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Attraverso l’analisi di teorie della lettura “centripete” e “centrifughe”, tra fenomenologia, semiotica e teoria della risposta estetica, questa ricerca punta a definire la lettura come un’esperienza estetica di una variabile e plurale letterarietà, o per essere più precisi, come una relazione estetica ad una funzione nel linguaggio, che di volta in volta diviene immanente e trascendente rispetto al linguaggio, immanente nella percepibilità espressiva del segno e trascendente nella sua ristretta finzionalità o fittività, aperta alla dimensione del senso. Così, la letterarietà è vista, dal punto di vista di una teoria della lettura, come una funzione che nega o sovverte il linguaggio ordinario, inteso come contesto normale, ma anche una funzione che permette il supplemento di senso del linguaggio. Ciò rende la definizione di cosa sia letteratura e di quali testi siano considerabili come letterari come una definizione dipendente dalla lettura, ed anche mette in questione la classica dicotomia tra linguaggio standard e linguaggio deviante, di secondo grado e figurativo, comportamento che distinguerebbe la letteratura. Questi quattro saggi vorrebbero dimostrare che la lettura, come una pratica estetica, è l’espressione di una oscillazione tra una Finzione variabile nei suoi effetti ed una Ricezione, la quale è una risposta estetica controllata dal testo, ma anche una relazione estetica all’artefatto a natura verbale. Solo in questo modo può essere compresa la caratteristica paradossale della lettura, il suo stare tra una percezione passiva ed un’attiva esecuzione, tra un’attenzione aspettuale ed una comprensione intenzionale. Queste modalità si riflettono anche sulla natura dialettica della lettura, come una dialettica di apertura e chiusura, ma anche di libertà e fedeltà, risposta ad uno stimolo che può essere interpretato come una domanda, e che presenta la lettura stessa come una premessa dell’interpretazione, come momento estetico. Così una teoria della lettura dipende necessariamente da una teoria dell’arte che si presenta come funzionale, relativa più al Quando vi è arte?/Come funziona? piuttosto che al Che cosa è Arte?, che rende questo secondo problema legato al primo. Inoltre, questo Quando dell’Arte, che definisce l’opera d’arte come un’arte- all’-opera, dipende a sua volta, in un campo letterario, dalla domanda Quando vi è esperienza estetica letteraria? e dalla sue condizioni, quelle di finzione e ricezione.

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Questo elaborato ha l'obiettivo di analizzare due testi di legge spagnoli, la "Ley de amnistía" del 1977 e la "Ley para la memoria histórica" del 2007 e la loro ricezione nelle politiche educative della Spagna. Il lavoro di ricerca, svolto nella città di Madrid, si è focalizzato soprattutto sull'analisi descrittiva di dieci manuali di storia utilizzati in due "Institutos de enseñanza secundaria" e sul commento delle interviste fatte a cinque docenti operanti in questi istituti.

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Il punto di partenza del presente lavoro di ricerca terminologica è stato il soggiorno formativo presso la Direzione generale della Traduzione (DGT) della Commissione Europea di Lussemburgo. Il progetto di tirocinio, ovvero l’aggiornamento e la revisione di schede IATE afferenti al dominio finanziario, e gli aspetti problematici riscontrati durante la compilazione di tali schede hanno portato alla definizione della presente tesi. Lo studio si prefigge di analizzare la ricezione della terminologia precipua della regolamentazione di Basilea 3, esaminando il fenomeno della variazione linguistica in corpora italiani e tedeschi. Nel primo capitolo si descrive brevemente l’esperienza di tirocinio svolto presso la DGT, si presenta la banca dati IATE, l’attività terminologica eseguita e si illustrano le considerazioni che hanno portato allo sviluppo del progetto di tesi. Nel secondo capitolo si approfondisce il dominio investigato, descrivendo a grandi linee la crisi finanziaria che ha portato alla redazione della nuova normativa di Basilea 3, e si presentano i punti fondamentali degli Accordi di Basilea 3. Il terzo capitolo offre una panoramica sulle caratteristiche del linguaggio economico-finanziario e sulle conseguenze della nuova regolamentazione dal punto di vista linguistico, sottolineando le peculiarità della terminologia analizzata. Nel quarto capitolo si descrivono la metodologia seguita e le risorse utilizzate per il progetto di tesi, ovvero corpora ad hoc in lingua italiana e tedesca per l’analisi dei termini e le relative schede terminologiche. Il quinto capitolo si concentra sul fenomeno della variazione linguistica, fornendo un quadro teorico dei diversi approcci alla terminologia, cui segue l’analisi dei corpora e il commento dei risultati ottenuti; si considerano quindi le riflessioni teoriche alla luce di quanto emerso dalla disamina dei corpora. Infine, nell'appendice sono riportate le schede terminologiche IATE compilate durante il periodo di tirocinio e le schede terminologiche redatte a seguito dell’analisi del presente elaborato.

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Nel 1975 l'architetto e illustratore portoghese Joáo Abel Manta realizzò un'illustrazione a cui dette un titolo emblematico: Um problema difícil. La vignetta raffigura un'aula scolastica in cui un gruppo di "studenti particolari", composto dai fondatori e dai protagonisti della sinistra internazionale - Marx, Lenin, Sartre, Fidel Castro -, si trova a guardare con aria perplessa una lavagna sulla quale è raffigurata una silhouette della carrina del Portogallo.

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L'obiettivo principale di questo lavoro è valutare le difficoltà di comprensione e di identificazione nella ricezione da parte della cultura italiana dell'opera Grande sertão: veredas, da quelle trovate, in modo pionieristico, dal traduttore italiano, a quelle che sono state percepite e indicate al momento della lettura dai critici, dagli accademici, dall'autore di questo lavoro e, soprattutto, dai lettori comuni, mostrando, allo stesso tempo, che i problemi avuti dagli italiani nella traduzione esistono, sotto certi aspetti, anche per i brasiliani urbani, poiché la dimensione linguistico-geografica presente nel romanzo è così peculiare, che perfino molti lettori di lingua portoghese ignorano il mondo plasmato dal linguaggio di Guimarães Rosa rivelando una esacerbazione della questione universale espressa nella formula "traduttori, traditori". Partendo da tutto ciò, abbiamo cercato di dimostrare che, sebbene la traduzione di Edoardo Bizzarri abbia raggiunto un eccellente risultato, l'opera rosiana, così come nella poesia e di più di qualsiasi altra narrativa, comporta, nel passaggio da un idioma all'altro, perdite irrimediabili, tanto relative all'armonia musicale e ritmica, quanto alla richezza semantica che si occulta nel testo originale

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Questa tesi di dottorato ha per suo oggetto la ricognizione degli elementi teorici, di linguaggio politico e di influenza concettuale che le scienze sociali tra Ottocento e Novecento hanno avuto nell’opera di Antonio Gramsci. La ricerca si articola in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende ricostruire, da una parte, la ricezione gramsciana dei testi classici della sociologia e della scienza politica del suo tempo, dall’altra, far emergere quelle filiazioni concettuali che permettano di valutare la portata dell’influenza delle scienze sociali sugli scritti gramsciani. Il lungo processo di sedimentazione concettuale del lessico delle scienze sociali inizia in Gramsci già negli anni della formazione politica, sullo sfondo di una Torino positivista che esprime le punte più avanzate del “progetto grande borghese” per lo studio scientifico della società e per la sua “organizzazione disciplinata”; di questa tradizione culturale Gramsci incrocia a più riprese il percorso. La sua formazione più propriamente politica si svolge però all’interno del Partito socialista, ancora imbevuto del lessico positivista ed evoluzionista. Questi due grandi filoni culturali costituiscono il brodo di coltura, rifiutato politicamente ma al tempo stesso assunto concettualmente, per quelle suggestioni sociologiche che Gramsci metterà a frutto in modo più organico nei Quaderni. La ricerca e la fissazione di una specifica antropologia politica implicita al discorso gramsciano è il secondo stadio della ricerca, nella direzione di un’articolazione complessiva delle suggestioni sociologiche che i Quaderni assumono come elementi di analisi politica. L’analisi si sposta sulla storia intellettuale della Francia della Terza Repubblica, più precisamente sulla nascita del paradigma sociologico durkheimiano come espressione diretta delle necessità di integrazione sociale. Vengono così messe in risalto alcune assonanze lessicali e concettuali tra il discorso di Durkheim, di Sorel e quello di Gramsci. Con il terzo capitolo si entra più in profondità nella struttura concettuale che caratterizza il laboratorio dei Quaderni. Si ricostruisce la genesi di concetti come «blocco storico», «ideologia» ed «egemonia» per farne risaltare quelle componenti che rimandano direttamente alle funzioni di integrazione di un sistema sociale. La declinazione gramsciana di questo problema prende le forme di un discorso sull’«organicità» che rende più che mai esplicito il suo debito teorico nei confronti dell’orizzonte concettuale delle scienze sociali. Il nucleo di problemi connessi a questa trattazione fa anche emergere l’assunzione di un vero e proprio lessico sociologico, come per i concetti di «conformismo» e «coercizione», comunque molto distante dallo spazio semantico proprio del marxismo contemporaneo a Gramsci. Nel quarto capitolo si affronta un caso paradigmatico per quanto riguarda l’assunzione non solo del lessico e dei concetti delle scienze sociali, ma anche dei temi e delle modalità della ricerca sociale. Il quaderno 22 intitolato Americanismo e fordismo è il termine di paragone rispetto alla realtà che Gramsci si prefigge di indagare. Le consonanze delle analisi gramsciane con quelle weberiane dei saggi su Selezione e adattamento forniscono poi gli spunti necessari per valutare le novità emerse negli Stati Uniti con la razionalizzazione produttiva taylorista, specialmente in quella sua parte che riguarda la pervasività delle tecniche di controllo della vita extra-lavorativa degli operai. L’ultimo capitolo affronta direttamente la questione delle aporie che la ricezione della teoria sociologica di Weber e la scienza politica italiana rappresentata dagli elitisti Mosca, Pareto e Michels, sollevano per la riformulazione dei concetti politici gramsciani. L’orizzonte problematico in cui si inserisce questa ricerca è l’individuazione di una possibile “sociologia del politico” gramsciana che metta a tema quel rapporto, che è sempre stato di difficile composizione, tra marxismo e scienze sociali.

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Nella ricerca condotta sulle Osservazioni muratoriane alle Rime petrarchesche, si è tentato di mettere in luce la ‘scienza del commento’, ad esse sottesa, cui contribuivano gli snodi teorici, l’accertamento filologico, le strategie argomentative, i debiti esegetici. Tra difesa e riforma della poesia, il commento muratoriano si pone infatti, in piena età arcadica, al vertice della coniunctio tra esigenza conoscitiva e visione morale. Il «buon cammino» del Muratori, passando per le vie del Petrarca, sanciva di fatto una superiore giurisdizione letteraria, a cui rimettere come ad un foro esterno, censure e difese: colpisce, infatti, il suo vaglio tecnico-argomentativo delle Rime del Petrarca, valutate secondo concordanze, rinvii a commenti storici, connessioni intertestuali, analogie contenutistiche e stilistiche, struttura metrica, uso delle immagini di fantasia e loro mescidazione rispetto al verosimile. È insomma l’idea di un commento ‘ben proporzionato’, situato oltretutto in una zona di percorrenza mista, tra riuso e canonizzazione (come dimostra la sua ricezione nelle storiografie letterarie della seconda metà del XVIII secolo), diviso tra attenzione all’usus scribendi dell’autore e appelli collaborativi al lettore, quello che, grazie al Muratori, in piena età arcadica, riporterà al centro il petrarchismo: un petrarchismo potenziato, promosso ad insegnamento attivo e a sistema storicocritico che il buon gusto ridisegnava secondo nuove coperture normative ed esigenze metodologiche, ordinandolo, secondo uno stilema tipico della riflessione filosofico-religiosa muratoriana, ad una ‘regolata lettura’.

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Affrontare l’analisi critica delle traduzioni italiane di Un amour de Swann di Marcel Proust implica necessariamente un attento esame dello stile esemplare di un autore, che ha modificato, in larga misura, la concezione del romanzo e della scrittura stessa; in secondo luogo significa considerare l’altrettanto complesso lavorio intellettuale rappresentato dalla traduzione, in qualità di atto critico fondamentale. Prenderemo in esame nel capitolo primo la genesi del TP, le sue specificità narratologiche e la ricezione critica francese e italiana, per comprendere appieno l’originalità di Proust rispetto al panorama letterario dell’epoca. Nella seconda parte del primo capitolo delineeremo un excursus lungo la storia di tutte le traduzioni italiane del romanzo, accordando particolare attenzione alla figura di ogni traduttore: Natalia Ginzburg (1946), Bruno Schacherl (1946), Armando Landini (1946), Oreste Del Buono (1965), Giovanni Raboni (1978), Maria Teresa Nessi Somaini (1981), Gianna Tornabuoni (1988), Eurialo De Michelis (1990) e il traduttore, rimasto anonimo, della casa editrice La Spiga Languages (1995). Nel secondo capitolo analizzeremo la peculiarità stilistica più nota dell’autore, la sintassi. I lunghi periodi complicati da un intreccio di subordinate e sciolti solo con il ricorso a vari nessi sintattici contribuiscono a rendere la sintassi proustiana una delle sfide maggiori in sede traduttiva. Nel capitolo successivo accorderemo attenzione all’eteroglossia enunciativa, espressa nei diversi idioletti del romanzo. In sede contrastiva affronteremo la questione della trasposizione dei niveaux de langue, per poter valutare le scelte intraprese dai traduttori in un ambito altamente complesso, a causa della diversità diafasica intrinseca dei due codici. All’interno del medesimo capitolo apriremo una parentesi sulla specificità di una traduzione, quella di Giacomo Debenedetti, effettuata seguendo una personale esegesi dello stile musicale e armonico di Proust. Riserveremo al capitolo quarto lo studio del linguaggio figurato, soffermandoci sull’analisi delle espressioni idiomatiche, che vengono impiegate frequentemente da alcuni personaggi. Rivolgeremo uno sguardo d’insieme alle strategie messe in atto dai traduttori, per cercare un equivalente idiomatico o per ricreare il medesimo impatto nel lettore, qualora vi siano casi di anisomorfismo. Analizzeremo nel quinto capitolo la terminologia della moda, confrontando il lessico impiegato nel TP con le soluzioni adottate nei TA, e aprendo, inevitabilmente, una parentesi sulla terminologia storica del settore. A compimento del lavoro presenteremo la nostra proposta traduttiva di un capitolo tratto dal saggio Proust et le style di Jean Milly, per mettere in luce, tramite la sua parola autorevole, la genialità e la complessità della scrittura proustiana e, conseguentemente, il compito ardimentoso e ammirevole che è stato richiesto ai traduttori italiani.

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L’oggetto della presente tesi di ricerca è l’analisi della situazione attuale della protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee, oltre che le sue prospettive di futuro. Il lavoro è suddiviso in due grandi parti. La prima studia il regime giuridico del Diritto sanzionatorio comunitario, cioè, la competenza sanzionatoria dell’Unione Europea. Questa sezione è stata ricostruita prendendo in considerazione i precetti normativi del Diritto originario e derivato, oltre che le principali sentenze della Corte di Giustizia, tra cui assumono particolare rilievo le sentenze di 27 ottobre 1992, Germania c. Commissione, affare C-240/90 e di 13 settembre 2005 e di 23 ottobre 2007, Commissione c. Consiglio, affari C-176/03 e C-440/05. A questo segue l’analisi del ruolo dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, così come la rilevanza della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il secondo capitolo si sofferma particolarmente sullo studio delle sanzioni comunitarie, classificandole in ragione della loro natura giuridica alla luce anche dei principi generali di legalità, di proporzionalità, di colpevolezza e del non bis in idem. La seconda sezione sviluppa un’analisi dettagliata del regime giuridico della protezione degli interessi finanziari comunitari. Questa parte viene costruita indagando tutta l’evoluzione normativa e istituzionale, in considerazione anche delle novità più recenti (ad esempio, l’istituzione del Pubblico Ministero Europeo). In questo contesto si definisce il contenuto del concetto di interessi finanziari comunitari, dato che non esiste un’analoga definizione comunitaria della fattispecie. L’attenzione del dottorando si concentra poi sulla Convenzione avente ad oggetto la tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee e i regolamenti del Consiglio n. 2988/95 e 2185/96, che costituiscono la parte generale del Diritto sanzionatorio comunitario. Alla fine si esamina la ricezione della Convenzione PIF nel Codice Penale spagnolo e i principali problemi di cui derivano. L’originalità dell’approccio proposto deriva dell’assenza di un lavoro recente che, in modo esclusivo e concreto, analizzi la protezione amministrativa e penale degli interessi finanziari della Comunità. Inoltre, la Carta Europea di Diritti Fondamentali e il Trattato di Lisbona sono due grandi novità che diventeranno una realtà tra poco tempo.

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La tesi ha per oggetto i tre copioni danteschi di Edoardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici, traspositori, rispettivamente, di Inferno, Purgatorio e Paradiso, nell’ambito del progetto di drammaturgia della Commedia ideato e commissionato dai Magazzini negli anni 1989-1991. L’analisi dei copioni si basa sulle teorie espresse da Genette in Palinsesti, e si sviluppa come lettura comparativa fra ipotesto (Commedia) e ipertesti (riscritture). Contestualmente, viene approfondito il tema della ricezione di Dante nel Novecento, specie nelle forme della traduzione in immagini, e fornita un'interpretazione − alla luce delle acquisizioni della critica dantesca novecentesca e della narratologia − della duplice natura del poema, materia prima oscillante tra vocazione e resistenza alla trasposizione drammatica.

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Considerando la figura di Orfeo, si mette in luce la ricezione del mito della morte di questo personaggio leggendario nell’arte simbolista, con particolare attenzione per Gustave Moreau. Il lavoro di ricerca vuole approfondire anche la natura epistemologica e metodologica dello studio della sopravvivenza dei classici, prediligendo i processi di tipo comparatistico e quelli che si rifanno alla grande categoria dei Cultural Studies, intendendo attraversare i confini, le barriere, le frontiere, i limiti delle discipline tradizionalmente intese. Viene cosí presa in considerazione anche l’interazione tra cultura verbale, scritta, letteraria e cultura visuale, sottolineando i meccanismi di transtestualità, nelle loro valenze e potenzialità di ibridazione e contaminazione. Si punta, dunque, non solo sulla superificie tematica specifica ma anche sulla filigrana dei procedimenti di legittimazione scientifica e della prasseologia di questa specifica area filologica transdisciplinare.

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Cosa e’ stato fatto e il fine della ricerca in questi tre anni si è esaminato il materiale edito sui sarcofagi del periodo in esame, sui culti funerari, i problemi religiosi ed artistici. Per trovare confronti validi si sono resi necessari alcuni viaggi sia in Italia che all’estero. Lo scopo della ricerca è stato quello di “leggere” i messaggi insiti nelle figurazioni delle casse dei sarcofagi, per comprendere meglio la scelta dei committenti verso determinati temi e la ricezione di questi ultimi da parte del pubblico. La tomba, infatti, è l’ultima traccia che l’uomo lascia di sé ed è quindi importante cercare di determinare l’impatto psicologico del monumento funerario sul proprietario, che spesso lo acquistava quando ancora era in vita, e sui familiari in visita alla tomba durante la celebrazione dei riti per i defunti. Nell’ultimo anno, infine, si è provveduto a scrivere la tesi suddivindendo i capitoli e i pezzi in base all’argomento delle figurazioni (mitologici, di virtù, etc.). I capitoli introduttivi Nel primo capitolo di introduzione si è cercato di dare un affresco per sommi capi del periodo storico in esame da Caracalla a Teodosio e della Chiesa di III e IV secolo, mettendo in luce la profonda crisi che gravava sull’Impero e le varie correnti che frammentavano il cristianesimo. In particolare alcune dispute, come quella riguardante i lapsi, sarà alla base di ipotesi interpretative riguardanti la raffigurazione del rifiuto dei tre giovani Ebrei davanti a Nabuchodonosor. Nel capitolo seguente vengono esaminati i riti funerari e il ruolo dei sarcofagi in tali contesti, evidenziando le diverse situazioni emotive degli osservatori dei pezzi e, quindi, l’importanza dei temi trattati nelle casse. I capitolo Questo capitolo tratta dei sarcofagi mitologici. Dopo una breve introduzione, dove viene spiegata l’entrata in uso dei pezzi in questione, si passa alla discussione dei temi, suddivisi in paragrafi. La prima classe di materiali è qualla con la “caduta di Fetonte” la cui interpretazione sembra chiara: una tragedia familiare. Il compianto sul corpo di un ragazzo morto anzi tempo, al quale partecipa tutto il cosmo. L’afflizione dei familiari è immane e sembra priva di una possibile consolazione. L’unico richiamo a riprendere a vivere è solo quello del dovere (Mercurio che richiama Helios ai propri impegni). La seconda classe è data dalle scene di rapimento divino visto come consolazione e speranza in un aldilà felice, come quelle di Proserpina e Ila. Nella trasposizione della storia di Ila è interessante anche notare il fatto che le ninfe rapitrici del giovane – defunto abbiano le sembianze delle parenti già morte e di un fanciullo, probabilmente la madre, la nonna e un fratello deceduto anzi tempo. La terza classe presenta il tema del distacco e dell’esaltazione delle virtù del defunto nelle vesti dei cacciatori mitici Mealeagro, Ippolito e Adone tutti giovani, forti e coraggiosi. In questi sarcofagi ancor più che negli altri il motivo della giovinezza negata a causa della morte è fondamentale per sottolineare ancora di più la disperazione e il dolore dei genitori rimasti in vita. Nella seguente categoria le virtù del defunto sono ancora il tema dominante, ma in chiave diversa: in questo caso l’eroe è Ercole, intento ad affrontare le sue fatiche. L’interpretazione è la virtù del defunto che lo ha portato a vincere tutte le difficoltà incontrate durante la propria vita, come dimostrerebbe anche l’immagine del semidio rappresentato in età diverse da un’impresa all’altra. Vi è poi la categoria del sonno e della morte, con i miti di Endimione, Arianna e Rea Silvia, analizzato anche sotto un punto di vista psicologico di aiuto per il superamento del dolore per la perdita di un figlio, un marito, o, ancora, della sposa. Accanto ai sarcofagi con immagini di carattere narrativo, vi sono numerosi rilievi con personaggi mitici, che non raccontano una storia, ma si limitano a descrivere situazioni e stati d’animo di felicità. Tali figurazioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle con cortei marini e quelle con il tiaso dionisiaco, facendo dell’amore il tema specifico dei rilievi. Il fatto che quello del tiaso marino abbia avuto così tanta fortuna, forse, per la numerosa letteratura che metteva in relazione l’Aldilà con l’acqua: l’Isola dei Beati oltre l’Oceano, viaggi per mare verso il mondo dei morti. Certo in questo tipo di sarcofagi non vi sono esplicitate queste credenze, ma sembrano più che altro esaltare le gioie della vita. Forse il tutto può essere spiegato con la coesistenza, nei familiari del defunto, della memoria retrospettiva e della proiezione fiduciosa nel futuro. Sostanzialmente era un modo per evocare situazioni gioiose e di godimento sensibile, riferendole ai morti in chiave beneaugurale. Per quanto rigurda il tiaso di Bacco, la sua fortuna è stata dettata dal fatto che il suo culto è sempre stato molto attivo. Bacco era dio della festa, dell’estasi, del vino, era il grande liberatore, partecipe della crescita e della fioritura, il grande forestiero , che faceva saltare gli ordinamenti prestabiliti, i confini della città con la campagna e le convenzioni sociali. Era il dio della follia, al quale le menadi si abbandonavano nella danza rituale, che aggrediva le belve, amante della natura, ma che penetra nella città, sconvolgendola. Del suo seguito facevano parte esseri ibridi, a metà tra l’ordine e la bestialità e animali feroci ammansiti dal vino. I suoi nemici hanno avuto destini orribili di indicibile crudeltà, ma chi si è affidato anima e corpo a lui ha avuto gioia, voluttà, allegria e pienezza di vita. Pur essendo un valente combattente, ha caratteri languidi e a tratti femminei, con forme floride e capelli lunghi, ebbro e inebriante. Col passare del tempo la conquista indiana di alessandro si intrecciò al mito bacchico e, a lungo andare, tutti i caratteri oscuri e minacciosi della divinità scomparirono del tutto. Un esame sistematico dei temi iconografici riconducibili al mito di Bacco non è per nulla facile, in quanto l’oggetto principale delle raffigurazioni è per lo più il tiaso o come corteo festoso, o come gruppi di figure danzanti e musicanti, o, ancora, intento nella vendemmia. Ciò che interessava agli scultori era l’atmosfera gioiosa del tiaso, al punto che anche un episodio importante, come abbiamo visto, del ritrovamento di Arianna si pèerde completamente dentro al corteo, affollatissimo di personaggi. Questo perché, come si è detto anche al riguardo dei corte marini, per creare immagini il più possibile fitte e gravide di possibilità associative. Altro contesto iconografico dionisiaco è quello degli amori con Arianna. Sui sarcofagi l’amore della coppia divina è raffigurato come una forma di stupore e rapimento alla vista dell’altro, un amore fatto di sguardi, come quello del marito sulla tomba della consorte. Un altro tema , che esalta l’amore, è senza ombra di dubbio quello di Achille e Pentesilea, allegoria dell’amore coniugale. Altra classe è qualla con il mito di Enomao, che celebra il coraggio virile e l’attitudine alla vittoria del defunto e, se è presente la scena di matrimonio con Ippodamia, l’amore verso la sposa. Infine vi sono i sarcofagi delle Muse: esaltazione della cultura e della saggezza del morto. II capitolo Accanto ad i grandi ambiti mitologici dei due tiasi del capitolo precedente era la natura a lanciare un messaggio di vita prospera e pacifica. Gli aspetti iconografici diq uesto tema sono due: le stagioni e la vita in un ambiente bucolico. Nonostante la varietà iconografica del soggetto, l’idea di fondo rimane invariata: le stagioni portano ai morti i loro doni affinchè possano goderne tutto l’anno per l’eternità. Per quanto riguarda le immagini bucoliche sono ispirate alla vita dei pastori di ovini, ma ovviamente non a quella reale: i committenti di tali sarcofagi non avevano mai vissuto con i pastori, né pensavano di farlo i loro parenti. Le immagini realistiche di contadini, pastori, pescatori, tutte figure di infimo livello sociale, avevano assunto tratti idilliaci sotto l’influsso della poesia ellenistica. Tutte queste visioni di felicità mancano di riferimenti concreti sia temporali che geografici. Qui non vi sono protagonisti e situazioni dialogiche con l’osservatore esterno, attraverso la ritrattistica. I defunti se appaiono sono all’interno di un tondo al centro della cassa. Nei contesti bucolici, che andranno via, via, prendendo sempre più piede nel III secolo, come in quelli filosofici, spariscono del tutto le scene di lutto e di cordoglio. Le immagini dovevano essere un invito a godersi la vita, ma dovevano anche dire qualcosa del defunto. In una visione retrospettiva, forse, si potrebbero intendere come una dichiarazione che il morto, in vita, non si era fatto mancare nulla. Nel caso opposto, poteve invece essere un augurio ad un’esistenza felice nell’aldilà. III capitolo Qui vengono trattati i sarcofagi con l’esaltazione e l’autorappresentazione del defunto e delle sue virtù in contesti demitizzati. Tra i valori ricorrenti, esaltati nei sarcofagi vi è l’amore coniugale espresso dal tema della dextrarum iunctio, simbolo del matrimonio, la cultura, il potere, la saggezza, il coraggio, esplicitato dalle cacce ad animali feroci, il valore guerriero e la giustizia, dati soprattutto dalle scene di battaglia e di giudizio sui vinti. IV capitolo In questo capitolo si è provato a dare una nuova chiave di lettura ai sarcofagi imperiali di S. Elena e di Costantina. Nel primo caso si tratterebbe della vittoria eterna sul male, mentre nel secondo era un augurio di vita felice nell’aldilà in comunione con Dio e la resurrezione nel giorno del giudizio. V capitolo Il capitolo tratta le mediae voces, quei pezzi che non trovano una facile collocazione in ambito religioso poiché presentano temi neutri o ambivalenti, come quelli del buon pastore, di Prometeo, dell’orante. VI capitolo Qui trovano spazio i sarcofagi cristiani, dove sono scolpite varie scene tratte dalle Sacre Scritture. Anche in questo caso si andati al di là della semplice analisi stilistica per cercare di leggere il messaggio contenuto dalle sculture. Si sono scoperte preghiere, speranze e polemiche con le correnti cristiane considerate eretiche o “traditrici” della vera fede, contro la tradizionale interpretazione che voleva le figurazioni essenzialmente didascaliche. VII capitolo Qui vengono esposte le conclusioni da un punto di vista sociologico e psicologico.