93 resultados para Rhipicephalus sanguineus sensu lato


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Lo studio del lato soggettivo del rapporto è centrale nella teoria dell’obbligazione. Ci si chiede se la modificazione di una o anche di entrambe le parti del rapporto determini sempre la sua estinzione o se, invece, si conservi la sua unitarietà oggettiva. La risposta a questo interrogativo è stata diversa a seconda delle diverse epoche storiche. Nel diritto romano si riteneva che la variazione di qualunque soggetto determinasse l’estinzione del rapporto e la costituzione di una nuova obbligazione (novazione soggettiva). Tale soluzione è stata osteggiata dai codificatori moderni per i quali, in caso di modifica delle personae non si ha estinzione del rapporto, ma solo il mutamento di uno dei suoi elementi. Quanto ai diritti di garanzia, in particolare l’ipoteca, i principi generali essenzali sono la specialità e l’accessorietà. Quest’ultima caratteristica è dirimente in caso di modificazione soggettiva del rapporto e ciò emerge in sede di trattazione delle singole fattispecie del Codice Civile che la determinano, sia quanto al creditore sia quanto al debitore. Per velocizzare il subentro nel credito, nel 2007 è stato approvato il decreto Bersani (sulla portabilità del mutuo) che ha consentito di rimuovere vincoli a tale circolazione, nell’ambito dei rapporti bancari. Le caratteristiche della modificazione del rapporto obbligatorio, tuttavia, possono minare l’efficacia della riforma Bersani. Questo è il motivo per il quale taluni studiosi ritengono necessario procedere a un’ampia rivisitazione dell’intero diritto ipotecario, eliminando, sulla scia di quanto accaduto in altri ordinamenti europei, il requisito dell’accessorietà del vincolo. Nonostante ciò, a causa dei rischi connessi a questa riforma, si ritiene preferibile affinare il meccanismo di perfezionamento della portabilità, eliminandone le criticità, senza però pregiudicare le sicurezze dell’attuale sistema giuridico, di cui l’accessorietà dell’ipoteca rispetto al credito costituisce un importante caposaldo.

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L’approccio innovativo di questa tesi alla pianificazione ciclabile consiste nell’integrare le linee guida per la redazione di un biciplan con aspetti, metodologie e strumenti nuovi, per rendere più efficace la programmazione di interventi. I limiti del biciplan risiedono nella fase di pianificazione e di monitoraggio, quindi, nel 1° capitolo, vengono esaminate le differenze esistenti tra la normativa americana (AASHTO) e quella italiana (D.P.R. 557/99). Nel 2° capitolo vengono analizzati gli indicatori usati nella fase di monitoraggio e la loro evoluzione fino alla definizione degli attuali indici per la determinazione del LOS delle infrastrutture ciclabili: BLOS e BCI. L’analisi è integrata con le nuove applicazioni di questi indici e con lo studio del LOS de HCM 2010. BCI e BISI sono stati applicati alla rete di Bologna per risolvere problemi di pianificazione e per capire se esistessero problemi di trasferibilità. Gli indici analizzati prendono in considerazione solo il lato offerta del sistema di trasporto ciclabile; manca un giudizio sui flussi, per verificare l’efficacia delle policy. Perciò il 3° capitolo è dedicato alla metodologia sul monitoraggio dei flussi, mediante l’utilizzo di comuni traffic counter per le rilevazioni dei flussi veicolari. Dal monitoraggio è possibile ricavare informazioni sul numero di passaggi, periodi di punta, esistenza di percorsi preferiti, influenza delle condizioni climatiche, utili ai progettisti; si possono creare serie storiche di dati per controllare l’evoluzione della mobilità ciclabile e determinare l’esistenza di criticità dell’infrastruttura. L’efficacia della pianificazione ciclabile è legata al grado di soddisfazione dell’utente e all’appetibilità delle infrastrutture, perciò il progettista deve conoscere degli elementi che influenzano le scelte del ciclista. Nel 4° capitolo sono analizzate le tecniche e gli studi sulle scelte dell’itinerario dei ciclisti, e lo studio pilota fatto a Bologna per definire le variabili che influenzano le scelte dei ciclisti e il loro peso.

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Scopo del nostro lavoro è stato descrivere ed inquadrare gli aspetti psico-comportamentali e la qualità di vita della narcolessia in età evolutiva. Metodi: Abbiamo pertanto disegnato uno studio caso-controllo comprendente 30 pazienti narcolettici, 39 epilettici, e 39 controlli sani, appaiati per sesso e età. Risultati: La nostra popolazione di bambini e adolescenti affetti da narcolessia mostra un aumento delle problematiche internalizzanti. I due gruppi patologici hanno in comune punteggi più elevati rispetto ai controlli per i disturbi d’ansia, le difficoltà attentive e di socializzazione, i disturbi oppositivo-provocatori. Ciò che distingue, invece, i pazienti narcolettici, sono gli aspetti di ritiro e depressione, la tendenza alla somatizzazione, i problemi del pensiero ed i disturbi affettivi. Fattori di rischio psicopatologici per i giovani narcolettici sono risultati essere l’esordio precoce, il ritardo diagnostico, il sonno notturno disturbato, la minor latenza di sonno all’addormentamento, un maggior numero di SOREMP all’MSLT. Dall’altro lato la terapia farmacologica, un maggior numero di sonnellini spontanei e la durata di malattia, sembrano influenzare positivamente l’evoluzione comportamentale. La salute psicosociale dei giovani narcolettici, inoltre, risulta essere peggiore rispetto ai controlli sani, mentre la salute fisica non mostra differenze. I problemi internalizzanti influenzano negativamente tutti gli ambiti della salute di questi ragazzi, mentre la durata di malattia sembra migliorare il funzionamento scolastico. Conclusioni: Il nostro lavoro conferma che i giovani narcolettici presentano un maggior rischio psicopatologico sia rispetto ai controlli sani sia rispetto un’altra patologia neurologica cronica. Se da un lato alcuni aspetti comportamentali possono essere giustificati come una reazione adattativa verso una patologia neurologica invalidante, dall’altro un quadro distimico caratterizzato da ritiro e lamentele somatiche, sembra essere tipico dei bambini ed adolescenti narcolettici.

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Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.

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Oggetto della ricerca è l’accertamento dell’esistenza, nonché la definizione, della strategia dall’UE in materia di controversie commerciali aventi ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione di norme facenti capo agli Accordi OMC in materia di misure sanitarie e di barriere tecniche al commercio. Nella prima parte della tesi, si ricostruiscono gli obbiettivi perseguiti dall’UE in materia di controversie SPS e TBT. In questo contesto, un’importanza di primo piano è attribuita alla difesa dell’autonomia regolamentare dell’Unione. Ad essa si riconduce la prassi UE finalizzata a prevenire il sorgere di controversie sul piano bilaterale attraverso la conclusione di accordi di mutuo riconoscimento, la cui portata ella sottolinea essere tuttavia limitata. L’analisi di cinque controversie sorte in ambito OMC di cui l’Unione è o è stata parte convenuta e che si fondano su presunte o accertate violazioni delle norme facenti capo ai due accordi menzionati consente di classificare gli argomenti giuridici avanzati dall’Unione nel contesto di tali controversie. Nella seconda parte della ricerca, la candidata identifica i mezzi a servizio della strategia UE, in primo luogo, attraverso l’analisi del quadro giuridico relativo alla partecipazione dell’Unione e degli Stati Membri al sistema OMC di risoluzione delle controversie; in secondo luogo, attraverso lo studio, da un lato, dello status delle norme OMC nell’ordinamento UE e, dall’altro, degli effetti delle pronunce dell’Organo di Risoluzione delle Controversie e della questione della responsabilità dell’Unione per violazione del diritto OMC. Sulla base del lavoro di ricerca svolto, si conclude che una strategia dell’UE esiste nella misura in cui l’Unione persegue l’obbiettivo di preservare la propria autonomia regolamentare attraverso, anche se non esclusivamente, gli strumenti afferenti all’ordine giuridico interno analizzati nella seconda parte. La candidata conclude altresì che la riforma del diritto delle relazioni esterne operata dal Trattato di Lisbona può indurre un cambiamento di tale strategia.

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Numerosi studi mostrano che gli intervalli temporali sono rappresentati attraverso un codice spaziale che si estende da sinistra verso destra, dove gli intervalli brevi sono rappresentati a sinistra rispetto a quelli lunghi. Inoltre tale disposizione spaziale del tempo può essere influenzata dalla manipolazione dell’attenzione-spaziale. La presente tesi si inserisce nel dibattito attuale sulla relazione tra rappresentazione spaziale del tempo e attenzione-spaziale attraverso l’uso di una tecnica che modula l’attenzione-spaziale, ovvero, l’Adattamento Prismatico (AP). La prima parte è dedicata ai meccanismi sottostanti tale relazione. Abbiamo mostrato che spostando l’attenzione-spaziale con AP, verso un lato dello spazio, si ottiene una distorsione della rappresentazione di intervalli temporali, in accordo con il lato dello spostamento attenzionale. Questo avviene sia con stimoli visivi, sia con stimoli uditivi, nonostante la modalità uditiva non sia direttamente coinvolta nella procedura visuo-motoria di AP. Questo risultato ci ha suggerito che il codice spaziale utilizzato per rappresentare il tempo, è un meccanismo centrale che viene influenzato ad alti livelli della cognizione spaziale. La tesi prosegue con l’indagine delle aree corticali che mediano l’interazione spazio-tempo, attraverso metodi neuropsicologici, neurofisiologici e di neuroimmagine. In particolare abbiamo evidenziato che, le aree localizzate nell’emisfero destro, sono cruciali per l’elaborazione del tempo, mentre le aree localizzate nell’emisfero sinistro sono cruciali ai fini della procedura di AP e affinché AP abbia effetto sugli intervalli temporali. Infine, la tesi, è dedicata allo studio dei disturbi della rappresentazione spaziale del tempo. I risultati ci indicano che un deficit di attenzione-spaziale, dopo danno emisferico destro, provoca un deficit di rappresentazione spaziale del tempo, che si riflette negativamente sulla vita quotidiana dei pazienti. Particolarmente interessanti sono i risultati ottenuti mediante AP. Un trattamento con AP, efficace nel ridurre il deficit di attenzione-spaziale, riduce anche il deficit di rappresentazione spaziale del tempo, migliorando la qualità di vita dei pazienti.

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L’albumina umana (HA) è usata per le sue proprietà oncotiche per ricostituire il volume circolante in pazienti critici e nella cirrosi epatica avanzata. Tuttavia, l’albumina non è solo semplice espansore plasmatico, ma è provvista anche di proprietà non oncotiche, quali, la capacità di legare e trasportare molecole insolubili in acqua, come metalli e farmaci, il suo potere antiossidante e di detossificazione di sostanze sia endogene che esogene. Il nostro studio, è stato progettato da un lato per dimostrare che il trattamento in cronico con albumina umana nei pazienti cirrotici con ascite è in grado di ridurre l’incidenza di ascite refrattaria, delle complicanze legate all’uso dei diuretici e la ricorrenza delle ospedalizzazioni (studio randomizzato), dall’altro per determinare se le alterazioni delle proprietà non oncotiche dell’albumina, possono rappresentare degli indicatori di un aumentato rischio di complicanze cliniche e di una prognosi sfavorevole di questi pazienti (studio di coorte). METODI Studio multicentrico, prospettico, randomizzato, in 440 pts cirrotici con ascite: due bracci di trattamento: t. medica standard vs t. medica standard + albumina; Studio di coorte con 110 cirrotici vs 50 individui sani, valutati mediante -analisi proteomica per individuare con le modifiche post-trascrizionali; - Cobalt Binding Albumina (ACB) per quantificare la quota di albumina modificata dall’ischemia e IMA-Ratio. RISULTATI Studio randomizzato: non è possibile trarre conclusioni, ma emerge un dato incoraggiante, cioè i pazienti del braccio standard hanno una maggiore tendenza a chiudere lo studio per tre paracentesi / mese; Studio Coorte:-IMA e IMA-R sono aumentati in cirrosi, ma non associate a complicanze della cirrosi, l'infezione batterica è associata ad un aumento IMA e IMA-R in cirrosi. CONCLUSIONE: Lo studio randomizzato è in corso ma i dati preliminari sono incoraggianti. Lo studio coorte, ha dimostrato che la cirrosi è associata da alterazioni post-trascrizionali che coinvolgono il N-terminale ed i siti di legame Cys-34.

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Questo studio propone un’esplorazione dei nessi tra fenomeno migratorio, dinamiche transnazionali e quadri familiari, in un contesto specificato che è quello peruviano. Dal confronto critico con i paradigmi disciplinari in uso negli ambiti dell’antropologia delle migrazioni, degli studi sul transnazionalismo e sulle famiglie transnazionali, e dell’etnografia multi-situata, si è tentata una lettura teorica e metodologica che renda conto del contesto socio-familiare di partenza non come parte periferica di una completa visione del migrante, ma quale oggetto specifico della ricerca. L’obbiettivo è verificare, a livello locale, quale siano gli impatti della migrazione esterna di uno o più membri sulle strutture e sulle dinamiche, sui codici e sui ruoli del nucleo parentale originario. E individuare, sul piano transnazionale, quali reti, quali rituali o pratiche di connessione funzionino tra coloro che vanno e coloro che restano, quali discorsi e quali culture migratorie si sviluppino e si condividano. La ricerca si è svolta in Perù tra il 2009 ed il 2011. Il campo dell’indagine si è diviso tra due località nell’area della Costa del Perù. Lima, la capitale, e Chiclín, un villaggio rurale nella regione settentrionale de La Libertad. Attraverso le tecniche d’inchiesta della pratica etnografica, una permanenza prolungata sul terreno e l’osservazione partecipante, si è lavorato con i membri adulti di ambo i sessi di tre gruppi parentali distribuiti tra i due luoghi menzionati, selezionati in partenza sulla base dei contatti forniti da alcuni dei loro familiari emigrati in Italia tra il 1990 ed il 2000. Centrare l’analisi sulle figure per certi aspetti marginali dell’esperienza della migrazione normalmente considerata, è servito da un lato a rovesciare parzialmente la prospettiva transnazionale aggiustandola proprio rispetto a quegli attori sociali; dall’altro e ad un tempo, ha permesso di fare luce su dinamiche migratorie più generali, di ricostruirle e di ri-teorizzarle.

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La ricerca si propone di inquisire il modo in cui il fantastico del primo Novecento utilizza la rappresentazione finzionale degli oggetti ai fini della propria emersione. Si ipotizza che certi schemi rappresentativi elaborati da autori fantastici come Hoffmann, Poe o Maupassant siano riscontrabili anche nella letteratura del XX secolo, e vengano reimpiegati per rispondere a una mutata situazione socioculturale. La tesi è bipartita: la prima parte, che è a sua volta suddivisa in due capitoli, funziona da cornice teorica e storica alle analisi testuali. Vi si discute del concetto di immagine; e da tale discussione viene derivata una precisa idea di spazio e di oggetto letterari. In seguito si procede a una ricostruzione della storia del fantastico ottocentesco (dalla quale non sono assenti riflessioni teoriche e in particolare genologiche), che da un lato è volta a storicizzare l’idea di “genere fantastico”; dall’altro ha come obiettivo l’identificazione di una tipologia di oggetti strutturalmente legata a quel genere narrativo. Due sono le classi di oggetti così individuate, e altrettanti i capitoli che compongono la seconda parte del lavoro. Entrambi i tipi di oggetto, che per semplicità si possono chiamare oggetti-feticcio e oggetti spettrali, stanno a metà strada tra immaginario e reale; ma mentre l’oggetto-feticcio ha qualcosa in più rispetto a un oggetto descritto realisticamente, l’oggetto spettrale ha un che di deficitario, e non giunge al risultato di una completa materializzazione. Tra gli autori affrontati compaiono Papini, Pirandello, Bontempelli, Savinio, Landolfi; né mancano riferimenti ad autori di altre nazioni da Kafka a Sartre, da James a Virginia Woolf, in ottemperanza all’idea di considerare il fantastico italiano all’interno di una più ampia geografia letteraria.

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La tesi intende offrire una disamina approfondita dell’istituto del giudicato implicito, di rito e di merito, sotto il duplice profilo dei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, da un lato, e dei rilievi critici della dottrina, dall’altro. Il candidato si sofferma, preliminarmente, sulla ratio delle recenti sentenze delle sezioni unite della Cassazione, le quali promuovono un’interpretazione restrittiva e residuale dell’art. 37 c.p.c. alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata. Si pone, quindi, il problema del rapporto tra il giudicato implicito sulla giurisdizione e i principi processuali costituzionali, dedicando ampio spazio e rilievo alle riflessioni critiche della dottrina sulla teoria del giudicato implicito. Il candidato passa così all’esame del giudicato implicito sulle questioni preliminari di merito, dopo aver trattato il tema dell’ordine logico-giuridico delle questioni e della struttura della decisione. Nel corso di questa analisi, ravvisa nel principio della ragione più liquida la negazione dell’idea di giudicato implicito, sviluppando così alcune riflessioni critiche sul giudicato di merito implicito. A questo punto, il piano dell’indagine si incentra su un aspetto specifico dell’istituto in esame, particolarmente importante sotto il profilo dei risvolti applicativi: le implicazioni del giudicato implicito in sede di impugnazione. Segue, quindi, la parte conclusiva della tesi dedicata ai profili di criticità del recente orientamento delle sezioni unite, con particolare riguardo all’onere di appello incidentale della parte vittoriosa nel merito. La tesi mette in luce come la struttura degli istituti venga in qualche misura piegata ad esigenze di deflazione, che andrebbero però perseguite con altri e più coerenti strumenti.

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Il lavoro è una riflessione sugli sviluppi della nozione di definizione nel recente dibattito sull'analiticità. La rinascita di questa discussione, dopo le critiche di Quine e un conseguente primo abbandono della concezione convenzionalista carnapiana ha come conseguenza una nuova concezione epistemica dell'analiticità. Nella maggior parte dei casi le nuove teorie epistemiche, tra le quali quelle di Bob Hale e Crispin Wright (Implicit Definition and the A priori, 2001) e Paul Boghossian (Analyticity, 1997; Epistemic analyticity, a defence, 2002, Blind reasoning, 2003, Is Meaning Normative ?, 2005) presentano il comune carattere di intendere la conoscenza a priori nella forma di una definizione implicita (Paul Horwich, Stipulation, Meaning, and Apriority, 2001). Ma una seconda linea di obiezioni facenti capo dapprima a Horwich, e in seguito agli stessi Hale e Wright, mettono in evidenza rispettivamente due difficoltà per la definizione corrispondenti alle questioni dell'arroganza epistemica e dell'accettazione (o della stipulazione) di una definizione implicita. Da questo presupposto nascono diversi tentativi di risposta. Da un lato, una concezione della definizione, nella teoria di Hale e Wright, secondo la quale essa appare come un principio di astrazione, dall'altro una nozione della definizione come definizione implicita, che si richiama alla concezione di P. Boghossian. In quest'ultima, la definizione implicita è data nella forma di un condizionale linguistico (EA, 2002; BR, 2003), ottenuto mediante una fattorizzazione della teoria costruita sul modello carnapiano per i termini teorici delle teorie empiriche. Un'analisi attenta del lavoro di Rudolf Carnap (Philosophical foundations of Physics, 1966), mostra che la strategia di scomposizione rappresenta una strada possibile per una nozione di analiticità adeguata ai termini teorici. La strategia carnapiana si colloca, infatti, nell'ambito di un tentativo di elaborazione di una nozione di analiticità che tiene conto degli aspetti induttivi delle teorie empiriche

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Il lavoro di Elisa Tosi Brandi riguarda il mestiere del sarto nel basso Medioevo e si sviluppa utilizzando due prospettive differenti. Da un lato, infatti, si è deciso di seguire una tradizione di studi oramai consolidata, che privilegia l’indagine degli aspetti economici e politici, dall’altro si è scelto di non trascurare la storia dei prodotti degli artigiani. L’approccio utilizzato in questa tesi tiene insieme entrambe le prospettive di ricerca, tentando dunque di indagare i produttori e i prodotti così come le fasi e i metodi di lavoro. Ciò senza ignorare, da un lato, indagini di tipo politico, economico e sociale, poiché tali oggetti sono lo specchio della società che li ha ideati e creati e da cui non si può prescindere e, dall’altro, indagini di tipo tecnico, poiché gli oggetti sono rivelatori del complesso patrimonio di conoscenze artigianali. Partendo dal caso di studio della Società dei sarti della città di Bologna, la tesi di Elisa Tosi Brandi ricostruisce questo mestiere confrontando tra loro fonti inedite (statuti corporativi, matricole, estimi) e studi effettuati su altre aree italiane. La ricca documentazione conservata ha consentito di mettere in luce l’organizzazione di questo lavoro, di collocare abitazioni e botteghe nell’area del mercato e nel più ampio tessuto cittadino, di individuare i percorsi commerciali e di approvvigionamento. L’ultima parte della tesi offre l’analisi di alcune fonti materiali al fine di ricostruire le tecniche sartoriali medievali intrecciando tutte le fonti consultate: dai documenti scritti si passa pertanto agli abiti che offrono informazioni dirette sulle tecniche di taglio ed assemblaggio.

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Le ragioni della delocalizzazione sono molteplici e di differente natura. Si delocalizza, in primo luogo, per ragioni di stampo economico, finanziario eccetera, ma questa spinta naturale alla delocalizzazione è controbilanciata, sul piano strettamente tributario, dall’esigenza di preservare il gettito e da quella di controllare la genuinità della delocalizzazione medesima. E’ dunque sul rapporto tra “spinte delocalizzative” dell’impresa, da un lato, ed esigenze “conservative” del gettito pubblico, dall’altro, che si intende incentrare il presente lavoro. Ciò alla luce del fatto che gli strumenti messi in campo dallo Stato al fine di contrastare la delocalizzazione (più o meno) artificiosa delle attività economiche devono fare i conti con i principi comunitari introdotti con il Trattato di Roma e tratteggiati negli anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In quest’ottica, la disciplina delle CFC costituisce un ottimo punto di partenza per guardare ai fenomeni di produzione transnazionale della ricchezza e agli schemi di ordine normativo preposti alla tassazione di codesta ricchezza. Ed infatti, le norme sulle CFC non fanno altro che omogeneizzare un sistema che, altrimenti, sarebbe lasciato alla libera iniziativa degli uffici fiscali. Tale “normalizzazione”, peraltro, giustifica le esigenze di apertura che sono incanalate nella disciplina degli interpelli disapplicativi. Con specifico riferimento alla normativa CFC, assumono particolare rilievo la libertà di stabilimento ed il principio di proporzionalità anche nella prospettiva del divieto di abuso del diritto. L’analisi dunque verterà sulla normativa CFC italiana con l’intento di comprendere se codesta normativa, nelle sue diverse sfaccettature, possa determinare situazioni di contrasto con i principi comunitari. Ciò anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal legislatore con il d.l. 78/2009 in un quadro normativo sempre più orientato a combattere le delocalizzazioni meramente fittizie.

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La ricerca ha ad oggetto l’analisi della disciplina della responsabilità del vettore terrestre di merci per conto terzi ed i riflessi che detta disciplina ha avuto modo di svilupparsi nel mercato assicurativo. L’attenzione è stata rivolta al contratto di trasporto di cose in generale, seguendone la disciplina codicistica e le evoluzioni legislative intervenute. Particolare rilievo assume la novella apportata all’art. 1696 c.c., introdotta dall’art. 10 del Dlgs. 286/2005, grazie alla quale l’ordinamento italiano ha potuto codificare il limite di indennizzo dovuto dal vettore nell’ipotesi di colpa lieve, L’introduzione del limite legale di indennizzo per le ipotesi di responsabilità per perdita o avaria della merce trasportata ha generato nel mondo assicurativo interessanti reazioni. L’elaborato esamina anche l’evoluzione giurisprudenziale formatisi in tema di responsabilità vettoriale, evidenziando il crescente rigore imposto dalla giurisprudenza fondato sul principio del receptum. Tale fenomeno ha visto immediata reazione nel mercato assicurativo il quale, sulla base di testi contrattuali non dissimili tra le diverse compagnie di assicurazioni operanti sul mercato domestico e che traevano origine dai formulari approvati dall’ANIA, ha seguito l’evoluzione giurisprudenziale apportando significative restrizioni al rischio tipico previsto dalle coperture della responsabilità civile vettoriale. La ricerca si è poi focalizzata sull’esame delle più comuni clausole contemplate dalle polizze di assicurazioni di responsabilità civile e sul loro significato alla luce delle disposizioni di legge in materia. Tale analisi riveste preminente interesse poiché consente di verificare in concreto come l’assicurazione possa effettivamente costituire per l’impresa di trasporto non tanto un costo bensì una opportunità di risparmio da un lato ed un modello comportamentale, sebbene indotto, dall’altro lato per il raggiungimento di quei canoni di diligenza che qualsiasi operatore del settore dovrebbe tenere durante l’esecuzione del trasporto ed il cui venir meno determina, come detto, sensibili effetti pregiudizievoli di carattere economico.

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Il modello gravitazionale e' ormai diventato un "cavallo da battaglia" in economia internazionle ed e' comunemente utilizzato nella determinazione dei flussi commerciali. Recentemente, molti studi hanno mostrato l'importanza della dipendenza spaziale, che va' a considerare quegli effetti dovuti al cosiddetto "third country". Intervengono a questo scopo la modellistica e le tecniche di stima di Econometria Spaziale. Verra' fatto uso di tali tecniche allo scopo di stimare con un modello gravitazionale spaziale il commercio internazionale tra paesi dell'OCSE per un panel di 22 anni. L'obiettivo e' quindi duplice: da un lato, si andra' ad applicare le piu' moderne tecniche di Econometria Spaziale, in un campo in cui tali contributi scarseggiano. Dall'altro lato,verra' fornita una interpretazione del comportamento del commercio internazionale tra paesi dell'OCSE, approfondendo gli aspetti relativi all'effetto del"third country" e del fenomeno migratorio. Inoltre , viene proposta un'analisi che ha lo scopo di validare l'ipotesi di omissione della distanza dal modello gravitazione strutturale.