899 resultados para RELAPSE


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Introduzione. Recenti studi hanno dimostrato che il Rituximab (RTX) è un’alternativa sicura ed efficace alla ciclofosfamide nell’indurre la remissione in pazienti con severa vasculite ANCA-associata (AAV) di nuova diagnosi o recidiva. Scopo dello studio era valutare l’efficacia e la sicurezza del RTX nei nostri pazienti con AAV. Metodi. Studio retrospettivo delle caratteristiche cliniche, dei risultati e della tolleranza al RTX dei pazienti con AAV trattati presso il nostro centro da Gennaio 2006 a Dicembre 2011. Inizialmente veniva utilizzato lo schema convenzionale delle 4 somministrazioni settimanali da 375 mg/m2. Dal 2011 sulla base dell’esperienza maturata e dei nuovi dati della letteratura si decideva di non adottare uno schema fisso per le recidive, ma di somministrare una o due dosi secondo la severità della recidiva ed il rischio infettivo. Risultati. Venivano trattati 51 pazienti con AAV, 15/51 (29%) di nuova diagnosi e 36/51 (71%) ad una recidiva. La maggior parte dei pazienti con nuova diagnosi presentavano una micropoliangioite con severo interessamento renale, 5/15 (33%) erano in dialisi dall’esordio. 32/36 (89%) pazienti trattati ad una recidiva presentavano una recidiva granulomatosa di Granulomatosi di Wegener (WG). Tutti ottenevano una remissione, più rapidamente per le manifestazioni vasculitiche. 2/5 pazienti in dialisi dall’esordio recuperavano la funzione renale. Si osservavano 11 recidive in 9 pazienti con GW mediamente dopo 23.1 mesi, tutti ottenevano nuovamente la remissione. Ad un follow-up medio di 20.1 mesi si registravano 4 decessi, 3 (3/15, 20%) nel gruppo di pazienti con nuova diagnosi, uno (1/36, 3%) nel gruppo trattato ad una recidiva. Quattro pazienti sospendevano il RTX per infezioni. Conclusioni. Nella nostra casistica il RTX si è dimostrato efficace e sicuro nell’indurre la remissione in pazienti con severa AAV, sia all’esordio che alla recidiva. I pazienti con WG presentano maggior rischio di recidiva e dovrebbero pertanto essere mantenuti in terapia immunosoppressiva dopo RTX.

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Obiettivi: nonostante i miglioramenti nel trattamento, circa il 30% dei pazienti pediatrici affetti da Linfoma di Hodgkin (LH) in stadio avanzato recidiva o muore per progressione di malattia e i correnti metodi predittivi biologico-clinici non consentono di individuare tali pazienti. L’obiettivo dello studio è stato quello di definire un profilo molecolare di rischio che correli con l’outcome in questi pazienti. Materiali e metodi: studio retrospettico condotto su pazienti pediatrici affetti da LH omogeneamente trattati dal 2004 in poi. Su tali pazienti è stato intrapreso uno studio di validazione di marcatori molecolari già identificati in studi esplorativi precedenti. 27 geni sono stati analizzati in RT PCR su campioni di tessuto istologico prelevato alla diagnosi fissato in formalina e processato in paraffina relativi a una coorte di 37 pazienti, 12 ad outcome sfavorevole e 25 ad outcome favorevole. Risultati: dall’analisi univariata è emerso che solo l’espressione di CASP3 e CYCS, appartenenti al pathway apoptotico, è in grado di influenzare l’EFS in modo significativo nella nostra coorte di pazienti. Lo studio delle possibili combinazioni di questi geni ha mostrato l’esistenza di 3 gruppi di rischio che correlano con l’EFS: alto rischio (down regolazione di entrambi i geni), rischio intermedio (down regolazione di uno solo dei 2 geni), basso rischio (up regolazione di entrambi i geni). Dall’analisi multivariata è emerso che CASP3 è l’unica variabile che mantiene la sua indipendenza nell’influenzare la prognosi con un rischio di eventi di oltre il doppio di chi ha un’espressione bassa di questo gene. Conclusioni: i risultati ottenuti sulla nostra coorte di pazienti pediatrici affetti da LH confermano l’impatto sulla prognosi di due marcatori molecolari CASP3 e CYCS coinvolti nel patwhay apoptotico. La valutazione del profilo di espressione di tali geni, potrebbe pertanto essere utilizzata in corso di stadiazione, come criterio di predittività.

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Die alkoholische Leberzirrhose ist eine anerkannte Indikation für eine Lebertransplantation. Die Prognose dieser Patientengruppe ist bei sicherer Langzeitabstinenz besser als diejenige von Patienten mit einer Leberzirrhose anderer Genese. Jeglicher Alkoholkonsum stellt eine absolute Kontraindikation für eine Transplantation dar. In vielen Ländern gibt es die Forderung nach einer sechsmonatigen Alkoholabstinenz sowie einer guten Compliance vor der Lebertransplantation. Zu deren Überprüfung stehen in der Praxis meist methodisch unzureichende Standards zur Verfügung. Mit der seit den 80er Jahren in der Rechtsmedizin etablierten Alkoholbegleitstoff-Analyse werden die Serumkonzentrationen von Ethanol und anderen Alkoholen und Begleitstoffen, wie z.B. dem Methanol, bestimmt. Methanol ist ein sensitiver und spezifischer Indikator für einen rezenten Alkoholkonsum, da es aufgrund von kompetitiver Hemmung der ADH durch exogen herbeigeführtes (konsumiertes) Ethanol im Serum akkumuliert. Die Alkoholbegleitstoff-Analyse eignet sich im klinischen Alltag zur Überprüfung eines rezenten Alkoholkonsums bei Patienten mit Alkoholismushintergrund. rnIn dieser Studie wurde der Methanoltest standardisiert bei 41 Patienten mit einer ALC auf der Warteliste für eine LTx angewandt. Es wurde bei 32 von 92 Blutuntersuchungen ein Rückfall nachgewiesen, während die Selbstauskunft und der Ethanoltest jeweils nur in 3 Fällen positiv ausfielen. Der Methanoltest wies also in 29 Fällen (1/3) einen rezenten Alkoholkonsum nach, der weder in der Selbstauskunft noch durch den Ethanoltest aufgedeckt worden war.rnEs konnte gezeigt werden, dass der Methanoltest als Bestandteil der Alkoholbegleitstoff-Analyse für die Überprüfung des Abstinenzverhaltens von Patienten mit alkoholtoxischer Leberzirrhose auf der Warteliste vor Transplantation besser geeignet ist als die Selbstauskunft und der direkte Nachweis von Ethanol im Blut der Patienten. In der Praxis zeigte sich, dass mit einer unangekündigten Untersuchung mehr Rückfälle diagnostiziert werden können als bei länger im Voraus geplanten Routine-Untersuchungsterminen. rn

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Bone metastases are responsible for different clinical complications defined as skeletal-related events (SREs) such as pathologic fractures, spinal cord compression, hypercalcaemia, bone marrow infiltration and severe bone pain requiring palliative radiotherapy. The general aim of these three years research period was to improve the management of patients with bone metastases through two different approaches of translational research. Firstly in vitro preclinical tests were conducted on breast cancer cells and on indirect co-colture of cancer cells and osteoclasts to evaluate bone targeted therapy singly and in combination with conventional chemotherapy. The study suggests that zoledronic acid has an antitumor activity in breast cancer cell lines. Its mechanism of action involves the decrease of RAS and RHO, as in osteoclasts. Repeated treatment enhances antitumor activity compared to non-repeated treatment. Furthermore the combination Zoledronic Acid + Cisplatin induced a high antitumoral activity in the two triple-negative lines MDA-MB-231 and BRC-230. The p21, pMAPK and m-TOR pathways were regulated by this combined treatment, particularly at lower Cisplatin doses. A co-colture system to test the activity of bone-targeted molecules on monocytes-breast conditioned by breast cancer cells was also developed. Another important criticism of the treatment of breast cancer patients, is the selection of patients who will benefit of bone targeted therapy in the adjuvant setting. A retrospective case-control study on breast cancer patients to find new predictive markers of bone metastases in the primary tumors was performed. Eight markers were evaluated and TFF1 and CXCR4 were found to discriminate between patients with relapse to bone respect to patients with no evidence of disease. In particular TFF1 was the most accurate marker reaching a sensitivity of 63% and a specificity of 79%. This marker could be a useful tool for clinicians to select patients who could benefit for bone targeted therapy in adjuvant setting.

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L'indagine condotta, avvalendosi del paradigma della social network analysis, offre una descrizione delle reti di supporto personale e del capitale sociale di un campione di 80 italiani ex post un trattamento terapeutico residenziale di lungo termine per problemi di tossicodipendenza. Dopo aver identificato i profili delle reti di supporto sociale degli intervistati, si è proceduto, in primis, alla misurazione e comparazione delle ego-centered support networks tra soggetti drug free e ricaduti e, successivamente, all'investigazione delle caratteristiche delle reti e delle forme di capitale sociale – closure e brokerage – che contribuiscono al mantenimento dell'astinenza o al rischio di ricaduta nel post-trattamento. Fattori soggettivi, come la discriminazione pubblica percepita e l'attitudine al lavoro, sono stati inoltre esplorati al fine di investigare la loro correlazione con la condotta di reiterazione nell'uso di sostanze. Dai risultati dello studio emerge che un più basso rischio di ricaduta è positivamente associato ad una maggiore attitudine al lavoro, ad una minore percezione di discriminazione da parte della società, all'avere membri di supporto con un più alto status socio-economico e che mobilitano risorse reputazionali e, infine, all'avere reti più eterogenee nell'occupazione e caratterizzate da più elevati livelli di reciprocità. Inoltre, il capitale sociale di tipo brokerage contribuisce al mantenimento dell'astinenza in quanto garantisce l'accesso del soggetto ad informazioni meno omogenee e la sua esposizione a opportunità più numerose e differenziate. I risultati dello studio, pertanto, dimostrano l'importante ruolo delle personal support networks nel prevenire o ridurre il rischio di ricaduta nel post-trattamento, in linea con precedenti ricerche che suggeriscono la loro incorporazione nei programmi terapeutici per tossicodipendenti.

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Während Therapeutisches Drug Monitoring (TDM) im klinischen Alltag der stationären Behandlung in der Psychiatrie bereits fest etabliert ist, kommt es in der ambulanten Betreuung von psychisch Kranken bislang noch selten zum Einsatz. Ziel dieser Arbeit war es zu klären, wie TDM im ambulanten Bereich eingesetzt wird, wann seine Anwendung sinnvoll ist und ob es Hinweise gibt, dass TDM zu einer besseren Psychopharmakotherapie beitragen kann. rnEine Grundvoraussetzung für den Einsatz von TDM ist die Messbarkeit des Arzneistoffes. Am Beispiel des Antipsychotikums Flupentixol wurde eine Quantifizierungsmethode entwickelt, validiert und in die Laborroutine integriert. Die neue Methode erfüllte alle nach Richtlinien vorgegebenen Anforderungen für quantitative Laboruntersuchungen. Die Anwendbarkeit in der Laborroutine wurde anhand von Untersuchungen an Patienten gezeigt. rnEine weitere Voraussetzung für eine TDM-geleitete Dosisanpassung ist die Kenntnis des therapeutischen Referenzbereiches. In dieser Arbeit wurde exemplarisch ein Referenzbereich für das Antipsychotikum Quetiapin ermittelt. Die Untersuchung verglich darüber hinaus die neu eingeführten Arzneiformulierung Quetiapin retard mit schnell freisetzendem Quetiapin. Es zeigte sich, dass die therapiebegleitenden Blutspiegelkontrollen beider Formulierungen mit der Einstellung des Blutspiegels auf den therapeutischen Bereich von 100 - 500 ng/ml die Wahrscheinlichkeit des Therapieansprechens erhöhen. Bei den verschiedenen Formulierungen musste unbedingt auf den Zeitpunkt der Blutentnahmen nach Einnahme geachtet werden.rnEs wurde eine multizentrische Querschnittsuntersuchung zur Analyse von TDM unter naturalistischen Bedingungen an ambulanten Patienten durchgeführt, und zwar in Ambulanzen, in denen TDM als fester Bestandteil der Therapieüberwachung genutzt wurde und in Ambulanzen, in denen TDM sporadisch engesetzt, bzw. neu eingeführt wurde. Nach dieser Erhebung schien die Anwendung von TDM zu einer besseren Versorgung der Patienten beizutragen. Es wurde festgestellt, dass in den Ambulanzen mit bewusster Anwendung von TDM mehr Patienten mit Blutspiegeln im therapeutischen Bereich vorkamen als in den Ambulanzen mit nur sporadisch durchgeführten Blutspiegelmessungen. Bei Letzteren betrug die mittlere Anzahl an Medikamenten pro Patient 2,8 gegenüber 2,2 in den anderen Ambulanzen, was mit höheren Nebenwirkungsraten einherging. Die Schlussfolgerung, dass das Einstellen der Blutspiegel auf den therapeutischen Bereich auch tatsächlich zu besseren Therapieeffekten führte, konnte mit der Studie nicht valide überprüft werden, da die Psychopathologie nicht adäquat abgebildet werden konnte. Eine weitere Erkenntnis war, dass das reine Messen des Blutspiegels nicht zu einer Verbesserung der Therapie führte. Eine Verbesserung der Anwendung von TDM durch die Behandler wurde nach einer Schulung festgestellt, die das Ziel hatte, die Interpretation der Blutspiegelbefunde im Kontext mit patienten- und substanzspezifischen Informationen zu verbessern. Basierend auf dieser Erfahrung wurden Arzneistoffdatenblätter für die häufigsten angewandten Antipsychotika und Antidepressiva entwickelt, um damit die ambulanten Ärzte für eine eigenständige Befundinterpretation zu unterstützen. rnEin weiterer Schwerpunkt der Untersuchungen an ambulanten Patienten war die Aufdeckung von Non-Compliance durch TDM. Ein neu entwickeltes Verfahren, durch Berechnung der Streuung der mittleren Blutspiegel, erwies sich als geeignetes Instrument zur Compliance-Kontrolle in der Clozapin-Langzeittherapie. Es war etablierten anderen Verfahren überlegen. Demnach hatten Patienten ein erhöhtes Rückfallrisiko, wenn der Variationskoeffizient von nur drei nacheinander gemessenen Blutspiegeln größer als 20 % war. Da für die Beurteilung des Variationskoeffizienten das Messen von nur drei aufeinander folgenden Blutspiegeln notwendig war, kann diese Methode leicht in den ambulanten Alltag integriert werden. Der behandelnde Arzt hat so die Möglichkeit, einen rückfallgefährdeten Patienten noch vor seiner psychopathologischen Verschlechterung zu erkennen und ihn beispielsweise durch engmaschigeres Supervidieren vor einem Rückfall zu bewahren.rnAlles in allem konnte durch die eigenen Untersuchungen an psychiatrischen Patienten, die unter naturalistischen Bedingungen behandelt wurden, gezeigt werden, wie die Voraussetzungen für die Anwendung von TDM geschaffen werden, nämlich durch die Etablierung und Validierung einer Messmethode und durch die Evaluierung eines therapeutischen Referenzbereiches und wie TDM bei adäquatem Einsatz, nach Verbesserung der Compliance und des Kenntnisstandes der behandelnden Ärzte im praktischen und theoretischen Umgang mit TDM, die Versorgung ambulanter psychiatrischer Patienten unterstützen kann.

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Therapeutisches Drug Monitoring (TDM) findet Anwendung in der Therapie mit Immunosuppressiva, Antibiotika, antiretroviraler Medikation, Antikonvulsiva, Antidepressiva und auch Antipsychotika, um die Effizienz zu steigern und das Risiko von Intoxikationen zu reduzieren. Jedoch ist die Anwendung von TDM für Substanzen, die Einsatz finden in der Rückfallprophylaxe, der Substitution oder dem Entzug von Abhängigkeitserkrankungen nicht etabliert. Für diese Arbeit wurde im ersten Schritt eine sensitive Rating-Skala mit 22 Items entwickelt, mit Hilfe derer der theoretische Nutzen von TDM in der Pharmakotherapie von substanzbezogenen Abhängigkeitserkrankungen auf der Basis von pharmakologischen Eigenschaften der Medikamente und von Patientencharakteristika evaluiert wurde. Die vorgenommene Einschätzung zeigte für Bupropion, Buprenorphin, Disulfiram (oder einen Metaboliten), Methadon (chirale Bestimmung wenn möglich) und Naltrexon einen potentiellen Nutzen von TDM.rnFür die meisten Medikamente, die zur Behandlung von Abhängigkeitserkrankungen zugelassen sind, fehlen valide Messverfahren für TDM. Im Alltag werden überwiegend Drogen Screening-Tests in Form immunologischer Schnelltests angewendet. Für die Anwendung von TDM wurden in dieser Arbeit chromatographische Verfahren für die Bestimmung von Naltrexon und 6β-Naltrexol, Bupropion und Hydroxybupropion sowie R,S-Methadon und R,S-2-Ethyliden-1,5-dimethyl-3,3-diphenylpyrrolidin entwickelt, optimiert und validiert. Es handelt sich dabei HPLC-UV-Methoden mit Säulenschaltung sowie zur Bestimmung von Naltrexon und 6β-Naltrexol zusätzlich eine LC-MS/MS-Methode. Voraussetzung für die Interpretation der Plasmaspiegel ist im Wesentlichen die Kenntnis eines therapeutischen Bereichs. Für Naltrexon und seinen aktiven Metaboliten 6β-Naltrexol konnte eine signifikante Korrelation zwischen dem auftretenden Craving und der Summenkonzentration gefunden werden. Mittels Receiver-Operation-Characteristics-Kurven-Analyse wurde ein Schwellenwert von 16,6 ng/ml ermittelt, oberhalb dessen mit einem erhöhten Ansprechen gerechnet werden kann. Für Levomethadon wurde bezüglich der Detoxifikationsbehandlung ein Zusammenhang in der prozentualen Reduktion des Plasmaspiegels und den objektiven und subjektiven Entzugssymptomen gefunden. rnDoch nicht nur die Wirkstoffe, sondern auch das Patientenmerkmal substanzbezogene Abhängigkeit wurde charakterisiert, zum einen bezüglich pharmakokinetischer Besonderheiten, zum anderen in Hinsicht auf die Therapietreue (Adhärenz). Für Patienten mit komorbider Substanzabhängigkeit konnte eine verminderte Adhärenz unabhängig von der Hauptdiagnose gezeigt werden. Die Betrachtung des Einflusses von veränderten Leberwerten zeigt für komorbide Patienten eine hohe Korrelation mit dem Metabolisiererstatus, nicht aber für Patienten ohne Substanzabhängigkeit.rnÜbergeordnetes Ziel von TDM ist die Erhöhung der Therapiesicherheit und die Steigerung der Therapieeffizienz. Dies ist jedoch nur möglich, wenn TDM im klinischen Alltag integriert ist und korrekt eingesetzt wird. Obwohl es klare Evidenz für TDM von psychiatrischer Medikation gibt, ist die Diskrepanz zwischen Laborempfehlung und der klinischen Umsetzung hoch. Durch Intensivierung der interdisziplinären Zusammenarbeit zwischen Ärzten und Labor, der Entwicklung von interaktivem TDM (iTDM), konnte die Qualität der Anwendung von TDM verbessert und das Risiko von unerwünschten Arzneimittelwirkungen vermindert werden. rnInsgesamt konnte durch die eigenen Untersuchungen gezeigt werden, dass TDM für die medikamentöse Einstellung von Patienten mit Abhängigkeitserkrankung sinnvoll ist und dass optimales TDM eine interdisziplinäre Zusammenarbeit erfordert.rn

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The times following international or civil conflicts but also violent revolutions often come with unequal share of the peace dividend for men and women. Delusions for women who gained freedom of movement and of roles during conflict but had to step back during reconstruction and peace have been recorded in all regions of the world. The emergence of peacebuilding as a modality for the international community to ensure peace and security has slowly incorporated gender sensitivity at the level of legal and policy instruments. Focusing on Rwanda, a country that has obtained significant gender advancement in the years after the genocide while also obtaining to not relapse into conflict, this research explores to what extent the international community has contributed to this transformation. From a review of evaluations, findings are that many of the interventions did not purse gender equality, and overall the majority understood gender and designed actions is a quite superficial way which would hardly account for the significative advancement in combating gender discrimination that the Government, for its inner political will, is conducting. Then, after a critique from a feminist standpoint to the concept of human security, departing from the assumption (sustained by the Governemnt of Rwanda as well) that domestic violence is a variable influencing level of security relevant at the national level, a review of available secondary data on GBV is conducted an trends over the years analysed. The emerging trends signal a steep increase in prevalence of GBV and in domestic violence in particular. Although no conclusive interpretation can be formulated on these data, there are elements suggesting the increase might be due to augmented reporting. The research concludes outlining possible further research pathways to better understand the link in Rwanda between the changing gender norms and the GBV.

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Das Glioblastoma multiforme zählt zu den häufigsten glialen Neoplasien des Menschen und weist zudem unter den Gliomen die höchste Malignität auf. Glioblastompatienten haben trotz aggressiver therapeutischer Ansätze eine mittlere Überlebenszeit von weniger als einem Jahr. Die diffuse Invasion in das umliegende Hirngewebe ist einer der Hauptgründe für die Rezidivbildung und die infauste Prognose von Glioblastompatienten. Neuere Untersuchungen lassen vermuten, dass die starke Invasion auch einer der Gründe für die beobachtete anti-angiogene Resistenz bei der Behandlung von Glioblastomen ist. Das bidirektionale EphB/Ephrin-B-System wurde bei der axonalen Wegfindung als Vermittler repulsiver Signale identifiziert und auch im Zusammenhang der Migration und Invasion von Zellen überprüft. In der vorliegenden Arbeit sollte daher die Funktion der bidirektionalen Eph- und Ephrin-Signaltransduktion in Bezug auf die Glioblastominvasion und Progression untersucht werden. rn Genetische und epigenetische Untersuchungen der EphB/Ephrin-B-Familie in einer Kohorte von Gliompatienten unterschiedlicher Malignitätsgrade identifizierten Ephrin-B2 als mögliches Tumorsuppressorgen. In Übereinstimmung damit führte die Inaktivierung von Ephrin-B2 in einem murinen Gliommodell zu einer verstärkten Invasion und einem erhöhtem Tumorwachstum in vivo. Dies konnte in verschiedenen Invasion-Assays in vitro bestätigt werden. Weiterhin zeigten unsere Untersuchungen, dass Ephrin-B2 transkriptionell durch das hypoxische Mikromilieu HIF-1α-vermittelt reprimiert wird. Da HIF-1α als transkriptioneller Aktivator Ephrin-B2 nicht direkt reprimieren kann, wurden potentielle HIF-1α-regulierte Repressoren untersucht, die für die Ephrin-B2 Herunterregulation verantwortlich sein könnten. Dabei wurde anhand von Ephrin-B2-Promotoranalysen und ChIP-Assays ZEB2 als HIF-1α-induzierbarer Repressor von Ephrin-B2 identifiziert. Zur Bestätigung der Hypothese, dass ZEB2 ein wichtiger Regulator der Tumorinvasion ist, wurden humane ZEB2-Knockdown-Glioblastomzellen generiert und in vitro sowie in vivo untersucht. Im Hinblick auf mögliche therapeutische Anwendungen wurden die ZEB2-Knockdown-Glioblastomzellen zusätzlich im Zusammenhang anti-Angiogenese-induzierter Invasion analysiert. Der Verlust von ZEB2 führte dabei zu einer verringerten Glioblastominvasion und Progression in einem Maus-Xenograft Modell. Die Behandlung der Tumoren mit dem anti-VEGF-Antikörper Avastin resultierte in einer stark erhöhten Invasion, die durch die Inaktivierung von ZEB2 und der dadurch reaktivierten repulsiven Signale von Ephrin-B2 wieder aufgehoben werden konnte. Zusammenfassend konnte in der vorliegenden Arbeit erstmals gezeigt werden, dass Ephrin-B2 als Tumorsuppressor in Gliomen agiert und durch verschiedene Mechanismen wie der genetischen und epigenetischen Kontrolle, aber auch der HIF-1α-vermittelten, ZEB2-abhängigen Repression inaktiviert wird. Dies resultiert in einer Blockade repulsiver Signale, so dass Tumorzellen diffus in das Parenchym und zu den Blutgefäßen migrieren können. Der in dieser Arbeit neu identifizierte Signalweg stellt ein attraktives therapeutisches Ziel zur Inhibition der Tumorzellinvasion dar und ermöglicht darüber hinaus der Ausbildung von Resistenzen gegenüber anti-angiogener Behandlung entgegenzuwirken. rn

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Die akute myeloische Leukämie (AML) zählt zu den aggressivsten neoplastischen Erkrankungenrnder Hämatopoese. Die Mehrheit der Patienten mit AML erreicht nach Induktions-rnChemotherapie den Zustand der kompletten Remission, jedoch erleiden mehr als die Hälfterndieser Patienten anschließend einen Rückfall und versterben an den Folgen der Erkrankungrn[1]. Die allogene hämatopoetische Stammzelltransplantation (engl.: hematopoietic stem cellrntransplantation, HSCT) stellt die einzig putativ kurative Behandlungsform für rezidierendernPatienten und solche mit schlechter Prognose dar. Jedoch birgt diese Form der Therapiernauch eine Vielzahl an Risiken. Insbesondere das Auftreten einer akuten Transplantat-gegen-rnWirt-Erkrankung (engl.: graft-versus-host disease, GvHD) stellt die Hauptursache für transplantationsassoziierternMortalität und Morbidität dar [2]. Die Depletion von alloreaktiven zytotoxischenrnT Lymphozyten (CTL) aus dem Transplantat ermöglicht zwar die Prävention derrnEntstehung einer GvH-Erkrankung, jedoch häufig unter gleichzeitigem Verlust des förderlichen,rnanti-leukämischen Transplantat-gegen-Leukämie-Effekts (engl.: graft-versus-leukemia,rnGvL) [3]. Um den GvL-Effekt unter Vermeidung einer GvH-Erkrankung zu erhalten, bietetrnsich der gezielte adoptive Transfer von Leukämie-spezifischen, nicht alloreaktiven CTL alsrnattraktive Strategie der Immuntherapie für AML-Patienten nach allogener HSCT an. In derrnvorliegenden Arbeit konnte erfolgreich ein prä-klinisches murines AML-Modell unter Einsatzrndes stark immundefizienten NOD.Cg-Prkdcscid Il2rgtm1Wjl/SzJ- (NSG-) Mausstamms und primärenrnAML-Blasten durch die Optimierung bereits publizierter Protokolle etabliert werden.rnBei zehn von 17 transplantierten primären AML-Proben konnte ein erfolgreiches Engraftmentrnder humanen Zellen und eine Rekonstitution der humanen Neoplasie in den NSG-Mäusenrnerzielt werden. Die Engraftment-Rate betrug somit 58,82% und lag etwas unter dem aus derrnLiteratur bekannten Wert von 65-70% [4, 5]. Es ließen sich gut, intermediär und schlecht anwachsendernAML-Proben anhand der Engraftment-Stärke und -Reproduzierbarkeit voneinanderrnunterscheiden. Anhand der Analyse von für das Engraftment kritischer Parameter konnternein Zusammenhang zwischen Engraftment-Rate in der Maus und Flt3-Mutationsstatus sowiernFAB-Klassifikation des Patienten hergestellt und somit Angaben aus der Literatur bestätigtrnwerden. Für zwei Patienten-spezifische AML-Modelle, MZ580 und MZ308, konnten in vitrornerfolgreich AML-reaktive, über einzelne bzw. duale HLA-Diskrepanzen restringierte CTLPopulationenrngeneriert und über einen Zeitraum von bis zu 70 Tagen expandiert werden.rnDeren adoptiver Transfer in zuvor mit humanen AML-Blasten inokulierte NSG-Mäuse führternzu einer nahezu vollständigen Eradikation der AML-Blasten und Remission der Versuchstiere.rnAnhand unterschiedlich langer in vitro Kultur-Zeiträume konnte ein für die in vivo ausgeübtenrnEffektor-Funktionen optimaler Reifungszustand der CTL-Populationen von maximalrn28 Tagen bestimmt werden. Die kinetische Analyse der lytischen Aktivität in vivo deutete auf eine relativ schnelle Ausübung der Effektor-Funktionen durch die CTL-Populationen innerhalbrnvon zwei bis 24 Stunden nach adoptivem Transfer hin. Durch die Verwendung von inrnvitro generierten EBV-reaktiven CTL aus einem irrelevanten Spender konnte zudem die Spezifitätrnder in vivo ausgeübten Effektor-Funktionen nachgewiesen werden. Die ex vivo Re-rnIsolation adoptiv transferierter CTL und deren in vitro Analyse in einem IFNγ ELISpot wiesrneine konstante Reaktivität der Zellen ohne Induktion einer Xeno-Reaktivität nach. Die zurrnVerbesserung der Persistenz humaner CTL-Populationen eingesetzten autologen CD4+ TrnZellen zeigten nur im AML MZ308-System eine positive Wirkung. Generell konnte die Persistenzrnin vivo jedoch trotz initialer Substitution mit den Zytokinen IL-2 und IL-7 nicht über einenrnZeitraum von sieben Tagen hinaus aufrechterhalten werden.rnZur Untersuchung des Extravasations-Mechanismus humaner T Zellen über murines Endothelrnwurden sowohl Flusskammer- als auch Transwell-Studien durchgeführt, um die molekularenrnGrundlagen des Adhäsions- und Transmigrationsprozesses aufzuklären. Durch denrnparallelen Einsatz humaner und muriner T Zellen auf murinen Endothelzellen unter Zusatzrnfunktionsblockierender monoklonaler Antikörper konnte gezeigt werden, dass derrnExtravasations-Mechanismus beider Spezies auf Interaktionen homologer Adhäsionsmolekül-rnPaare, nämlich VLA-4–VCAM-1 und LFA-1–ICAM-1, beruht. Für einzelne Moleküle konntenrnin Abhängigkeit der eingesetzten Endothelzellen Unterschiede in der Funktionalität zwischenrnden Spezies identifiziert werden. Der Adhäsionsprozess war durch die Blockade derrnVLA-4–VCAM-1-Interaktion stärker inhibierbar als durch die Blockade von LFA-1–ICAM-1.rnDie Transmigration hingegen war durch die Blockade beider Adhäsionsmolekül-Paare vergleichbarrnstark inhibierbar.

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In chronic myeloid leukemia and Philadelphia-positive acute lymphoblastic leukemia patients resistant to tyrosine kinase inhibitors (TKIs), BCR-ABL kinase domain mutation status is an essential component of the therapeutic decision algorithm. The recent development of Ultra-Deep Sequencing approach (UDS) has opened the way to a more accurate characterization of the mutant clones surviving TKIs conjugating assay sensitivity and throughput. We decided to set-up and validated an UDS-based for BCR-ABL KD mutation screening in order to i) resolve qualitatively and quantitatively the complexity and the clonal structure of mutated populations surviving TKIs, ii) study the dynamic of expansion of mutated clones in relation to TKIs therapy, iii) assess whether UDS may allow more sensitive detection of emerging clones, harboring critical 2GTKIs-resistant mutations predicting for an impending relapse, earlier than SS. UDS was performed on a Roche GS Junior instrument, according to an amplicon sequencing design and protocol set up and validated in the framework of the IRON-II (Interlaboratory Robustness of Next-Generation Sequencing) International consortium.Samples from CML and Ph+ ALL patients who had developed resistance to one or multiple TKIs and collected at regular time-points during treatment were selected for this study. Our results indicate the technical feasibility, accuracy and robustness of our UDS-based BCR-ABL KD mutation screening approach. UDS was found to provide a more accurate picture of BCR-ABL KD mutation status, both in terms of presence/absence of mutations and in terms of clonal complexity and showed that BCR-ABL KD mutations detected by SS are only the “tip of iceberg”. In addition UDS may reliably pick 2GTKIs-resistant mutations earlier than SS in a significantly greater proportion of patients.The enhanced sensitivity as well as the possibility to identify low level mutations point the UDS-based approach as an ideal alternative to conventional sequencing for BCR-ABL KD mutation screening in TKIs-resistant Ph+ leukemia patients

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Understanding the biology of Multiple Myeloma (MM) is of primary importance in the struggle to achieve a cure for this yet incurable neoplasm. A better knowledge of the mechanism underlying the development of MM can guide us in the development of new treatment strategies. Studies both on solid and haematological tumours have shown that cancer comprises a collection of related but subtly different clones, a feature that has been termed “intra-clonal heterogeneity”. This intra-clonal heterogeneity is likely, from a “Darwinian” natural selection perspective, to be the essential substrate for cancer evolution, disease progression and relapse. In this context the critical mechanism for tumour progression is competition between individual clones (and cancer stem cells) for the same microenvironmental “niche”, combined with the process of adaptation and natural selection. The Darwinian behavioural characteristics of cancer stem cells are applicable to MM. The knowledge that intra-clonal heterogeneity is an important feature of tumours’ biology has changed our way to addressing cancer, now considered as a composite mixture of clones and not as a linear evolving disease. In this variable therapeutic landscape it is important for clinicians and researchers to consider the impact that evolutionary biology and intra-clonal heterogeneity have on the treatment of myeloma and the emergence of treatment resistance. It is clear that if we want to effectively cure myeloma it is of primarily importance to understand disease biology and evolution. Only by doing so will we be able to effectively use all of the new tools we have at our disposal to cure myeloma and to use treatment in the most effective way possible. The aim of the present research project was to investigate at different levels the presence of intra-clonal heterogeneity in MM patients, and to evaluate the impact of treatment on clonal evolution and on patients’ outcomes.

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In allogeneic hematopoietic stem cell transplantation (allo-HSCT), alloreactive T lymphocytes of donor origin mediate the beneficial graft-versus-leukemia effect but also induce graft-versus-host disease (GvHD). Since human leukocyte antigens (HLA) mismatch alleles represent major targets of alloreactive T lymphocytes, patient and donor are usually matched for the class I molecules A, B, C, and for the class II molecules DRB1 and DQB1, in order do reduce the risk of GvHD. The HLA-DPB1 locus, however, is still ignored in donor selection. Interestingly, clinical studies have demonstrated that disparities at HLA-DQB1 alleles as well as distinct HLA DPB1 mismatch constellations do not adversely affect the outcome of allo-HSCT. It has also been shown that HLA class II is predominantly expressed on hematopoietic cells under non-inflammatory conditions. Therefore, this PhD thesis focused on the application of CD4 T cells in adoptive immunotherapy of leukemias.rnIn the first part of this thesis we developed a rapid screening approach to detect T-cell reactivity of donors to single HLA class II mismatch alleles. Allo-HLA reactivity was measured in naive, memory, and entire CD4 T cells isolated from PBMC of healthy donors by flow cytometric cell sorting according to expression of the differentiation markers CD45RA, CD45RO, CD62L, and CCR7. T-cell populations were defined by a single marker to facilitate translation into a clinical-grade allo-depletion procedure. Alloreactivity to single HLA-DR/-DQ mismatch alleles was analyzed in short-term mixed lymphocyte reactions (MLR) in vitro. As standard antigen-presenting cells, we used the HLA-deficient cell line K562 upon electroporation with single HLA-DR/-DQ allele mRNA. We observed in IFN-γ ELISpot assays that allo-HLA-reactivity preferentially derived from subsets enriched for naive compared to memory T cells in healthy donors, irrespective of the HLA mismatch allele. This separation was most efficient if CD62L (P=0.008) or CD45RA (P=0.011) were used as marker. Median numbers of allo-HLA-reactive effector cells were 3.5-fold and 16.6-fold lower in CD62Lneg and CD45RAneg memory CD4 T cells than in entire CD4 T cells, respectively. In allele-specific analysis, alloreactivity to single HLA-DR alleles clearly exceeded that to HLA-DQ alleles. In terms of alloproliferation no significant difference could be observed between individual CD4 T-cell subsets. rnThe second part of this thesis dealed with the generation of allo-HLA-DQ/-DP specific CD4 T cells. Naive CD45RApos CD4 T cells isolated from healthy donor PBMC by flow cytometric cell sorting were stimulated in MLR against single allo-HLA-DQ/-DP alleles transfected into autologous mature monocyte-derived dendritic cells by mRNA electroporation. Rapidly expanding HLA-DQ/-DP mismatch reactive T cells significantly recognized and cytolysed primary acute myeloid leukemia (AML) blasts, fibroblasts (FB) and keratinocytes (KC) in IFN-γ ELISpot and 51chromium release assays if the targets carried the HLA DQ/ DP allele used for T cell priming. While AML blasts were recognized independent of pre-incubating them with IFN-γ, recognition of FB and KC required IFN-γ pre treatment. We further investigated HLA class II expression on hematopoietic and non-hematopoietic cells by flow cytometry. HLA class II was not detected on primary FB, KC, and non-malignant kidney cells, but was expressed at significant levels on primary AML blasts and B-LCL. Up-regulation of HLA class II expression was observed on all cell types after pre-incubation with IFN-γ.rnIn summary, the novel K562-HLA based MLR approach revealed that naive-depleted CD4 T-cell subsets of healthy individuals contain decreased allo-HLA reactivity in vitro. We propose the application of CD45RAneg naive-depleted CD4 T cells as memory T cell therapy, which might be beneficial for HLA-mismatched patients at high-risk of GvHD and low-risk of leukemia relapse. Memory T cells might also provide important post-transplant immune functions against infectious agents. Additionally, the screening approach could be employed as test system to detect donors which have low risks for the emergence of GvHD after allo-HSCT. In the second part of this thesis we developed a protocol for the generation of allo-HLA-DQ/-DP specific CD4 T cell lines, which could be applied in situations in which patient and donor are matched in all HLA alleles but one HLA-DQ/-DP allele with low GvHD potential. These T cells showed lytic activity to leukemia cells while presumably sparing non-hematopoietic tissues under non-inflammatory conditions. Therefore, they might be advantageous for allo-HSCT patients with advanced stage AML after reduced-intensity conditioning and T-cell depletion for the replenishment of anti-leukemic reactivity if the risk for disease relapse is high. rn

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Bei stammzelltransplantierten Patienten, die ein Rezidiv ihrer Leukämie erleiden, kann eine Donor-Lymphozyten-Infusion (DLI) dauerhafte vollständige Leukämieremissionen induzieren. T-Zellen in der DLI vermitteln sowohl den potentiell kurativen Graft-versus-Leukaemia (GVL) Effekt, als auch die potentiell lebensbedrohliche Graft-versus-Host Disease (GVHD). Hingegen könnte die Infusion von leukämiereaktiven T-Zellen einen selektiven GVL Effekt und einen Langzeitschutz vor Rezidiven durch eine spezifisch gegen die Leukämie gerichtete Immunantwort und Immunität vermitteln. Unsere Arbeitsgruppe hat Protokolle zur in vitro Generierung leukämiereaktiver T-Zellen entwickelt, die hohe zytotoxische Aktivität gegen akute myeloische Leukämie-Blasten (AML) bei minimaler Reaktion auf mögliche GVHD Zielstrukturen zeigen. Für die klinische Anwendung sind diese Protokolle jedoch zu aufwändig, wobei vor allem eine erhebliche Verkürzung der Kulturzeit auf wenige Wochen erforderlich ist. Diese Verkürzung der in vitro Kulturzeit könnte das Wachstum von T-Zellen vom central memory oder frühen effector memory Phänotyp fördern, für die eine bessere in vivo Effektorfunktion und längere Persistenz im Rezipienten verglichen mit T-Zellen aus Langzeitkultur gezeigt werden konnte. Der Aktivierungsmarker und Kostimulations-Rezeptor CD137 kann zur Erkennung und Isolation antigenspezifischer T-Zellen genutzt werden, ohne dass dafür das von den T-Zellen erkannte Peptidepitop bekannt sein muss. Eine CD137-vermittelte Anreicherung mit Hilfe von clinical grade Materialien könnte verwendet werden, um DLI-Produkte mit leukämiespezifischen T-Zellen herzustellen, die sich sowohl durch eine effizientere T-Zell Generierung durch in vitro Selektion und Kostimulation, als auch durch eine verbesserte Spezifität des T-Zell-Produkts auszeichnen. Lymphozyten-Leukämie Cokulturen (mixed lymphocyte leukaemia cultures) wurden mit CD8 T-Zellen gesunder Spender und HLA-identischen oder einzel-HLA-mismatch AML-Blasten angesetzt und wöchentlich restimuliert. Nach zwei Wochen wurden die T-Zellen 12 Stunden nach Restimulation über den Marker CD137 positiv isoliert und anschließend separat weiterkultiviert. Die isolierten Fraktionen und unseparierten Kontrollen wurden im ELISPOT-Assay und im Chrom-Freisetzungstest an Tag 5 nach der Restimulation getestet. Es wurden keine konsistent nachweisbaren Vorteile im Hinblick auf Wachstum und Funktion der isolierten CD137-positiv Fraktion im Vergleich zur unseparierten Kontrolle gefunden. Verschiedene Isolationsmethoden, Patient-Spender-Systeme, Methoden zur Restimulation, Temperaturbedingungen, Zytokinkombinationen und Methoden der Zytokinzugabe sowie zusätzliche Feeder-Zellen oder AML-Blasten konnten Wachstum, funktionelle Daten und die deutlichen Zellverluste während der Isolation nicht entscheidend beeinflussen. Vitalfärbungen zeigten, dass aktivierungsinduzierter Zelltod CD137-positiver Zellen zu diesen Ergebnissen beitragen könnte. Im Gegensatz zur Stimulation mit AML-Blasten wurden erfolgreiche CD137-Anreicherungen für peptidstimulierte T-Zellen publiziert. Unterschiedliche CD137-Expressionskinetiken, aktivierungsinduzierter Zelltod und regulatorische T-Zellen sind mögliche Faktoren aufgrund derer die CD137-Anreicherung in diesem spezifischen Kontext ungeeinet sein könnte. Der stimulatorische Effekt eines CD137-Signals auf AML-reaktive CD8 T-Zellen wurde mit Hilfe von CD3/CD28 und CD3/CD28/CD137 Antikörper-beschichteten magnetischen beads untersucht. Für Nierenzellkarzinom-reaktive T-Zellen war die Stimulation mit CD3/CD28/CD137 beads genauso effektiv wie mit Tumorzellen und effektiver als mit CD3/CD28 beads. Beide Arten von beads waren für eine Stimulation während der ersten Wochen der Zellkultur geeignet, sodass ein zusätzliches CD137-Signal für die länger anhaltende Expansion tumorreaktiver T-Zellen zur klinischen Anwendung nützlich sein könnte. Die bead-Expansion veränderte die IFN-Sekretion im ELISPOT nicht, aber verursachte eine mäßige Verschlechterung der Zytotoxizität im Chrom-Freisetzungstest. Im Gegensatz dazu zeigten bei AML-reaktiven T-Zellen beide Arten von beads einen nicht apoptosevermittelten, dosisabhängigen zellschädigenden Effekt, der zu einer raschen Abnahme der Zellzahl in Kulturen mit beads führte. Unerwünschte Effekte auf die T-Zell-Funktionalität durch bead-Stimulation sind in der Literatur beschrieben, dennoch gibt es aktuell keine Veröffentlichungen, die eine fundierte Erklärung für den Effekt auf AML-reaktive T-Zellen bieten könnten. Abgesehen von Literaturdaten, die darauf hindeuten, dass CD137 ein vielversprechendes Kandidatenmolekül für die Anreicherung und Expansion von AML-reaktiven T-Zellen sein könnte, zeigen die eigenen Daten sowohl zur CD137-Isolation als auch zur bead-Stimulation, dass für diese spezielle Anwendung CD137 ein ungeeigneter Aktivierungsmarker und Kostimulations-Ligand ist.

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Acute myeloid leukaemia (AML) is a cancer of the haematopoietic system, which can in many cases only be cured by haematopoietic stem cell transplantation (HSCT) and donor lymphocyte infusion (DLI) (Burnett et al., 2011). This therapy is associated with the beneficial graft-versus-leukaemia (GvL) effect mediated by transplanted donor T and NK cells that either recognise mismatch HLA molecules or polymorphic peptides, so-called minor histocompatibility antigens, leukaemia-associated or leukaemia-specific antigens in the patient and thus eliminate remaining leukaemic blasts. Nevertheless, the mature donor-derived cells often trigger graft-versus-host disease (GvHD), leading to severe damages in patients’ epithelial tissue, mainly skin, liver and intestine (Bleakley & Riddell, 2004). Therefore, approaches for the selective mediation of strong GvL effects are needed, also in order to prevent relapse after transplantation. One promising opportunity is the in vitro generation of AML-reactive CD4+ T cells for adoptive transfer. CD4+ T cells are advantageous compared to CD8+ T cells, as HLA class II molecules are under non-inflammatory conditions only expressed on haematopoietic cells; a fact that would minimise GvHD (Klein & Sato, 2000). In this study, naive CD4+ T cells were isolated from healthy donors and were successfully stimulated against primary AML blasts in mini-mixed lymphocyte/leukaemia cell cultures (mini-MLLC) in eight patient/donor pairs. After three to seven weekly restimulations, T cells were shown to produce TH1 type cytokines and to be partially of monoclonal origin according to their TCR Vβ chain usage. Furthermore, they exhibited lytic activity towards AML blasts, which was mediated by the release of granzymes A and B and perforin. The patient/donor pairs used in this study were fully HLA-class I matched, except for one pair, and also matched for HLA-DR and -DQ, whereas -DP was mismatched in one or both alleles, reflecting the actual donor selection procedure in the clinic (Begovich et al., 1992). Antibody blocking experiments suggested that the generated CD4+ T cells were directed against the HLA-DP mismatches, which could be confirmed by the recognition of donor-derived lymphoblastoid cell lines (LCLs) electroporated with the mismatched DP alleles. Under non-inflammatory conditions primary fibroblasts did not express HLA-DP and were thus not recognised, supporting the idea of a safer application of CD4+ T cells regarding induction of GvHD. For the assessment of the biological significance of these T cells, they were adoptively transferred into NSG mice engrafted with human AML blasts, where they migrated to the bone marrow and lymphoid tissue and succeeded in eliminating the leukaemic burden after only one week. Therefore, AML-reactive CD4+ T cells expanded from the naive compartment by in vitro stimulation with primary leukaemia blasts appear to be a potent tool for DLI in HSCT patients and promise to mediate specific GvL effects without causing GvHD.