964 resultados para Oxygen-binding-properties


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Negli ultimi anni, un crescente numero di studiosi ha focalizzato la propria attenzione sullo sviluppo di strategie che permettessero di caratterizzare le proprietà ADMET dei farmaci in via di sviluppo, il più rapidamente possibile. Questa tendenza origina dalla consapevolezza che circa la metà dei farmaci in via di sviluppo non viene commercializzato perché ha carenze nelle caratteristiche ADME, e che almeno la metà delle molecole che riescono ad essere commercializzate, hanno comunque qualche problema tossicologico o ADME [1]. Infatti, poco importa quanto una molecola possa essere attiva o specifica: perché possa diventare farmaco è necessario che venga ben assorbita, distribuita nell’organismo, metabolizzata non troppo rapidamente, ne troppo lentamente e completamente eliminata. Inoltre la molecola e i suoi metaboliti non dovrebbero essere tossici per l’organismo. Quindi è chiaro come una rapida determinazione dei parametri ADMET in fasi precoci dello sviluppo del farmaco, consenta di risparmiare tempo e denaro, permettendo di selezionare da subito i composti più promettenti e di lasciar perdere quelli con caratteristiche negative. Questa tesi si colloca in questo contesto, e mostra l’applicazione di una tecnica semplice, la biocromatografia, per caratterizzare rapidamente il legame di librerie di composti alla sieroalbumina umana (HSA). Inoltre mostra l’utilizzo di un’altra tecnica indipendente, il dicroismo circolare, che permette di studiare gli stessi sistemi farmaco-proteina, in soluzione, dando informazioni supplementari riguardo alla stereochimica del processo di legame. La HSA è la proteina più abbondante presente nel sangue. Questa proteina funziona da carrier per un gran numero di molecole, sia endogene, come ad esempio bilirubina, tiroxina, ormoni steroidei, acidi grassi, che xenobiotici. Inoltre aumenta la solubilità di molecole lipofile poco solubili in ambiente acquoso, come ad esempio i tassani. Il legame alla HSA è generalmente stereoselettivo e ad avviene a livello di siti di legame ad alta affinità. Inoltre è ben noto che la competizione tra farmaci o tra un farmaco e metaboliti endogeni, possa variare in maniera significativa la loro frazione libera, modificandone l’attività e la tossicità. Per queste sue proprietà la HSA può influenzare sia le proprietà farmacocinetiche che farmacodinamiche dei farmaci. Non è inusuale che un intero progetto di sviluppo di un farmaco possa venire abbandonato a causa di un’affinità troppo elevata alla HSA, o a un tempo di emivita troppo corto, o a una scarsa distribuzione dovuta ad un debole legame alla HSA. Dal punto di vista farmacocinetico, quindi, la HSA è la proteina di trasporto del plasma più importante. Un gran numero di pubblicazioni dimostra l’affidabilità della tecnica biocromatografica nello studio dei fenomeni di bioriconoscimento tra proteine e piccole molecole [2-6]. Il mio lavoro si è focalizzato principalmente sull’uso della biocromatografia come metodo per valutare le caratteristiche di legame di alcune serie di composti di interesse farmaceutico alla HSA, e sul miglioramento di tale tecnica. Per ottenere una miglior comprensione dei meccanismi di legame delle molecole studiate, gli stessi sistemi farmaco-HSA sono stati studiati anche con il dicroismo circolare (CD). Inizialmente, la HSA è stata immobilizzata su una colonna di silice epossidica impaccata 50 x 4.6 mm di diametro interno, utilizzando una procedura precedentemente riportata in letteratura [7], con alcune piccole modifiche. In breve, l’immobilizzazione è stata effettuata ponendo a ricircolo, attraverso una colonna precedentemente impaccata, una soluzione di HSA in determinate condizioni di pH e forza ionica. La colonna è stata quindi caratterizzata per quanto riguarda la quantità di proteina correttamente immobilizzata, attraverso l’analisi frontale di L-triptofano [8]. Di seguito, sono stati iniettati in colonna alcune soluzioni raceme di molecole note legare la HSA in maniera enantioselettiva, per controllare che la procedura di immobilizzazione non avesse modificato le proprietà di legame della proteina. Dopo essere stata caratterizzata, la colonna è stata utilizzata per determinare la percentuale di legame di una piccola serie di inibitori della proteasi HIV (IPs), e per individuarne il sito(i) di legame. La percentuale di legame è stata calcolata attraverso il fattore di capacità (k) dei campioni. Questo parametro in fase acquosa è stato estrapolato linearmente dal grafico log k contro la percentuale (v/v) di 1-propanolo presente nella fase mobile. Solamente per due dei cinque composti analizzati è stato possibile misurare direttamente il valore di k in assenza di solvente organico. Tutti gli IPs analizzati hanno mostrato un’elevata percentuale di legame alla HSA: in particolare, il valore per ritonavir, lopinavir e saquinavir è risultato maggiore del 95%. Questi risultati sono in accordo con dati presenti in letteratura, ottenuti attraverso il biosensore ottico [9]. Inoltre, questi risultati sono coerenti con la significativa riduzione di attività inibitoria di questi composti osservata in presenza di HSA. Questa riduzione sembra essere maggiore per i composti che legano maggiormente la proteina [10]. Successivamente sono stati eseguiti degli studi di competizione tramite cromatografia zonale. Questo metodo prevede di utilizzare una soluzione a concentrazione nota di un competitore come fase mobile, mentre piccole quantità di analita vengono iniettate nella colonna funzionalizzata con HSA. I competitori sono stati selezionati in base al loro legame selettivo ad uno dei principali siti di legame sulla proteina. In particolare, sono stati utilizzati salicilato di sodio, ibuprofene e valproato di sodio come marker dei siti I, II e sito della bilirubina, rispettivamente. Questi studi hanno mostrato un legame indipendente dei PIs ai siti I e II, mentre è stata osservata una debole anticooperatività per il sito della bilirubina. Lo stesso sistema farmaco-proteina è stato infine investigato in soluzione attraverso l’uso del dicroismo circolare. In particolare, è stato monitorata la variazione del segnale CD indotto di un complesso equimolare [HSA]/[bilirubina], a seguito dell’aggiunta di aliquote di ritonavir, scelto come rappresentante della serie. I risultati confermano la lieve anticooperatività per il sito della bilirubina osservato precedentemente negli studi biocromatografici. Successivamente, lo stesso protocollo descritto precedentemente è stato applicato a una colonna di silice epossidica monolitica 50 x 4.6 mm, per valutare l’affidabilità del supporto monolitico per applicazioni biocromatografiche. Il supporto monolitico monolitico ha mostrato buone caratteristiche cromatografiche in termini di contropressione, efficienza e stabilità, oltre che affidabilità nella determinazione dei parametri di legame alla HSA. Questa colonna è stata utilizzata per la determinazione della percentuale di legame alla HSA di una serie di poliamminochinoni sviluppati nell’ambito di una ricerca sulla malattia di Alzheimer. Tutti i composti hanno mostrato una percentuale di legame superiore al 95%. Inoltre, è stata osservata una correlazione tra percentuale di legame è caratteristiche della catena laterale (lunghezza e numero di gruppi amminici). Successivamente sono stati effettuati studi di competizione dei composti in esame tramite il dicroismo circolare in cui è stato evidenziato un effetto anticooperativo dei poliamminochinoni ai siti I e II, mentre rispetto al sito della bilirubina il legame si è dimostrato indipendente. Le conoscenze acquisite con il supporto monolitico precedentemente descritto, sono state applicate a una colonna di silice epossidica più corta (10 x 4.6 mm). Il metodo di determinazione della percentuale di legame utilizzato negli studi precedenti si basa su dati ottenuti con più esperimenti, quindi è necessario molto tempo prima di ottenere il dato finale. L’uso di una colonna più corta permette di ridurre i tempi di ritenzione degli analiti, per cui la determinazione della percentuale di legame alla HSA diventa molto più rapida. Si passa quindi da una analisi a medio rendimento a una analisi di screening ad alto rendimento (highthroughput- screening, HTS). Inoltre, la riduzione dei tempi di analisi, permette di evitare l’uso di soventi organici nella fase mobile. Dopo aver caratterizzato la colonna da 10 mm con lo stesso metodo precedentemente descritto per le altre colonne, sono stati iniettati una serie di standard variando il flusso della fase mobile, per valutare la possibilità di utilizzare flussi elevati. La colonna è stata quindi impiegata per stimare la percentuale di legame di una serie di molecole con differenti caratteristiche chimiche. Successivamente è stata valutata la possibilità di utilizzare una colonna così corta, anche per studi di competizione, ed è stata indagato il legame di una serie di composti al sito I. Infine è stata effettuata una valutazione della stabilità della colonna in seguito ad un uso estensivo. L’uso di supporti cromatografici funzionalizzati con albumine di diversa origine (ratto, cane, guinea pig, hamster, topo, coniglio), può essere proposto come applicazione futura di queste colonne HTS. Infatti, la possibilità di ottenere informazioni del legame dei farmaci in via di sviluppo alle diverse albumine, permetterebbe un migliore paragone tra i dati ottenuti tramite esperimenti in vitro e i dati ottenuti con esperimenti sull’animale, facilitando la successiva estrapolazione all’uomo, con la velocità di un metodo HTS. Inoltre, verrebbe ridotto anche il numero di animali utilizzati nelle sperimentazioni. Alcuni lavori presenti in letteratura dimostrano l’affidabilita di colonne funzionalizzate con albumine di diversa origine [11-13]: l’utilizzo di colonne più corte potrebbe aumentarne le applicazioni.

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The aim of this Ph.D. project has been the design and characterization of new and more efficient luminescent tools, in particular sensors and labels, for analytical chemistry, medical diagnostics and imaging. Actually both the increasing temporal and spatial resolutions that are demanded by those branches, coupled to a sensitivity that is required to reach the single molecule resolution, can be provided by the wide range of techniques based on luminescence spectroscopy. As far as the development of new chemical sensors is concerned, as chemists we were interested in the preparation of new, efficient, sensing materials. In this context, we kept developing new molecular chemosensors, by exploiting the supramolecular approach, for different classes of analytes. In particular we studied a family of luminescent tetrapodal-hosts based on aminopyridinium units with pyrenyl groups for the detection of anions. These systems exhibited noticeable changes in the photophysical properties, depending on the nature of the anion; in particular, addition of chloride resulted in a conformational change, giving an initial increase in excimeric emission. A good selectivity for dicarboxylic acid was also found. In the search for higher sensitivities, we moved our attention also to systems able to perform amplification effects. In this context we described the metal ion binding properties of three photoactive poly-(arylene ethynylene) co-polymers with different complexing units and we highlighted, for one of them, a ten-fold amplification of the response in case of addition of Zn2+, Cu2+ and Hg2+ ions. In addition, we were able to demonstrate the formation of complexes with Yb3+ an Er3+ and an efficient sensitization of their typical metal centered NIR emission upon excitation of the polymer structure, this feature being of particular interest for their possible applications in optical imaging and in optical amplification for telecommunication purposes. An amplification effect was also observed during this research in silica nanoparticles derivatized with a suitable zinc probe. In this case we were able to prove, for the first time, that nanoparticles can work as “off-on” chemosensors with signal amplification. Fluorescent silica nanoparticles can be thus seen as innovative multicomponent systems in which the organization of photophysically active units gives rise to fruitful collective effects. These precious effects can be exploited for biological imaging, medical diagnostic and therapeutics, as evidenced also by some results reported in this thesis. In particular, the observed amplification effect has been obtained thanks to a suitable organization of molecular probe units onto the surface of the nanoparticles. In the effort of reaching a deeper inside in the mechanisms which lead to the final amplification effects, we also attempted to find a correlation between the synthetic route and the final organization of the active molecules in the silica network, and thus with those mutual interactions between one another which result in the emerging, collective behavior, responsible for the desired signal amplification. In this context, we firstly investigated the process of formation of silica nanoparticles doped with pyrene derivative and we showed that the dyes are not uniformly dispersed inside the silica matrix; thus, core-shell structures can be formed spontaneously in a one step synthesis. Moreover, as far as the design of new labels is concerned, we reported a new synthetic approach to obtain a class of robust, biocompatible silica core-shell nanoparticles able to show a long-term stability. Taking advantage of this new approach we also showed the synthesis and photophysical properties of core-shell NIR absorbing and emitting materials that proved to be very valuable for in-vivo imaging. In general, the dye doped silica nanoparticles prepared in the framework of this project can conjugate unique properties, such as a very high brightness, due to the possibility to include many fluorophores per nanoparticle, high stability, because of the shielding effect of the silica matrix, and, to date, no toxicity, with a simple and low-cost preparation. All these features make these nanostructures suitable to reach the low detection limits that are nowadays required for effective clinical and environmental applications, fulfilling in this way the initial expectations of this research project.

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In dieser Arbeit wurde die intrinsische Tryptophanfluoreszenz von Proteinen nach Zwei-Photonen-Anregung untersucht. Als interessantes Modellsystem wurde das Sauerstofftransportprotein der Vogelspinne Eurypelma californicum gewählt. Zum einen besitzt das Protein 148 Tryptophan-Seitenketten, so daß deren geringer Absorptionsquerschnitt kompensiert werden kann und eventuell einzelne Proteine aufgrund ihrer Tryptophanfluoreszenz detektiert werden können. Zum anderen signalisiert diese Fluoreszenz die Sauerstoffbeladung, so daß die kooperative Sauerstoffbindung auf Einzelmolekülebene untersucht werden könnte. Als limitierender Faktor hat sich die Photostabilität der Tryptophane nach Zwei-Photonen-Anregung herausgestellt. Im Mittel können von einem Hämocyanin-Molekül drei Photonen detektiert werden, bevor alle 148 Tryptophan-Seitenketten geblichen sind. Dies ist ein für Einzelmolekülspektroskopie äußerst niedriger Wert. Trotz dieser geringen Photostabilität ist es zum erstem Mal gelungen, die Diffusion einzelner Proteine mit Hilfe ihrer intrinsischen Tryptophanfluoreszenz zu beobachten. Wenn in einer geeigneten Umgebung die Photostabilität der Tryptophane höher ist, so reicht die Zahl der detektierten Photonen aus, um einzelne Teilchen abzubilden. Überraschend hat sich ergeben, daß es möglich ist, durch Lichteinstrahlung von außen in das Sauerstoffbindungsgleichgewicht einzugreifen und die Reaktion des Proteins auf die Auslenkung aus dem Gleichgewichtszustand zu beobachten. Das intensitätsabhängige Sauerstoffbindungsverhalten wurde modelliert und an die Messungen angepaßt. Die lichtinduzierte Sauerstoffabgabe führt anscheinend nicht zu einem Konformationswechsel.

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Die Lichtsammelantenne des PSI (LHCI) ist hinsichtlich ihrer Protein- und Pigmentzusammensetzung weniger gut untersucht als die des PSII. Im Rahmen dieser Arbeit wurde deshalb zunächst die Isolation von nativen LHCI-Subkomplexen optimiert und deren Pigmentzusammensetzung untersucht. Zusätzlich wurde die Pigmentbindung analysiert sowie das Pigment/Protein-Verhältnis bestimmt. Die Analyse der Proteinzusammensetzung des LHCI erfolgte mittels einer Kombination aus ein- oder zweidimensionaler Gelelektrophorese mit Westernblotanalysen mit Lhca-Protein-spezifischen Antikörpern und massenspektrometrischen Untersuchungen. Dabei stellte sich heraus, dass der LHCI mehr Proteine bzw. Proteinisoformen enthält als bisher vermutet. So gelang durch die massenspektrometrischen Untersuchungen die Identifizierung zweier bisher noch nicht nachgewiesener Lhca-Proteine. Bei diesen handelt es sich um eine Isoform des Lhca4 und ein zusätzliches Lhca-Protein, das Tomaten-Homolog des Lhca5 von Arabidopsis thaliana. Außerdem wurden in 1D-Gelen Isoformen von Lhca-Proteinen mit unterschiedlichem elektrophoretischen Verhalten beobachtet. In 2D-Gelen trat zusätzlich eine große Anzahl an Isoformen mit unterschiedlichen isoelektrischen Punkten auf. Es ist zu vermuten, dass zumindest ein Teil dieser Isoformen physiologischen Ursprungs ist, und z.B. durch differentielle Prozessierung oder posttranslationale Modifikationen verursacht wird, wenn auch die Spotvielfalt in 2D-Gelen wohl eher auf die Probenaufbereitung zurückzuführen ist. Mittels in vitro-Rekonstitution mit anschließenden biochemischen Untersuchungen und Fluoreszenzmessungen wurde nachgewiesen, dass Lhca5 ein funktioneller LHC mit spezifischen Pigmentbindungseigenschaften ist. Außerdem zeigten in vitro-Dimerisierungsexperimente eine Interaktion zwischen Lhca1 und Lhca5, wodurch dessen Zugehörigkeit zur Antenne des PSI gestützt wird. In vitro-Dimerisierungsexperimente mit Lhca2 und Lhca3 führten dagegen nicht zur Bildung von Dimeren. Dies zeigt, dass die Interaktion in potentiellen Homo- oder Heterodimeren aus Lhca2 und/oder Lhca3 schwächer ist als die zwischen Lhca1 und Lhca4 oder Lhca5. Die beobachtete Proteinheterogenität deutet daraufhin, dass die Antenne des PSI eine komplexere Zusammensetzung hat als bisher angenommen. Für die Integration „neuer“ LHC in den PSI-LHCI-Holokomplex werden zwei Modelle vorgeschlagen: geht man von einer festen Anzahl von LHCI-Monomeren aus, so kann sie durch den Austausch einzelner LHC-Monomere erreicht werden. Als zweites Szenario ist die Bindung zusätzlicher LHC vorstellbar, die entweder indirekt über bereits vorhandene LHC oder direkt über PSI-Kernuntereinheiten mit dem PSI interagieren. In Hinblick auf die Pigmentbindung der nativen LHCI-Subfraktionen konnte gezeigt werden, dass sie Pigmente in einer spezifischen Stöchiometrie und Anzahl binden, und sich vom LHCIIb vor allem durch eine verstärkte Bindung von Chlorophyll a, eine geringere Anzahl von Carotinoiden und die Bindung von ß-Carotin an Stelle von Neoxanthin unterscheiden. Der Vergleich von nativem LHCI mit rekonstituierten Lhca-Proteinen ergab, dass Lhca-Proteine Pigmente in einer spezifischen Stöchiometrie binden, und dass sie Carotinoidbindungsstellen mit flexiblen Bindungseigenschaften besitzen. Auch über die Umwandlung des an die einzelnen Lhca-Proteine gebundenen Violaxanthins (Vio) im Xanthophyllzyklus war nur wenig bekannt. Deshalb wurden mit Hilfe eines in vitro-Deepoxidationssystems sowohl native als auch rekonstituierte LHCI hinsichtlich ihrer Deepoxidationseigenschaften untersucht und der Deepoxidationsgrad von in vivo deepoxidierten Pigment-Protein-Komplexen bestimmt. Aus den Deepoxidationsexperimenten konnte abgeleitet werden, dass in den verschiedenen Lhca-Proteinen unterschiedliche Carotinoidbindungsstellen besetzt sind. Außerdem bestätigten diese Experimente, dass der Xanthophyllzyklus auch im LHCI auftritt, wobei jedoch ein niedrigerer Deepoxidationsgrad erreicht wird als bei LHCII. Dies konnte durch in vitro-Deepoxidationsversuchen auf eine geringere Deepoxidierbarkeit des von Lhca1 und Lhca2 gebundenen Vio zurückgeführt werden. Damit scheint Vio in diesen Lhca-Proteinen eher eine strukturelle Rolle zu übernehmen. Eine photoprotektive Funktion von Zeaxanthin im PSI wäre folglich auf Lhca3 und Lhca4 beschränkt. Damit enthält jede LHCI-Subfraktion ein LHC-Monomer mit langwelliger Fluoreszenz, das möglicherweise am Lichtschutz beteiligt ist. Insgesamt zeigten die Untersuchungen der Pigmentbindung, der Deepoxidierung und der Fluoreszenzeigenschaften, dass sich die verschiedenen Lhca-Proteine in einem oder mehreren dieser Parameter unterscheiden. Dies lässt vermuten, dass schon durch leichte Veränderungen in der Proteinzusammensetzung des LHCI eine Anpassung an unterschiedliche Licht-verhältnisse erreicht werden kann.

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Die Selektine initiieren im Verlauf von Entzündungsprozessen einen ersten Zellkontakt zwischen Leukozyten und Endothelzellen und ermöglichen so die Auswanderung der Leukozyten aus den Blutgefäßen in das umliegende Gewebe, wo sie ihre immunologische Wirkung entfalten können. Viele Krankheiten gehen allerdings mit einer übermäßigen, durch Selektine vermittelten Zelladhäsion einher. Daher war es das Ziel dieser Arbeit, Selektininhibitoren zu synthetisieren, die pathologische Zelladhäsionsprozesse, wie man sie z.B. bei rheumatoider Arthritis, bei Erkrankungen der Herzkranzgefäße oder im Verlauf von Tumormetastasierungen findet, unterbinden können. Als Leitstruktur für solche Inhibitoren dient das auf den natürlichen Selektinliganden vorkommende Tetrasaccharid Sialyl-Lewis-X. Sialyl-Lewis-X stellt aber nur einen Teil der natürlichen Selektinliganden dar. Es bindet auch nur im millimolaren Bereich an die Selektine. Die komplexen natürlichen Selektinliganden wie z.B. ESL-1 (E-Selektin-Ligand-1), die an verschiedenen Glycosylierungs-stellen des Glycoproteins Sialyl-Lewis-X präsentieren, binden mit deutlich höherer Affinität an die Selektine. Für eine spezifische Rezeptorbindung sind daher außer dem Tetrasaccharid weitere Partialstrukturen verantwortlich, wobei gezeigt werden konnte, dass ein Anknüpfen von Sialyl-Lewis-X-Derivaten an die Partialsequenz 672-681 des ESL-1 eine Affinitätssteigerung hervorruft. Ein weiterer Nachteil des natürlichen Sialyl-Lewis-X-Tetrasaccharids im Hinblick auf seine pharmakologische Verwendung besteht darin, dass sowohl die fucosidische Bindung als auch die glycosidische Verknüpfung zur Neuraminsäure durch Enzyme leicht gespalten werden, wodurch Sialyl-Lewis-X als potenzielles Anti-Adäsionsmolekül an Wert verliert. Um die Kohlenydratliganden vor einem solchen enzymatischen Abbau zu bewahren, wurden in dieser Arbeit neben der im Sialyl-Lewis-X vorliegenden L-Fucose die im Menschen nicht vorkommenden Kohlenhydrate D-Arabinose und L-Galactose sowie neben der Neuraminsäure die (S)-Cyclohexylmilchsäure zur Herstellung der sechs Glycopeptid-Selektinliganden 1-6 mit der Partialsequenz 672-681 des ESL-1 verknüpft. Die Tetrasaccharide und Tetrasaccharid-Mimetika können aus den geschützten Monosacchariden und der geschützten Cyclohexylmilch-säure in parallelen Synthesen im Gramm-Maßstab hergestellt werden. Die automatisierten Glycopeptid-Festphasensynthesen wurden an einem Peptidsynthesizer nach der Fmoc-Strategie unter Verwendung von mit Asparaginsäure vorbeladenen TentaGel®-Harzen durchgeführt. Die Strukturen aller sechs Glycopeptide 1-6 wurden sowohl durch hoch auflösende massenspektrometrische Analysen als auch durch ein- und zweidimensionale NMR-Experimente belegt. Als Ergebnis dieser Arbeit liegen sechs Sialyl-Lewis-X-Glycopeptide und -Mimetika mit der Partialsequenz 672-681 des ESL-1 vor. Diese werden in Kürze auf ihre Wirksamkeit als Zelladhäsions-inhibitoren für E-Selektin getestet. Daraus sollen sich Erkenntnisse über Struktur-Wirkungs-Beziehungen gewinnen lassen, insbesondere was das kooperative Zusammenwirken von Saccharid- und Peptidteilstrukturen in der Erkennung der Liganden durch das E-Selektin anbetrifft.

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Für diese Arbeit wurden sechs neue Benzodiazepinderivate, TC07, TC08, TC09, TC10, TC11 und TC12, hergestellt. Diese wurden mittels Radioligandenbindungsassay sowohl auf ihre Bindungseigenschaften für Membranen des Cerebellum, des Hippo-campus und des Cortex der Ratte hin untersucht, als auch für Membranen von HEK293 Zellen, die transient rekombinante GABAA Rezeptoren exprimierten. Zusätz-lich wurden kompetitive in situ Rezeptorautoradiographien an Rattenhirnschnitten mit den Liganden [3H]Ro15-4513 und [3H]R015-1788 durchgeführt. Zusammen ergaben sich aus diesen Experimenten deutliche Hinweise auf eine Selektivität der Verbindun-gen TC07, TC11 und TC12 für a5-Untereinheiten enthaltende GABAA Rezeptoren mit a5-Affinitäten im niedrigen nanomolaren Bereich. In vivo Bindungsexperimente in Ratten, mit [3H]Ro15-1788 als Tracer und TC07 als Kompetitor, ergaben, dass TC07 mehr [3H]Ro15-1788 im Vorderhirn als im Cerebellum verdrängt. Bezog man die regionale Verteilung der a5-Untereinheit des GABAA Rezep-tors im Rattenhirn mit ein – sehr wenige a5-Untereinheiten im Cerebellum, etwa 20 % der GABAA Rezeptor-Untereinheiten im Hippocampus – untermauerten diese Ergeb-nisse die Vermutung, TC07 könne a5-selektiv sein. Diese Daten bestätigten darü-berhinaus, dass TC07 die Blut-Hirn-Schranke passieren kann. Für elektrophysiologische Messungen mit TC07 und TC12 wurden die oben erwähnten transient transfizierten HEK293 Zellen verwendet, welche die GABAA Rezeptor Unte-reinheitenkombination a5b3g2 exprimierten. Das Dosis-Antwort Verhalten ergab keinen signifikanten Effekt für TC12. Die Daten von TC07 dagegen lassen auf einen schwach negativ modulatorischen Effekt schließen, was, zumindest theoretisch, die Möglichkeit eröffnet, TC07 auch als sogenannten cognitive enhancer einzusetzen. Der errechnete Ki-Wert lag in derselben Größenordnung wie der Ki-Wert, der anhand der Bindungsas-saydaten errechnet wurde. Insgesamt rechtfertigen die bisherigen Ergebnisse die radiochemische Markierung mit 18F von drei der sechs getesteten Verbindungen in der Reihenfolge TC07, TC12 und TC11. Des Weiteren wurde [18F]MHMZ, ein potentiell 5-HT2A selektiver Ligand und PET-Tracer einschließlich Vorläufer und Referenzverbindungen, mit hohen Ausbeuten syn-thetisiert (Herth, Debus et al. 2008). Autoradiographieexperimente mit Rattenhirn-schnitten zeigten hervorragende in situ Bindungseigenschaften der neuen Verbindung. Die Daten wiesen eine hohe Selektivität für 5-HT2A Rezeptoren in Verbindung mit einer niedrigen unspezifischen Bindung auf. [18F]MHMZ erfährt in vivo eine schnelle Metabo-lisierung, wobei ein polarer aktiver Metabolit entsteht, welcher vermutlich nicht die Blut-Hirn-Schranke passieren kann. Transversale, sagittale und coronale Kleintier-PET-Bilder des Rattenhirns zeigten eine hohe Anreicherung im frontalen Cortex und im Striatum, während im Cerebellum so gut wie keine Anreicherung festzustellen war. Diese Verteilung deckt sich mit der bekann-ten Verteilung der 5-HT2A Rezeptoren. Die in vivo Anreicherung scheint sich ebenfalls gut mit der Verteilung der in den Autoradiographieexperimenten gemessenen Bindung zu decken. Nach Berechnungen mit dem 4-Parameter Referenzgewebe Modell beträgt das Bindungspotential (BP) für den frontalen Cortex 1,45. Das Cortex zu Cerebellum Verhältnis wurde auf 2,7 nach 30 Minuten Messzeit bestimmt, was bemerkenswert nah an den von Lundkvist et al. für [11C]MDL 100907 publizierten Daten liegt. Abgesehen von der etwas niedrigeren Affinität waren die gemessenen in vitro, in situ und in vivo Daten denen von [3H]MDL 100907 und [11C]MDL 100907 sehr ähnlich, so dass wir ein [18F]Analogon in der Hand haben, das die bessere Selektivität von MDL 100907 verglichen mit Altanserin mit der längeren Halbwertszeit und den besse-ren Eigenschaften für die klinische Routine von 18F verglichen mit 11C verbindet. Die Ergebnisse von [18F]MHMZ rechtfertigenden weitere Experimente, um diesen Liganden für die klinische Routine am Menschen nutzbar zu machen.

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Die Hämocyanine der Cephalopoden Nautilus pompilius und Sepia officinalis sorgen für den Sauerstofftransport zwischen den Kiemen und den Geweben. Sie bestehen aus einem zylindrischen Dekamer mit interner Kragenstruktur. Während eine Untereinheit (also eine Polypeptidkette) bei NpH aus sieben paralogen funktionellen Domänen (FU-a bis FU-g) besteht, führte ein Genduplikationsereignis der FU-d zu acht FUs in SoH (a, b, c, d, d´, e, f, g). In allen Mollusken Hämocyaninen bilden sechs dieser FUs den äußeren Ring und die restlichen die interne Kragenstruktur. rnrnIn dieser Arbeit wurde ein dreidimensionales Modell des Hämocyanins von Sepia officinalis (SoH) erstellt. Die Rekonstruktion, mit einer Auflösung von 8,8Å (FSC=0,5), erlaubt das Einpassen von Homolologiemodellen und somit das Erstellen eines molekularen Modells mit pseudo atomarer Auflösung. Des Weiteren wurden zwei Rekonstruktionen des Hämocyanins von Nautilus pompilius (NpH) in verschiedenen Oxygenierungszuständen erstellt. Die auf 10 und 8,1Å aufgelösten Modelle zeigen zwei verschiedene Konformationen des Proteins. Daraus ließ sich eine Modellvorstellung über die allosterische Funktionsweise ableiten. Die hier erreichte Auflösung von 8Å ist die momentan höchste eines Molluskenhämocyanins. rnAuf Grundlage des molekularen Modells von SoH konnte die Topologie des Proteins aufgeklärt werden. Es wurde gezeigt, dass die zusätzliche FU-d´ in den Kragen integriert ist und somit die prinzipielle Wandarchitektur aller Mollusken Hämocyanine identisch ist. Wie die Analyse des erstellten molekularen Modells zeigt werden sind die beiden Isoformen (SoH1 und SoH2) in den Bereichen der Interfaces nahezu identisch; auch der Vergleich mit NpH zeigt grosse Übereinstimmungen. Des weiteren konnte eine Fülle von Informationen bezüglich der allosterischen Signalübertragung innerhalb des Moleküls gewonnen werden. rnDer Versuch, NpH in verschiedenen Oxygenierungszuständen zu zeigen, war erfolgreich. Die Datensätze, die unter zwei atmosphärischen Bedingungen präpariert wurden, führten reproduzierbar zu zwei unterschiedlichen Rekonstruktionen. Dies zeigt, daß der hier entwickelte experimentelle Ansatz funktioniert. Er kann nun routinemäßig auf andere Proteine angewandt werden. Wie der strukturelle Vergleich zeigte, verändert sich die Orientierung der FUs durch die Oxygenierung leicht. Dies wiederum beeinflusst die Anordnung innerhalb der Interfaces sowie die Abstände zwischen den beteiligten Aminosäuren. Aus dieser Analyse konnte eine Modellvorstellung zum allosterischen Signaltransfer innerhalb des Moleküls abgeleitet werden, die auf einer Umordnung von Salzbrücken basiert.

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Bei der Parkinsonschen Krankheit kommt es zu einer selektiven Degeneration der dopaminergen Neurone in der Substantia nigra pars compacta. Die Rolle des oxidativen Stresses in der Pathogenese dieser Erkrankung konnte an post mortem Untersuchungen der Parkinson-Patienten, wie auch an zahlreichen in vitro und in vivo Modellen bestätigt werden. Die Anwendung von Antioxidantien wurde als therapeutische Strategie der Parkinsonschen Krankheit vorgeschlagen. In dieser Hinsicht wurden bereits antioxidative Substanzen in klinischen Studien evaluiert. Klinische Studien mit Antioxidantien haben jedoch bislang nur wenig überzeugende Ergebnisse erbracht, mit Ausnahme des Einsatzes des Ubichinons (Coenzym Q). Eine kritische Analyse der klinischen Studien lässt zusammenfassen, dass auf Seiten der verwendeten Antioxidantien noch massiver Optimierungsbedarf besteht. Für einen erfolgreichen therapeutischen Einsatz von Antioxidantien bei dieser Krankheit sind folgende Eigenschaften der Substanzen von höchster Bedeutung: i) maximale neuroprotektive Aktivität bei geringen Dosen; ii) geringe Nebenwirkungen; iii) eine hohe Blut-Hirn-Schrankengängigkeit.In dieser Arbeit wurde das neuroprotektive Potential von drei Bisarylimin-basierten antioxidativen Strukturen (Phenothiazin, Iminostilben und Phenoxazin) in in vitro und in vivo Parkinson-Modellsystemen evaluiert. Beide experimentellen Modelle basieren auf der Wirkung der mitochondrialen Komplex I Inhibitoren 1-Methyl-4-Phenylpyridin (MPP+) und Rotenon, welche pathophysiologische Charakteristika der Parkinsonschen Krankheit reproduzieren. Unsere in vitro Untersuchungen an primären Neuronen des Mittelhirns und der klonalen SH-SY5Y-Neuroblastomazelllinie konnten zeigen, dass die Komplex I Inhibition krankheitsspezifische zelluläre Merkmale induziert, wie die Abnahme der antioxidativen Verteidigungskapazität und Verlust des mitochondrialen Membranpotentials. Zusätzlich kommt es in primären Neuronen des Mittelhirns zur selektiven Degeneration dopaminerger Neurone, welche in der Parkinsonschen Erkrankung besonders betroffen sind. Ko-Inkubation der in vitro Modelle mit Phenothiazin, Iminostilben und Phenoxazin in niedrigen Konzentrationen (50 nM) halten die pathologischen Prozesse fast vollständig auf. In vivo Untersuchungen am MPP+- und Rotenon-basierten Caenorhabditis elegans (C. elegans) Modell bestätigen das neuroprotektive Potential der Bisarylimine. Hierfür wurde eine transgene C. elegans Linie mithilfe einer dopaminerg spezifischen DsRed2- (Variante des rot fluoreszierenden Proteins von Discosoma sp.)-Expression und pan-neuronaler CFP- (cyan fluoreszierendes Protein)-Expression zur Visualisierung der dopaminergen Neuronenpopulation in Kontrast zum Gesamtnervensystem erstellt. Behandlung des C. elegans mit MPP+ und Rotenon im larvalen und adulten Stadium führt zu einer selektiven Degeneration dopaminerger Neurone, sowie zum Entwicklungsarrest der larvalen Population. Die dopaminerge Neurodegeneration, wie auch weitere phänotypische Merkmale des C. elegans Modells, können durch Phenothiazin, Iminostilben und Phenoxazin in niedrigen Konzentrationen (500 nM) komplett verhindert werden. Ein systemischer Vergleich aromatischer Bisarylimine mit bekannten, gut charakterisierten Antioxidantien, wie α-Tocopherol (Vitamin E), Epigallocatechingallat und β-Catechin, zeigt, dass effektive Konzentrationen für Phenothiazin, Iminostilben und Phenoxazin um Zehnerpotenzen niedriger liegen im Vergleich zu natürlichen Antioxidantien. Der Wirkungsmechanismus der Bisarylimine konnte in biochemischen und in vitro Analysen, sowie in Verhaltensuntersuchungen an C. elegans von der Wirkungsweise strukturell ähnlicher, neuroleptisch wirkender Phenothiazin-Derivate differenziert werden. Die Analyse des dopaminerg-gesteuerten Verhaltens (Beweglichkeit) in C. elegans konnte verdeutlichen, dass antioxidative und Dopaminrezeptor-bindende Eigenschaften der Bisaryliminstrukturen sich gegenseitig ausschließen. Diese qualitativen Merkmale unterscheiden Bisarylimine fundamental von klinisch angewandten Neuroleptika (Phenothiazin-Derivate), welche als Dopaminrezeptor-Antagonisten zur Behandlung psychischer Erkrankungen klinisch eingesetzt werden.Aromatische Bisarylimine (Phenothiazin, Iminostilben und Phenoxazin) besitzen günstige strukturelle Eigenschaften zur antioxidativ-basierter Neuroprotektion. Durch die Anwesenheit der antioxidativ wirkenden, nicht-substituierten Iminogruppe unterscheiden sich Bisarylimine grundlegend von neuroleptisch-wirkenden Phenothiazin-Derivaten. Wichtige strukturelle Voraussetzungen eines erfolgreichen antioxidativen Neuropharmakons, wie eine hohe Radikalisierbarkeit, die stabile Radikalform und der lipophile Charakter des aromatischen Ringsystems, werden in der Bisaryliminstruktur erfüllt. Antioxidative Bisarylimine könnten in der Therapie der Parkinsonschen Krankheit als eine effektive neuroprotektiv-therapeutische Strategie weiter entwickelt werden.

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Zusammenfassung rnrnIn dieser Arbeit wurden Untersuchungen an zwei verschiedenen multimeren Proteinkomplexen durchgeführt: Zum einen am Hämocyanin aus Homarus americanus mittels Röntgen-L-Kantenspektroskopie und zum anderen am α-Toxin aus Staphylococcus aureus, hinsichtlich der Interaktion an speziellen Raft-artigen Membranabschnitten, mittels AFM.rnFür das Hämocyanin aus Homarus americanus konnte ein neuer Aspekt bezüglich der Bindung von Sauerstoff aufgezeigt werden. Ein zuvor nicht in Betracht gezogener und diskutierter Einfluss von Wassermolekülen auf diesen Vorgang konnte mittels der Methode der Röntgen-L-Kantenspektroskopie dargestellt werden. Erstmals war es möglich die beiden verschiedenen Beladungszustände (Oxy-, Deoxy-Zustand) des Hämocyanin mittels dieser Methode in physiologisch ähnlicher Umgebung zu untersuchen. Vergleiche der erhaltenen L-Kanten-Spektren mit denen anorganischer Vergleichslösungen ließen auf eine Interaktion von Wassermolekülen mit den beiden Kupferatomen des aktiven Zentrums schließen. Dadurch wurde erstmals ein möglicher Einfluss des Wassers auf den Oxygenierungsprozess des Hämocyanins auf elektronischer Ebene aufgezeigt. Vergleichende Betrachtungen von Röntgenkristallstrukturen verschiedener Typ-3-Kupferproteine bestätigten, dass auch hier ein Einfluss von Wassermolekülen auf die aktiven Zentren möglich ist. Vorgeschlagen wird dabei, dass an Stelle der Überlappung der 3d-Orbitale des Kupfers mit den 2p-Orbitalen des Sauerstoffs, wie sie im sauerstoffbeladenen Zustand auftritt, im sauerstoffunbeladenen Zustand eine Wechselwirkung der 3d-Orbitale des Kupfers mit den LUMOS der Wassermoleküle möglich wird, und ein Elektronen- bzw. Ladungstransfer von den Kupfern auf die Wassermoleküle erfolgen kann. rnAFM-Untersuchungen hinsichtlich der Interaktion des α-Toxins aus Staphylococcus aureus mit oberflächenunterstützten Modellmembranen wiesen darauf hin, dass eine bevorzugte Anbindung und zumindest teilweise Integration der α-Toxine in Raft-artige Membranbereiche stattfindet. Für verschiedene ternäre Lipidsysteme konnten phasenseparierte Modellmembranen abgebildet und die unterschiedlichen Domänenformen zugeordnet werden. Der Anbindungsprozess der Toxine an diese oberflächenunterstützte Modellmembranen erfolgte dann wahrscheinlich vornehmlich an den speziellen Raft-artigen Domänen, wohingegen die Insertion der Poren vorrangig an den Grenzbereichen zwischen den Domänen auftrat. Mögliche Ursache dafür sind die räumlichen Besonderheiten dieser Grenzflächen. Membranen weisen an den Schnittstellen zwischen zwei Domänenformen eine erhöhte Unordnung auf, was sich u.a. in einer geringeren Packungsdichte der Phospholipide und dem erhöhten Freiheitsgrad ihrer Kopfgruppen bemerkbar macht. Außerdem kommt es auf Grund der Interaktion der beteiligten Membranbestandteile Sphingomyelin und Cholesterol untereinander zu einer speziellen Ausrichtung der Phosphocholin-Kopfgruppen und innerhalb der Raft-artigen Domänen zu einer erhöhten Packungsdichte der Phospholipide. Die in dieser Arbeit präsentierten Ergebnisse unterstützten demnach die in der Literatur postulierte Vermutung der bevorzugten Interaktion und Integration der Toxin-Moleküle mit Raft-artigen Membrandomänen. Die Insertion der Pore erfolgt aber wahrscheinlich bevorzugt an den Grenzbereichen zwischen den auftretenden Domänen.rn

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Bei dem 2010 von unserer Arbeitsgruppe entdeckten Mega-Hämocyanin handelt es sich um einen stark abgewandelten Typ des respiratorischen Proteins Hämocyanin, bestehend aus zwei flankierenden regulären Dekameren und einem zentralen Mega-Dekamer. Diese sind aus zwei immunologisch verschiedenen Untereinheiten mit ~400 bzw. ~550 kDa aufgebaut, die in unserer Arbeitsgruppe bereits proteinbiochemisch charakterisiert wurden. Im Zuge dieser Untersuchungen konnte zudem eine 3D-Rekonstruktion des Oligomers (13,5 MDa) mit einer Auflösung von 13Å erstellt werden. Das Ziel der vorliegenden Arbeit war die Aufklärung der Primärstruktur beider Polypeptide bei der Schnecke Melanoides tuberculata (MtH). Es gelang, die cDNAs der beiden Untereinheiten vollständig zu sequenzieren. Die zu typischen Dekameren assemblierende MtH400-Untereinheit umfasst 3445 Aminosäuren und besitzt eine theoretische Molekularmasse von 390 kDa. Nach dem Signalpeptid von 23 Aminosäuren Länge folgen die für Gastropoden-Hämocyanine typischen funktionellen Einheiten FU-a bis FU-h. Insgesamt verfügt die MtH400-Untereinheit über sechs potentielle N-Glykosylierungsstellen. Die MtH550-Untereinheit, welche mit 10 Kopien das Mega-Dekamer bildet, umfasst 4999 Aminosäuren und besitzt eine theoretische Molekularmasse von 567 kDa. Damit handelt es sich bei dieser Untereinheit um die zweitgrößte jemals bei einem Protein detektierte Polypeptidkette. Die MtH550-Untereinheit besteht aus einem Signalpeptid von 20 Aminosäuren Länge und den typischen Wand-FUs (FU-a bis FU-f). Daran anschließend folgen sechs weitere Varianten der FU-f (FU-f1 bis FU-f6). Die MtH550-Untereinheit verfügt über insgesamt zwölf potentielle N-Glykosylierungsstellen. Anhand der ermittelten Primärstrukturdaten wird klar, dass der auffällig vergrößerte Kragenbereich des Mega-Dekamers aus je 10 Kopien der FU-f1 bis FU-f6 besteht. Die ermittelten Sequenzdaten der beiden MtH-Untereinheiten weisen im Vergleich zu anderen Hämocyanin Sequenzen einige sehr charakteristische Indels sowie unübliche N-Glykosylierungsstellen auf. Es war zudem möglich, anhand einer molekularen Uhr den Entstehungszeitpunkt des Mega-Hämocyanins zu datieren (145 ± 35 MYA). Sowohl die Topologie als auch die berechneten Trennungszeitpunkte des an allen Verzweigungen gut unterstützten Stammbaums stimmen mit den bisher publizierten und auf Hämocyanindaten basierenden molekularen Uhren überein.

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Molecular recognition and self-assembly represent fundamental issues for the construction of supramolecular systems, structures in which the components are held together through non-covalent interactions. The study of host-guest complexes and mechanical interlocked molecules, important examples in this field, is necessary in order to characterize self-assembly processes, achieve more control over the molecular organization and develop sophisticated structures by using properly designed building blocks. The introduction of paramagnetic species, or spin labelling, represents an attractive opportunity that allows their detection and characterization by the Electron Spin Resonance spectroscopy, a valuable technique that provides additional information to those obtained by traditional methods. In this Thesis, recent progresses in the design and the synthesis of new paramagnetic host-guest complexes and rotaxanes characterized by the presence of nitroxide radicals and their investigation by ESR spectroscopy are reported. In Chapter 1 a brief overview of the principal concepts of supramolecular chemistry, the spin labelling approach and the development of ESR methods applied to paramagnetic systems are described. Chapter 2 and 3 are focused on the introduction of radicals in macrocycles as Cucurbiturils and Pillar[n]arenes, due to the interesting binding properties and the potential employment in rotaxanes, in order to investigate their structures and recognition properties. Chapter 4 deals with one of the most studied mechanical interlocked molecules, the bistable [2]rotaxane reported by Stoddart and Heath based on the ciclobis (paraquat-p-phenylene) CBPQT4+, that represents a well known example of molecular switch driven by external stimuli. The spin labelling of analogous architectures allows the monitoring by ESR spectroscopy of the switch mechanism involving the ring compound by tuning the spin exchange interaction. Finally, Chapter 5 contains the experimental procedures used for the synthesis of some of the compounds described in Chapter 2-4.

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γ-Aminobuttersäure (GABA) ist der wichtigste inhibitorische Neurotransmitter im zentralen Nervensystem und bindet vorrangig an ionotrope GABAA-Rezeptoren. Diese sind an fast allen neuronalen Prozessen beteiligt und werden darüber hinaus mit neurologischen Erkrankungen wie Epilepsie, Angstzuständen, Schlafstörungen und Schizophrenie in Verbindung gebracht. Die PET bietet als molekulares bildgebendes Verfahren die Möglichkeit einzelne Stoffwechselvorgänge des GABAergen Systems zu visualisieren und zu quantifizieren. Durch den Einsatz eines 18F-markierten Radioliganden an die GABA-Bindungsstelle könnten so die Rezeptorverfügbarkeit des GABAA-Rezeptors gemessen und die Ausschüttung des Neurotransmitters GABA quantifiziert werden.rn4-(2-Naphthylmethyl)-5-(piperidin-4-yl)isothiazolole und -isoxazolole stellen aufgrund ihrer hohen Affinität gegenüber der GABA-Bindungsstelle und ihrer lipophilen Struktur vielversprechende Leitstrukturen für die Entwicklung eines PET-Tracers zur Visualisierung der GABA-Bindungsstelle dar. Daher wurden zunächst 19F-substituierte Referenzverbindungen synthetisiert, um diese hinsichtlich ihrer Eignung als Radioligand in in vitro-Studien zu evaluieren. Dazu wurde Fluor direkt sowie über eine Fluorethoxygruppe an Position 1 des Naphthalinrings eingeführt. Zusätzlich wurde ein Fluorethylether eines Isothiazolols als Referenz-verbindung synthetisiert. In anschließenden Verdrängungsstudien wurden die Affinitäten der synthetisierten Verbindungen mit [3H]Muscimol an Membranpräparaten aus Rattenhirnen, sowie transfizierten HEK293-Zellen bestimmt. Zusätzlich wurden die entsprechenden Log D-Werte bestimmt. Die Verbindung 5-(piperidin-4-yl)-4-(1-fluornaphth-2-ylmethyl)-isothiazol-3-ol VK5 zeigte in den in vitro-Studien die vielversprechendsten Ergebnisse (IC50 = 10 nM; Log D = 1,7) und wurde im Folgenden in einer dreistufigen Radiosynthese als 18F-Verbindung synthetisiert.rnZu diesem Zweck wurde ein geeigneter Markierungsvorläufer dargestellt und über eine n.c.a. SNAr-Markierung mit [18F]F- umgesetzt. Die Reaktionsparameter wurden hinsichtlich Reaktionszeit, -temperatur, Basenkonzentration und Lösungsmittel optimiert. Die zur Aktivierung einer SNAr ein-geführte Carbonylfunktion wurde in einem zweiten Schritt mit Triethylsilan/Trifluoressigsäure reduziert. Im finalen Schritt wurden zwei Schutzgruppen mit Bortrichlorid in DCM abgespaltet und [18F]VK5 als injektionsfertige Lösung in isotoner NaCl-Lösung erhalten. Es wurden radiochemische Ausbeuten von 0,7-1 % (EOS) nach einer durchschnittlichen Synthesedauer von 275 Minuten erhalten.rnDer Radioligand [18F]VK5 wurde anschließend in Autoradiographie-Versuchen an Hirnschnitten der Ratte hinsichtlich seiner Spezifität für die GABA-Bindungsstelle untersucht. Die unspezifische Bindung wurde durch die Zugabe von GABA bestimmt wonach kein signifikanter Unterschied festgestellt werden konnte. Die hohe unspezifische Bindung kann möglicherweise auf die niedrigen spezifischen Aktivitäten zurückgeführt werden. Diese lagen, bedingt durch die drei Schritte der Radiosynthese, in einem Bereich von 0,1-0,6 GBq/μmol. Die erhaltenen Ergebnisse lassen für zukünftige Versuche noch einige Optimierungsmöglichkeiten offen. Aufgrund der bisher erhaltenen Daten lässt sich daher keine definitive Aussage über die Eignung des Liganden [18F]VK5 als PET-Tracer treffen.rn

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Angesichts der sich abzeichnenden Erschöpfung fossiler Ressourcen ist die Erforschung alternativer Energiequellen derzeit eines der meistbeachteten Forschungsgebiete. Durch ihr enormes Potential ist die Photovoltaik besonders im Fokus der Wissenschaft. Um großflächige Beschichtungsverfahren nutzen zu können, wird seit einigen Jahren auf dem Gebiet der Dünnschichtphotovoltaik intensiv geforscht. Jedoch sind die gegenwärtigen Solarzellenkonzepte allesamt durch die Verwendung giftiger (Cd, As) oder seltener Elemente (In, Ga) oder durch eine komplexe Phasenbildung in ihrem Potential beschränkt. Die Entwicklung alternativer Konzepte erscheint daher naheliegend.rnAufgrund dessen wurde in einem BMBF-geförderten Verbundprojekt die Abscheidung von Dünnschichten des binären Halbleiters Bi2S3 mittels physikalischer Gasphasenabscheidung mit dem Ziel der Etablierung als quasi-intrinsischer Absorber in Solarzellenstrukturen mit p-i-n-Schichtfolge hin untersucht.rnDurch sein von einem hochgradig anisotropen Bindungscharakter geprägtes Kristallwachstum war die Abscheidung glatter, einphasiger und für die Integration in eine Multischichtstruktur geeigneter Schichten mit Schichtdicken von einigen 100 nm eine der wichtigsten Herausforderungen. Die Auswirkungen der beiden Parameter Abscheidungstemperatur und Stöchiometrie wurden hinsichtlich ihrer Auswirkungen auf die relevanten Kenngrößen (wie Morphologie, Dotierungsdichte und Photolumineszenz) untersucht. Es gelang, erfolgreich polykristalline Schichten mit geeigneter Rauigkeit und einer Dotierungsdichte von n ≈ 2 1015cm-3 auf anwendungsrelevanten Substraten abzuscheiden, wobei eine besonders starke Abhängigkeit von der Gasphasenzusammensetzung ermittelt werden. Es konnten weiterhin die ersten Messungen der elektronischen Zustandsdichte unter Verwendung von Hochenergie-Photoemissionsspektroskopie durchgeführt werden, die insbesondere den Einfluss variabler Materialzusammensetzungen offenbarten.rnZum Nachweis der Eignung des Materials als Absorberschicht standen innerhalb des Projektes mit SnS, Cu2O und PbS prinzipiell geeignete p-Kontaktmaterialien zur Verfügung. Es konnten trotz der Verwendung besonders sauberer Abscheidungsmethoden im Vakuum keine funktionstüchtigen Solarzellen mit Bi2S3 deponiert werden. Jedoch war es unter Verwendung von Photoemissionspektroskopie möglich, die relevanten Grenzflächen zu spektroskopieren und die Ursachen für die Beobachtungen zu identifizieren. Zudem konnte erfolgreich die Notwendigkeit von Puffermaterialien bei der Bi2S3-Abscheidung nachgewiesen werden, um Oberflächenreaktionen zu unterbinden und die Transporteigenschaften an der Grenzfläche zu verbessern.rn

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Prostate cancer (PCa) progression is enhanced by androgen and treatment with antiandrogens represents an alternative to castration. While patients initially respond favorably to androgen ablation therapy, most experience a relapse of the disease within 1-2 years by expressing androgen receptor (AR) mutants. Such mutations, indeed, promote unfavorable agonistic behavior from classical antagonists. Here, we have synthesized and screened 37 novel compounds derived from dihydrotestosterone (DHT), cyanolutamide and hydroxyflutamide. These derivatives were tested for their potential antagonistic activity using a luciferase reporter gene assay and binding properties were determined for wild type (WT) and mutant ARs (T877A, W741C, W741L, H874Y). In the absence and presence of antiandrogens, androgen dependent cellular proliferation and prostate specific antigen (PSA) expression were assayed in the prostate cancer cell line LNCaP by crystal violet, real time PCR and by Western blots. Also, cellular proliferation and PSA expression were assayed in 22Rv1. A novel compound RB346, derived from DHT, was found to be an antagonist for all tested AR forms, preventing DHT induced proliferation and PSA expression in LNCaP and 22Rv1 cells. RB346 displayed no agonistic activity, in contrast to the non-steroidal antiandrogen bicalutamide (Casodex) with unfavorable agonistic activity for W741L-AR. Additionally, RB346 has a slightly higher binding affinity for WT-AR, T877A-AR and H874Y-AR than bicalutamide. Thus, RB346 is the first potent steroidal antiandrogen with efficacy for WT and various AR mutants.

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"We present a combined in vitro/in silico study to determine the molecular origin of the selectivity of a-tocopherol transfer" "protein (a-TTP) towards a-tocopherol. Molecular dynamics simulations combined to free energy perturbation calculations predict a binding free energy for a-tocopherol to a-TTP 8.26+2.13 kcal mol{1 lower than that of c-tocopherol. Our calculations show that c-tocopherol binds to a-TTP in a significantly distorted geometry as compared to that of the natural ligand. Variations in the hydration of the binding pocket and in the protein structure are found as well. We propose a mutation, A156L, which significantly modifies the selectivity properties of a-TTP towards the two tocopherols. In particular, our simulations predict that A156L binds preferentially to c-tocopherol, with striking structural similarities to the wild-type- a-tocopherol complex. The affinity properties are confirmed by differential scanning fluorimetry as well as in vitro competitive binding assays. Our data indicate that residue A156 is at a critical position for determination of the selectivity of a-TTP. The engineering of TTP mutants with modulating binding properties can have potential impact at industrial level for easier purification of single tocopherols from vitamin E mixtures coming from natural oils or synthetic processes. Moreover," "the identification of a c-tocopherol selective TTP offers the possibility to challenge the hypotheses for the evolutionary development of a mechanism for a-tocopherol selection in omnivorous animals."