loro composizione architettonica. In chiusura, la sintesi architetturale vuole essere uno strumento di verifica e progetto, quindi di trasposizione futura, correlato all'elaborazione documentaria.

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La presente ricerca, L’architettura religiosa di Luis Moya Blanco. La costruzione come principio compositivo, tratta i temi inerenti l’edificazione di spazi per il culto della religione cristiana che l’architetto spagnolo progetta e realizza a Madrid dal 1945 al 1970. La tesi è volta ad indagare quali siano i principi alla base della composizione architettonica che si possano considerare immutati, nel lungo arco temporale in cui l’autore si trova ad operare. Tale indagine, partendo da una prima analisi riguardante gli anni della formazione e gli scritti da lui prodotti, verte in particolare sullo studio dei progetti più recenti e ancora poco trattati dalla critica. L’obbiettivo della presente tesi è dunque quello di apportare un contributo originale sull’aspetto compositivo della sua architettura. Ma analizzare la composizione significa, in Moya, analizzare la costruzione che, a dispetto del susseguirsi dei linguaggi, rimarrà l’aspetto principale delle sue opere. Lo studio dei manufatti mediante categorie estrapolate dai suoi stessi scritti – la matematica, il numero, la geometria e i tracciati regolatori - permette di evidenziare punti di contatto e di continuità tra le prime chiese, fortemente caratterizzate da un impianto barocco, e gli ultimi progetti che sembrano cercare invece un confronto con forme decisamente moderne. Queste riflessioni, parallelamente contestualizzate nell’ambito della sua consistente produzione saggistica, andranno a confluire nell’idea finale per cui la costruzione diventi per Luis Moya Blanco il principio compositivo da cui non si può prescindere, la regola che sostanzia nella materia il numero e la geometria. Se la costruzione è dunque la pietrificazione di leggi geometrico-matematiche che sottendono schemi planimetrici; il ricorso allo spazio di origine centrale non risponde all’intenzione di migliorare la liturgia, ma a questioni di tipo filosofico-idealista, che fanno corrispondere alla somma naturalezza della perfezione divina, la somma perfezione della forma circolare o di uno dei suoi derivati come l’ellisse.

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Architettura e musica. Spazio e tempo. Suono. Esperienza. Queste le parole chiave da cui ha preso avvio la mia ricerca. Tutto è iniziato dall’intuizione dell’esistenza di un legame tra due discipline cui ho dedicato molto tempo e studio, completando due percorsi accademici paralleli, la Facoltà di architettura e il Conservatorio. Dopo un lavoro d’individuazione e analisi degli infiniti spunti di riflessione che il tema offriva, ho focalizzato l’attenzione su uno degli esempi più emblematici di collaborazione tra un architetto e un musicista realizzatasi nel Novecento: Prometeo, tragedia dell’ascolto (1984), composta da Luigi Nono con la collaborazione di Massimo Cacciari e Renzo Piano. Attraverso lo studio di Prometeo ho potuto affrontare la trattazione di molte delle possibili declinazioni del rapporto interdisciplinare tra musica e architettura. La ricerca si è svolta principalmente sullo studio dei materiali conservati presso l’Archivio Luigi Nono e l’archivio della Fondazione Renzo Piano. La tesi è organizzata in tre parti: una prima parte in cui si affronta il tema del ruolo dello spazio nelle opere di Nono precedenti a Prometeo, facendo emergere l’importanza dell’ambiente culturale e sonoro veneziano; una seconda parte in cui si approfondisce il processo compositivo che ha portato alle rappresentazioni di Prometeo a Venezia, Milano e a Parigi; una terza parte in cui si prende in considerazione quanto avvenuto dopo Prometeo e si riflette sui contributi che questa esperienza può portare alla progettazione di spazi per la musica, analizzando diversi allestimenti dell’opera senza arca e prendendo in considerazione i progetti dell’auditorium dell’International Art Village di Akiyoshidai e della sala della nuova Philharmonie di Parigi. Lo studio dell’esperienza di Prometeo ha lo scopo di stimolare la curiosità verso la ricerca e la sperimentazione di quegli infiniti possibili della composizione architettonica e musicale di cui parla Nono.

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Fino alla fine del XIX secolo erano le mura a conferire una forma chiara e precisa alla città. Dopo il loro abbattimento c'è oggi un elemento urbano capace di porsi come limite formale della città? In fase di tesi abbiamo deciso di dare una soluzione al problema della frammentazione del limite dal punto di vista opposto, agendo sul centro storico in relazione alla prima espansione urbana. Abbiamo operato un'attenta analisi delle dinamiche della città prima e dopo il terremoto, cercando di comprendere le specificità di questo territorio. Da una ulteriore e più approfondita lettura del centro storico, emerge subito l'assenza di un tessuto urbano ben leggibile in corrispondenza dell'area del Castello e del Comune, dove una grande "macchia" di spazi aperti, prevalentemente adibiti a parcheggio prevalgono sul costruito: l'area che ha dato vita e un senso durante i secoli a questa città ha perso la sua identità. Identità, misura, connessione sono gli obiettivi che ci prefissiamo di raggiungere nella ridefinizione di questi luoghi ed insieme le parole chiave del nostro approccio al nostro progetto. Il nostro intervento prevede la definizione di un polo culturale che possa valorizzare le caratteristiche storiche e morfologiche dell'area conferendo intelligibilità agli elementi che hanno sempre caratterizzato lo splendore della città. Il "verde" diviene elemento di connessione tra le due aree di progetto. Le funzioni che abbiamo scelto nella definizione del polo culturale sono quelle di museo, cinema, e mercato: la scelta è stata quella di progettare edifici pubblici, con lo scopo di riportare i luoghi di intrattenimento e della cultura all'interno del centro storico.

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Tesi in Restauro Architettonico del chiostro di San Giovanni Battista a Faenza. L'edificio è situato in Vicolo San Giovanni Battista nel centro storico di Faenza. L'intervento prevede un restauro scientifico delle murature esistenti, e la progettazione di un nuovo volume in aggiunta per risolvere i problemi di accessibilità. La fase progettuale si sviluppa su tre campi: il volume in aggiunta in cui collocare elementi di collegamento, la rampa interna al chiostro per superare le differenze di quota e l’intervento al piano superiore in cui sviluppare uno spazio funzionale ad un attività.

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La memoria pubblica della Sho'ah è inscritta in una quantità proliferante di immagini e spazi memoriali. Ciò è riscontrabile in modo particolare nei principali "siti dello sterminio" assurti a simbolo nel corso degli anni, mentre molti altri "luoghi di memoria" della Deportazione soffrono di una condizione di intrinseca debolezza. Essa è riconducibile in primo luogo alla fragilità del dato materiale, i cui resti ormai privi di eloquenza risultano difficili da interpretare e conservare, in secondo luogo alla sovrapposizione di memorie concorrenti venutesi a determinare in conseguenza dei riusi successivi a cui queste strutture sono spesso andate soggette dopo la guerra, infine alla difficoltà di rendere espressione compiuta alla tragedia della Deportazione. Il caso del campo di Fossoli è paradigmatico: esso interroga la capacità del progetto di "dare forma" al palinsesto delle memorie, rendendo possibile il riconoscimento ed esplicitando una significazione delle tracce, senza aggiungere ulteriori interpretazioni. Lo spazio e il paesaggio, in quanto linguaggi indentitari, possono offrirsi come strumenti da questo punto di vista. Michel De Certeau vi fa riferimento quando afferma che lo spazio coincide con «l’effetto prodotto dalle operazioni che lo orientano, che lo circostanziano, o temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente di programmi conflittuali o di prossimità contrattuali». Lo spazio gioca un ruolo cruciale nel conformare l'esperienza del presente e allo stesso tempo nel rendere visibili le esperienze passate, compresse nella memoria collettiva. Lo scopo di questa ricerca è interrogare le potenzialità spaziali del luogo, considerate sotto il profilo culturale e semantico, come valida alternativa alla forma-monumento nella costruzione di una o più narrazioni pertinenti della memoria.

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La tesi approfondisce lo studio dello spazio pubblico attraverso l’esperienza percettiva dell’osservatore. Si basa sul pensiero di Camillo Sitte, Kevin Lynch e Aldo Rossi sulla leggibilità dell’architettura, e permette di individuare una serie di strumenti analitici per la lettura dello spazio urbano. Ritenendo che una sfida dell’architettura sia la capacità di essere compresa da ogni osservatore attraverso le sue forme e gli spazi che costruisce, scopo ultimo di questa ricerca è di decodificare, per quanto possibile, alcuni macro archetipi di questo sistema. L’obiettivo è offrire una serie di principi utili ad un progetto dello spazio pubblico urbano in grado di rispondere con una elevata qualità spaziale alle esigenze dell'uomo contemporaneo.

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Oggetto del presente studio è il progetto di ricostruzione del centro urbano di Le Havre ad opera di Auguste Perret. Suo obiettivo è il riconoscimento di quell’idea di città posta a fondamento del progetto, per il quale ci si propone di indagare il senso e le grammatiche costitutive della sua forma. Quella di Le Havre costituisce una dimostrazione di come una forma urbana ancora compatta ed evocativa della città storica possa definirsi a partire dalle relazioni stabilite con gli elementi della geografia fisica. Nei suoi luoghi collettivi e monumentali, che rimandano chiaramente a una cultura dell’abitare che affonda le proprie radici nella più generale esperienza della costruzione della città francese, la città riconosce un valore formale e sceglie di rappresentare il proprio mondo civico dinanzi a quei grandi elementi della geografia fisica che costituiscono l’identità del luogo nel quale questa si colloca. Sembra infatti possibile affermare che gli spazi pubblici della città atlantica riconoscano e traducano nella forma della Place de l’Hôtel de Ville le ripide pendici della falesia del Bec-de-Caux, in quella della Porte Océane l’orizzonte lontano dell’Oceano, e nel Front-de-mer Sud l’altra riva dell’estuario della Senna. Questa relazione fondativa sembra essere conseguita anche attraverso la definizione di un’appropriata grammatica dello spazio urbano, la cui significatività è nel fondarsi sull’assunzione, allo stesso tempo, del valore dello spazio circoscritto e del valore dello spazio aperto. La riflessione sullo spazio urbano investe anche la costruzione dell’isolato, sottoposto a una necessaria rifondazione di forma e significato, allo scopo di rendere intellegibile le relazioni tra gli spazi finiti della città e quelli infiniti della natura. La definizione dell’identità dello spazio urbano, sembra fondarsi, in ultima analisi, sulle possibilità espressive delle forme della costruzione che, connotate come forme dell’architettura, definiscono il carattere dei tipi edilizi e dello spazio da questi costruito.

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L’analisi compiuta in questa tesi di laurea è motivata da una passione che fin dall’infanzia ho coltivato: quella per il Giappone. Con il passare degli anni gli aspetti del Giappone che mi hanno stimolato e incuriosito sono evoluti, come la volontà di approfondire una conoscenza sempre più completa di questo popolo e della loro cultura – facendo anche tesoro dell’esperienza di viaggio fatta nel 2012, visitando Tokyo e Kyoto.
 Notai nel mio breve soggiorno a Tokyo un qualcosa che qua non trovavo negli edifici: un eterno conflitto con lo spazio. Sono rimasto sorpreso dagli spazi angusti, dalle dimensioni lillipuziane delle case, spesso caratterizzate da standard qualitativi intollerabili per un occidentale, ma allo stesso tempo mi ha impressionato la tecnologia disponibile per la vita di tutti i giorni, che permetteva di sopperire a queste mancanze o deficit. Kyoto mi ha invece colpito per la tradizione, per la storia, per le sue architetture lignee – una città capace di fare convivere in armonia il passato col presente nel pieno rispetto della natura. I suoi colori, i suoi paesaggi bucolici non li dimenticherò facilmente... Il percorso di analisi che si svolgerà in questa sede includerà, partendo dalla tradizione fino ad arrivare al presente, le tematiche di cui si è appena parlato: casa giapponese, misura, standard, spazio. Si è partiti dall’analisi descrittiva e dalle splendide illustrazioni del zoologo americano Edward Morse, analizzando il suo volume “Japanese Homes and Their Surroundings” pubblicato alla fine del 1800 e divenuto un libro di culto per gli architetti moderni, per poi arricchire l’analisi con le tantissime informazioni e tavole tecniche fornite da Heinrich Engel con il libro “The Japanese House – A tradition for contemporary architecture”, un testo veramente formativo e altamente specifico per l’architettura vernacolare giapponese. Si arricchisce la discussione con Paper e pubblicazioni di professori giapponesi, racconti di narrativa e guide sul Giappone, per poi concludere l’analisi con libri di architettura moderna giapponese come il volume di Naomi Pollock “Modern Japanese House” e riviste quali JA (Japan Architects) per fornire esempi contemporanei di costruzioni residenziali odierne.


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Il paesaggio sacro dell'Epiro al di fuori dei centri di fondazione coloniale si caratterizza per una grande uniformità, determinata dall'esclusiva adozione delle forme templari non periptere. La ricerca si concentra sugli aspetti propriamente architettonici (planimetrici, tecnico-costruttivi, decorativi e formali) e sulle articolazioni funzionali dell'edilizia di culto regionale, troppo spesso trascurati nella storia degli studi a vantaggio di altre dimensioni dello spazio santuariale come quella religiosa o politico-istituzionale.

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In questo lavoro di tesi si affronta una delle problematiche che si presentano oggi nell'impiego degli APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto): la gestione della safety. Non si può più, in altri termini, negare che tali oggetti siano parte integrante dello spazio aereo civile. Proprio su questo tema recentemente gli enti regolatori dello spazio aereo stanno proiettando i loro sforzi al fine di stabilire una serie di regolamenti che disciplinino da una parte le modalità con cui questi oggetti si interfacciano con le altre categorie di velivoli e dall'altra i criteri di idoneità perché anche essi possano operare nello spazio aereo in maniera sicura. Si rende quindi necessario, in tal senso, dotare essi stessi di un sufficiente grado di sicurezza che permetta di evitare eventi disastrosi nel momento in cui si presenta un guasto nel sistema; è questa la definizione di un sistema fail-safe. Lo studio e lo sviluppo di questa tipologia di sistemi può aiutare il costruttore a superare la barriera oggi rappresentata dal regolamento che spesso e volentieri rappresenta l'unico ostacolo non fisico per la categoria dei velivoli unmanned tra la terra e il cielo. D'altro canto, al fine di garantire a chi opera a distanza su questi oggetti di avere, per tutta la durata della missione, la chiara percezione dello stato di funzionamento attuale del sistema e di come esso può (o potrebbe) interagire con l'ambiente che lo circonda (situational awarness), è necessario dotare il velivolo di apparecchiature che permettano di poter rilevare, all'occorrenza, il malfunzionamento: è questo il caso dei sistemi di fault detection. Questi due fondamentali aspetti sono la base fondante del presente lavoro che verte sul design di un ridotto ma preponderante sottosistema dell'UAV: il sistema di attuazione delle superfici di controllo. Esse sono, infatti, l'unico mezzo disponibile all'operatore per governare il mezzo nelle normali condizioni di funzionamento ma anche l'ultima possibilità per tentare di evitare l'evento disastroso nel caso altri sottosistemi siano chiaramente fuori dalle condizioni di normale funzionamento dell'oggetto.

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La tesi consiste in un progetto per un quartiere residenziale a Sud della città di Bogotà, nei pressi del Rio Tunjuelito. La proposta ha come obiettivo la riconnessione del tessuto adiacente all’Autopista, la valorizzazione del sistema del verde e il potenziamento dei servizi attraverso un modello insediativo fondato sulla reinterpretazione della griglia urbana. Il progetto interiorizza nella sua struttura insediativa, nella sua scala dimensionale e nella gradualità del passaggio dallo spazio pubblico a quello privato il tipo a corte.