880 resultados para Civic virtues
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La storiografia statunitense, a partire dagli anni Cinquanta, vide l’affermarsi di una nuova interpretazione della politica estera americana. Archiviata la storia diplomatica come storia dei trattati o storia delle interazioni delle élites dominanti, abbandonata una visione incentrata sull’equilibrio di potenza, il dibattito storiografico si arricchì della cosiddetta interpretazione «revisionista», antitetica rispetto a quella che, fino a quel momento, aveva predominato. Soggetto di analisi storica restava sempre lo Stato ma l’enfasi maggiore era posta sui fattori economici che ne influenzavano l’azione: si metteva in rilievo l’interazione tra l’interesse privato e il soggetto statale. Capofila di questa nuova scuola fu William Appleman Williams. Questa ricerca si pone l’obiettivo di delineare il contesto storiografico dal quale emersero gli studi di Williams e di cui egli ne roviesciò alcuni assunti fondamentali. Si intende tracciare il suo percorso intellettuale – storiografico e pubblico – al fine di restituire la complessità di un personaggio che divenne un vero e proprio «intellettuale pubblico». I quesiti, a cui questa ricerca vuole dar risposta riguardano l’evoluzione del percorso intellettuale di Williams tanto in ambito storiografico quanto, più in generale, in quello pubblico; il contributo alla ridefinizione dell’identità statunitense e del suo ruolo internazionale; il lascito della sua riflessione nella storiografia. Prendendo le mosse dall’idea di frontiera proposta da Turner, Williams sostenne che la fine dell’espansione territoriale «interna» aveva obbligato gli Stati Uniti a cercare nuovi mercati per il proprio surplus. Era stata tale necessità a catalizzare la Open Door Diplomacy, guidata da ragioni economiche, che presto identificarono l’interesse nazionale per trasformarsi in una vera e propria ideologia nel XX secolo.L’esito di tale politica estera fu la creazione di un impero non più territoriale ma frutto dell’espansione economica. E proprio questa riflessione sull’impero influenzò, negli anni Sessanta, la protesta studentesca che chiese un ripensamento del ruolo internazionale degli Stati Uniti.
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Investigating parents’ formal engagement opportunities in public schools serves well to characterize the relationship between states and societies. While the relationship between parental involvement and students’ academic success has been thoroughly investigated, rarely has it been seen to indicate countries’ governing regimes. The researcher was curious to see whether and how does parents’ voice differ in different democracies. The hypothesis was that in mature regimes, institutional opportunities for formal parental engagement are plenty and parents are actively involved; while in young democracies there are less opportunities and the engagement is lower. The assumption was also that parental deliberation in expressing their dissatisfaction with schools differs across democracies: where it is more intense, there it translates to higher engagement. Parents’ informedness on relevant regulations and agendas was assumed to be equally average, and their demographic background to have similar effects on engagement. The comparative, most different systems design was employed where public middle schools last graders’ parents in Tartu, Estonia and in Huntsville, Alabama the United States served as a sample. The multidimensional study includes the theoretical review, country and community analyses, institutional analysis in terms of formal parental involvement, and parents’ survey. The findings revealed sizeable differences between parents’ engagement levels in Huntsville and Tartu. The results indicate passivity in both communities, while in Tartu the engagement seems to be alarmingly low. Furthermore, Tartu parents have much less institutional opportunities to engage. In the United States, multilevel efforts to engage parents are visible from local to federal level, in Estonia similar intentions seem to be missing and meaningful parental organizations do not exist. In terms of civic education there is much room for development in both countries. The road will be longer for a young democracy Estonia in transforming its institutional systems from formally democratic to inherently inclusive.
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La tesi riguarda la concessione di spazi di proprietà pubblica a privati, intesi come singole persone o enti, quali ad esempio i collegi, da parte delle autorità cittadine. Le fonti a disposizione per indagare tale pratica burocratica sono quasi totalmente di natura epigrafica, per lo più attestanti l’espressione locus datus decreto decurionum, variamente abbreviata, o formule similari. Questo aspetto della vita civica è stata cursoriamente oggetto di studio in diversi contributi, ma si tratta di articoli che circoscrivono il tema, analizzandolo in relazione a ristrette aree geografiche, oppure considerandone determinati aspetti (ad esempio l’ambito sacro o quello funerario). Si è perciò ritenuto utile proseguire questa linea di ricerca affrontando uno studio di più ampio raggio, che comprenda la documentazione epigrafica dell’intero territorio italico (costituito dalle undici regioni augustee ad esclusione di Roma), per tutte le tipologie testuali (iscrizioni sacre, funerarie, onorarie, su opera pubblica, exempla decreti), allo scopo di formulare osservazioni più precise e puntuali sulla procedura burocratica in esame, pur con tutti i limiti noti a chi affronti questo genere di indagine. Tra le conclusioni raggiunte, è emerso come durante il I-II sec. d.C. vi fosse la tendenza a concedere, sporadicamente, dei loca sepulturae extraurbani a membri delle famiglie delle élites cittadine, anche donne e fanciulli, mentre il foro e le altre aree pubbliche interne alla città erano soprattutto utilizzate direttamente dai decurioni per l’elevazione di dediche e statue. Nel corso del II sec. d.C., con massima diffusione nell’età antonina e poi in quella severiana, prese invece piede l’uso privato a scopo onorario degli spazi pubblici siti all’interno delle città, ovvero in aree prima pressoché precluse all’intervento di singoli cittadini: familiari e liberti, collegi e altri organismi commissionavano statue dedicate prevalentemente agli amministratori locali, magistrati cittadini spesso divenuti anche cavalieri.
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La tesi tematizza come proprio oggetto di indagine i percorsi di partecipazione politica e civica dei giovani nei contesti di transizione alla vita adulta, concentrandosi sull’influenza delle relazioni tra generazioni su tali espressioni di coinvolgimento. L’approfondimento empirico consiste in una ricerca qualitativa condotta presso il quartiere Navile di Bologna nel 2012. Basandosi sull’approccio metodologico della grounded theory, essa ha coinvolto un campione di giovani e un campione di adulti per loro significativi attraverso interviste semistrutturate. Dall’analisi emerge una rilevante disaffezione giovanile nei confronti della politica che, tuttavia, non traduce in un rifiuto del coinvolgimento, ma in una “partecipazione con riserva” espressa attraverso atteggiamenti tutt’altro che passivi nei confronti della politica formale - basati sulla logica della riforma, della resistenza o della ribellione - e mediante un forte investimento in attività partecipative non convenzionali (associazionismo e coinvolgimento). A fare da sfondo all’interesse partecipativo dei giovani si colloca una lettura negativa della propria condizione presente ed un conseguente conflitto intergenerazionale piuttosto manifesto, che si riflette sulle stesse modalità di attivazione. La politica, nelle sue espressioni più strettamente formali, viene interpretata come un ‘territorio adulto’, gestito secondo logiche che lasciano poco spazio ai giovani i quali, per tale ragione, scelgono di attivarsi secondo modalità alternative in cui il confronto con l’altro, quando presente, avviene prevalentemente tra pari o su basi avvertite come più paritarie. Il distanziamento dei giovani dalla politica formale riflette quindi una parallela presa di distanza dagli adulti, i quali risultano smarriti nello svolgimento delle loro funzioni di modello e di riconoscimento. La loro ambivalenza rispetto ai giovani - ossia il continuo oscillare tra il profondo pessimismo e il cieco ottimismo, tra la guida direttiva e la deresponsabilizzazione - si traduce in un riconoscimento parziale delle reali potenzialità ed esigenze dei giovani come cittadini ed adulti emergenti.
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The latter part of the 20th century was a period characterized by a fundamental demographic transition of western society. This substantial and structural demographic change proposes several challenges to contemporary society and fosters the emergence of new issues and challenges. Among these, none is more crucial than the comprehension of the mechanisms and the processes that lead people to positive aging. Rowe and Kahn’s model of successful aging highlights the interplay between social engagement with life, health, and functioning for a positive aging experience. Other systemic models of successful aging (Kahana et al., 1996; 2003; Stevernik et al., 2006) emphasize the role of internal and external resources for attaining positive aging. Among these, the proactive coping strategies are indicated as important active strategies for avoiding the depletion of resources, counterbalancing the declines and maintaining social and civic involvement. The study has analyzed the role of proactive coping strategies for two facets of positive aging, the experience of a high social well-being and the presence of personal projects in fundamental life domains. As expected, the proactive coping strategies, referred to as the active management of the environment, the accumulation of resources and the actualization of human potentials are confirmed as positive predictors of high level of social well-being and of many personal projects focused on family, culture, leisure time, civic and social participation. Perceived health status give a significant contribution only to the possession of many personal projects. Gender and level of school education give also a significant contribution to these two dimensions of positive aging, highlighting how positive aging is rooted not only in the possession of personal resources, but also in historical models of education and in positive longitudinal chains related to early development.
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Nella tesi si osserva come nella cultura russa cambiava l’immagine di Roma. Se ancora alla fine del settecento l’antichità romana poteva risultare solamente uno strumento retorico-filologico da utilizzare per fare il proprio discorso più convincente, la generazione dei decabristi la stessa antica romanità la accostava alla cultura e storia russe tramite gli elevati ideali civici. La romanità ora risultava uno strumento di analisi della esperienza storica e politica della Russia anche nel contesto europeo. Da qui nasceva una serie di modelli russi legati all’antica Roma: il Catone di Radiscev, il Bruto dei decabristi, ecc. Vi attingeva generosamente anche una corrente di lirica russo-antica con i suoi ricchi riferimenti agli autori classici, Ovidio, Tacito, Orazio. Nasceva così una specie di Roma antica russa che viveva secondo le sue regole etiche ed estetiche. Con il fallimento dell’esperienza decabrista cambia anche l’approccio alle antichità: ci si distacca dalla visione storico-morale dell’antico, Roma non è più una categoria da emulare, ma una storia a sé stante e chiusa in sé stessa come ogni periodo storico. Essa smette di essere un criterio universale di giudizio etico e morale. Allo stesso tempo, una parte integrante della cultura russa all’epoca era il viaggio a Roma. I russi cresciuti con interesse e amore verso la Roma antica, impazienti ed emozionati, desideravano ora di vedere quella patria dei classici. Era come se fosse un appuntamento fra gli amici di vecchia data. Si affrettava a verificare di persona le muse di storia e di poesia. E con tutto questo si imparavano ad amare tutti i defetti della Roma reale, spesso inospitale, la Roma del dolore e della fatica. La voce importante nel racconto romano dei russi era anche la Roma del cristianesimo, dove ritrovare e ricoprire la propria “anima cristiana”.
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La ricerca si propone di sondare in maniera completa e approfondita la rappresentazione del banchetto nel testo letterario e, in senso più ampio, nel testo inteso come sistema di segni (siano essi parole, gesti, espressioni facciali, modi di esprimersi, mezzi di comunicazione in genere). Il banchetto è una ‘messa in scena’ che assume nel testo letterario e nei linguaggi espressivi dell’arte contemporanea diverse funzioni a livello tematico e stilistico. Nel lavoro si analizza ognuna di queste funzioni: la funzione denotativa, connotativa, strutturale, metaforica, metanarrativa e stilistica e comunicativa. La linea di analisi tracciata si conclude con un particolare focus sulla rappresentazione del banchetto nel testo letterario e nei media come strumento di comunicazione all’interno di un altro mezzo di comunicazione. Con questa premessa la candidata termina con il capitolo conclusivo dedicando spazio all’immagine del pasto postmoderno. Il banchetto, in quanto rito simbolico, media contenuti legati all’universo culturale, rivela connessioni con la realtà storico-sociale, con l’assetto profondo dell’identità individuale e collettiva, costituendo un polo di aggregazione di diverse dimensioni di umanità. Nonostante l’estrema duttilità alla quale si presta l’immaginario del banchetto sul piano artistico e concettuale, nella quotidianità il momento conviviale continua per l’uomo postmoderno a evocare sentimenti e valori tradizionali ai quali ispirarsi.
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Oggetto del presente studio è il progetto di ricostruzione del centro urbano di Le Havre ad opera di Auguste Perret. Suo obiettivo è il riconoscimento di quell’idea di città posta a fondamento del progetto, per il quale ci si propone di indagare il senso e le grammatiche costitutive della sua forma. Quella di Le Havre costituisce una dimostrazione di come una forma urbana ancora compatta ed evocativa della città storica possa definirsi a partire dalle relazioni stabilite con gli elementi della geografia fisica. Nei suoi luoghi collettivi e monumentali, che rimandano chiaramente a una cultura dell’abitare che affonda le proprie radici nella più generale esperienza della costruzione della città francese, la città riconosce un valore formale e sceglie di rappresentare il proprio mondo civico dinanzi a quei grandi elementi della geografia fisica che costituiscono l’identità del luogo nel quale questa si colloca. Sembra infatti possibile affermare che gli spazi pubblici della città atlantica riconoscano e traducano nella forma della Place de l’Hôtel de Ville le ripide pendici della falesia del Bec-de-Caux, in quella della Porte Océane l’orizzonte lontano dell’Oceano, e nel Front-de-mer Sud l’altra riva dell’estuario della Senna. Questa relazione fondativa sembra essere conseguita anche attraverso la definizione di un’appropriata grammatica dello spazio urbano, la cui significatività è nel fondarsi sull’assunzione, allo stesso tempo, del valore dello spazio circoscritto e del valore dello spazio aperto. La riflessione sullo spazio urbano investe anche la costruzione dell’isolato, sottoposto a una necessaria rifondazione di forma e significato, allo scopo di rendere intellegibile le relazioni tra gli spazi finiti della città e quelli infiniti della natura. La definizione dell’identità dello spazio urbano, sembra fondarsi, in ultima analisi, sulle possibilità espressive delle forme della costruzione che, connotate come forme dell’architettura, definiscono il carattere dei tipi edilizi e dello spazio da questi costruito.
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Die politische Rolle der Hofmusik in der ersten Hälfte des 18. Jahrhunderts ist im Kontext der repräsentativen Machtmittel innerhalb des höfischen Kräftefeldes verortet. Die höfischen Zeremonielle bildeten nicht nur den Aufführungsrahmen, sondern legten sämtliche Determinanten für die musikalischen Ereignisse fest. Zu den Aufgaben der Hofkapellmeister im kleinen, aber innerhalb des Reiches nicht ganz unbedeutenden und durchaus paradigmatisch stehenden Fürstentum Hessen-Darmstadt gehörten die musikalischen Umrahmungen der fürstlichen Hochzeiten, Trauerfälle, Geburtstage sowie politischer und kirchenpolitischer Anlässe. Christoph Graupner wirkte hier als Hofkapellmeister zwischen 1709 und 1760; bis zu seiner Erblindung im Jahr 1754 schuf er ein umfangreiches Werk, das die Verhältnisse dieser Landgrafschaft in signifikanter Weise spiegelt. Graupners Musiken zu den Festen der Landgrafen umfassten immer Kirchenkantaten für den Gottesdienst, daneben oft auch weltliche Musik zur Unterhaltung der Gäste. Obwohl die – damals hochmoderne und in der Entwicklung begriffenen – Gattung der Kantate bei weitem überwiegt, sind es auch Bühnenwerke, die diese Funktion erfüllten, aber lediglich im ersten Jahrzehnt von Graupners Dienstzeit in Darmstadt aufgeführt wurden. 83 panegyrische Werke (57 geistliche, 24 weltliche Kantaten, 2 Bühnenwerke) konnten als Zeremonialmusiken systemisch in ihrem Aufführungskontext analysiert werden. Dabei ergaben sich etliche neue Erkenntnisse wie Datierungen, Zuordnungen zu Anlässen, auch Funde von bisher als verschollen geltenden Textdrucken. Der Geheimrat Johann Jacob (von) Wieger konnte als mutmaßlicher Textdichter identifiziert werden. Insbesondere ist deutlich geworden, dass der Bedeutungsverlust höfischer Repräsentation am Ende der absolutistischen Epoche wie in anderen Residenzen auch in Darmstadt die Zeremonialmusik tangierte. Für Graupner blieb vor diesem Hintergrund einerseits die ungebrochene Unterordnung unter die hierarchischen Verhältnisse, was die Huldigung als Form der Pflichterfüllung einschloss. Andererseits jedoch zeigten sich latente Distanzierungsversuche: zum einen die Schaffung musikalischer Subtexte in gewissen panegyrischen Werken, zum anderen aber vor allem die Hinwendung zur Kirchenmusik und damit zu einer Religiosität, die nicht nur die Anmahnung der christlichen Tugenden ermöglichte, sondern auch mit dem “Schaffen zur Ehre Gottes” eine persönliche Rechtfertigung jenseits von allem tagespolitischen Geschehen bot.
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Die Arbeit untersucht anhand empirischer Daten aus dem Jahr 2012 (ESS 6) das normative Demokratieverständnis von Jugendlichen im Alter zwischen 15 und 26 Jahren. Im Unterschied zu vorangegangenen Studien wird das normative Demokratieverständnis der Jugendlichen zum einen detaillierter untersucht, zum anderen dem der Erwachsenen gegenüber gestellt und drittens werden dessen Determinanten umfassender betrachtet. rnDen theoretischen Rahmen der Untersuchung bilden das klassische Konzept der politischen Kultur und die politische Sozialisationstheorie. rnEs zeigt sich, dass Jugendliche über ein verhältnismäßig gut ausgeprägtes normatives Demokratieverständnis verfügen, dieses jedoch niedriger ausgeprägt ist als das der Erwachsenen, wobei letzterer Befund für ältere Jugendliche nur noch punktuell gilt. Zudem weisen die Ergebnisse darauf hin, dass bei den Jugendlichen weitestgehend die gleichen Aspekte des normativen Demokratieverständnisses im gruppeninternen Vergleich über- bzw. unterdurchschnittlich ausgeprägt sind wie bei den Erwachsenen. Unterschiede zwischen Jugendlichen und Erwachsenen zeigen sich insbesondere für die elektorale Dimension der Demokratie und weniger für die liberale Dimension. Als wichtige Determinanten des Demokratieverständnisses von Jugendlichen werden sowohl der individuelle Bildungsgrad und das individuelle politische Interesse als auch der Bildungshintergrund der Eltern identifiziert.rnAus den Ergebnissen werden am Ende der Arbeit Implikationen mit Bezügen zu Inhalten, Adressaten und Akteuren politischer Bildungsarbeit diskustiert. rn
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Library and IT staff volunteer their time outside of work to many charitable organizations.
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This article explores the “unpopular” archived life of Charles P. Daly, thirty-five-year president (1864–1899) of the New York–based American Geographical Society. This one-time highly prominent judge and civic leader popularized geography among professionals and the public alike. Daly’s popular geography, along with his subsequent containment within the archives, suggests explanations for his dismissal among geographical audiences of today. It is a useful and necessary exercise to trace the neglect of Daly within histories of geography and recapture him for today’s audiences, not only because of his influence on post–Civil War American geography but also because his story can shed light on how “disciplinary remembering” functions in geography.
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In this article, we refine a politics of thinking from the margins by exploring a pedagogical model that advances transformative notions of service learning as social justice teaching. Drawing on a recent course we taught involving both incarcerated women and traditional college students, we contend that when communication among differentiated and stratified parties occurs, one possible result is not just a view of the other but also a transformation of the self and other. More specifically, we suggest that an engaged feminist praxis of teaching incarcerated women together with college students helps illuminate the porous nature of fixed markers that purport to reveal our identities (e.g., race and gender), to emplace our bodies (e.g., within institutions, prison gates, and walls), and to specify our locations (e.g., cultural, geographic, socialeconomic). One crucial theoretical insight our work makes clear is that the model of social justice teaching to which we aspired necessitates re-conceptualizing ourselves as students and professors whose subjectivities are necessarily relational and emergent.
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While much of Aristotle's works are preserved in various volumes, two of his famous works are the Nichmachean Ethics and the Politics, both of which contain a rich compilation of ethical and political thought. In the Ethics, Aristotle describes a thorough understanding of ethical and intellectual virtue. By pursuing these virtues, Aristotle argues that a person can achieve a life of fulfilling happiness. The ideal polis as described in the Politics serves as a place where the virtuous life is attained in the best manner.Citizens who pursue virtue make the polis better, and the rulers that guide the polis ensure that the citizens have every opportunity to pursue the virtuous life. In this thesis, I see how relevant Aristotle's theory is by laying out the basic principles of the Ethics and the Politics and the connections between the two works. Indoing so, I found that Aristotle's ideal theory points out a significant flaw in our political system: the fact that we do not share a common moral conception such as the one concerned with the virtuous life as Aristotle proposes. This does not suggest thatAristotle's view was actualized during his time period, but that Aristotle conceives of an ideal life and an ideal polis that could be realized. Certainly there are issues with Aristotle's thesis concerning the inferiority of slaves and women. But what is morepoignant is the impracticality of instituting a shared common conception when today's political system permits various ideas about ethics and morality.
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The paper deals with the problem of (the often supposedly impossible) conversion to “Hinduism”. I start with an outline of what I call the ‘no conversion possible’ paradigm, and briefl y point to the lack of refl ection on acceptance of converts in most theories of religious conversion. Then, two examples are presented: Firstly, I consider conversion to ISKCON and the discourse on the Hare Krishna movement’s Hinduness. Secondly, I give a brief outline of the globalsanatana dharmamovement as inaugurated by Satguru Siva Subramuniyaswami, a converted American Hindu based in Hawai’i. In the conclusion, I refl ect on (civic) social capital and engagement in global networks as a means to gain acceptance as converts to Hinduism. I argue in line with Stepick, Rey and Mahler (2009) that the religious movements’ civic engagement (in these cases engagement in favour of the Indian diasporic communities and of Hindus in India) provides a means for the individual, non-Indian converts to acquire the social capital that is necessary for gaining acceptance as ‘Hindus’ in certain contexts.