1000 resultados para Legge civile - Prescrizione e decadenza
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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di Carlo Cattaneo
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"Estratto dal vol. XXIII degli Annali di giurisprudenza pratica"
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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Faculdade de Direito, Programa de Pós-Graduação em Direito, 2016.
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Contiene : La legislazione opera allorchè persuade. Filangièri T. I. c. VII.
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Includes bibliographical references.
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Oggetto della ricerca sono l’esame e la valutazione dei limiti posti all’autonomia privata dal divieto di abuso della posizione dominante, come sancito, in materia di tutela della concorrenza, dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, a sua volta modellato sull’art. 82 del Trattato CE. Preliminarmente, si è ritenuto opportuno svolgere la ricognizione degli interessi tutelati dal diritto della concorrenza, onde individuare la cerchia dei soggetti legittimati ad avvalersi dell’apparato di rimedi civilistici – invero scarno e necessitante di integrazione in via interpretativa – contemplato dall’art. 33 della legge n. 287/1990. È così emerso come l’odierno diritto della concorrenza, basato su un modello di workable competition, non possa ritenersi sorretto da ragioni corporative di tutela dei soli imprenditori concorrenti, investendo direttamente – e rivestendo di rilevanza giuridica – le situazioni soggettive di coloro che operano sul mercato, indipendentemente da qualificazioni formali. In tal senso, sono stati esaminati i caratteri fondamentali dell’istituto dell’abuso di posizione dominante, come delineatisi nella prassi applicativa non solo degli organi nazionali, ma anche di quelli comunitari. Ed invero, un aspetto importante che caratterizza la disciplina italiana dell’abuso di posizione dominante e della concorrenza in generale, distinguendola dalle normative di altri sistemi giuridici prossimi al nostro, è costituito dal vincolo di dipendenza dal diritto comunitario, sancito dall’art. 1, quarto comma, della legge n. 287/1990, idoneo a determinare peculiari riflessi anche sul piano dell’applicazione civilistica dell’istituto. La ricerca si è quindi spostata sulla figura generale del divieto di abuso del diritto, onde vagliarne i possibili rapporti con l’istituto in esame. A tal proposito, si è tentato di individuare, per quanto possibile, i tratti essenziali della figura dell’abuso del diritto relativamente all’esercizio dell’autonomia privata in ambito negoziale, con particolare riferimento all’evoluzione del pensiero della dottrina e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema, che hanno valorizzato il ruolo della buona fede intesa in senso oggettivo. Particolarmente interessante è parsa la possibilità di estendere i confini della figura dell’abuso del diritto sì da ricomprendere anche l’esercizio di prerogative individuali diverse dai diritti soggettivi. Da tale estensione potrebbero infatti discendere interessanti ripercussioni per la tutela dei soggetti deboli nel contesto dei rapporti d’impresa, intendendosi per tali tanto i rapporti tra imprenditori in posizione paritaria o asimmetrica, quanto i rapporti tra imprenditori e consumatori. È stato inoltre preso in considerazione l’aspetto dei rimedi avverso le condotte abusive, alla luce dei moderni contributi sull’eccezione di dolo generale, sulla tutela risarcitoria e sull’invalidità negoziale, con i quali è opportuno confrontarsi qualora si intenda cercare di colmare – come sembra opportuno – i vuoti di disciplina della tutela civilistica avverso l’abuso di posizione dominante. Stante l’evidente contiguità con la figura in esame, si è poi provveduto ad esaminare, per quanto sinteticamente, il divieto di abuso di dipendenza economica, il quale si delinea come figura ibrida, a metà strada tra il diritto dei contratti e quello della concorrenza. Tale fattispecie, pur inserita in una legge volta a disciplinare il settore della subfornitura industriale (art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192), ha suscitato un vasto interessamento della dottrina. Si sono infatti levate diverse voci favorevoli a riconoscere la portata applicativa generale del divieto, quale principio di giustizia contrattuale valevole per tutti i rapporti tra imprenditori. Nel tentativo di verificare tale assunto, si è cercato di individuare la ratio sottesa all’art. 9 della legge n. 192/1998, anche in considerazione dei suoi rapporti con il divieto di abuso di posizione dominante. Su tale aspetto è d’altronde appositamente intervenuto il legislatore con la legge 5 marzo 2001, n. 57, riconoscendo la competenza dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato a provvedere, anche d’ufficio, sugli abusi di dipendenza economica con rilevanza concorrenziale. Si possono così prospettare due fattispecie normative di abusi di dipendenza economica, quella con effetti circoscritti al singolo rapporto interimprenditoriale, la cui disciplina è rimessa al diritto civile, e quella con effetti negativi per il mercato, soggetta anche – ma non solo – alle regole del diritto antitrust; tracciare una netta linea di demarcazione tra i reciproci ambiti non appare comunque agevole. Sono stati inoltre dedicati brevi cenni ai rimedi avverso le condotte di abuso di dipendenza economica, i quali involgono problematiche non dissimili a quelle che si delineano per il divieto di abuso di posizione dominante. Poste tali basi, la ricerca è proseguita con la ricognizione dei rimedi civilistici esperibili contro gli abusi di posizione dominante. Anzitutto, è stato preso in considerazione il rimedio del risarcimento dei danni, partendo dall’individuazione della fonte della responsabilità dell’abutente e vagliando criticamente le diverse ipotesi proposte in dottrina, anche con riferimento alle recenti elaborazioni in tema di obblighi di protezione. È stata altresì vagliata l’ammissibilità di una visione unitaria degli illeciti in questione, quali fattispecie plurioffensive e indipendenti dalla qualifica formale del soggetto leso, sia esso imprenditore concorrente, distributore o intermediario – o meglio, in generale, imprenditore complementare – oppure consumatore. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni risarcitorie sembra comunque dipendere in ampia misura dalla risposta al quesito preliminare sulla natura – extracontrattuale, precontrattuale ovvero contrattuale – della responsabilità conseguente alla violazione del divieto. Pur non sembrando prospettabili soluzioni di carattere universale, sono apparsi meritevoli di approfondimento i seguenti profili: quanto all’individuazione dei soggetti legittimati, il problema della traslazione del danno, o passing-on; quanto al nesso causale, il criterio da utilizzare per il relativo accertamento, l’ammissibilità di prove presuntive e l’efficacia dei provvedimenti amministrativi sanzionatori; quanto all’elemento soggettivo, la possibilità di applicare analogicamente l’art. 2600 c.c. e gli aspetti collegati alla colpa per inosservanza di norme di condotta; quanto ai danni risarcibili, i criteri di accertamento e di prova del pregiudizio; infine, quanto al termine di prescrizione, la possibilità di qualificare il danno da illecito antitrust quale danno “lungolatente”, con le relative conseguenze sull’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale. In secondo luogo, è stata esaminata la questione della sorte dei contratti posti in essere in violazione del divieto di abuso di posizione dominante. In particolare, ci si è interrogati sulla possibilità di configurare – in assenza di indicazioni normative – la nullità “virtuale” di detti contratti, anche a fronte della recente conferma giunta dalla Suprema Corte circa la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto. È stata inoltre esaminata – e valutata in senso negativo – la possibilità di qualificare la nullità in parola quale nullità “di protezione”, con una ricognizione, per quanto sintetica, dei principali aspetti attinenti alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità d’ufficio e all’estensione dell’invalidità. Sono poi state dedicate alcune considerazioni alla nota questione della sorte dei contratti posti “a valle” di condotte abusive, per i quali non sembra agevole configurare declaratorie di nullità, mentre appare prospettabile – e, anzi, preferibile – il ricorso alla tutela risarcitoria. Da ultimo, non si è trascurata la valutazione dell’esperibilità, avverso le condotte di abuso di posizione dominante, di azioni diverse da quelle di nullità e risarcimento, le sole espressamente contemplate dall’art. 33, secondo comma, della legge n. 287/1990. Segnatamente, l’attenzione si è concentrata sulla possibilità di imporre a carico dell’impresa in posizione dominante un obbligo a contrarre a condizioni eque e non discriminatorie. L’importanza del tema è attestata non solo dalla discordanza delle pronunce giurisprudenziali, peraltro numericamente scarse, ma anche dal vasto dibattito dottrinale da tempo sviluppatosi, che investe tuttora taluni aspetti salienti del diritto delle obbligazioni e della tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà di iniziativa economica.
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L’elaborato si propone di analizzare i principali punti di contatto, nell’ordinamento domestico, tra le funzioni esercitate dalla giurisdizione ordinaria civile e le attribuzioni delle Autorità amministrative indipendenti, nel tentativo di delineare un quadro sistematico dei rapporti. Nella prima parte dell’indagine, ci si sofferma sui variegati strumenti di risoluzione delle controversie coniati in seno alle Autorità indipendenti, cercando di sviluppare un’essenziale classificazione per categorie omogenee, al fine di vagliare la compatibilità dei diversi modelli con il dato costituzionale. Successivamente, si sposta l’indagine sulle interferenze emergenti con riferimento a quelle attività delle Authorities assimilabili all’applicazione della legge al caso concreto nel contesto del pubblic enforcement. Tra queste, spicca la delicata questione del valore dei provvedimenti delle Authorities nei (correlati) processi civili risarcitori, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7, d.lgs. 3/2017, che ha plasmato un inedito «vincolo» per il giudice ordinario all’accertamento dell’AGCM. Alla previsione normativa si associa la tendenza giurisprudenziale a riconoscere una particolare “attitudine probatoria” anche ai provvedimenti di altre Autorità indipendenti, pur in assenza di specifica previsione normativa. Nel corso della trattazione, più che limitarsi ad esprimere una preferenza tra le diverse soluzioni già proposte dalla dottrina, si cerca di gettare le basi per un’interpretazione autonoma e sistematica del fenomeno. Adottando un approccio quanto più possibile interdisciplinare, si cercano di coniugare i punti di approdo della teoria generale dell’accertamento giuridico con quelli, gius-pubblicistici, della categoria dell’accertamento amministrativo. Si passa, infine, a vagliare le condizioni affinché tale ipotetico modello unitario possa ritenersi compatibile con altri valori di rilievo costituzionale e non solo, utilizzando quale parametro di riferimento l’art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
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pp. 9-30
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But et structure du travail La responsabilité civile des dirigeants sociaux fait déjà l'objet d'une littérature considérable; on constate néanmoins que les auteurs romands qui se sont intéressés à cette question sont finalement assez peu nombreux. D'ailleurs, à notre connaissance, aucun travail de recherche juridique approfondie n'a été récemment consacré en français à cette matière. Pourtant, plusieurs aspects de la responsabilité civile des organes dirigeants demeurent très controversés en doctrine. Parmi d'autres, on pense, par exemple, à la nature juridique de l'action en responsabilité ou à sa mise en oeuvre. Pour ces raisons, il nous paraît souhaitable de procéder, dans une première partie, à un examen approfondi des art. 754 ss CO. A cet égard, nous nous appuierons sur un appareil référentiel aussi complet que possible ; nous tenterons aussi de trancher les points qui ne cessent de diviser les auteurs. La première partie de l'étude compte sept titres. Le premier d'entre eux renferme des considérations tout à fait générales, notamment historiques, destinées à offrir au lecteur certains points de repère préalables, utiles à une bonne compréhension de la matière. Dans le deuxième titre, nous définirons le cercle des personnes légitimées à agir en responsabilité sur la base des art. 754 ss CO. Encore faut-il savoir quels sont les individus contre lesquels l'action en justice peut être intentée ou, en d'autres termes, ce qu'il faut entendre par «organes dirigeants ». C'est précisément la question à laquelle nous nous proposons de répondre dans le troisième titre de cette première partie. Cela étant, la responsabilité civile des dirigeants sociaux obéit à des conditions strictes : le demandeur doit établir un dommage, une violation des devoirs, un lien de causalité adéquate et une faute. Ces quatre conditions cumulatives feront l'objet d'un examen successif dans le quatrième titre. Il arrive aussi que ces conditions soient réunies, mais que, nonobstant, l'action en responsabilité n'aboutisse que partiellement, voire pas du tout. La raison doit être recherchée dans les causes de limitation ou d'exclusion de la responsabilité, en particulier la décharge votée par l'assemblée générale, le consentement du lésé (« volenti non fit injuria»), la prescription ou encore la compensation. C'est l'objet du titre cinquième. L'on relèvera encore que les actions en responsabilité sont généralement dirigées simultanément contre plusieurs dirigeants. On soulève ici la question essentielle de la solidarité entre les défendeurs et du règlement de leurs rapports internes ; nous y reviendrons au titre sixième. Enfin, pour que l'action du demandeur soit recevable, le demandeur doit agir devant le tribunal compétent ratione loci. Les problèmes de for seront donc abordés dans le titre septième. A la lecture de la doctrine, l'on est frappé de constater à quel point les auteurs qui, à ce jour, se sont risqués à rapprocher la responsabilité civile de la responsabilité pénale des organes dirigeants, sont rares. Pourtant, la lutte contre une criminalité économique toujours plus redoutable devrait tendre, ces prochaines années, à augmenter considérablement l'importance pratique du droit pénal des affaires. Dans ces conditions, il paraît impossible de faire abstraction du régime de responsabilité pénale encouru par les dirigeants sociaux. Nous y avons consacré la seconde partie de notre travail. Celle-ci se compose de quatre titres distincts, dont la numérotation s'inscrit dans le prolongement de la première partie. Le titre huitième contient des considérations générales, en particulier sur le rôle que le droit pénal est amené à jouer aujourd'hui dans la vie des affaires. Nous enchaînerons, dans un titre neuvième, avec l'examen des deux fondements envisageables de la responsabilité pénale des dirigeants. Nous traiterons d'abord de leur responsabilité à raison des infractions qu'ils commettent personnellement. Nous nous intéresserons ensuite à leur responsabilité pénale du fait d'autrui. Ces deux sources de responsabilité devront être illustrées. A ce titre, nous examinerons leur portée à la lumière du droit de la société anonyme, eu égard en particulier aux devoirs que le droit commercial met à la charge des dirigeants sociaux. C'est l'objet du titre dixième. Dans le titre onzième, nous procéderons à un bref examen de la responsabilité pénale de l'entreprise. Tout en rappelant les dispositions légales applicables en la matière, nous essayerons de mettre le doigt sur certaines incohérences que présente le système tel qu'il a été adopté par les Chambres fédérales. Nous traiterons ensuite de l'articulation probable entre la responsabilité pénale de l'entreprise et le régime de responsabilité pénale applicable à ses dirigeants physiques. Nous terminerons par rappeler, sous forme de synthèse, les principaux éléments qui se dégagent de notre travail.