1000 resultados para cheratina grafene ossido elettrofilatura rilascio controllato di farmaci PLA nanofibre


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Pochi sono i dati disponibili sul decorso clinico della malattia di Crohn del colon severa(CD). L'obiettivo è quello di descrivere il decorso clinico della colite di Crohn severa (CC) in una coorte di pazienti isolata con CD del colon o ileocolica, e di confrontarlo con il decorso clinico di pazienti affetti da colite ulcerosa severa (UC). 34 pazienti con CC severa sono stati identificati retrospettivamente nella nostra coorte di 593 pazienti ricoverati (2003-2012) attraverso la valutazione di CDAI score e HBI. 169 pazienti con UC severa sono stati identificati retrospettivamente in una coorte di 449 pazienti ricoverati (2003-2012) attraverso la valutazione del score di Lichtiger e di Truelove-Witts. Abbiamo valutato questi risultati: risposta agli steroidi, risposta ai farmaci biologici, tasso di colectomia acuta, tasso di colectomia durante il follow-up, megacolon e tasso di infezione da citomegalovirus. Non abbiamo trovato differenze significative nella risposta agli steroidi e biologici, della percentuale di infezione da citomegalovirus e di megacolon, mentre il tasso di colectomia in acuto è risultato essere maggiore nei pazienti con CC rispetto ai pazienti con UC; anche la differenza tra i tassi di colectomia alla fine del follow-up è risultata non significativa. Con l'analisi univariata la giovane età alla diagnosi è associata ad un aumentato rischio di colectomia in assoluto (p = 0,024) e in elezione (p = 0.022), ma non in acuto. Il tasso globale di colectomia nei pazienti con CC severa è superiore a quella dei pazienti con UC severa , ma questo dato non è supportato da una diversa risposta clinica alla terapia steroidea o terapia di salvataggio con biologici. Il vero decorso clinico della colite di Crohn severa necessita di essere chiarito da studi prospettici che includano un numero maggiore di pazienti con questo sottogruppo di malattia.

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Il lavoro di questa tesi è incentrato sulla crescita e lo studio delle proprietà strutturali di sistemi nanostrutturati di titanio e ossido di titanio, prodotti mediante la tecnica della condensazione in gas inerte. Lo studio è finalizzato in particolare ad ottenere un materiale idoneo per la produzione di idrogeno tramite la foto-elettrolisi. Nel primo capitolo viene descritto a livello teorico il processo di scissione dell’acqua all’interno di celle foto-elettrochimiche, in cui viene impiegato il TiO2 (titania) come foto-anodo. Nel secondo capitolo viene introdotta la tecnica di crescita, viene descritta la macchina utilizzata illustrandone vantaggi e limitazioni. Inoltre viene fornita una descrizione teorica del tipo di crescita che avviene all’interno della camera di evaporazione. Allo scopo di comprendere meglio questi processi, vengono riportati nel capitolo 3 alcuni studi, basati su principi primi, riguardanti la stabilità di fase e le trasformazioni di fase per i tre principali polimorfi del TiO2. Nel capitolo 4 sono illustrate le tecniche impiegate per l’indagine strutturale: diffrazione e assorbimento di raggi X con relativa analisi dati, microscopia elettronica a scansione. Prima di misurare l’attività fotocatalitica dei campioni di nanoparticelle di titania, è necessario condurre delle misure di fotocorrente in una cella foto-elettrochimica, i risultati di queste analisi di tipo funzionale sono presentati nel capitolo 5. Nel capitolo 6 sono riportate le conclusioni del lavoro di tesi.

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Scopo: L’obiettivo del presente programma di studio è stato quello di identificare e validare nuovi possibili bersagli terapeutici per l’osteosarcoma (OS) partendo dall’analisi del chinoma umano. Risultati: L’analisi del profilo di espressione genica ottenuta su 21 campioni clinici di OS ad alto grado di malignità ha permesso di selezionare le seguenti chinasi di possibile rilevanza biologica per l’OS: AURK-A, AURK-B, CDK2, PIK3CA, PLK-1. Le chinasi selezionate sono state validate tramite RNA interference. Successivamente è stata valutata l’efficacia dei relativi inibitori specifici: VX-680 e ZM-447439 inibitori delle Aurora-chinasi, Roscovitina di CDK2 e NMS1 di PLK-1, già inclusi in studi clinici. In termini d’inibizione della crescita cellulare le linee sono risultate maggiomente sensibili ai farmaci VX-680 e NMS1. E’ stata osservata una minor sensibilità ai farmaci VX-680, ZM447439 e NMS1 nelle linee doxorubicina(DX)-resistenti (caratterizzate da elevati livelli di espressione di ABCB1), indicando questi farmaci come potenziali substrati di ABCB1. La Roscovitina, nonostante i valori di IC50 elevati, non sembrerebbe substrato di ABCB1. La validazione preclinica di VX-680 e ZM447439 è stata completata. La forte inibizione della crescita è causata da endoreduplicazione per mancata citodieresi con conseguente formazione di una popolazione iperploide e apoptosi. Inoltre, VX-680 inibisce la motilità e la capacità di formare colonie. Esperimenti di associazione farmacologica mostrano che VX-680 interagisce positivamente con tutti i chemioterapici convenzionali impiegati nel trattamento dell’OS. NMS-1 produce interazioni positive con la DX in linee cellulari DX-resistenti, probabilmente grazie all’effetto revertante esercitato su ABCB1. La Roscovitina produce interazioni positive con CDDP e DX nelle varianti resistenti, effetto probbilmente dovuto al ruolo di CDK2 nei meccanismi di riparo del DNA. Conclusioni: L’analisi in vitro dell’attività degli inibitori ha permesso di identificare VX-680 come nuovo farmaco di potenziale interesse clinico, soprattutto in virtù delle sue interazioni sinergiche con i chemioterapici di uso convenzionale nel trattamento dell’osteosarcoma.

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Diabrotica virgifera virgifera LeConte (Coleoptera: Chrysomelidae) è una specie esotica invasiva di origine centro americana e introdotta in Europa agli inizi degli anni ’90, in Italia nel 1998. Considerata negli Stati Uniti la principale avversità del mais (Zea mais L.), è oggi presente in quasi tutti i Paesi europei dove è presente tale coltura. Poiché il mais risulta l’ospite prioritario di Diabrotica, attualmente il principale metodo di contenimento consiste nella rotazione con una coltura non ospite. L’obiettivo del lavoro è stato quello di indagare sulle piante ospiti alternative al mais nel nostro ambiente, accertando il ruolo che possono avere le infestanti o altre Poaceae coltivate nella biologia della Diabrotica. Tali essenze sono state scelte tra specie mai sottoposte a sperimentazione e tra quelli già oggetto di indagini, ma su cui si sono ottenuti esiti discordi o non soddisfacenti. Sono state allestite prove con infestazione artificiale in ambiente controllato e prove in campo per valutare la sopravvivenza larvale e il completamento del ciclo, nonché le prestazioni biologiche degli individui ottenuti. Le ricerche hanno permesso di osservare sopravvivenza di Diabrotica su numerose graminacee, in particolare cereali. Tale capacità è confermata dalla presenza di larve di diversa età e in alcuni casi di pupe sulle specie ospiti alternative, sia con infestazione artificiale che in campo. Tuttavia crescita e sviluppo su queste piante sono stati più lenti del mais e gli stadi giovanili trovati hanno mostrato caratteristiche morfometriche inferiori rispetto a quelli del mais. Adulti non sono mai stati raccolti in campo, mentre questo si è verificato in condizioni controllate. Le specie che meritano maggior attenzione sono i cereali Triticum spelta e Panicum miliaceum e l’infestante Sorghum halepense. Si potrebbe dunque ipotizzare che alcune specie vegetali possano fungere da ospite secondario quando non è presente il mais riducendo l’efficacia dell’avvicendamento.

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Più volte nel corso dell’ ultimo secolo la ricerca si è concentrata sulle alghe brune come piante alimentari dalle quali poter ricavare diversi prodotti. L’obiettivo del presente elaborato è dimostrare come sia possibile valorizzare e caratterizzare l'Ascophyllum nodosum destrutturando il tessuto vegetale attraverso l'utilizzo di biocatalizzatori enzimatici, al fine di liberare composti di interesse specifici da utilizzare in vari ambiti dell'industria (cosmetica, alimentare, agronomica). I risultati rivelano che l’attività alginasica svolge un’importante ruolo nel rilascio di antiossidanti; infatti, la grande quantità di alginati, tipica delle alghe brune, determina il rilascio di componenti chimiche che presentano il maggior potere antiossidante.

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A causa delle questioni economiche ed ambientali legate alla sostenibilità dei processi petrolchimici, recentemente l'industria chimica ha focalizzato il proprio interesse nello sviluppo di processi per la produzione di chemicals, che utilizzino materiali di partenza rinnovabili. L'etanolo, prodotto per via fermentativa, sembra essere uno dei bio-building block più promettenti e versatili e può essere utilizzato per numerose applicazioni. È noto da tempo che l’etanolo può reagire su catalizzatori costituiti da ossidi misti con caratteristiche acido-base a dare numerosi composti chimici tra cui acetaldeide, 1,3-butadiene, 1-butanolo e 2-butenale. Nonostante il lungo impiego dell’etanolo nell’industria chimica, il meccanismo di formazione di composti C4 a partire da etanolo è ancora però materia di dibattito. Il meccanismo generalmente accettato si basa sulle seguenti reazioni chiave: deidrogenazione di etanolo ad acetaldeide e condensazione aldolica di due molecole di acetaldeide. Tuttavia in letteratura sono riportate anche altre proposte alternative. In questo lavoro è stato studiato il processo di trasformazione di etanolo su catalizzatori a base di MgO e sistemi misti Mg/SiO, attraverso esperimenti di reattività condotti in un micro-impianto da laboratorio, al fine di fare chiarezza sul meccanismo di formazione di composti C4 a partire da etanolo. In particolare è stato condotto uno studio meccanicistico utilizzando MgO come catalizzatore modello, materiale che possiede esclusivamente proprietà basiche, ritenute essenziali per catalizzare la condensazione di molecole C2. Inoltre, è stata investigata l’influenza delle caratteristiche acido-base del catalizzatore sulla selettività del processo di conversione di etanolo, studiandone la reattività su materiali costituiti da ossidi misti Mg/Si/O, con diverso rapporto atomico tra i due cationi.

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Le lesioni cerebrali possono generare danni permanenti e richiedono trattamenti immediati e a lungo termine. L’ipotermia cerebrale di 1 o 2°C inibisce il rilascio di aminoacidi neuro eccitatori e interrompe la risposta infiammatoria. L'effetto è maggiore se il raffreddamento viene eseguito immediatamente dopo il trauma. Oggi il raffreddamento viene effettuato in ospedale, raramente sul luogo dell’incidente (con ghiaccio). Tale soluzione è ostacolata dall’applicazione dei collari cervicali ed è condizionata dagli effetti a breve termine del ghiaccio. In questo studio è stata effettuata un’analisi di fattibilità di un dispositivo che, alle tecnologie per l’immobilizzazione cervicale, associ l'induzione terapeutica controllata e prolungata di una lieve ipotermia cerebrale (2-3°C), tramite raffreddamento transcutaneo del sangue nelle arterie carotidee. Il lavoro è suddiviso in due fasi: 1) modellizzazione teorica del fenomeno in esame; 2) verifica dei modelli teorici mediante test in vitro. Mediante i modelli numerici, sono state calcolate le temperature e i tempi per produrre un raffreddamento di 3°C. Considerando lo scambio di calore attraverso il collo, i vasi sanguigni e i tessuti cerebrali è stato calcolato un tempo minimo di circa 50 minuti per produrre il ΔT richiesto, con l’applicazione all’esterno del collo di un dispositivo che mantenga la temperatura a 5°C. Per la verifica è stata utilizzata una carotide sintetica ed una in tessuto biologico: queste sono state immerse in un contenitore isolato contenente acqua e connesse ad un simulatore dell’apparato circolatorio. Mantenendo costante la temperatura dell’acqua circolante mediante un termostato, sono stati misurati gli abbassamenti di temperatura nel vaso in funzione di quella esterna applicata. Il raffreddamento dei tessuti è stato realizzato con una cella di Peltier. La verifica dei modelli ha evidenziato un ΔT di -2°C. Il valore è inferiore a quello ipotizzato ma può ritenersi già efficace in ambito clinico e può essere migliorato ottimizzando il sistema di raffreddamento.

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Nel 2004 due Fisici dell’Università di Manchester, nel Regno Unito, hanno isolato per la prima volta un materiale dallo spessore di un singolo atomo: il grafene. Questo materiale, composto da un reticolo di atomi di carbonio disposti a nido d’ape, possiede interessanti proprietà chimiche e fisiche, tra le quali una elevata resistenza chimica e meccanica, un’eccellente trasporto termico ed elettrico ed una elevata trasparenza. Il crescente fermento attorno al grafene ha suscitato un forte interesse a livello europeo, al punto che il 28 gennaio di quest’anno la Comunità Europea ha approvato i due più grandi progetti di ricerca mai finanziati in Europa. Tra questi il Graphene Flagship Project (www.graphene-flagship.eu) che coinvolge oltre 120 gruppi di ricerca da 17 Stati Europei e distribuirà nei prossimi anni 1,000 milioni di euro per lo sviluppo di tecnologie e dispositivi a base grafene. Nel mio elaborato di Tesi ho seguito le ricerche del gruppo grafene dell’Istituto per la Microelettronica e i Microsistemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna, approfondendo il funzionamento del sistema di sintesi di questo materiale chiamato Chemical Vapour Deposition e le tecniche sperimentali che permettono il trasferimento del grafene su substrati come il silicio, ma anche materiali polimerici flessibili come il PET, per la realizzazione di elettrodi conduttivi, trasparenti per applicazioni nell’elettronica flessibile. Questa esperienza e stata molto importante per la mia formazione e mi ha dato modo di lavorare ad un soggetto di ricerca cosi attuale, importante e promettente come il grafene. Nutro personalmente grande passione e aspettativa per questo materiale e sono convinto che nel prossimo futuro la tecnologia del grafene saprà entrare nella vita quotidiana di tutti noi.

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Presentazione di alcune delle principali metodologie di controllo per motori ad accensione per compressione, che utilizzano il segnale di pressione cilindro come punto di partenza. Infatti, è dalla rilevazione di questo che è possibile gestire il rilascio di energia all'interno della camera di combustione.

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La minaccia derivante da fattori di rischio esterni, come gli eventi catastrofici naturali, è stata recentemente riconosciuta come una questione importante riguardo la sicurezza degli impianti chimici e di processo. Gli incidenti causati dal rilascio di sotanze pericolose in seguito al danneggiamento di apparecchiature per effetto di eventi naturali sono stati definiti eventi NaTech, data la doppia componente naturale e tecnologica. È proprio la simultaneità del disastro naturale e dell’incidente tecnologico il problema principale di questo tipo di eventi, che, oltre a generare elevate difficoltà nella gestione delle emergenze, sono caratterizzati da un’elevata criticità in quanto la catastrofe naturale può essere la causa del cedimento contemporaneo di più apparecchiature in zone diverse dell’impianto. I cambiamenti climatici in corso porteranno inoltre ad un incremento della frequenza degli eventi idrometerologici estremi, con un conseguente aumento del rischio Natech. Si tratta quindi di un rischio emergente la cui valutazione deve essere effettuata attraverso metodologie e strumenti specifici. Solo recentemente è stato proposto un framework per la valutazione quantitativa di questo tipo di rischio. L’applicazione di tale procedura passa attraverso l’utilizzo di modelli di vulnerabilità che relazionano la probabilità di danneggiamento di una specifica apparecchiatura all’intensità dell’evento naturale di riferimento. Questo elaborato, facendo riferimento ai modelli di vulnerabilità e alle cartteristiche delle apparecchiature prese in esame, avrà inizialmente lo scopo di sviluppare una procedura a ritroso, calcolando l’intensità degli eventi di riferimento (terremoti e alluvioni) capace di causare un incremento di rischio non accettabile, al fine di poter determinare a priori se una data apparecchiatura con determinate condizioni operative e caratteristiche strutturali possa o meno essere installata in una zona specifica.

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L’elevata presenza dei residui dei farmaci nell’ambiente acquatico desta preoccupazione per la salute della fauna acquatica e per un eventuale rischio per l’uomo. Dopo l’assunzione, i farmaci vengono escreti come tali o come metaboliti attivi, risultando spesso resistenti ai processi di trattamento delle acque. Per questo motivo alcuni di essi sono pseudo-persistenti raggiungendo concentrazioni di ng-µg/L. I farmaci sono molecole disegnate per essere biologicamente attive a basse concentrazioni su bersagli specifici, per questo motivo possono indurre effetti anche su specie non target con bersagli molecolari simili all’uomo a concentrazioni ambientali. A tal proposito il presente lavoro intende investigare gli effetti della caffeina, ampiamente usata come costituente di bevande e come farmaco, presente nelle acque superficiali a concentrazioni di ng-µg/L. Come organismo di studio è stato scelto il Mytilus galloprovincialis, sfruttando le conoscenze disponibili in letteratura circa le sue risposte ai contaminanti ambientali. I mitili sono stati esposti in acquario a caffeina (5, 50 e 500 ng/L) per 7 giorni e poi analizzati attraverso una batteria di otto biomarker, alterazioni fisiologiche o biochimiche che forniscono informazioni circa lo stato di salute degli animali. I metodi utilizzati sono stati diversi a seconda dei biomarker (analisi citochimiche e saggi enzimatici). Le concentrazioni sono state scelte nel range ambientale. L’esposizione ha prodotto alterazioni della stabilità della membrana lisosomiale negli emociti e l’instaurarsi di processi di detossificazione nella ghiandola digestiva, evidenziati dall’aumento dell’attività della glutatione S-transferasi. Gli altri biomarker non mettono in evidenza che la caffeina, in queste condizioni sperimentali, possa indurre alterazioni della funzionalità lisosomiale, effetti ossidativi o neurotossici. I dati ottenuti sui mitili, quindi, suggeriscono che la caffeina, anche nel range di concentrazioni ambientali più elevato, possa essere considerata un contaminante che desta bassa preoccupazione.

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Le cellule mesenchimali stromali (MSC) sono cellule multipotenti e numerosi studi hanno mostrato i loro effetti benefici nel danno renale acuto ma non sono ancora stati dimostrati potenziali effetti nella malattia renale cronica. L'ostruzione ureterale unilaterale (UUO) è un modello di fibrosi interstiziale nel quale l'attivazione di molecole vasoattive, citochine profibrotiche e infiammatorie gioca un ruolo patogenetico nello sviluppo dell'apoptosi e atrofia tubulare. Il sistema renina-angiotensina (RAS) gioca un ruolo chiave nello sviluppo della fibrosi renale e i farmaci che hanno come target l'angiotensina II, principale mediatore del RAS, sono attualmente la terapia più efficace nel ridurre la progressione della malattia renale cronica. E' noto che gli ACE-inibitori (ACEi) inducono un aumento compensatorio della renina plasmatica per la mancaza del feedback negativo sulla sua produzione. Tuttavia, la renina (R) promuove il danno renale non solo stimolando la produzione di ANGII, ma anche up-regolando geni profibrotici attraverso l'attivazione del recettore renina/prorenina. Lo scopo dello studio è stato indagare se l'infusione di MSC riduceva il danno renalein un modello animale di UUO e comparare gli eventuali effetti protettivi di ACEi e MSC in UUO. Abbiamo studiato 5 gruppi di ratti. A: sham operati. B: ratti sottoposti a UUO che ricevevano soluzione salina. C: ratti sottoposti a UUO che ricevavano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0. D:ratti sottoposti a UUO che ricevevano lisinopril dal g 1 al g 21. E: ratti sottoposti a UUO che ricevevano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0 e lisinopril dal g 1 al g 21. I ratti sono stati sacrificati al giorno 7 e 21. I risultati dello studio mostrano che MSC in UUO prevengono l'aumento della renina, riducono la generazione di ANGII e che in terapia combinata con ACEi riducono ulteriormente l'ANGII, determinando una sinergia nel miglioramento della fibrosi renale.

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La messa a punto di tecniche come il patch clamp e la creazione di doppi strati lipidici artificiali (artificial bilayers) ha permesso di effettuare studi su canali ionici per valutarne la permeabilità, la selettività ionica, la dipendenza dal voltaggio e la cinetica, sia in ambito di ricerca, per analizzarne il funzionamento specifico, sia in quello farmaceutico, per studiare la risposta cellulare a nuovi farmaci prodotti. Tali tecniche possono essere inoltre impiegate nella realizzazione di biosensori, combinando così i vantaggi di specificità e sensibilità dei sistemi biologici alla veloce risposta quantitativa degli strumenti elettrochimici. I segnali in corrente che vengono rilevati con questi metodi sono dell’ordine dei pA e richiedono perciò l’utilizzo di strumentazioni molto costose e ingombranti per amplificarli, analizzarli ed elaborarli correttamente. Il gruppo di ricerca afferente al professor Tartagni della facoltà di ingegneria di Cesena ha sviluppato un sistema miniaturizzato che possiede molte delle caratteristiche richieste per questi studi. L’obiettivo della tesi riguarda la caratterizzazione sperimentale di tale sistema con prove di laboratorio eseguite in uno spazio ridotto e senza l’impiego di ulteriori strumentazioni ad eccezione del PC. In particolare le prove effettuate prevedono la realizzazione di membrane lipidiche artificiali seguita dall’inserimento e dallo studio del comportamento di due particolari canali ionici comunemente utilizzati per questa tipologia di studi: la gramicidina A, per la facilità d’inserimento nella membrana e per la bassa conduttanza del singolo canale, e l’α-emolisina, per l’attuale impiego nella progettazione e realizzazione di biosensori. Il presente lavoro si sviluppa in quattro capitoli di seguito brevemente riassunti. Nel primo vengono illustrate la struttura e le funzioni svolte dalla membrana cellulare, rivolgendo particolare attenzione ai fosfolipidi e alle proteine di membrana; viene inoltre descritta la struttura dei canali ionici utilizzati per gli esperimenti. Il secondo capitolo comprende una descrizione del metodo utilizzato per realizzare i doppi strati lipidici artificiali, con riferimento all’analogo elettrico che ne risulta, ed una presentazione della strumentazione utilizzata per le prove di laboratorio. Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati all’elaborazione dei dati raccolti sperimentalmente: in particolare vengono prima analizzati quelli specifici dell’amplificatore, quali quelli inerenti il rumore che si somma al segnale utile da analizzare e la variabilità inter-prototipo, successivamente si studiano le prestazioni dell’amplificatore miniaturizzato in reali condizioni sperimentali e dopo aver inserito i canali proteici all’interno dei bilayers lipidici.

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La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS o SIDA) causata da HIV-1 (Virus dell'Immunodeficienza umana) è caratterizzata dalla graduale compromissione del sistema immunitario del soggetto colpito. Le attuali terapie farmacologiche, purtroppo, non riescono a eliminare l'infezione a causa della comparsa di continui ceppi resistenti ai farmaci, e inoltre questi trattamenti non sono in grado di eliminare i reservoir virali latenti e permettere l'eradicazione definitiva del virus dall’organismo. E' in questo ambito che si colloca il progetto a cui ho lavorato principalmente in questi anni, cioè la creazione di una strategia per eradicare il provirus di HIV integrato nel genoma della cellula ospite. L'Integrasi di HIV-1 è un enzima che media l'integrazione del cDNA virale nel genoma della cellula ospite. La nostra idea è stata, quindi, quella di associare all'attività di legame dell'IN stessa, un'attività catalitica. A tal fine abbiamo creato una proteina chimerica costituita da un dominio DNA-binding, dato dall'Integrasi, e da un dominio con attività nucleasica fornito dall'enzima FokI. La chimera ottenuta è stata sottoposta a mutagenesi random mediante UV, ed è stata oggetto di selezione in vivo, al fine di ottenere una chimera capace di riconoscere, specificamente le LTR di HIV-1, e idrolizzare i siti di inserzione. Questo lavoro porterà a definire pertanto se l'IN di HIV può essere riprogrammata a catalizzare una nuova funzione mediante la sostituzione dell'attività del proprio dominio catalitico con quello di FokI.

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Studio prospettico su 75 pazienti con malattia paranale di Crohn che ha come obiettivo quello di confrontare i risultati tra le nuove terapie medico-chirurgiche emergenti. La prima procedura è comune a tutti i pazienti e consiste in un intervento di incisione degli ascessi, fistulectomia e posizionamento di setoni di drenaggio nei tramiti fistolosi per il controllo della sepsi.Successivamente i pazienti vengono divisi in cinque gruppi e sottoposti ai trattamenti per la chiusura dei tramiti fistolosi: terapia sistemica con Infliximab,terapia sistemica con Adalimumab,confezionamento di Flap endoanale, instillazione di colla di fibrina o posizionamento di protesi biologiche. Abbiamo osservato una chiusura completa dei tramiti fistolosi nel 60% dei pazienti trattati con Infliximab, 53% di quelli trattati con Adalimumab, 40% di quelli in terapia con colla di fibrina, 80% di quelli sottoposti a Flap endoanale e 60% di quelli trattati con protesi biologiche. Gli ottimi risultati raggiunti in con le diverse metodiche di trattamento chirurgico locale rappresentano una valida alternativa alla terapia con farmaci biologici. Tali nuove metodiche risultano anzi fondamentali per il trattamento di quei pazienti che dopo una terapia con farmaci biologici non hanno raggiunto una completa risoluzione del quadro (rescue therapy). Terapia biologica e nuove tecniche chirurgiche risultano pertanto complementari, la prima contribuendo al miglioramento della qualità della mucosa del canale anale e del retto basso sulla quale risulta quindi più agevole agire con le seconde con una percentuale di successo sempre maggiore.