7 resultados para Geni e o Zapelin

em Universita di Parma


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Negli ultimi anni, si sono diffusi nuove strategie per il trattamento delle malattie cardiovascolari, che possano supportare una terapia medica, o in alcuni casi, sostituirla. Infatti, l’abbandono delle terapie è il più importante problema di salute pubblica del mondo occidentale, soprattutto per le malattie croniche. Ciò è dovuto alla complessità delle terapie farmacologiche e ai numerosi e in alcuni casi gravi effetti collaterali dei farmaci somministrati. Di conseguenza, una riduzione di questi effetti migliorerebbe le condizioni di vita del paziente e quindi diminuirebbe il rischio di abbandono della terapia. Per ottenere ciò, è possibile affiancare al trattamento farmacologico una terapia nutraceutica, consistente nella somministrazione di complessi molecolari o microorganismi, provenienti da piante, latte o cibi funzionali. Lo scopo generale di questo studio è indagare le attività ipolipidemizzanti di un composto nutraceutico e di un ceppo batterio specifico nel modello animale che presenta elevati alti livelli plasmatici di colesterolo. Inoltre, sono stati analizzati gli effetti del trattamento nutraceutico sui meccanismi fisiologici che contrastano la creazione della placca aterosclerotica come l’efflusso di colesterolo dalle “foam cells” presenti nell’ateroma, o la riduzione dell’assorbimento intestinale di colesterolo. La presente tesi è divisa in due parti. Nella prima parte, abbiamo analizzato la capacità dei Bifidobacteria di ridurre i livelli di colesterolo nel medium di crescita. Dall’analisi, si è osservato che vari ceppi del genere Bifidobacteria presentano un’ampia capacità di assimilazione del colesterolo all’interno della cellula batterica, in particolare il Bifidobacterium bifidum PRL2010. Le analisi di trascrittomica del Bb PRL2010 incubato in presenza di colesterolo, hanno rivelato un significativo aumento dei livelli di trascrizione di geni codificanti trasportatori e riduttasi, responsabili del meccanismo di accumulo all’interno della cellula batterica e della conversione del colesterolo in coprostanolo. L’attività ipolipidemizzante del Bb PRL2010 è stata poi valutata nel modello murino, mostrando la modificazione del microbiota dei topi trattati dopo somministrazione del batterio in questione. Nella seconda parte del progetto di ricerca, abbiamo indagato sugli effetti di un composto coperto da brevetto, chiamato “Ola”, sull’efflusso di colesterolo di criceti trattati con questo composto nutraceutico. L’efflusso di colesterolo è il primo step del meccanismo fisiologico noto come Trasporto Inverso del Colesterolo, che consente l’eliminazione del colesterolo dalle placche aterosclerotiche, attraverso l’interazione fra le HDL, presenti nella circolazione sanguigna, e specifici trasportatori delle foam cells, come ABCA1/G1 e SR-BI. In seguito, le lipoproteine rilasciano il colesterolo alle cellule epatiche, dove è metabolizzato ed escreto attraverso le feci. Per valutare l’effetto dell’Ola sul profilo lipidico dei criceti, sono state condotte analisi in vitro. I risultati mostrano un aumento dell’efflusso di colesterolo in cellule che esprimono il trasportatore ABCA1, comparato con il gruppo controllo. Questi due studi mostrano come l’approccio nutraceutico può essere un importante modo per contrastare l’aterosclerosi. Come mostrato in letteratura, gli effetti dei composti nutraceutici sull’aterosclerosi e su altre malattie croniche, hanno portato a un ampio uso come supporto alle terapie farmacologiche, ed in alcuni casi hanno rimpiazzato la terapia farmacologica stessa.

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Clusterina (CLU) è una proteina ubiquitaria, presente nella maggior parte dei fluidi corporei e implicata in svariati processi fisiologici. Dalla sua scoperta fino ad oggi, CLU è risultata essere una proteina enigmatica, la cui funzione non è ancora stata compresa appieno. Il gene codifica per 3 varianti trascrizionali identificate nel database NCBI con i codici: NM_001831 (CLU 1 in questo lavoro di tesi), NR_038335 (CLU 2 in questo lavoro di tesi) e NR_045494 (CLU 3 in questo lavoro di tesi). Tutte le varianti sono trascritte come pre-mRNA contenenti 9 esoni e 8 introni e si differenziano per l’esone 1, la cui sequenza è unica e caratteristica di ogni variante. Sebbene in NCBI sia annotato che le varianti CLU 2 e CLU 3 non sono codificanti, tramite analisi bioinformatica è stato predetto che da tutti e tre i trascritti possono generarsi proteine di differente lunghezza e localizzazione cellulare. Tra tutte le forme proteiche ipotizzate, l’unica a essere stata isolata e sequenziata è quella tradotta dall’AUG presente sull’esone 2 che dà origine a una proteina di 449 aminoacidi. Il processo di maturazione prevede la formazione di un precursore citoplasmatico (psCLU) che subisce modificazioni post-traduzionali tra cui formazione di ponti disolfuro, glicosilazioni, taglio in due catene denominate β e α prima di essere secreta come eterodimero βα (sCLU) nell’ambiente extracellulare, dove esercita la sua funzione di chaperone ATP-indipendente. Oltre alla forma extracellulare, è possibile osservare una forma intracellulare con localizzazione citosolica la cui funzione non è stata ancora completamente chiarita. Questo lavoro di tesi si è prefissato lo scopo di incrementare le conoscenze in merito ai trascritti CLU 1 e CLU 2 e alla loro regolazione, oltre ad approfondire il ruolo della forma citosolica della proteina in relazione al signaling di NF-kB che svolge un ruolo importante nel processo di sviluppo e metastatizzazione del tumore. Nella prima parte, uno screening di differenti linee cellulari, quali cellule epiteliali di prostata e di mammella, sia normali sia tumorali, fibroblasti di origine polmonare e linfociti di tumore non-Hodgkin, ha permesso di caratterizzare i trascritti CLU 1 e CLU 2. Dall’analisi è emerso che la sequenza di CLU 1 è più corta al 5’ rispetto a quella depositata in NCBI con l’identificativo NM_001831 e il primo AUG disponibile per l’inizio della traduzione è localizzato sull’esone 2. È stato dimostrato che CLU 2, al contrario di quanto riportato in NCBI, è tradotto in proteina a partire dall’AUG presente sull’esone 2, allo stesso modo in cui viene tradotto CLU 1. Inoltre, è stato osservato che i livelli d’espressione dei trascritti variano notevolmente tra le diverse linee cellulari e nelle cellule epiteliali CLU 2 è espressa sempre a bassi livelli. In queste cellule, l’espressione di CLU 2 è silenziata per via epigenetica e la somministrazione di farmaci capaci di rendere la cromatina più accessibile, quali tricostatina A e 5-aza-2’-deossicitidina, è in grado di incrementarne l’espressione. Nella seconda parte, un’analisi bioinformatica seguita da saggi di attività in vitro in cellule epiteliali prostatiche trattate con farmaci epigenetici, hanno permesso di identificare, per la prima volta in uomo, una seconda regione regolatrice denominata P2, capace di controllare l’espressione di CLU 2. Rispetto a P1, il classico promotore di CLU già ampiamente studiato da altri gruppi di ricerca, P2 è un promotore debole, privo di TATA box, che nelle cellule epiteliali prostatiche è silente in condizioni basali e la cui attività incrementa in seguito alla somministrazione di farmaci epigenetici capaci di alterare le modificazioni post-traduzionali delle code istoniche nell’intorno di P2. Ne consegue un rilassamento della cromatina e un successivo aumento di trascrizione di CLU 2. La presenza di un’isola CpG differentemente metilata nell’intorno di P1 spiegherebbe, almeno in parte, i differenti livelli di espressione di CLU che si osservano tra le diverse linee cellulari. Nella terza parte, l’analisi del pathway di NF-kB in un modello sperimentale di tumore prostatico in cui CLU è stata silenziata o sovraespressa, ha permesso di capire come la forma citosolica di CLU abbia un ruolo inibitorio nei confronti dell’attività del fattore trascrizionale NF-kB. CLU inibisce la fosforilazione e l’attivazione di p65, il membro più rappresentativo della famiglia NF-kB, con conseguente riduzione della trascrizione di alcuni geni da esso regolati e coinvolti nel rimodellamento della matrice extracellulare, quali l’urochinasi attivatrice del plasminogeno, la catepsina B e la metallo proteinasi 9. È stato dimostrato che tale inibizione non è dovuta a un’interazione fisica diretta tra CLU e p65, per cui si suppone che CLU interagisca con uno dei componenti più a monte della via di segnalazione responsabile della fosforilazione ed attivazione di p65.

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Metriti ed endometriti sono le patologie maggiormente responsabili delle perdite economiche negli allevamenti bovini da latte, specialmente nel periodo successivo al parto. Mentre le metriti coinvolgono e si sviluppano in tutto l’utero e sono caratterizzate dalla presenza di sintomi sistemici, le endometriti consistono in una infiammazione che riguarda il solo endometrio, con la presenza di perdite purulente, distruzione della superficie epiteliale, congestione vascolare, edema stromale ed accumulo di linfociti e plasmacellule. Queste patologie, inoltre, possono causare, disfunzione ovarica, con conseguente infertilità e riduzione sia dell’efficienza riproduttiva della vacca sia della produzione stessa di latte. Nonostante queste malattie siano, nella maggior parte dei casi, correlate all’instaurarsi di infezioni batteriche, che possono subentrare nell’utero direttamente durante il parto, il ruolo di alcuni virus nello sviluppo di queste patologie è stato recentemente approfondito e la correlazione tra l’ Herpesvirus Bovino 4 e l’insorgere di metriti ed endometriti è stata dimostrata. L’ Herpesvirus Bovino 4 (BoHV-4) è un gamma-herpesvirus ed il suo genoma è costituito da una molecola lineare di DNA a doppio filamento con una struttura genomica di tipo B, caratterizzata dalla presenza di un’unica lunga sequenza centrale (LUR) fiancheggiata da multiple sequenze poli-ripetute (prDNA). BoHV-4 è stato isolato sia da animali sani sia da animali con differenti patologie, tra cui malattie oculari e respiratorie, ma soprattutto da casi di metriti, endometriti, vaginiti o aborti. Generalmente, il ruolo svolto dal virus in questo tipo di patologie è associato alla compresenza di altri tipi di patogeni, che possono essere virus, come nel caso del Virus Della Diarrea Virale Bovina (BVDV), o più frequentemente batteri. Usualmente, l’iniziale difesa dell’endometrio bovino nei confronti dei microbi si fonda sul sistema immunitario innato e l’attivazione di specifici recettori cellulari determina la sintesi e la produzione di citochine e chemochine pro infiammatorie, che possono essere in grado di modulare la replicazione di BoHV-4. Il genoma di BoHV-4 possiede due principali trascritti per i geni Immediate Early (IE), trai quali ORF50/IE2 è il più importante ed il suo prodotto, Rta/ORF50, è fortemente conservato tra tutti gli Herpesvirus. Esso è responsabile della diretta trans-attivazione di numerosi geni virali e cellulari e può essere modulato da differenti stimoli extracellulari. Precedentemente è stato dimostrato come il TNF-, prodotto dalle cellule stromali e dai macrofagi all’interno dell’endometrio, in conseguenza ad infezione batterica, sia in grado di aumentare la replicazione di BoHV-4 attraverso l’attivazione del pathway di NFkB e direttamente agendo sul promotore di IE2. Per queste ragioni, è risultato di forte interesse investigare quali potessero essere, invece, i fattori limitanti la replicazione di BoHV-4. In questo lavoro è stata studiata la relazione tra cellule endometriali stromali bovine infettate con l’Herpesvirus Bovino 4 e l’interferon gamma (IFN-) ed è stata dimostrata la capacità di questa molecola di restringere la replicazione di BoHV-4 in maniera IDO1 indipendente ed IE2 dipendente. Inoltre, la presenza di alcuni elementi in grado di interagire con l’ IFN-γ, all’interno del promotore di IE2 di BoHV-4, ha confermato questa ipotesi. Basandoci su questi dati, abbiamo potuto supporre l’esistenza di uno stretto vincolo tra l’attivazione dell’asse dell’interferon gamma e la ridotta replicazione di BoHV-4, andando a porre le basi per una nuova efficiente cura e prevenzione per le patologie uterine. Poiché il meccanismo corretto attraverso il quale BoHV-4 infetta l’endometrio bovino non è ancora ben compreso, è stato interessante approfondire in maniera più accurata l’interazione presente tra il virus ed il substrato endometriale, analizzando le differenze esistenti tra cellule infettate e non, in termini di espressione genica. Basandoci su dati preliminari ottenuti attraverso analisi con RNA sequencing (RNAseq), abbiamo visto come numerosi geni risultino over-espressi in seguito ad infezione con BoHV-4 e come, tra questi, la Metalloproteasi 1 sia uno dei più interessanti, a causa delle sue possibili implicazioni nello sviluppo delle patologie dell’endometrio uterino bovino. Successive analisi, effettuate tramite westernblotting e real time PCR, sono state in grado di confermare tale dato, sottolineando l’efficacia di un nuovo approccio sperimentale, basato sul RNAseq, per lo studio dell’insorgenza delle patologie.

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GabR è un fattore di trascrizione chimerico appartenente alla famiglia dei MocR/GabR, costituito da un dominio N-terminale elica-giro-elica di legame al DNA e un dominio effettore e/o di oligomerizzazione al C-terminale. I due domini sono connessi da un linker flessibile di 29 aminoacidi. Il dominio C-terminale è strutturalmente omologo agli enzimi aminotransferasici fold-type I, i quali, utilizzando il piridossal-5’-fosfato (PLP) come cofattore, sono direttamente coinvolti nel metabolismo degli aminoacidi. L’interazione contemporanea di PLP e acido γ-aminobutirrico (GABA) a GabR fa sì che questa promuova la trascrizione di due geni, gabT e gabD, implicati nel metabolismo del GABA. GabR cristallizza come un omodimero con una configurazione testa-coda. Il legame con la regione promotrice gabTD avviene attraverso il riconoscimento specifico di due sequenze dirette e ripetute (ATACCA), separate da uno spacer di 34 bp. In questo studio sono state indagate le proprietà biochimiche, strutturali e di legame al DNA della proteina GabR di Bacillus subtilis. L’analisi spettroscopica dimostra che GabR interagisce con il PLP formando l’aldimina interna, mentre in presenza di GABA si ottiene l’aldimina esterna. L’interazione fra il promotore gabTD e le forme holo e apo di GabR è stata monitorata mediante Microscopia a Forza atomica (AFM). In queste due condizioni di legame è stata stimata una Kd di circa 40 ηM. La presenza di GABA invece, determinava un incremento di circa due volte della Kd, variazioni strutturali nei complessi GabR-DNA e una riduzione del compattamento del DNA alla proteina, indipendentemente dalla sequenza del promotore in esame. Al fine di valutare il ruolo delle caratteristiche topologiche del promotore, sono state inserite cinque e dieci bp all’interno della regione spacer che separa le due sequenze ripetute dirette riconosciute da GabR. I significativi cambiamenti topologici riscontrati nel frammento aggiunto di cinque bp si riflettono anche sulla forte riduzione dell’affinità di legame verso la proteina. Al contrario, l’inserzione di 10 bp provoca solamente l’allontanamento delle sequenze ripetute dirette. L’assenza quindi di cambiamenti significativi nella topologia di questo promotore fa sì che l’affinità di legame per GabR rimanga pressoché inalterata rispetto al promotore non mutato. L’analisi del potenziale elettrostatico superficiale di GabR mostra la presenza di una fascia carica positivamente che si estende lungo un’intera faccia della proteina. Per verificare l’importanza di questa caratteristica di GabR nel meccanismo di interazione al DNA, sono stati preparati ed indagati i mutanti R129Q e K362-366Q, in cui la carica positiva superficiale risultava indebolita. L’affinità di legame dei mutanti di GabR per il DNA era inferiore rispetto alla proteina non mutata, in particolar modo nel mutante K362-366Q. Le evidenze acquisite suggeriscono che la curvatura intrinseca del promotore ed il corretto orientamento delle sequenze sulla doppia elica, più della distanza che le separa, siano critici per sostenere l’interazione con GabR. Oltre a questo, la superficie positiva di GabR è richiesta per accomodare la curvatura del DNA sul corpo della proteina. Alla luce di questo, l’interazione GabR-gabTD è un esempio di come il riconoscimento specifico di sequenze, la topologia del DNA e le caratteristiche strutturali della proteina siano contemporaneamente necessarie per sostenere un’interazione proteina-DNA stabile.

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L’atrofia ottica dominante (ADOA) è una malattia mitocondriale caratterizzata da difetti visivi, che si manifestano durante l’infanzia, causati da progressiva degenerazione delle cellule gangliari della retina (RGC). ADOA è una malattia genetica associata, nella maggior parte dei casi, a mutazioni nel gene OPA1 che codifica per la GTPasi mitocondriale OPA1, appartenente alla famiglia delle dinamine, principalmente coinvolta nel processo di fusione mitocondriale e nel mantenimento del mtDNA. Finora sono state identificate più di 300 mutazioni patologiche nel gene OPA1. Circa il 50% di queste sono mutazioni missenso, localizzate nel dominio GTPasico, che si pensa agiscano come dominanti negative. Questa classe di mutazioni è associata ad una sindrome più grave nota come “ADOA-plus”. Nel lievito Saccharomyces cerevisiae MGM1 è l’ortologo del gene OPA1: nonostante i due geni abbiano domini funzionali identici le sequenze amminoacidiche sono scarsamente conservate. Questo costituisce una limitazione all’uso del lievito per lo studio e la validazione di mutazioni patologiche nel gene OPA1, infatti solo poche sostituzioni possono essere introdotte e studiate nelle corrispettive posizioni del gene di lievito. Per superare questo ostacolo è stato pertanto costruito un nuovo modello di S. cerevisiae, contenente il gene chimerico MGM1/OPA1, in grado di complementare i difetti OXPHOS del mutante mgm1Δ. Questo gene di fusione contiene una larga parte di sequenza corrispondente al gene OPA1, nella quale è stato inserito un set di nuove mutazioni trovate in pazienti affetti da ADOA e ADOA-plus. La patogenicità di queste mutazioni è stata validata sia caratterizzando i difetti fenotipici associati agli alleli mutati, sia la loro dominanza/recessività nel modello di lievito. A tutt’oggi non è stato identificato alcun trattamento farmacologico per la cura di ADOA e ADOA-plus. Per questa ragione abbiamo utilizzato il nostro modello di lievito per la ricerca di molecole che agiscono come soppressori chimici, ossia composti in grado di ripristinare i difetti fenotipici indotti da mutazioni nel gene OPA1. Attraverso uno screening fenotipico high throughput sono state testate due differenti librerie di composti chimici. Questo approccio, noto con il nome di drug discovery, ha permesso l’identificazione di 23 potenziali molecole attive.

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Gli organismi vegetali mostrano una notevole capacità di adattamento alle condizioni di stress e lo studio delle componenti molecolari alla base dell'adattamento in colture cerealicole di interesse alimentare, come il frumento, è di particolare interesse per lo studio di varietà che consentano una buona produzione con basso input anche in condizioni ambientali non ottimali. L'esposizione delle colture cerealicole a stress termico durante determinate fasi del ciclo vitale influisce negativamente sulla resa e sulla qualità, a questo fine è necessario chiarire le basi genetiche e molecolari della termotolleranza per identificare geni e alleli vantaggiosi da impiegare in programmi di incrocio volti al miglioramento genetico. Numerosi studi dimostrano il coinvolgimento delle sHSP a localizzazione cloroplastica (in frumento sHSP26) nel meccanismo di acquisizione della termotolleranza e la loro interazione con diverse componenti del fotosistema II (PSII) che determinerebbe un’azione protettiva in condizioni di stress termico e altri tipi di stress. Lo scopo del progetto è quello di caratterizzare in frumento duro nuove varianti alleliche correlate alla tolleranza a stress termico mediate l'utilizzo del TILLING (Target Induced Local Lesion In Genome), un approccio di genetica inversa che prevede la mutagenesi e l'identificazione delle mutazioni indotte in siti di interesse. Durante la tesi sono state isolate e caratterizzate 3 sequenze geniche complete per smallHsp26 denominate TdHsp26-A1; TdHsp26-A2; TdHsp26-B1 e un putativo pseudogene denominato TdHsp26-A3. I geni isolati sono stati usati come target in analisi di TILLING in due popolazioni di frumento duro mutagenizzate con EMS (EtilMetanoSulfonato). Nel nostro studio sono stati impiegati due differenti approcci di TILLING: un approccio di TILLING classico mediante screening con High Resolution Melting (HRM) e un approccio innovativo che sfrutta un database di TILLING recentemente sviluppato. La popolazione di mutanti cv. Kronos è stata analizzata per la presenza di mutazioni in tutti e tre i geni individuati mediante ricerca online nel database di TILLING, il quale sfrutta la tecnica dell’exome capture sulla popolazione di TILLING seguito da sequenziamento ad alta processività. Attraverso questa tecnica sono state individuate, nella popolazione mutagenizzata di frumento duro cv. Kronos, 36 linee recanti mutazioni missenso. Contemporaneamente lo screening con HRM, effettuato su 960 genotipi della libreria di TILLING di frumento duro cv. Cham1 ha consentito di individuare mutazioni in una regione di 211bp di interesse funzionale del gene TdHsp26-B1, tra le quali 3 linee mutanti recanti mutazioni missenso in omozigosi. Alcune mutazioni missenso individuate sui due geni TdHsp26-A1 e TdHsp26-B1 sono state confermate in vivo nelle piante delle rispettive linee mutanti generando marcatori codominanti KASP (Kompetitive Allele Specific PCR) con cui è stato possibile verificare anche il grado di zigosità di tali mutazioni. Al fine di ridurre il numero di mutazioni non desiderate nelle linee risultate più interessanti, è stato eseguito il re-incrocio dei mutanti con i relativi parentali wild type ed inoltre sono stati generati alcuni doppi mutanti che consentiranno di comprendere meglio i meccanismi molecolari presieduti da questa classe genica. Gli individui F1 degli incroci sono stati poi genotipizzati con i medesimi marcatori KASP specifici per la mutazione di interesse per verificare la buona riuscita dell’incrocio. Questo approccio ha permesso di individuare ed implementare risorse genetiche utili ad intraprendere studi funzionali relativi al ruolo di smallHSP plastidiche implicate nella acquisizione di termotolleranza in frumento duro e di generare marcatori potenzialmente utili in futuri programmi di breeding.

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Le nanotecnologie sono un settore emergente in rapida crescita, come dimostra l'esplosione del mercato dei prodotti ad esso collegati. I quantum dot di cadmio solfuro (CdS QD) sono ampiamente utilizzati per la produzione di materiali semiconduttori e dispositivi optoelettronici; tuttavia, non sono ancora completamente chiari gli effetti di questi nanomateriali sulla salute umana. Questo lavoro di dottorato si pone l'obbiettivo di definire il potenziale citotossico e genotossico dei CdS QD in linee cellulari umane e definirne il meccanismo implicato. A questo scopo, essendo il fegato uno dei principali organi di accumulo del cadmio e dei nanomateriali a base di cadmio, è stata utilizzata la linea cellulare HepG2 derivante da un epatocarcinoma umano. È stato evidenziato, in seguito all'assorbimento, da parte delle cellule, dei CdS QD, un effetto citotossico, con conseguente modulazione dell'espressione genica di una serie di geni coinvolti sia nei processi di rescue (autofagia, risposta allo stress) sia in quelli di morte cellulare programmata. È stato, inoltre, dimostrata l'assenza di un rilevante effetto genotossico dipendente da questi nanomateriali. Infine, è stato osservato che cellule esposte ai CdS QD presentano mitocondri con un potenziale di membrana alterato, con conseguente alterazione della funzionalità di tale organello, pur conservando l'integrità del DNA mitocondriale.