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Resumo:
La lettura e l’analisi della città di Mirandola post-sisma hanno portato ad una serie di considerazioni che mirano a ripensare la città non solo in termini di ricostruzione dal terremoto, ma riflettono su come organizzare una città contemporanea, riscoprendo la città ottagonale con segni architettonici riconoscibili. Inoltre l’integrazione tra centro storico e prima fascia oltre la Circonvallazione è stata risolta attraverso la progettazione di una grande corte della cultura a partire dagli esistenti Chiesa e Collegio dei Gesuiti.
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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.
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Nell’ambito delle problematiche relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, riscontra particolare interesse l’analisi dell’effetto domino, sia per la grande severità delle conseguenze degli eventi incidentali che esso comporta, sia per l’indeterminazione ancora presente nelle metodologie di analisi e di valutazione del fenomeno stesso. Per effetto domino si intende la propagazione di un evento incidentale primario dall’apparecchiatura dalla quale ha avuto origine alle apparecchiature circostanti, che diventano sorgenti di eventi incidentali secondari. Infatti elevati valori dell’irraggiamento, della sovrappressione di picco ed il lancio di proiettili, imputabili all’evento primario, possono innescare eventi secondari determinando una propagazione a catena dell’incidente così come si propaga la catena di mattoncini nel gioco da tavolo detto “domino”. Le Direttive Europee 96/82/EC e 2012/18/EU denominate, rispettivamente “Seveso II” e “Seveso III” stabiliscono la necessità, da parte del gestore, di valutare l’effetto domino, in particolare in aree industriali ad elevata concentrazione di attività a rischio di incidente rilevante. L’analisi consiste nel valutare, in termini di frequenza e magnitudo, gli effetti indotti su apparecchiature cosiddette “bersaglio” da scenari incidentali che producono irraggiamenti, onde di pressione e lancio di proiettili. Il presente lavoro di tesi, svolto presso lo stabilimento di Ravenna di ENI Versalis, ha lo scopo di presentare una metodologia per l’analisi dell’effetto domino adottata in un caso reale, in mancanza di un preciso riferimento normativo che fissi i criteri e le modalità di esecuzione di tale valutazione. Inoltre esso si presta a valutare tutte le azioni preventive atte a interrompere le sequenze incidentali e quindi i sistemi di prevenzione e protezione che possono contrastare un incidente primario evitando il propagarsi dell’incidente stesso e quindi il temuto effetto domino. L’elaborato è strutturato come segue. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo con l’illustrazione delle linee guida e delle normative in riferimento all’effetto domino, nel Capitolo 2 sono descritte le principali tecniche di analisi di rischio che possono essere utilizzate per l’individuazione degli eventi incidentali credibili ovvero degli eventi incidentali primari e della loro frequenza di accadimento. Nel Capitolo 3 vengono esaminati i criteri impiegati da ENI Versalis per la valutazione dell’effetto domino. Nei Capitoli 4 e 5 sono descritti gli iter tecnico-procedurali messi a punto per la progettazione della protezione antincendio, rispettivamente attiva e passiva. Nel Capitolo 6 viene approfondito un aspetto particolarmente critico ovvero la valutazione della necessità di dotare di protezione le tubazioni. Nel Capitolo 7 viene illustrata la progettazione antifuoco di un caso di studio reale dello stabilimento ENI Versalis di Ravenna: l’unità di Idrogenazione Selettiva. Infine nel Capitolo 8 sono riportate alcune considerazioni conclusive.
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La terminologia informatica e di Internet in spagnolo è caratterizzata da una forte instabilità lessicale e semantica. La grande presenza di anglicismi che si creano con enorme rapidità, impedisce il corretto processo di incorporazione di tali termini nello spagnolo, favorendo così la convivenza di lessico inglese e termini solo parzialmente adattati alla lingua spagnola, dei quali spesso non si conosce l'esatto significato. I traduttori che operano in queste aree linguistiche, così come gli informatici e tutti gli interessati al corretto utilizzo di questa terminologia, per risolvere le problematiche che incontrano, fanno uso oggi soprattutto di risorse online più facilmente aggiornabili ed accessibili rispetto ai classici dizionari cartacei. Tra queste, sono molto importanti gli spazi che permettono la collaborazione diretta tra professionisti del settore, che favoriscono un approccio dinamico e contestuale nella risoluzione di tali dubbi. Il Foro Tic del Centro Virtual Cervantes, dedicato alla discussione su tale linguaggio, raccoglie interessanti dibattiti sull'argomento.
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Questa tesi si propone di investigare sul rapporto che Wikipedia ha con la traduzione dei suoi articoli. Nella tesi si osserva il fenomeno Wikipedia come paradosso e metodo globale efficiente di diffusione delle informazioni grazie al NPOV, del crowdsourcing con le sue implicazioni etiche per i volontari, i professionisti e i clienti, e della traduzione degli articoli del sito da parte di volontari. Si tratterà del rapporto del traduttore con la grande rete di Wikipedia e con le 280 lingue in cui il sito si può consultare, con una proposta di traduzione del paragrafo “Recursos Humanos” della pagina Wikipedia “El Corte Inglés” spagnola tradotta verso l’italiano.
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Questo elaborato ha come obiettivo valutare l’efficacia di alcuni composti d’aroma, ossia componenti di oli essenziali la cui attività antimicrobica è nota in letteratura, nell’aumentare la sicurezza igienico-sanitaria di germogli di ravanello Daikon. In particolare sono stati utilizzati timolo e carvacrolo, costituenti di oli di piante tra cui timo e origano. Vista la grande espansione nel mercato alimentare di semi germogliati pronti all’uso, matrice veicolante numerosi casi di tossinfezione alimentare, sono state effettuate prove per valutare il rischio di sviluppo di Listeria. Si è lavorato simulando un processo casalingo, facendo germinare i semi in acqua addizionata o meno di diverse concentrazioni dei due terpeni fenolici. I semi utilizzati venivano precedentemente inoculati con Listeria innocua, utilizzata come surrogato del patogeno Listeria monocytogenes. Il ricambio dell’acqua di ammollo avveniva ogni 24 ore, e dopo 6/24/32/48 ore venivano prelevate quantità note di semi e acqua, al fine di valutarne il contenuto in L. innocua, carica microbica totale ed enterobatteri. La prima prova, che ha previsto l’uso di timolo come unico composto antimicrobico, ha mostrato una riduzione di un ciclo logaritmico di L. innocua ed enterobatteri nei semi, mentre nell’acqua essi erano presenti solo dopo 24 e 48 ore. Risultati analoghi sono stati ottenuti utilizzando solo carvacrolo. Infine è stato testato l’eventuale effetto sinergico di timolo e carvacrolo, che però non ha dato differenze particolari rispetto a campioni trattati coi singoli composti. I risultati ottenuti hanno evidenziato l’elevato rischio microbiologico associato ai semi germogliati con produzione domestica, poiché le condizioni adottate favoriscono lo sviluppo di specie patogene. L’utilizzo dei composti di aroma, se pure in grado di ridurre sia le cinetiche di crescita che la quantità di Listeria, non è tuttavia in grado di controllare in maniera significativa il rischio associato a tali prodotti.
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L'elaborato nasce dalla partecipazione al progetto dell'Università di Bologna, sull'Osservatorio aziendale. Un metodo di ricerca trasversale, focalizzato sulla prospettiva manageriale e sulle capacità che le aziende sono in grado di sviluppare al loro interno, mediante una raccolta dati esaustiva, sistematica e periodica. In particolare l'indagine si è incentrata nell'individuazione del livello di sostenibilità, intesa come ambientale, sociale ed economica, per le aziende del territorio Emiliano-Romagnolo, nel settore della grande distribuzione. In seguito si è analizzato i principali marchi con l'obiettivo di individuare le azioni intraprese e i progetti che sono stati sviluppati e che si intendono sviluppare. Dopo uno studio incentrato nell'ambito della letteratura sul concetto di sostenibilità, si è cercato di comprendere come la grande distribuzione alimentare si pone all'interno di questa tematica, cercando di individuare le principali certificazioni ambientali e sociali, e i punti in comune o di differenziazione di questo settore merceologico, rispetto agli altri. La raccolta delle informazioni è stata effettuata attraverso l'analisi dei siti ufficiali delle aziende selezionate e, laddove presenti, attraverso i Bilanci Sociali/Sostenibili e gli altri documenti disponibili. In particolare sono state considerate quattro aziende del settore della grande distribuzione alimentare, del nostro territorio, andando ad analizzarne: informazioni generali sull'azienda da analizzare, certificazioni ambientali, certificazioni sociali, energia, risorse primarie, gestione rifiuti, impatto ambientale, reporting, welfare, responsabilità sociale, supply chain e valore per il consumatore.
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Prima di parlare di lotto zero, credo sia opportuno inquadrare in modo più preciso il significato che riveste la Secante per Cesena. La Secante è senza dubbio l’opera più rilevante e strategica in assoluto degli ultimi decenni ed è destinata a incidere in modo profondo (almeno così ci auguriamo) sulla vita della città, contribuendo a migliorarla sensibilmente. A questa arteria è affidato il compito di raccogliere tutto il traffico di attraversamento di Cesena, e specialmente quello rappresentato dai mezzi pesanti, che gravita principalmente sulla via Emilia, creando da tempo una situazione difficile, ma che negli ultimi anni è divenuta pressoché insostenibile: sono molte migliaia i veicoli che ogni giorno percorrono questa strada che già dalla fine degli anni Sessanta ha cessato di essere periferica e che ai giorni nostri fa ormai parte del centro urbano. La Secante, una volta completata, porrà un rimedio definitivo a questa situazione: secondo le previsioni, sarà in grado di smaltire in modo efficiente circa 40mila veicoli al giorno e, quindi, di rispondere alle necessità di circolazione della città per almeno i prossimi 20-30 anni. Proprio per l’importanza che il nuovo asse di collegamento riveste, diventa fondamentale garantirne la massima fruibilità, dedicando estrema attenzione non solo alla funzionalità della struttura in sé ( per altro progettata con criteri d’avanguardia, soprattutto per la parte in galleria, che si configura come il primo eco-tunnel italiano ), ma anche al complesso delle opere di collegamento con la viabilità preesistente: svincoli, nodi stradali, nuove connessioni. È in questo quadro che si inserisce il cosiddetto “lotto zero”, cioè quel tratto stradale che prolungherà il primo lotto della Secante verso Forlì e avrà una lunghezza pari a circa 1 chilometro. Entrando nel dettaglio, questo lotto dovrà portare il traffico in uscita dalla Secante dalla via comunale San Cristoforo alla via Provinciale San Giuseppe, sicuramente più idonea a sopportare l’importante mole di traffico veicolare e meglio collegata alla viabilità principale. Il lotto zero si congiungerà con la via Emilia attraverso la già esistente rotatoria davanti al cimitero di Diegaro. Naturalmente, il nuovo tratto sarà dotato di barriere acustiche: si è pensato a strutture in lamiera di acciaio, con funzioni fonoassorbenti e fonoisolanti, per una lunghezza totale di circa 310 metri. Il costo complessivo dell’opera si aggira intorno ai 25 milioni di euro. Il Comune di Cesena considera questo intervento irrinunciabile, e per questo si stanno valutando le soluzioni più opportune per una sua realizzazione in tempi ragionevolmente brevi. Non a caso, per accelerare le procedure già nel 2004 l’Amministrazione Comunale di Cesena e l’Amministrazione Provinciale di Forlì – Cesena hanno deciso di finanziare direttamente il progetto, e sono stati avviati contatti con i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente per sollecitarne l’approvazione e la conseguente disponibilità di fondi. D’altro canto, non si può dimenticare che il lotto zero s’inserisce nella necessità più complessiva di un nuovo assetto della viabilità del territorio, che troverà una risposta definitiva con il progetto della cosiddetta via Emilia bis. Si tratta di un intervento prioritario non solo per Cesena, ma per tutta la Romagna, e che acquisisce un significato ancor più rilevante alla luce del recente progetto relativo alla Civitavecchia-Orte-Cesena-Ravenna-Mestre. In quest’ottica, il lotto zero assume una funzione indispensabile per armonizzare la grande circolazione che gravita sul nodo cesenate, destinato a diventare ancora più rilevante nel momento in cui si svilupperà la dorsale autostradale appenninica, la futura E45/E55.
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Il progetto di riqualificazione della Caserma Sani si ispira allʼinteresse nei confronti delle tematiche del recupero edilizio e urbano. Esso nasce dallʼintenzione di reintegrare unʼarea urbana in via di dismissione nel suo contesto attraverso lʼinserimento di nuove funzioni che rispondano alle esigenze di questa parte di città e nel contempo riqualificare i fabbricati esistenti attraverso un progetto di recupero e completamento che favorisca il dialogo del complesso esistente con il sistema urbano circostante. La volontà di riuso della maggioranza degli edifici facenti parte del vecchio impianto si basa su considerazioni legate alla natura stessa del sito: lʼintenzione è quella di conservarne la memoria, non tanto per il suo valore storico-architettonico, ma perché nel caso specifico della Caserma più che di memoria è opportuno parlare di scoperta, essendo, per propria natura militare, un luogo da sempre estraneo alla comunità e al suo contesto, chiuso e oscurato dal limite fisico del muro di cinta. La caserma inoltre si compone di edifici essenzialmente funzionali, di matrice industriale, la cui versatilità si legge nella semplicità e serialità morfologica, rendendoli “organismi dinamici” in grado di accogliere trasformazioni e cambi di funzione. Il riuso si muove in parallelo ai concetti di risignificazione e riciclaggio, dividendosi in modo egualmente efficace fra presupposti teorici e pratici. Esso costituisce una valida alternativa alla pratica della demolizione, nel caso in cui questa non sia specificatamente necessaria, e alle implicazione economiche e ambientali (smaltimento dei rifiuti, impiego dei trasporti e fondi economici, ecc.) che la accompagnano. Alla pratica del riuso si affianca nel progetto quella di completamento e ampliamento, arricchendo il vecchio sistema di edifici con nuove costruzioni che dialoghino discretamente con la preesistenza stabilendo un rapporto di reciproca complementarietà. Il progetto di riqualificazione si basa su più ampie considerazioni a livello urbano, che prevedono lʼintegrazione dellʼarea ad un sistema di attraversamento pedonale e ciclabile che colleghi da nord a sud le principali risorse verdi del quartiere passando per alcuni dei principali poli attrattori dellʼarea, quali la Stazione Centrale, il Dopolavoro Ferroviario adibito a verde attrezzato, il nuovo Tecno Polo che sorgerà grazie al progetto di riqualificazione previsto per lʼex Manifattura Tabacchi di Pier Luigi Nervi e il nuovo polo terziario che sorgerà dalla dismissione delle ex Officine Cevolani. In particolare sono previsti due sistemi di collegamento, uno ciclo-pedonale permesso dalla nuova pista ciclabile, prevista dal nuovo Piano Strutturale lungo il sedime della vecchia ferrovia che correrà da nord a sud collegando il Parco della Montagnola e in generale il centro storico al Parco Nord, situato oltre il limite viario della tangenziale. Parallelamente alla pista ciclabile, si svilupperà allʼinterno del tessuto un ampio viale pedonale che, dal Dopolavoro Ferroviario (parco attrezzato con impianti sportivi) collegherà la grande area verde che sorgerà dove ora giacciono i resti delle ex Industrie Casaralta, adiacenti alla Caserma Sani, già oggetto di bonifica e in via di dismissione, incontrando lungo il suo percorso differenti realtà e funzioni: complessi residenziali, terziari, il polo culturale e le aree verdi. Allʼinterno dellʼarea della Caserma sarà integrato agli edifici, nuovi e preesistenti, un sistema di piazze pavimentate e percorsi di attraversamento che lo riuniscono al tessuto circostante e favoriscono il collegamento da nord a sud e da est a ovest di zone della città finora poco coinvolte dal traffico pedonale, in particolare è il caso del Fiera District separato dal traffico veloce di Via Stalingrado rispetto alla zona residenziale della Bolognina. Il progetto lascia ampio spazio alle aree verdi, le quali costituiscono più del 50 % della superficie di comparto, garantendo una preziosa risorsa ambientale per il quartiere. Lʼintervento assicura lʼinserimento di una molteplicità di funzioni e servizi: residenze unifamiliari e uno studentato, uffici e commercio, una biblioteca, un auditorium e un polo museale.
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Il concetto di “sostenibilità” si riferisce allo sviluppo dei sistemi umani attraverso il più piccolo impatto possibile sul sistema ambientale. Le opere che si inseriscono bene nel contesto ambientale circostante e le pratiche che rispettano le risorse in maniera tale da permettere una crescita e uno sviluppo a lungo termine senza impattare sull’ambiente sono indispensabili in una società moderna. I progressi passati, presenti e futuri che hanno reso i conglomerati bituminosi materiali sostenibili dal punto di vista ambientale sono particolarmente importanti data la grande quantità di conglomerato usato annualmente in Europa e negli Stati Uniti. I produttori di bitume e di conglomerato bituminoso stanno sviluppando tecniche innovative per ridurre l’impatto ambientale senza compromettere le prestazioni meccaniche finali. Un conglomerato bituminoso ad “alta lavorabilità” (WMA), pur sviluppando le stesse caratteristiche meccaniche, richiede un temperatura di produzione minore rispetto a quella di un tradizionale conglomerato bituminoso a caldo (HMA). L’abbassamento della temperature di produzione riduce le emissioni nocive. Questo migliora le condizioni dei lavoratori ed è orientato verso uno sviluppo sostenibile. L’obbiettivo principale di questa tesi di laurea è quello di dimostrare il duplice valore sia dal punto di vista dell’eco-compatibilità sia dal punto di vista meccanico di questi conglomerati bituminosi ad “alta lavorabilità”. In particolare in questa tesi di laurea è stato studiato uno SMA ad “alta lavorabilità” (PGGWMA). L’uso di materiali a basso impatto ambientale è la prima fase verso un progetto ecocompatibile ma non può che essere il punto di partenza. L’approccio ecocompatibile deve essere esteso anche ai metodi di progetto e alla caratterizzazione di laboratorio dei materiali perché solo in questo modo è possibile ricavare le massime potenzialità dai materiali usati. Un’appropriata caratterizzazione del conglomerato bituminoso è fondamentale e necessaria per una realistica previsione delle performance di una pavimentazione stradale. La caratterizzazione volumetrica (Mix Design) e meccanica (Deformazioni Permanenti e Comportamento a fatica) di un conglomerato bituminoso è una fase importante. Inoltre, al fine di utilizzare correttamente i materiali, un metodo di progetto avanzato ed efficiente, come quello rappresentato da un approccio Empirico-Meccanicistico (ME), deve essere utilizzato. Una procedura di progetto Empirico-Meccanicistica consiste di un modello strutturale capace di prevedere gli stati di tensione e deformazione all’interno della pavimentazione sotto l’azione del traffico e in funzione delle condizioni atmosferiche e di modelli empirici, calibrati sul comportamento dei materiali, che collegano la risposta strutturale alle performance della pavimentazione. Nel 1996 in California, per poter effettivamente sfruttare i benefici dei continui progressi nel campo delle pavimentazioni stradali, fu iniziato un estensivo progetto di ricerca mirato allo sviluppo dei metodi di progetto Empirico - Meccanicistici per le pavimentazioni stradali. Il risultato finale fu la prima versione del software CalME che fornisce all’utente tre approcci diversi di l’analisi e progetto: un approccio Empirico, uno Empirico - Meccanicistico classico e un approccio Empirico - Meccanicistico Incrementale - Ricorsivo. Questo tesi di laurea si concentra sulla procedura Incrementale - Ricorsiva del software CalME, basata su modelli di danno per quanto riguarda la fatica e l’accumulo di deformazioni di taglio dai quali dipendono rispettivamente la fessurazione superficiale e le deformazioni permanenti nella pavimentazione. Tale procedura funziona per incrementi temporali successivi e, usando i risultati di ogni incremento temporale, ricorsivamente, come input dell’incremento temporale successivo, prevede le condizioni di una pavimentazione stradale per quanto riguarda il modulo complesso dei diversi strati, le fessurazioni superficiali dovute alla fatica, le deformazioni permanenti e la rugosità superficiale. Al fine di verificare le propreità meccaniche del PGGWMA e le reciproche relazioni in termini di danno a fatica e deformazioni permanenti tra strato superficiale e struttura della pavimentazione per fissate condizioni ambientali e di traffico, è stata usata la procedura Incrementale – Ricorsiva del software CalME. Il conglomerato bituminoso studiato (PGGWMA) è stato usato in una pavimentazione stradale come strato superficiale di 60 mm di spessore. Le performance della pavimentazione sono state confrontate a quelle della stessa pavimentazione in cui altri tipi di conglomerato bituminoso sono stati usati come strato superficiale. I tre tipi di conglomerato bituminoso usati come termini di paragone sono stati: un conglomerato bituminoso ad “alta lavorabilità” con granulometria “chiusa” non modificato (DGWMA), un conglomerato bituminoso modificato con polverino di gomma con granulometria “aperta” (GGRAC) e un conglomerato bituminoso non modificato con granulometria “chiusa” (DGAC). Nel Capitolo I è stato introdotto il problema del progetto ecocompatibile delle pavimentazioni stradali. I materiali a basso impatto ambientale come i conglomerati bituminosi ad “alta lavorabilità” e i conglomerati bituminosi modificati con polverino di gomma sono stati descritti in dettaglio. Inoltre è stata discussa l’importanza della caratterizzazione di laboratorio dei materiali e il valore di un metodo razionale di progetto delle pavimentazioni stradali. Nel Capitolo II sono stati descritti i diversi approcci progettuali utilizzabili con il CalME e in particolare è stata spiegata la procedura Incrementale – Ricorsiva. Nel Capitolo III sono state studiate le proprietà volumetriche e meccaniche del PGGWMA. Test di Fatica e di Deformazioni Permanenti, eseguiti rispettivamente con la macchina a fatica per flessione su quattro punti e il Simple Shear Test device (macchina di taglio semplice), sono stati effettuati su provini di conglomerato bituminoso e i risultati dei test sono stati riassunti. Attraverso questi dati di laboratorio, i parametri dei modelli della Master Curve, del danno a fatica e dell’accumulo di deformazioni di taglio usati nella procedura Incrementale – Ricorsiva del CalME sono stati valutati. Infine, nel Capitolo IV, sono stati presentati i risultati delle simulazioni di pavimentazioni stradali con diversi strati superficiali. Per ogni pavimentazione sono stati analizzati la fessurazione superficiale complessiva, le deformazioni permanenti complessive, il danno a fatica e la profondità delle deformazioni in ognuno degli stati legati.
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Fra le varie ragioni della crescente pervasività di Internet in molteplici settori di mercato del tutto estranei all’ICT, va senza dubbio evidenziata la possibilità di creare canali di comunicazione attraverso i quali poter comandare un sistema e ricevere da esso informazioni di qualsiasi genere, qualunque distanza separi controllato e controllore. Nel caso specifico, il contesto applicativo è l’automotive: in collaborazione col Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Bologna, ci si è occupati del problema di rendere disponibile a distanza la grande quantità di dati che i vari sotto-sistemi componenti una automobile elettrica si scambiano fra loro, sia legati al tipo di propulsione, elettrico appunto, come i livelli di carica delle batterie o la temperatura dell’inverter, sia di natura meccanica, come i giri motore. L’obiettivo è quello di permettere all’utente (sia esso il progettista, il tecnico riparatore o semplicemente il proprietario) il monitoraggio e la supervisione dello stato del mezzo da remoto nelle sue varie fasi di vita: dai test eseguiti su prototipo in laboratorio, alla messa in strada, alla manutenzione ordinaria e straordinaria. L’approccio individuato è stato quello di collezionare e memorizzare in un archivio centralizzato, raggiungibile via Internet, tutti i dati necessari. Il sistema di elaborazione a bordo richiede di essere facilmente integrabile, quindi di piccole dimensioni, e a basso costo, dovendo prevedere la produzione di molti veicoli; ha inoltre compiti ben definiti e noti a priori. Data la situazione, si è quindi scelto di usare un sistema embedded, cioè un sistema elettronico di elaborazione progettato per svolgere un limitato numero di funzionalità specifiche sottoposte a vincoli temporali e/o economici. Apparati di questo tipo sono denominati “special purpose”, in opposizione ai sistemi di utilità generica detti “general purpose” quali, ad esempio, i personal computer, proprio per la loro capacità di eseguire ripetutamente un’azione a costo contenuto, tramite un giusto compromesso fra hardware dedicato e software, chiamato in questo caso “firmware”. I sistemi embedded hanno subito nel corso del tempo una profonda evoluzione tecnologica, che li ha portati da semplici microcontrollori in grado di svolgere limitate operazioni di calcolo a strutture complesse in grado di interfacciarsi a un gran numero di sensori e attuatori esterni oltre che a molte tecnologie di comunicazione. Nel caso in esame, si è scelto di affidarsi alla piattaforma open-source Arduino; essa è composta da un circuito stampato che integra un microcontrollore Atmel da programmare attraverso interfaccia seriale, chiamata Arduino board, ed offre nativamente numerose funzionalità, quali ingressi e uscite digitali e analogici, supporto per SPI, I2C ed altro; inoltre, per aumentare le possibilità d’utilizzo, può essere posta in comunicazione con schede elettroniche esterne, dette shield, progettate per le più disparate applicazioni, quali controllo di motori elettrici, gps, interfacciamento con bus di campo quale ad esempio CAN, tecnologie di rete come Ethernet, Bluetooth, ZigBee, etc. L’hardware è open-source, ovvero gli schemi elettrici sono liberamente disponibili e utilizzabili così come gran parte del software e della documentazione; questo ha permesso una grande diffusione di questo frame work, portando a numerosi vantaggi: abbassamento del costo, ambienti di sviluppo multi-piattaforma, notevole quantità di documentazione e, soprattutto, continua evoluzione ed aggiornamento hardware e software. È stato quindi possibile interfacciarsi alla centralina del veicolo prelevando i messaggi necessari dal bus CAN e collezionare tutti i valori che dovevano essere archiviati. Data la notevole mole di dati da elaborare, si è scelto di dividere il sistema in due parti separate: un primo nodo, denominato Master, è incaricato di prelevare dall’autovettura i parametri, di associarvi i dati GPS (velocità, tempo e posizione) prelevati al momento della lettura e di inviare il tutto a un secondo nodo, denominato Slave, che si occupa di creare un canale di comunicazione attraverso la rete Internet per raggiungere il database. La denominazione scelta di Master e Slave riflette la scelta fatta per il protocollo di comunicazione fra i due nodi Arduino, ovvero l’I2C, che consente la comunicazione seriale fra dispositivi attraverso la designazione di un “master” e di un arbitrario numero di “slave”. La suddivisione dei compiti fra due nodi permette di distribuire il carico di lavoro con evidenti vantaggi in termini di affidabilità e prestazioni. Del progetto si sono occupate due Tesi di Laurea Magistrale; la presente si occupa del dispositivo Slave e del database. Avendo l’obiettivo di accedere al database da ovunque, si è scelto di appoggiarsi alla rete Internet, alla quale si ha oggi facile accesso da gran parte del mondo. Questo ha fatto sì che la scelta della tecnologia da usare per il database ricadesse su un web server che da un lato raccoglie i dati provenienti dall’autovettura e dall’altro ne permette un’agevole consultazione. Anch’esso è stato implementato con software open-source: si tratta, infatti, di una web application in linguaggio php che riceve, sotto forma di richieste HTTP di tipo GET oppure POST, i dati dal dispositivo Slave e provvede a salvarli, opportunamente formattati, in un database MySQL. Questo impone però che, per dialogare con il web server, il nodo Slave debba implementare tutti i livelli dello stack protocollare di Internet. Due differenti shield realizzano quindi il livello di collegamento, disponibile sia via cavo sia wireless, rispettivamente attraverso l’implementazione in un caso del protocollo Ethernet, nell’altro della connessione GPRS. A questo si appoggiano i protocolli TCP/IP che provvedono a trasportare al database i dati ricevuti dal dispositivo Master sotto forma di messaggi HTTP. Sono descritti approfonditamente il sistema veicolare da controllare e il sistema controllore; i firmware utilizzati per realizzare le funzioni dello Slave con tecnologia Ethernet e con tecnologia GPRS; la web application e il database; infine, sono presentati i risultati delle simulazioni e dei test svolti sul campo nel laboratorio DIE.
Resumo:
Uno dei temi più discussi ed interessanti nel mondo dell’informatica al giorno d’oggi è sicuramente il Cloud Computing. Nuove organizzazioni che offrono servizi di questo tipo stanno nascendo ovunque e molte aziende oggi desiderano imparare ad utilizzarli, migrando i loro centri di dati e le loro applicazioni nel Cloud. Ciò sta avvenendo anche grazie alla spinta sempre più forte che stanno imprimendo le grandi compagnie nella comunità informatica: Google, Amazon, Microsoft, Apple e tante altre ancora parlano sempre più frequentemente di Cloud Computing e si stanno a loro volta ristrutturando profondamente per poter offrire servizi Cloud adeguandosi così a questo grande cambiamento che sta avvenendo nel settore dell’informatica. Tuttavia il grande movimento di energie, capitali, investimenti ed interesse che l’avvento del Cloud Computing sta causando non aiuta a comprendere in realtà che cosa esso sia, al punto tale che oggi non ne esiste ancora una definizione univoca e condivisa. La grande pressione inoltre che esso subisce da parte del mondo del mercato fa sì che molte delle sue più peculiari caratteristiche, dal punto di vista dell’ingegneria del software, vengano nascoste e soverchiate da altre sue proprietà, architetturalmente meno importanti, ma con un più grande impatto sul pubblico di potenziali clienti. L’obbiettivo che ci poniamo con questa tesi è quindi quello di esplorare il nascente mondo del Cloud Computing, cercando di comprenderne a fondo le principali caratteristiche architetturali e focalizzando l’attenzione in particolare sullo sviluppo di applicazioni in ambiente Cloud, processo che sotto alcuni aspetti si differenzia molto dallo sviluppo orientato ad ambienti più classici. La tesi è così strutturata: nel primo capitolo verrà fornita una panoramica sul Cloud Computing nella quale saranno date anche le prime definizioni e verranno esposti tutti i temi fondamentali sviluppati nei capitoli successivi. Il secondo capitolo costituisce un approfondimento su un argomento specifico, quello dei Cloud Operating System, componenti fondamentali che permettono di trasformare una qualunque infrastruttura informatica in un’infrastruttura Cloud. Essi verranno presentati anche per mezzo di molte analogie con i classici sistemi operativi desktop. Con il terzo capitolo ci si addentra più a fondo nel cuore del Cloud Computing, studiandone il livello chiamato Infrastructure as a Service tramite un esempio concreto di Cloud provider: Amazon, che fornisce i suoi servizi nel progetto Amazon Web Services. A questo punto, più volte nel corso della trattazione di vari temi saremo stati costretti ad affrontare le problematiche relative alla gestione di enormi moli di dati, che spesso sono il punto centrale di molte applicazioni Cloud. Ci è parso quindi importante approfondire questo argomento in un capitolo appositamente dedicato, il quarto, supportando anche in questo caso la trattazione teorica con un esempio concreto: BigTable, il sistema di Google per la gestione della memorizzazione di grandi quantità di dati. Dopo questo intermezzo, la trattazione procede risalendo lungo i livelli dell’architettura Cloud, ricalcando anche quella che è stata l’evoluzione temporale del Cloud Computing: nel quinto capitolo, dal livello Infrastructure as a Service si passa quindi a quello Platform as a Service, tramite lo studio dei servizi offerti da Google Cloud Platform. Il sesto capitolo costituisce invece il punto centrale della tesi, quello che ne soddisfa l’obbiettivo principale: esso contiene infatti uno studio approfondito sullo sviluppo di applicazioni orientate all’ambiente Cloud. Infine, il settimo capitolo si pone come un ponte verso possibili sviluppi futuri, analizzando quali sono i limiti principali delle tecnologie, dei modelli e dei linguaggi che oggi supportano il Cloud Computing. In esso viene proposto come possibile soluzione il modello ad attori; inoltre viene anche presentato il framework Orleans, che Microsoft sta sviluppando negli ultimi anni con lo scopo appunto di supportare lo sviluppo di applicazioni in ambiente Cloud.
Resumo:
La nanotecnologia è una scienza innovativa che sviluppa e utilizza materiali di dimensioni nanometriche (< 100 nm). Lo sviluppo e il mercato delle nanoparticelle in merito alle loro interessanti proprietà chimico‐fisiche, é accompagnato da una scarsa conoscenza relativa al destino finale e agli effetti che questi nano materiali provocano nell’ ambiente [Handy et al., 2008]. La metodologia LCA (Life Cycle Assessment – Valutazione del Ciclo di Vita) è riconosciuta come lo strumento ideale per valutare e gestire gli impatti ambientali indotti dalle ENPs, nonostante non sia ancora possibile definire, in maniera precisa, un Fattore di Caratterizzazione CF per questa categoria di sostanze. Il lavoro di questa tesi ha l’obbiettivo di stimare il Fattore di Effetto EF per nanoparticelle di Diossido di Titanio (n‐TiO2) e quindi contribuire al calcolo del CF; seguendo il modello di caratterizzazione USEtox, l’EF viene calcolato sulla base dei valori di EC50 o LC50 relativi agli organismi appartenenti ai tre livelli trofici di un ecosistema acquatico (alghe, crostacei, pesci) e assume valore pari a 49,11 PAF m3/Kg. I valori tossicologici utilizzati per il calcolo del Fattore di Effetto derivano sia da un’accurata ricerca bibliografica sia dai risultati ottenuti dai saggi d’inibizione condotti con n‐TiO2 sulla specie algale Pseudokirchneriella Subcapitata. La lettura dei saggi è stata svolta applicando tre differenti metodi quali la conta cellulare al microscopio ottico (media geometrica EC50: 2,09 mg/L, (I.C.95% 1,45‐ 2,99)), l’assorbanza allo spettrofotometro (strumento non adatto alla lettura di test condotti con ENPs) e l’intensità di fluorescenza allo spettrofluorimetro (media geometrica EC50: 3,67 mg/L (I.C.95% 2,16‐6,24)), in modo tale da confrontare i risultati e valutare quale sia lo strumento più consono allo studio di saggi condotti con n‐TiO2. Nonostante la grande variabilità dei valori tossicologici e la scarsa conoscenza sui meccanismi di tossicità delle ENPs sulle specie algali, il lavoro sperimentale e la ricerca bibliografica condotta, hanno permesso di individuare alcune proprietà chimico‐fisiche delle nanoparticelle di Diossido di Titanio che sembrano essere rilevanti per la loro tossicità come la fase cristallina, le dimensioni e la foto attivazione [Vevers et al., 2008; Reeves et al., 2007]. Il lavoro sperimentale ha inoltre permesso di ampliare l’insieme di valori di EC50 finora disponibile in letteratura e di affiancare un progetto di ricerca dottorale utilizzando il Fattore di Effetto per n‐ TiO2 nel calcolo del Fattore di Caratterizzazione.
Resumo:
La tesi di laurea elaborata ha come oggetto Villa Torlonia, chiamata anche “ la Torre” , un complesso edilizio risalente al Settecento. Il lavoro effettuato ha compreso prima di tutto uno studio della storia della Torre, l’evoluzione e il rapporto con il suo contesto. È seguita poi un’analisi del complesso, effettuata dal punto di vista sia della consistenza che dello stato di conservazione, per poi studiare l’insieme di interventi che l’hanno caratterizzata e che le hanno conferito l’attuale aspetto.Si tratta di opere di consolidamento, di recupero e di ripristino che hanno occupato un’epoca che va dagli ultimi vent’anni del Novecento fino ad ora. Solo dopo questa fase di studio e di ricerca si è passati ad elaborare un programma di riutilizzo della Villa, che occupa il quinto capitolo della Tesi. L’idea progettuale sviluppata parte dall'intento di valorizzare questo complesso edilizio che, essendo di proprietà comunale, è spesso oggetto di manifestazioni culturali. La grande corte esterna, il piano terra del corpo centrale ed i vecchi magazzini al piano interrato sono oggigiorno sede di incontri di moda e di momenti espositivi temporanei, molti dei quali legati alla produzione calzaturiera locale. San Mauro Pascoli ospita infatti le sede di alcune delle più note marche dell'alta moda calzaturiera e la sua economia così come la sua storia, è legata a questa attività che da più di un secolo rappresenta una vera e propria attrattiva locale. Il tipo di intervento che si viene a delineare parte quindi dal voler privilegiare questa tradizione del luogo, pertanto il progetto prevede l’inserimento di un Museo della scarpa e lo spostamento della scuola calzaturiera CERCAL, al fine di rendere Villa Torlonia un centro di attrazione turistica.
Resumo:
Più volte nel corso dell’ ultimo secolo la ricerca si è concentrata sulle alghe brune come piante alimentari dalle quali poter ricavare diversi prodotti. L’obiettivo del presente elaborato è dimostrare come sia possibile valorizzare e caratterizzare l'Ascophyllum nodosum destrutturando il tessuto vegetale attraverso l'utilizzo di biocatalizzatori enzimatici, al fine di liberare composti di interesse specifici da utilizzare in vari ambiti dell'industria (cosmetica, alimentare, agronomica). I risultati rivelano che l’attività alginasica svolge un’importante ruolo nel rilascio di antiossidanti; infatti, la grande quantità di alginati, tipica delle alghe brune, determina il rilascio di componenti chimiche che presentano il maggior potere antiossidante.