114 resultados para Here I Come!


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La presente ricerca, L’architettura religiosa di Luis Moya Blanco. La costruzione come principio compositivo, tratta i temi inerenti l’edificazione di spazi per il culto della religione cristiana che l’architetto spagnolo progetta e realizza a Madrid dal 1945 al 1970. La tesi è volta ad indagare quali siano i principi alla base della composizione architettonica che si possano considerare immutati, nel lungo arco temporale in cui l’autore si trova ad operare. Tale indagine, partendo da una prima analisi riguardante gli anni della formazione e gli scritti da lui prodotti, verte in particolare sullo studio dei progetti più recenti e ancora poco trattati dalla critica. L’obbiettivo della presente tesi è dunque quello di apportare un contributo originale sull’aspetto compositivo della sua architettura. Ma analizzare la composizione significa, in Moya, analizzare la costruzione che, a dispetto del susseguirsi dei linguaggi, rimarrà l’aspetto principale delle sue opere. Lo studio dei manufatti mediante categorie estrapolate dai suoi stessi scritti – la matematica, il numero, la geometria e i tracciati regolatori - permette di evidenziare punti di contatto e di continuità tra le prime chiese, fortemente caratterizzate da un impianto barocco, e gli ultimi progetti che sembrano cercare invece un confronto con forme decisamente moderne. Queste riflessioni, parallelamente contestualizzate nell’ambito della sua consistente produzione saggistica, andranno a confluire nell’idea finale per cui la costruzione diventi per Luis Moya Blanco il principio compositivo da cui non si può prescindere, la regola che sostanzia nella materia il numero e la geometria. Se la costruzione è dunque la pietrificazione di leggi geometrico-matematiche che sottendono schemi planimetrici; il ricorso allo spazio di origine centrale non risponde all’intenzione di migliorare la liturgia, ma a questioni di tipo filosofico-idealista, che fanno corrispondere alla somma naturalezza della perfezione divina, la somma perfezione della forma circolare o di uno dei suoi derivati come l’ellisse.

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La ricerca ha preso le mosse da tre ipotesi fondamentali: 1) Esiste un legame tra processi cognitivi di basso ed alto livello; 2) Lo spazio senso-motorio è una percezione soggettiva; 3) Lo spazio senso-motorio varia in funzione delle diverse modalità di interazione sociale. La tesi sostiene che lo spazio senso-motorio si lascia modulare dalla semplice co-presenza di un altro agente umano e da interazioni cooperative e non cooperative. I capitoli I, II, III, hanno lo scopo di scomporre e spiegare il significato della prima, seconda e terza ipotesi; giungendo a formulare la tesi centrale che sarà poi dimostrata sperimentalmente nel capitolo IV. Il capitolo V introduce future linee di ricerca nell’ambito dell’etica proponendo una nuova ipotesi sul legame che potrebbe sussistere tra la percezione dello spazio durante l’interazione sociale e i giudizi morali. Il lavoro svolto chiama ad operare insieme diverse discipline che concorrono a formare le scienze cognitive: la storia della filosofia, la filosofia della mente contemporanea, la neuropsicologia sperimentale ed alcuni temi della psicologia sociale.

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In seguito ad una disamina del materiale presente in letteratura, ci siamo chiesti se i numerosi investimenti pubblicitari, promozionali, di marketing e, per dirla in una parola sola “intangibili”, generassero un aumento del valore dell’impresa nel contesto valutativo oppure se dessero origine esclusivamente ad aumenti di fatturato. L’obiettivo più ambito consiste nel capitalizzare gli investimenti su attiviintangibili come la costruzione del marchio, l’utilizzo di brevetti, le operazioni rivolte alla soddisfazione del cliente e tutto quanto si possa definire immateriale. Eppure coesistono nel mare magnum della stessa azienda. Fino a quando non si potrà inserire criteri di valutazione d’azienda delle performance di marketing non ci potrà essere crescita in quanto, le risorse, sono utilizzate senza un criterio di ritorno di investimento.

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Il vocabolario del potere fra intento etico-morale e tutela sociale. I lemmi dei Capitolari Carolingi nel Regnum Italicum (774-813), costituisce il risultato di una ricerca condotta sul lessico della legislazione carolingia promulgata per il Regno Italico dal momento della conquista dei Franchi sino alla morte di Carlomagno. L’analisi ha preso in esame tutti i lemmi, soprattutto sostantivi e aggettivi, riconducibili alla sfera etica e morale, e alla concezione della libertà della persona. Il lavoro si è giovato delle analisi più specifiche in merito ai concetti giuridico-istituzionali che fonti normative come quelle prese in esame portano inevitabilmente in primo piano. La ricerca, partita da una completa catalogazione dei lemmi, si è concentrata su quelli che maggiormente consentissero di valutare le interazioni fra la corte intellettuale dei primi carolingi – formata come noto da uomini di chiesa – e le caratteristiche di pensiero di quegli uomini, un pensiero sociale e istituzionale insieme. Il lavoro ha analizzato un lessico specifico per indagare come la concezione tradizionale della societas Christiana si esprimesse nella legislazione attraverso lemmi ed espressioni formulari peculiari: la scelta di questi da parte del Rex e della sua cerchia avrebbe indicato alla collettività una pacifica convivenza e definito contestualmente “l’intento ordinatore e pacificatore” del sovrano. L’analisi è stata condotta su un periodo breve ma assai significativo – un momento di frattura politica importante – per cogliere, proprio sfruttando la sovrapposizione e talvolta lo scontro fra i diversi usi di cancelleria del regno longobardo prima e carolingio poi, la volontarietà o meno da parte dei sovrani nell’uso di un lessico specifico. Questo diventa il problema centrale della tesi: tale lessico impone con la sua continuità d’uso modelli politici o invece è proprio un uso consapevole e strumentale di un determinato apparato lessicale che intende imporre alla società nuovi modelli di convivenza?

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L’elaborato finale presentato per la tesi di Dottorato analizza e riconduce a unitarietà, per quanto possibile, alcune delle attività di ricerca da me svolte durante questi tre anni, il cui filo conduttore è l'impatto ambientale delle attività umane e la promozione dello sviluppo sostenibile. Il mio filone di ricerca è stato improntato, dal punto di vista di politica economica, sull'analisi storica dello sviluppo del settore agricolo dall'Unità d'Italia ai giorni nostri e dei cambiamenti avvenuti in contemporanea nel contesto socio-economico e territoriale nazionale, facendo particolare riferimento alle tematiche legate ai consumi e alla dipendenza energetica ed all'impatto ambientale. Parte della mia ricerca è stata, infatti, incentrata sull'analisi dello sviluppo della Green Economy, in particolare per quanto riguarda il settore agroalimentare e la produzione di fonti di energia rinnovabile. Enfasi viene posta sia sulle politiche implementate a livello comunitario e nazionale, sia sul cambiamento dei consumi, in particolare per quanto riguarda gli acquisti di prodotti biologici. La Green Economy è vista come fattore di sviluppo e opportunità per uscire dall'attuale contesto di crisi economico-finanziaria. Crisi, che è strutturale e di carattere duraturo, affiancata da una crescente problematica ambientale dovuta all'attuale modello produttivo, fortemente dipendente dai combustibili fossili. Difatti la necessità di cambiare paradigma produttivo promuovendo la sostenibilità è visto anche in ottica di mitigazione del cambiamento climatico e dei suoi impatti socio-economici particolare dal punto di vista dei disastri ambientali. Questo punto è analizzato anche in termini di sicurezza internazionale e di emergenza umanitaria, con riferimento al possibile utilizzo da parte delle organizzazioni di intervento nei contesti di emergenza di tecnologie alimentate da energia rinnovabile. Dando così una risposta Green ad una problematica esacerbata dall'impatto dello sviluppo delle attività umane.

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Il dolore non è solo una conseguenza della malattia ma un fattore patogeno che è di per se stesso in grado di perpetuare il danno all’organismo. Il suo trattamento non è quindi solo un atto di umanità ma un contributo ad arrestare la malattia e restituire la salute al paziente. Tra i farmaci più popolari per la terapia del dolore negli animali da affezione si trova la buprenorfina. Questa molecola viene impiegata con successo da anni nel cane e nel gatto per motivi riconducibili, oltre che alla sua efficacia (la sua potenza è diverse volte quella della morfina), alla lunga durata d’azione e alla scarsità degli effetti collaterali. Nonostante l’ampia diffusione e longevità del suo utilizzo, però, sappiamo poco della farmacocinetica di questa molecola negli animali da affezione; i dosaggi clinicamente impiegati sono di fatto estrapolati dagli studi nell’uomo oppure basati su semplici osservazioni degli effetti; i pochi dati farmacocinetici ottenuti nel cane fanno riferimento a singoli boli di dosi che non sempre corrispondono a quelle clinicamente impiegate. Nonostante la buprenorfina trovi il suo principale impiego nelle somministrazioni protratte a lungo (durante il periodo post-operatorio o la degenza ospedaliera) non è mai stato indagato il profilo farmacocinetico della molecola somministrata a boli ripetuti o come infusione continua. Il nostro studio si pone come obiettivo di indagare la farmacocinetica della buprenorfina somministrata come bolo di carico seguito da un’infusione costante a dosaggi considerati clinici in cani sani nel periodo post operatorio. Lo scopo ultimo è quello di sviluppare un protocollo per la somministrazione di questa molecola in modo prolungato in pazienti degenti ed addolorati per poi, in futuro, confrontare la somministrazione come infusione continua con i tradizionali boli ripetuti. Per lo studio sono state utilizzate giovani cagne adulte di taglia media o grande sottoposte ad intervento di ovariectomia.

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Gli scavi effettuati a Classe, a sud di Ravenna, presso i siti archeologici dell'area portuale e della Basilica di San Severo, hanno portato alla luce un numero abbondante di moneta, 2564 dall'area portuale e 224 dalla basilica, un totale di 2788 reperti monetali, di cui solo 863 sono leggibili e databili. La datazione dei materiali dell’area portuale, fondata agli inizi del V secolo, parte dal II secolo a.C. fino all’VIII secolo d.C.. La maggior parte dei reperti è relativa al periodo tra il IV e il VII secolo, il momento di massima importanza del porto commerciale, con testimonianza di scambi con altri porti del bacino mediterraneo, in particolare con l’Africa del Nord e il Vicino Oriente. La documentazione proveniente dalla Basilica di San Severo, fondata alla fine del VI secolo per la custodia delle reliquie del santo, mostra un trend diverso dal precedente, con monetazione che copre un arco cronologico dal I secolo a.C. fino al XIV secolo d.C.. La continuità dell’insediamento è dimostrato dall’evidenza numismatica, seppur scarsa, fino alla costruzione del monastero a sud della basilica, l’area dalla quale provengono la maggior parte delle monete. I quantitativi importanti di monetazione tardoantica, ostrogota e bizantina, in particolare di tipi specifici come il Felix Ravenna, ipoteticamente coniato a Roma, oppure il ½ e il 1/4 di follis di produzione saloniana emesso da Giustiniano I, hanno concesso uno studio dettagliato per quello che riguarda il peso, le dimensioni e lo stile di produzione di queste emissioni. Questi dati e la loro distribuizione sul territorio ha suggerito nuove ipotesi per quello che riguarda la produzione di questi due tipi presso la zecca di Ravenna. Un altro dato importante è il rinvenimento di emissioni di Costantino VIII, alcune rare e altre sconosciute, rinvenute solo nel territorio limitrofo a Classe e Ravenna.

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La tesi riguarda il miniatore Giulio Clovio (Grižane, Croazia, 1498 – Roma, 1578), considerandolo come il fulcro di una rete di relazioni tra committenti, artisti e letterati. È divisa in tre parti, seguendo la vita dell’artista: giovinezza (1498-1534), maturità (1534-1561) e vecchiaia (1561-1578). Tra i committenti più significativi: Domenico e Marino Grimani e il cardinale Alessandro Farnese. Tra gli artisti italiani: Giulio Romano, Girolamo dai Libri, Valerio Belli, Sofonisba Anguissola. Tra gli artisti europei: Francisco de Hollanda, Pieter Brueghel il Vecchio, Bartholomeus Sprangher, El Greco e Lampsonio.

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La ricerca sul «Dionisismo nelle comunità fenicie e puniche: il caso di Mozia» prende in considerazione le diverse attestazioni del dionisismo quale si evidenziano, con le sue ricadute politiche e cultuali, nelle comunità fenicie e puniche della Sicilia, della Sardegna e della stessa Cartagine. Accanto ad una lettura testuale utile alla storicizzazione contestualizzata del fenomeno, fra cui lo stesso pitagorismo, si propone un corpus che comprende prodotti delle categorie artigianali che restituiscono iconografie di’ambientazione dionisiaca, testimonî dell'adozione sociale e pubblica di una cultualità la cui origine si mostra sempre più vicina a contesti vicino-orientali. Da una rilettura storicizzata del dionisismo, quindi, si mettono in evidenza con un approccio multidisciplinare e comparativistico le caratteristiche del culto, di cui si sottolinea fra l’altro la componente ctonia. In particolare il santuario tofet, con le sue recenti riletture di santuario cittadino e pluricultuale, sembra proporre analogie fra il mlk e la ritualità dionisiaca. Analogie che confermano la vocazione mediterranea ed interculturali delle comunità fenicie e puniche e che in più di un caso daranno luogo a sincretismi che si trasmetteranno sino ed oltre l’età romana. In questo colloquio interetnico Mozia svolge un ruolo non secondario insieme a Selinunte, vero e proprio laboratorio del sincretismo cultuale della Sicilia Occidentale pre-romana, dove i culti di Zeus Melichios e di Demetra si pongono come realtà rituali fra le più utili alla coesione sociale, quell’analoga coesione solciale elitaria perseguita dal dionisismo.

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Questa ricerca propone una lettura comparata degli scritti di Bernard Mandeville. L'intento è di porre in relazione gli argomenti morali, etici e politici con le "gandi voci" dell'epoca: primi fra tutti Hobbes e Locke. L'impianto interpretativo è strutturato in modo da delineare il metodo adottato nelle riflessioni filosofiche mandevilliane e da qui, mantenendo una divisione di piani, rintracciare i concetti di riferimento sia dal punto di vista metafico sia da quello ontologico. Si ritiene, allora, che il metodo basato sull'uomorismo, come forma oggettivante del fenomeno – sociale e non – porti alla definizione della nozione di natura umana a partire da una conzione di natura in sé corrotta metafisicamente. Ciò trova nel paradigma di "naturalismo fisiologico" un riferimento da cui muovere l'analisi antropologica e morale degli uomini in società. Un'indagine che rintraccia nell'"etica del male minore" un modello con cui valutare le scelte e le azioni in ambito collettivo e pubblico. La lettura dei vari testi, allora, mostra come la politica sia influenzata da questo modello nello strutturare istituzioni che stimolino la produzione e l'incremento della ricchezza, seppur questo non sia alla portata di tutti. La sperequazione economica, allora, a fronte di un benessere collettivo elevato appare come un "male minore".

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L’impegno civile di Umberto Zanotti Bianco (1889-1963) intrecciandosi ai principali eventi storici della prima metà del Novecento ha concorso a fare del Mezzogiorno d’Italia un laboratorio per una concreta emancipazione delle fasce sociali più umili. In queste coordinate l’azione di Zanotti Bianco è emblematica: supera la visione conservatrice di un sud incapace di fare emergere saperi e capacità organizzative mirando invece attraverso chiari, determinati e moderni progetti di riforma a far crescere il lievito della consapevolezza e della capacità di governarsi. Si può legittimamente sostenere che la complessa azione di Zanotti Bianco, pur partendo dalle migliori e più avanzate forme del pensiero meridionalista di inizio secolo, nella pratica tende a superare anche queste collocando la questione del Mezzogiorno d’Italia non solo nello scenario nazionale, tipico della fondamentale e già innovativa riflessione intorno al sud sviluppatasi da Villari a Salvemini, ma proietta le problematiche del meridione all’interno di un quadro europeo con una spiccata vocazione mediterranea. In sostanza i piani dell’intervento sociale, studiati e messi a punto inizialmente in Calabria e nelle regioni economicamente depresse del nostro Mezzogiorno, per Zanotti Bianco sembrano essere da modello anche per le più complesse questioni sociali di altri popoli del bacino del Mediterraneo i quali (come le popolazioni dell’Italia meridionale in quegli anni) apparivano deficitarii di strumenti per lo sviluppo economico, sociale, politico: è questa la tesi qui proposta.

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I nucleotidi trifosfato sono, dal punto di vista evoluzionistico, tra le molecole più antiche e conservate tra le specie. Oltre al ruolo che ricoprono nella sintesi degli acidi nucleici e nel metabolismo energetico della cellula, negli ultimi anni è emerso sempre di più il loro coinvolgimento nella regolazione di numerose funzioni cellulari. Questi importanti mediatori cellulari sono presenti nel microambiente e cambiamenti nella loro concentrazione extracellulare possono modulare la funzionalità cellulare. I nucleotidi trifosfato ATP e UTP, presenti nel microambiente midollare, sono dei potenti stimolatori dei progenitori emopoietici. Essi stimolano la proliferazione e l’attecchimento delle cellule staminali emopoietiche, così come la loro capacità migratoria, attraverso l’attivazione di specifici recettori di membrana, i recettori purinergici (P2R). In questo studio abbiamo dimostrato che ATP e UTP esercitano un effetto opposto sul compartimento staminale leucemico di leucemia acuta mieloide (LAM). Abbiamo dimostrato che le cellule leucemiche esprimono i recettori P2 funzionalmente attivi. Studi di microarray hanno evidenziato che, a differenza di ciò che avviene nelle CD34+, la stimolazione di cellule leucemiche con ATP induce la down-regolazione dei geni coinvolti nella proliferazione e nella migrazione, mentre up-regola geni inibitori del ciclo cellulare. Abbiamo poi confermato a livello funzionale, mediante test in vitro, gli effetti osservati a livello molecolare. Studi di inibizione farmacologica, ci hanno permesso di capire che l’attiviinibitoria dell’ATP sulla proliferazione si esplica attraverso l’attivazione del recettore P2X7, mentre i sottotipi recettoriali P2 prevalentemente coinvolti nella regolazione della migrazione sono i recettori P2Y2 e P2Y4. Esperimenti di xenotrapianto, hanno evidenziato che l’esposizione ad ATP e UTP sia dei blasti leucemici sia delle cellule staminali leucemiche CD38-CD34+ diminuisce la loro capacità di homing e di engraftment in vivo. Inoltre, il trattamento farmacologico con ATP, di topi ai quali è stata indotta una leucemia umana, ha diminuito lo sviluppo della leucemia in vivo.

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Il percorso sui Frammenti di Erodoto è cronologico. L'introduzione presenta criteri di lavoro, un esempio di studio sul Proemio delle Storie e la struttura generale. Per ogni momento è preso in considerazione un fenomeno particolare con un esempio. Il primo caso è contemporaneo ad Erodoto. Si tratta di un test che riguarda la criticità di alcuni concetti chiave tradizionali: intertestualità e riferimenti letterali. Il secondo capitolo è uno studio sulla storiografica di IV secolo a.C., periodo di fioritura e determinazione delle norme del genere. Qui si mettono in luce la criticità dei frammenti multipli aprendo in questo modo ampie possibilità di ricerca. Il capitolo successivo, sulla tradizione papiracea mostra il passaggio storico tra la tradizione indiretta a la tradizione manoscritta e permette uno sguardo all'epoca alessandrina. Include un catalogo ed alcuni aggiornamenti. Il capitolo quinto pone invece problemi tradizionali di trasmissione delle tradizioni storiche affrontando lo studio di FGrHist 104, testo che permette di osservare passaggi della storiografia di quinto e quarto secolo avanti Cristo. I due capitoli sulle immagini e sul Rinascimento, paralleli per quanto riguarda i riferimenti cronologici, offrono un ponte per passare dal discorso storiografico a quello in cui la consapevolezza di Erodoto è già maturata come parte della ”cultura”. Alto Medioevo, Umanesimo e Rinascimento offrono spazio a storie delle Storie che iniziano ad essere quasi di ricezione di Erodoto. Questo tema è l'oggetto dei due capitoli finali, studi legati alla presenza o assenza di Erodoto in discipline e pensieri moderni e contemporanei: il pensiero di genere e l’analisi conversazionale. Le appendici completano soprattutto il capitolo su Aristodemo con uno studio sul codice che lo trasmette, il papiro P.Oxy 2469 e il testo stesso, con traduzione e commento storico. Il lavoro si completa con una premessa, una bibliografia strutturata e indici di persone e passi citati.

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Dopo aver analizzato il conflitto, le sue funzioni e le modalità di gestione, l'autore si sofferma dapprima sulle varie tipologie di mediazione per poi focalizzare l'attenzione sulla mediazione civile e commerciale evidenziando i dati disponibili dall'entrata in vigore del tentativo obbligatorio come condizione di procedibilità della domanda giudiziale per le materie civili, alla fine del 2013.

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L’ipotesi di fondo su cui si basa l’intero lavoro è che il dolore oncologico debba essere riconosciuto come “malattia nella malattia”: non si può considerare tale dolore mero “sintomo” del cancro ma esperienza totale che coinvolge l’intera persona. Il dolore oncologico è carico di valenze e significati personali, è associato a rappresentazioni sociali e, come ogni malattia, è disease, illness e sickness. Partendo da questo presupposto, la dissertazione si è posta come obiettivo generale quello di studiare il dolore oncologico tra le donne con tumore al seno, le sue componenti sociali, psicologiche, individuali oltre che fisiche; si è voluto inoltre studiare la specificità del vissuto e dei significati associati all’esperienza dolorosa. Il lavoro è articolato in due parti fondamentali, una teorica ed una empirica. La prima presenta un inquadramento dei principali concetti della sociologia della salute riguardanti il dolore. Per quanto riguarda la parte empirica, si è fatto ricorso ad una ricerca mista, fatta di metodi misti e fondata su un approccio metodologico di natura integrativa che si avvale di tecniche quantitative e qualitative. La parte quantitativa si basa su una parte dei dati della ricerca nazionale ESOPO - Epidemiological Study of Pain in Oncology. Dall’intero campione sono state isolate le sole donne con tumore al seno (n=846). Si è proceduto quindi allo studio di tale campione, alle elaborazioni statistiche con il programma SPSS e all’interpretazione dei risultati. Per quanto riguarda la parte qualitativa, invece, è stata condotta un’analisi delle fonti che si è avvalsa di un approccio netnografico: è stata condotta un’osservazione non intrusiva di 12 blog scritti da donne con tumore al seno, con lo scopo di indagare le narrazioni di malattia, i vissuti personali, i significati di dolore e malattia e le loro ripercussioni sulla vita quotidiana.