299 resultados para Coorte


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Acute myocardial infarction (AMI) is a multifactorial disease with a complex pathogenesis where lifestyle, individual genetic background and environmental risk factors are involved. Altered inflammatory responses seems to be implicated in the pathogenesis of atherosclerosis. To understand which genes may predispose to increased risk of cardiovascular disease gene polymorphism of immune regulatory genes, and clinical events from the Offs of parents with an early AMI were investigated. Genetics data from Offs were compared with those obtained from healthy subjects and an independent cohort of patients with clinical sporadic AMI. Rates of clinical events during a 24 years follow up from Offs and from an independent Italian population survey were also evaluated. This study showed that a genetic signature consisting of the concomitant presence of the CC genotype of VEGF, the A allele of IL-10 and the A allele of IFN-γ was indeed present in the Offs population. During the 24-year follow-up, Offs with a positive familiarity in spite of a relatively young age showed an increased prevalence of diabetes, ischemic heart disease and stroke. In these patients with the genetic signature the EBV and HHV-6 herpes virus were also investigated and founded. These findings reinforce the notion that subjects with a familial history of AMI are at risk of an accelerated aging of cardiovascular system resulting in cardiovascular events. These data suggest that selected genes with immune regulatory functions and envoronmental factors are part of the complex genetic background contributing to familiarity for cardiovascular diseases.N

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OBIETTIVO: sintetizzare le evidenze disponibili sulla relazione tra i fattori di rischio (personali e lavorativi) e l’insorgenza della Sindrome del Tunnel Carpale (STC). METODI: è stata condotta una revisione sistematica della letteratura su database elettronici considerando gli studi caso-controllo e di coorte. Abbiamo valutato la qualità del reporting degli studi con la checklist STROBE. Le stime studio-specifiche sono state espresse come OR (IC95%) e combinate con una meta-analisi condotta con un modello a effetti casuali. La presenza di eventuali bias di pubblicazione è stata valutata osservando l’asimmetria del funnel plot e con il test di Egger. RISULTATI: Sono stati selezionati 29 studi di cui 19 inseriti nella meta-analisi: 13 studi caso-controllo e 6 di coorte. La meta-analisi ha mostrato un aumento significativo di casi di STC tra i soggetti obesi sia negli studi caso-controllo [OR 2,4 (1,9-3,1); I(2)=70,7%] che in quelli di coorte [OR 2,0 (1,6-2,7); I(2)=0%]. L'eterogeneità totale era significativa (I(2)=59,6%). Risultati simili si sono ottenuti per i diabetici e soggetti affetti da malattie della tiroide. L’esposizione al fumo non era associata alla STC sia negli studi caso-controllo [OR 0,7 (0,4-1,1); I(2)=83,2%] che di coorte [OR 0,8 (0,6-1,2); I(2)=45,8%]. A causa delle molteplici modalità di valutazione non è stato possibile calcolare una stima combinata delle esposizioni professionali con tecniche meta-analitiche. Dalla revisione, è risultato che STC è associata con: esposizione a vibrazioni, movimenti ripetitivi e posture incongrue di mano-polso. CONCLUSIONI: I risultati della revisione sistematica confermano le evidenze dell'esistenza di un'associazione tra fattori di rischio personali e STC. Nonostante la diversa qualità dei dati sull'esposizione e le differenze degli effetti dei disegni di studio, i nostri risultati indicano elementi di prova sufficienti di un legame tra fattori di rischio professionali e STC. La misurazione dell'esposizione soprattutto per i fattori di rischio professionali, è un obiettivo necessario per studi futuri.

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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred” nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.

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Il rachide è stato suddiviso in tre colonne da Denis: anteriore e centrale comprendono la metà anteriore del corpo vertebrale, la metà posteriore e l’inizio dei peduncoli, mentre la colonna posteriore comprende l’arco e i peduncoli stessi. In caso di resezione o lesione della colonna anteriore e media è indicata la ricostruzione. Diverse tecniche e materiali possono essere usati per ricostruire il corpo vertebrale. Innesti vascolarizzati, autograft, allograft sono stati usati, così come impianti sintetici di titanio o materiale plastico come il PEEK (Poly etere etere ketone). Tutti questi materiali hanno vantaggi e svantaggi in termini di proprietà intrinseche, resistenza meccanica, modulo di elasticità, possibilità di trasmissione malattie, capacità di fondersi con l’osso ospite o meno. Le soluzioni più usate sono le cage in titanio o carbonio, il PMMA ( Poli methil metacrilato), gli innesti ossei massivi. Si è effettuato uno studio di coorte retrospettivo paragonando due gruppi di pazienti oncologici spinali trattati da due chirurghi esperti in un centro di riferimento, con vertebrectomia e ricostruzione della colonna anteriore: un gruppo con cage in carbonio o titanio, l’altro gruppo con allograft massivo armato di innesto autoplastico o mesh in titanio. Si sono confrontati i risultati in termini di cifosi segmenterai evolutiva, fusione ossea e qualità di vita del paziente. Il gruppo delle cage in carbonio / titanio ha avuto risultati leggermente migliori dal punto di vista biomeccanico ma non statisticamente significativo, mentre dal punto di vista della qualità di vita i risultati sono stati migliori nel gruppo allograft. Non ci sono stati fallimenti meccanici della colonna anteriore in entrambi i gruppi, con un Fu tra 12 e 60 mesi. Si sono paragonati anche i costi delle due tecniche. In conclusione l’allogar è una tecnica sicura ed efficace, con proprietà meccaniche solide, soprattutto se armato con autograft o mesi in titanio.

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Pochi studi hanno indagato il profilo dei sintomi non-motori nella malattia di Parkinson associata al gene glucocerebrosidasi (GBA). Questo studio è mirato alla caratterizzazione dei sintomi non-motori, con particolare attenzione alla valutazione delle funzioni neurovegetativa, cognitiva e comportamentale, nel parkinsonismo associato a mutazione del gene GBA con la finalità di verificare se tali sintomi non-motori siano parte dello spettro clinico di questi pazienti. E’ stato condotto su una coorte di pazienti affetti da malattia di Parkinson che erano stati tutti sottoposti ad una analisi genetica per la ricerca di mutazioni in uno dei geni finora associati alla malattia di Parkinson. All’interno di questa coorte omogenea sono stati identificati due gruppi diversi in relazione al genotipo (pazienti portatori della mutazione GBA e pazienti non portatori di nessuna mutazione) e le caratteristiche non-motorie sono state confrontate nei due gruppi. Sono state pertanto indagati il sistema nervoso autonomo, mediante studio dei riflessi cardiovascolari e analisi dei sintomi disautonomici, e le funzioni cognitivo-comportamentali in pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA. I risultati sono stati messi a confronto con il gruppo di controllo. Lo studio ha mostrato che i pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA presentavano maggiore frequenza di disfunzioni ortosimpatiche, depressione, ansia, apatia, impulsività, oltre che di disturbi del controllo degli impulsi rispetto ai pazienti non portatori. In conclusione, i pazienti GBA positivi possono esprimere una sintomatologia non-motoria multidominio con sintomi autonomici, cognitivi e comportamentali in primo piano. Pertanto l’impostazione terapeutica in questi pazienti dovrebbe includere una accurata valutazione dei sintomi non-motori e un loro monitoraggio nel follow up clinico, allo scopo di ottimizzare i risultati e ridurre i rischi di complicazioni.

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OBIETTIVI: Valutazione del rischio di trasmissione verticale e delle conseguenze dell’infezione congenita da cytomegalovirus (CMV) in caso di infezione non primaria versus l’outcome delle gravidanze complicate da infezione primaria. MATERIALI E METODI: Studio retrospettivo di coorte di gravide con infezione recente da CMV diagnosticata c/o il nostro centro negli anni 2000-2013. Le pazienti sono state suddivise in 2 gruppi in base al risultato delle indagini sierologiche (avidità IgG e immunoblot): il primo con profilo sierologico compatibile con infezione non primaria e l'altro compatibile con infezione primaria da CMV. Sono stati confrontati il rischio di trasmissione e di infezione congenita sintomatica nei due gruppi. RISULTATI: Il follow-up è risultato disponibile in 1122 casi di cui 182 con infezione materna non-primaria e 940 con infezione primaria materna. L’infezione congenita è stata diagnosticata in 7 (3.86%) feti/neonati nei casi di infezione non primaria e in 217 (23%) feti/neonati nei casi di infezione primaria (p<0.001). Tra gli infetti, erano sintomatici 43 (19,8%) e 3 (42,8%) rispettivamente nell’infezione primaria e non primaria. COMMENTO: La preesistente immunità materna offre una protezione contro la trasmissione intrauterina nell’infezione da CMV ma non protegge dalla malattia congenita sintomatica.

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Introduzione e scopo: la rapida diffusione delle malattie dismetaboliche sta modificando l’epidemiologia dell’epatocarcinoma (HCC). Scopo della tesi è, attraverso quattro studi, analizzare l’impatto di questi cambiamenti nella gestione clinica del paziente affetto da HCC. Materiali e metodi: quattro studi di coorte, condotti con analisi retrospettiva del database ITA.LI.CA. Studio 1:3658 pazienti arruolati tra il 01-01-2001 ed il 31-12-2012 suddivisi in base alla data di diagnosi:2001-2004 (954 pazienti), 2005-2008 (1122 pazienti), 2009-2012 (1582 pazienti). Studio 2:analisi comparativa tra 756 pazienti con HCC-NAFLD e 611 pazienti con HCC-HCV. Studio 3:proposta di quattro modelli alternativi al BCLC originale con validazione di una proposta di sottostadiazione dell’intermedio, considerando 2606 pazienti arruolati tra il 01-01-2000 e il 31-12-2012 e riallocati secondo gradi diversi di perfomance status (PS). Studio 4:analisi di 696 pazienti con HCC in stadio intermedio diagnosticato dopo il 1999 stratificati per trattamento. Risultati: studio 1:progressivo aumento dell’età alla diagnosi e delle eziologie dismetaboliche; più frequente esordio dell’HCC in stadio precoce e con funzione epatica più conservata; aumento della sopravvivenza dopo il 2008. Studio 2:i pazienti con HCC-NAFLD mostrano più frequentemente un tumore infiltrativo diagnosticato fuori dai programmi di sorveglianza, con prognosi peggiore rispetto ai pazienti HCC-HCV. Questa differenza di sopravvivenza si elimina rimuovendo i fattori di confondimento attraverso propensity analysis. Studio 3:il PS1 non è un predittore indipendente di sopravvivenza. Il modello 4 (considerando PS1=PS0 e con la sottostadiazione proposta), ha la migliore capacità discriminativa. Studio 4:i trattamenti curativi riducono la mortalità più della TACE, anche dopo propensity analysis. Conclusioni: l’aumento delle patologie dismetaboliche comporterà diagnosi di malattia ad uno stadio più avanzato, quando sintomatica, rendendo necessario stabilire un programma di sorveglianza. Inoltre per una migliore stratificazione e gestione dei pazienti, bisogna riconsiderare il ruolo del PS ed offrire un ventaglio di opzioni terapeutiche anche per il pazienti in stadio intermedio.

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Much of biomedical research is observational. The reporting of such research is often inadequate, which hampers the assessment of its strengths and weaknesses and of a study’s generalizability. The Strengthening the Reporting of Observational Studies in Epidemiology (STROBE) Initiative developed recommendations on what should be included in an accurate and complete report of an observational study. We defined the scope of the recommendations to cover three main study designs: cohort, casecontrol, and cross-sectional studies. We convened a 2-day workshop in September 2004, with methodologists, researchers, and journal editors to draft a checklist of items. This list was subsequently revised during several meetings of the coordinating group and in e-mail discussions with the larger group of STROBE contributors, taking into account empirical evidence and methodological considerations. The workshop and the subsequent iterative process of consultation and revision resulted in a checklist of 22 items (the STROBE Statement) that relate to the title, abstract, introduction, methods, results, and discussion sections of articles. Eighteen items are common to all three study designs and four are specific for cohort, case-control, or cross-sectional studies. A detailed “Explanation and Elaboration” document is published separately and is freely available on the web sites of PLoS Medicine, Annals of Internal Medicine, and Epidemiology. We hope that the STROBE Statement will contribute to improving the quality of reporting of observational studies.

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La diagnosi di neoplasia epiteliale maligna polmonare è legata tradizionalmente alla distinzione tra carcinoma a piccole cellule (small-cell lung cancer, SCLC) e carcinoma non-a piccole cellule del polmone (non-small-cell lung cancer, NSCLC). Nell’ambito del NSCLC attualmente è importante di-stinguere l’esatto istotipo (adenocarcinoma, carcinoma squamocellulare e carcinoma neuroendocrino) perchè l’approccio terapeutico cambia a seconda dell’istotipo del tumore e la chemioterapia si dimostra molto spesso inefficace. Attualmente alcuni nuovi farmaci a bersaglio molecolare per il gene EGFR, come Erlotinib e Gefitinib, sono utilizzati per i pazienti refrattari al trattamento chemioterapico tradizionale, che non hanno risposto a uno o più cicli di chemioterapia o che siano progrediti dopo questa. I test per la rilevazione di specifiche mutazioni nel gene EGFR permettono di utilizzare al meglio questi nuovi farmaci, applicandoli anche nella prima linea di trattamento sui pazienti che hanno una maggiore probabilità di risposta alla terapia. Sfortunatamente, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo quando trattati con farmaci anti-EGFR. Di conseguenza, l'individuazione di biomarcatori predittivi di risposta alla terapia sarebbe di notevole importanza per aumentare l'efficacia dei questi farmaci a target molecolare e trattare con farmaci diversi i pazienti che con elevata probabilità non risponderebbero ad essi. I miRNAs sono piccole molecole di RNA endogene, a singolo filamento di 20-22 nucleotidi che svolgono diverse funzioni, una delle più importanti è la regolazione dell’espressione genica. I miRNAs possono determinare una repressione dell'espressione genica in due modi: 1-legandosi a sequenze target di mRNA, causando così un silenziamento del gene (mancata traduzione in proteina), 2- causando la degradazione dello specifico mRNA. Lo scopo della ricerca era di individuare biomarcatori capaci di identificare precocemente i soggetti in grado di rispondere alla terapia con Erlotinib, aumentando così l'efficacia del farmaco ed evitan-do/riducendo possibili fenomeni di tossicità e il trattamento di pazienti che probabilmente non ri-sponderebbero alla terapia offrendo loro altre opzioni prima possibile. In particolare, il lavoro si è fo-calizzato sul determinare se esistesse una correlazione tra la risposta all'Erlotinib ed i livelli di espressione di miRNAs coinvolti nella via di segnalazione di EGFR in campioni di NSCLC prima dell’inizio della terapia. Sono stati identificati 7 microRNA coinvolti nel pathway di EGFR: miR-7, -21, 128b, 133a, -133b, 146a, 146b. Sono stati analizzati i livelli di espressione dei miRNA mediante Real-Time q-PCR in campioni di NSCLC in una coorte di pazienti con NSCLC metastatico trattati con Erlotinib dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2014 in 2°-3° linea dopo fallimento di almeno un ciclo di chemioterapia. I pazienti sottoposti a trattamento con erlotinib per almeno 6 mesi senza presentare progressione alla malattia sono stati definiti “responders” (n=8), gli altri “non-responders” (n=25). I risultati hanno mostrato che miR-7, -133b e -146a potrebbero essere coinvolti nella risposta al trat-tamento con Erlotinib. Le indagini funzionali sono state quindi concentrate su miR-133b, che ha mo-strato la maggiore espressione differenziale tra i due gruppi di pazienti. E 'stata quindi studiata la capacità di miR-133b di regolare l'espressione di EGFR in due linee di cellule del cancro del polmone (A549 e H1299). Sono stati determinati gli effetti di miR-133b sulla crescita cellulare. E’ stato anche analizzato il rapporto tra miR-133b e sensibilità a Erlotinib nelle cellule NSCLC. L'aumento di espressione di miR-133b ha portato ad una down-regolazione del recettore di EGF e del pathway di EGFR relativo alla linea cellulare A549. La linea cellulare H1299 era meno sensibili al miR-133b up-regulation, probabilmente a causa dell'esistenza di possibili meccanismi di resistenza e/o di com-pensazione. La combinazione di miR-133b ed Erlotinib ha aumentato l'efficacia del trattamento solo nella linea cellulare A549. Nel complesso, questi risultati indicano che miR-133b potrebbe aumentare / ripristinare la sensibilità di Erlotinib in una frazione di pazienti.

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Introdução - A vitamina D desempenha funções na regulação da homeostase do cálcio e fósforo, diferenciação celular, metabolismo de hormônios e regulação do sistema imune. Sua deficiência em crianças pode ocasionar raquitismo, convulsões e insuficiência respiratória. Objetivo - Determinar a relação entre adiposidade materna e do recém-nascido com as concentrações de vitamina D materna e do cordão umbilical. Metodologia - Foram envolvidas 101 mães e seus respectivos recém-nascidos selecionados no Hospital Maternidade Vila Nova Cachoeirinha, São Paulo. A concentração de vitamina D foi determinada por cromatografia líquida. A composição corporal materna foi determinada por bioimpedância segmentada (InBody®, Coréia do Sul) e a dos recém-nascidos obtida por pletismografia por deslocamento de ar (PEA POD®, USA). Para análise estatística, utilizou-se análise de regressão linear múltipla e coeficiente de correlação de Spearman. Valores de p <0,05 foram considerados significantes. Resultados - As médias das concentrações de vitamina D da mãe e do cordão umbilical foram de 30,16 (DP=21,16) ng/mL e 9,56 (DP=7,25) ng/mL, respectivamente. As médias das porcentagens de massa gorda das mães e dos recém-nascidos foram de 32,32 (DP=7,74) por cento e 8,55 (DP=4,37) por cento , respectivamente. Foi observada relação positiva entre concentração de vitamina D materna e do cordão umbilical (r=0,210; p<0,04). Não foi observada associação entre adiposidade do recém-nascido e concentração de vitamina D do cordão umbilical, nem entre adiposidade materna e concentrações de vitamina D materna e do cordão umbilical. Conclusão Neste estudo, original na literatura internacional, foi utilizado método de referência, validado, de alta precisão e imparcial na estimativa do percentual de gordura neonatal, nem sempre utilizado em outros estudos. Foi observada relação positiva entre concentração de vitamina D materna e do cordão umbilical. A ausência de associação entre as variáveis analisadas pode ser devido à alta prevalência de sobrepeso e obesidade entre as gestantes, baixas concentrações de vitamina D nas gestantes e recém-nascidos, alteração do metabolismo da vitamina D e da composição corporal no período da gestação e imaturidade do processo de sequestro da vitamina D pelo tecido adiposo 1 neonatal. Torna-se relevante o desenvolvimento de estudos prospectivos do tipo coorte para avaliar desde o início da gestação a influência da adiposidaidade materna nas concentrações de vitamina D materna e do cordão umbilical.

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Introdução: A obesidade é um dos grandes problemas de Saúde Pública e atinge níveis epidêmicos em grande parte do mundo. A maioria dos indivíduos com excesso de peso são mulheres, no Brasil o tamanho desta população também é expressivo, as em idade fértil são as que apresentam maior risco para o desenvolvimento da obesidade, o que está associado ao ganho de peso excessivo durante a gestação e a retenção de peso após o nascimento. O excesso de peso materno está relacionado a desfechos negativos para saúde materno-infantil. Objetivo: Analisar o peso gestacional e desfechos perinatais em mulheres da região sudeste do Brasil. Método: estudo transversal, com a utilização de dados provenientes de uma coorte nacional, com base hospitalar denominada: Nascer no Brasil: Inquérito Nacional sobre Parto e Nascimento, inquérito realizado no período de 2011 e 2012.Partindo da amostra inicial total do Sudeste composta por 10.154 mulheres entrevistadas e considerando os fatores de inclusão e exclusão para esta pesquisa, chegou-se a uma amostra de 3.405 binômios (mãe /recém-nascido).As variáveis estudadas foram ganho de peso, idade materna, peso pré-gestacional, Índice de Massa Corporal inicial e final, idade gestacional, tipo de parto e peso ao nascer. Análise foi realizada através das medidas de tendência central. Foi utilizado teste de Mann-Whitney para dados de distribuição normal e coeficiente de Pearson para variáveis contínuas. Foram considerados como significante os resultados com um p a 0,05. Resultados: A maioria das participantes apresentou faixa etária entre 21 e 30 anos, os nascimentos ocorreram entre a 38ª e 39ª semana gestacional, e seus recém-nascidos tiveram peso mediano de 3.219 g. Grande parte das pesquisadas (61,04 por cento ) iniciaram a gestação com um estado nutricional considerado adequado e 31,51 por cento apresentavam excesso de peso anterior à gestação. O ganho de peso excessivo ocorreu em todas as categorias de IMC pré-gestacional representando 49,6 por cento da população total estudada. O peso anterior à gestação apresentou elevada correlação com ganho de peso total ao final da gestação. Também foi observada influência do ganho de peso na gestação com a via de parto, idade gestacional e peso do bebê ao nascer. Conclusão: A maioria da população iniciou a gestação com estado nutricional adequado, porém, houve ganho de peso excessivo considerável em todas as categorias de IMC, este influenciou na via de parto onde a maioria aconteceu por operação cesariana e no peso ao nascer. O estado nutricional inicial influencia fortemente o estado nutricional ao final da gestação. Por isto, é importante que os programas de intervenção atuem em todas as etapas deste período, inclusive na conscientização da importância de um peso adequado anterior a concepção. Além de promover ações que auxiliem nos cuidados quanto ao ganho de peso na gestação.

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INTRODUÇÃO - A obesidade é uma preocupação de saúde pública cada vez mais importante, em todo o mundo. A obesidade infantil, por sua vez, vem sendo associada a um alto risco de agravos infantis e de obesidade e doenças crônicas não transmissíveis na fase adulta. Admite-se que o início da vida seja um momento crítico e determinante para o risco do indivíduo desenvolver sobrepeso ou obesidade. Entretanto, não está definido se existe algum período de maior vulnerabilidade na fase pós-natal e qual seria o melhor marcador do crescimento da criança para indicar uma possível intervenção precoce que possa minimizar o risco de desenvolver excesso de peso ou obesidade. OBJETIVO - Analisar as relações existentes entre indicadores antropométricos de crescimento no primeiro ano de vida e o desenvolvimento de excesso de peso no início da idade escolar. MÉTODOS - Estudo de uma coorte histórica de uma unidade básica de saúde em São Paulo, Brasil. Os momentos analisados foram aos três, seis e doze meses e aos sete anos de idade. Avaliou-se a velocidade de crescimento e o crescimento alcançado durante o primeiro ano de vida frente aos desfechos: excesso de peso e obesidade aos sete anos de idade. As variáveis foram analisadas estatisticamente através do Coeficiente de Correlação de Pearson e das curvas ROC, além de terem sido estimadas a sensibilidade, a especificidade e o risco relativo. RESULTADOS - Os Coeficientes de Correlação de Pearson do ganho de peso por ganho de comprimento nos períodos de 0 a 3 meses, 0 a 6 meses e 0 a 12 meses foram, respectivamente, 0,23 (IC 95 por cento : 0,13 a 0,33), 0,29 (IC 95 por cento : 0,19 a 0,39) e 0,34 (IC 95 por cento : 0,24 a 0,43), todos significantes estatisticamente. Os Coeficientes de Correlação de Pearson do escore z do Índice de Massa Corpórea (IMC) para 3, 6 e 12 meses foram, respectivamente, 0,39 (IC 95 por cento : 0,29 a 0,48), 0,41 (IC 95 por cento : 0,32 a 0,50) e 0,42 (IC 95 por cento : 0,33 a 0,51). Para excesso de peso na idade escolar, a utilização do marcador escore z do IMC aos 12 meses maior que 0,49 apresentou sensibilidade de 68,29 por cento (IC 95 por cento : 59,3 por cento a 76,4 por cento ), especificidade de 63,51 por cento (IC 95 por cento : 56,6 por cento a 70,0 por cento ) e risco relativo estimado de 2,31 (IC 95 por cento : 1,69 a 3,17). Para obesidade, o mesmo marcador apresentou sensibilidade de 76,47 por cento (IC 95 por cento : 62,5 por cento a 87,2 por cento ), especificidade de 56,89 por cento (IC 95 por cento : 50,9 por cento a 62,7 por cento ) e risco relativo estimado de 3,49 (IC 95 por cento : 1,90 a 6,43). CONCLUSÕES - O primeiro trimestre de vida se revelou como sendo o período mais crítico, entre os estudados, para o desenvolvimento de sobrepeso ou obesidade no início da idade escolar. No entanto, o escore z do IMC acima de 0,49 aos 12 meses de vida se mostrou como o melhor marcador para esses dois desfechos.

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INTRODUCAO: A comunicação interatrial tipo \"ostium secundum\" é um defeito cardíaco congênito caracterizado pela deficiência parcial ou total da lâmina da fossa oval, também chamada de septo primo. Corresponde a 10 a 12% do total de cardiopatias congênitas, sendo a mais frequente na idade adulta. Atualmente a oclusão percutânea é o método terapêutico de escolha em defeitos com características anatômicas favoráveis para o implante de próteses na maioria dos grandes centros mundiais. A ecocardiografia transesofágica bidimensional com mapeamento de fluxo em cores é considerada a ferramenta padrão-ouro para a avaliação anatômica e monitoração durante do procedimento, sendo crucial para a ótima seleção do dispositivo. Neste sentido, um balão medidor é introduzido e insuflado através do defeito de forma a ocluí-lo temporariamente. A medida da cintura que se visualiza no balão (diâmetro estirado) é utilizada como referência para a escolha do tamanho da prótese. Recentemente a ecocardiografia tridimensional transesofágica em tempo real tem sido utilizada neste tipo de intervenção percutânea. Neste estudo avaliamos o papel da mesma na ótima seleção do dispositivo levando-se em consideração as dimensões e a geometria do defeito e a espessura das bordas do septo interatrial. METODO: Estudo observacional, prospectivo, não randomizado, de único braço, de uma coorte de 33 pacientes adultos portadores de comunicação interatrial submetidos a fechamento percutâneo utilizando dispositivo de nitinol autocentrável (Cera ®, Lifetech Scientific, Shenzhen, China). Foram analisadas as medidas do maior e menor diâmetro do defeito, sua área e as medidas do diâmetro estirado com balão medidor obtidas por meio das duas modalidades ecocardiográficas. Os defeitos foram considerados como elípticos ou circulares segundo a sua geometria; as bordas ao redor da comunicação foram consideradas espessas (>2 mm) ou finas. O dispositivo selecionado foi igual ou ate 2 mm maior que o diâmetro estirado na ecocardiografia transesofágica bidimensional (padrão-ouro). Na tentativa de identificar uma variável que pudesse substituir o diâmetro estirado do balão para a ótima escolha do dispositivo uma série de correlações lineares foram realizadas. RESULTADOS: A idade e peso médio foram de 42,1 ± 14,9 anos e 66,0 ± 9,4kg, respectivamente; sendo 22 de sexo feminino. Não houve diferenças estatísticas entre os diâmetros maior e menor ou no diâmetro estirado dos defeitos determinados por ambas as modalidades ecocardiográficas. A correlação entre as medidas obtidas com ambos os métodos foi ótima (r > 0,90). O maior diâmetro do defeito, obtido à ecoardiografia transesofágica tridimensional, foi a variável com melhor correlação com o tamanho do dispositivo selecionado no grupo como um todo (r= 0,89) e, especialmente, nos subgrupos com geometria elíptica (r= 0,96) e com bordas espessas ao redor do defeito (r= 0,96). CONCLUSÃO: Neste estudo em adultos com comunicações interatriais tipo ostium secundum submetidos à oclusão percutânea com a prótese Cera ®, a ótima seleção do dispositivo pôde ser realizada utilizando-se apenas a maior medida do defeito obtida na ecocardiografia transesofágica tridimensional em tempo real, especialmente nos pacientes com defeitos elípticos e com bordas espessas.

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Introdução: A identificação de variantes genéticas que predispõem a maior susceptibilidade à dependência à nicotina pode ser importante para a prevenção e o tratamento do tabagismo. No contexto de medicina personalizada, os principais objetivos do presente estudo foram avaliar se polimorfismos nos genes CHRNA2, CHRNA3, CHRNA5 e CHRNB3 estão associados com o nível de dependência em indivíduos fumantes e com o resultado do tratamento antitabágico. Métodos: Estudo de coorte com 1049 pacientes fumantes que receberam tratamento farmacológico (vareniclina, vareniclina e bupropiona, bupropiona e/ou terapia de reposição nicotínica). O sucesso na cessação tabágica foi considerado para os pacientes que completaram 6 meses de abstinência contínua. O teste de Fagerström para a dependência à nicotina (FTND) e o escore de consumo situacional Issa foram utilizados para avaliar a dependência à nicotina. A escala de conforto PAF foi utilizada para avaliar o conforto do paciente durante o tratamento. Os polimorfismos CHRNA2 rs2472553, CHRNA3 rs1051730, CHRNA5 rs16969968, CHRNA5 rs2036527 e CHRNB3 rs6474413 foram genotipados pela análise da curva de melting. Resultados: As mulheres portadoras dos genótipos GA e AA para os polimorfismos CHRNA5 rs16969968 e rs2036527 obtiveram maior taxa de sucesso no tratamento antitabagismo: 44,0% e 56,3% (rs16969968), 41,5% e 56,5% (rs2036527), respectivamente; em comparação com as mulheres portadoras do genótipo GG: 35,7% (rs16969968) e 34,8% (rs2036527), (P=0,03; n=389; P=0,01; n=391). Os genótipos GA ou AA para os rs16969968 e rs2036527 foram associados com maior OR para o sucesso em mulheres (OR=1,63; IC 95%=1,04-2,54; P=0,03 e OR=1,59; IC 95%=1,02-2,48; P=0,04; respectivamente), em um modelo multivariado. Não foi encontrada associação dos polimorfismos no gene CHRNA5 com o escore de FTND. Para os polimorfismos CHRNA2 rs2472553, CHRNA3 rs1051730 e CHRNB3 rs6474413 não foram encontradas associações significativas com os fenótipos estudados. Conclusão: Os polimorfismos rs16969968 e rs2036527 no gene CHRNA5 foram associados com maior taxa de sucesso no tratamento antitabagismo em mulheres. Estes resultados podem contribuir com avanços na terapêutica baseada em medicina personalizada

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Objetivos: Avaliar a capacidade funcional de pacientes vítimas de trauma um ano após alta hospitalar e verificar associação da capacidade funcional com fatores relacionados ao trauma e à internação hospitalar. Metodologia: Estudo de coorte prospectivo, com pacientes vítimas de trauma grave (Injury Severity Score - ISS >=16), internados entre Junho e Setembro de 2010 em unidade de terapia intensiva (UTI) cirúrgica especializada em paciente politraumatizado de um hospital público de grande porte na cidade de São Paulo, Brasil. Variáveis de interesse como idade, sexo, escore de Glasgow, Acute Physiology and Chronic Health Disease Classification System II (APACHE II), mecanismos de trauma, número de lesões, região corpórea afetada, número de cirurgias, duração da ventilação mecânica (VM) e tempo de internação hospitalar foram coletadas dos prontuários médicos. A capacidade funcional foi avaliada um ano após alta hospitalar utilizando as escalas Glasgow Outcome Scale (GOS) e Escala de Atividades Instrumentais de Vida Diária de Lawton (AIVDL). Os pacientes também foram questionados se haviam retornado ao trabalho ou estudo. Resultados: O seguimento um ano após trauma foi completo em 49 indivíduos, a maioria composta por jovens (36±11 anos), do sexo masculino (81,6%) e vítimas de acidentes de trânsito (71,5%). Cada indivíduo sofreu aproximadamente 4 lesões corporais, acarretando uma média no ISS de 31 ± 14,4. O traumatismo cranioencefálico foi o tipo de lesão mais comum (65,3%). De acordo com a GOS, a maioria dos pacientes apresentou disfunção moderada (43%) ou disfunção leve ou ausente (37%) um ano após o trauma. A escala AIVDL apresentou pontuação média de 12±4 com aproximadamente 60- 70% dos indivíduos capazes de realizar de forma independente a maioria das atividades avaliadas. Escore de Glasgow, APACHE II, duração da VM e tempo de internação hospitalar foram associadas com a capacidade funcional um ano após lesão. A regressão linear múltipla considerando todas as variáveis significativas revelou associação entre a pontuação da escala AIVDL e o tempo de internação hospitalar. Apenas 32,6% dos indivíduos retornaram ao trabalho ou estudo. Conclusões: A maioria dos pacientes vítimas de trauma grave foi capaz de realizar as atividades avaliadas com independência; apenas um terço deles retornou ao trabalho e/ou estudo um ano após alta hospitalar. O tempo de internação hospitalar foi revelado como preditor significativo para a recuperação da capacidade funcional um ano após lesão grave