950 resultados para DIDATTICA DELLA LINGUA ITALIANA,15317,Scienze della Formazione,0013,Scienze della formazione primaria,1313,ESAME INTEGRATO DI LINGUISTICA ITALIANA - DIDATTICA DELLA LINGUA ITALIANA (II MODULO),22123,SCUOLA ELEMENTARE,253,MAIOR DELLA MATEMATICA E DELLE SCIENZE SPERIMENTALI,231,2007,3


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La tesi tratta di strumenti finalizzati alla valutazione dello stato conservativo e di supporto all'attività di manutenzione dei ponti, dai più generali Bridge Management Systems ai Sistemi di Valutazione Numerica della Condizione strutturale. Viene proposto uno strumento originale con cui classificare i ponti attraverso un Indice di Valutazione Complessiva e grazie ad esso stabilire le priorità d'intervento. Si tara lo strumento sul caso pratico di alcuni ponti della Provincia di Bologna. Su un ponte in particolare viene realizzato un approfondimento specifico sulla determinazione approssimata dei periodi propri delle strutture da ponte. Si effettua un confronto dei risultati di alcune modellazioni semplificate in riferimento a modellazioni dettagliate e risultati sperimentali.

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Le ricerche di carattere eustatico, mareografico, climatico, archeologico e geocronologico, sviluppatesi soprattutto nell’ultimo ventennio, hanno messo in evidenza che gran parte delle piane costiere italiane risulta soggetta al rischio di allagamento per ingressione marina dovuta alla risalita relativa del livello medio del mare. Tale rischio è la conseguenza dell’interazione tra la presenza di elementi antropici e fenomeni di diversa natura, spesso difficilmente discriminabili e quantificabili, caratterizzati da magnitudo e velocità molto diverse tra loro. Tra le cause preponderanti che determinano l’ingressione marina possono essere individuati alcuni fenomeni naturali, climatici e geologici, i quali risultano fortemente influenzati dalle attività umane soprattutto a partire dal XX secolo. Tra questi si individuano: - la risalita del livello del mare, principalmente come conseguenza del superamento dell’ultimo acme glaciale e dello scioglimento delle grandi calotte continentali; - la subsidenza. Vaste porzioni delle piane costiere italiane risultano soggette a fenomeni di subsidenza. In certe zone questa assume proporzioni notevoli: per la fascia costiera emiliano-romagnola si registrano ratei compresi tra 1 e 3 cm/anno. Tale subsidenza è spesso il risultato della sovrapposizione tra fenomeni naturali (neotettonica, costipamento di sedimenti, ecc.) e fenomeni indotti dall’uomo (emungimenti delle falde idriche, sfruttamento di giacimenti metaniferi, escavazione di materiali per l’edilizia, ecc.); - terreni ad elevato contenuto organico: la presenza di depositi fortemente costipabili può causare la depressione del piano di campagna come conseguenza di abbassamenti del livello della falda superficiale (per drenaggi, opere di bonifica, emungimenti), dello sviluppo dei processi di ossidazione e decomposizione nei terreni stessi, del costipamento di questi sotto il proprio peso, della carenza di nuovi apporti solidi conseguente alla diminuita frequenza delle esondazioni dei corsi d’acqua; - morfologia: tra i fattori di rischio rientra l’assetto morfologico della piana e, in particolare il tipo di costa (lidi, spiagge, cordoni dunari in smantellamento, ecc. ), la presenza di aree depresse o comunque vicine al livello del mare (fino a 1-2 m s.l.m.), le caratteristiche dei fondali antistanti (batimetria, profilo trasversale, granulometria dei sedimenti, barre sommerse, assenza di barriere biologiche, ecc.); - stato della linea di costa in termini di processi erosivi dovuti ad attività umane (urbanizzazione del litorale, prelievo inerti, costruzione di barriere, ecc.) o alle dinamiche idro-sedimentarie naturali cui risulta soggetta (correnti litoranee, apporti di materiale, ecc. ). Scopo del presente studio è quello di valutare la probabilità di ingressione del mare nel tratto costiero emiliano-romagnolo del Lido delle Nazioni, la velocità di propagazione del fronte d’onda, facendo riferimento allo schema idraulico del crollo di una diga su letto asciutto (problema di Riemann) basato sul metodo delle caratteristiche, e di modellare la propagazione dell’inondazione nell’entroterra, conseguente all’innalzamento del medio mare . Per simulare tale processo è stato utilizzato il complesso codice di calcolo bidimensionale Mike 21. La fase iniziale di tale lavoro ha comportato la raccolta ed elaborazione mediante sistema Arcgis dei dati LIDAR ed idrografici multibeam , grazie ai quali si è provveduto a ricostruire la topo-batimetria di dettaglio della zona esaminata. Nel primo capitolo è stato sviluppato il problema del cambiamento climatico globale in atto e della conseguente variazione del livello marino che, secondo quanto riportato dall’IPCC nel rapporto del 2007, dovrebbe aumentare al 2100 mediamente tra i 28 ed i 43 cm. Nel secondo e terzo capitolo è stata effettuata un’analisi bibliografica delle metodologie per la modellazione della propagazione delle onde a fronte ripido con particolare attenzione ai fenomeni di breaching delle difese rigide ed ambientali. Sono state studiate le fenomenologie che possono inficiare la stabilità dei rilevati arginali, realizzati sia in corrispondenza dei corsi d’acqua, sia in corrispondenza del mare, a discapito della protezione idraulica del territorio ovvero dell’incolumità fisica dell’uomo e dei territori in cui esso vive e produce. In un rilevato arginale, quale che sia la causa innescante la formazione di breccia, la generazione di un’onda di piena conseguente la rottura è sempre determinata da un’azione erosiva (seepage o overtopping) esercitata dall’acqua sui materiali sciolti costituenti il corpo del rilevato. Perciò gran parte dello studio in materia di brecce arginali è incentrato sulla ricostruzione di siffatti eventi di rottura. Nel quarto capitolo è stata calcolata la probabilità, in 5 anni, di avere un allagamento nella zona di interesse e la velocità di propagazione del fronte d’onda. Inoltre è stata effettuata un’analisi delle condizioni meteo marine attuali (clima ondoso, livelli del mare e correnti) al largo della costa emiliano-romagnola, le cui problematiche e linee di intervento per la difesa sono descritte nel quinto capitolo, con particolare riferimento alla costa ferrarese, oggetto negli ultimi anni di continui interventi antropici. Introdotto il sistema Gis e le sue caratteristiche, si è passati a descrivere le varie fasi che hanno permesso di avere in output il file delle coordinate x, y, z dei punti significativi della costa, indispensabili al fine della simulazione Mike 21, le cui proprietà sono sviluppate nel sesto capitolo.

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SCOPO DELLA RICERCA Aedes albopictus è diventata in pochi anni dalla sua introduzione in Italia la specie di zanzara più nociva e più importante sotto il profilo sanitario. Essendo una zanzara tipicamente urbana e ad attività diurna, limita fortemente la fruizione degli spazi aperti ed incide negativamente su alcune attività economiche. Il recente episodio epidemico di Chikungunya, che ha colpito il nostro Paese, ha allarmato le autorità sanitarie nazionali ed europee che stanno attivando misure di prevenzione e contrasto per fronteggiare il rischio che il virus diventi endemico o che altri virus possano essere introdotti nelle nostre aree. Le misure di lotta contro Aedes albopictus attualmente in essere (lotta larvicida, rimozione dei microfocolai, informazione e coinvolgimento dei cittadini) non danno risultati sufficienti in termini di capacità di contenimento delle densità del vettore. Per questo è stato avviato un progetto di ricerca centrato sull'applicazione del metodo dell'autocidio a questa specie. L’attività di ricerca svolta ha avuto come scopo la messa a punto delle metodiche di allevamento massale e di sterilizzazione in grado di permettere la produzione di maschi di qualità sufficiente a garantire una buona fitness nelle condizioni di campo e competitività coi maschi selvatici nella fase di accoppiamento. Le prove condotte possono essere raggruppate sotto tre principali campi di indagine: Prove di allevamento, Prove di Irraggiamento e Prove di Competizione. 1. Prove di allevamento In questo ambito sono state esaminate nuove diete larvali al fine di ottenere una più elevata produttività in termini di pupe con tempi di impupamento e dimensioni delle pupe più omogenei. È stata inoltre valutata la possibile reazione fagostimolante dell’ATP addizionato al pasto di sangue delle femmine adulte con lo scopo di incrementare la produttività di uova prodotte dai ceppi di Ae.albopictus in allevamento. 2. Prove di irraggiamento Attraverso prove di laboratorio sono stati investigati in gabbia gli effetti sterilizzanti di diverse dosi radianti (20 - 85 Gy) sulle pupe maschio di Ae. albopictus per la valutazione dei livelli di sterilità, fertilità e fecondità indotti sulle femmine. Si sono compiute inoltre indagini per valutare eventuali alterazioni dello stato fisiologico dei maschi irraggiati e dei livelli di sterilità indotti su femmine, in funzione dell’età pupale alla quale venivano sottoposti a radiazioni. Analisi degli effetti delle radiazioni sui tempi di rotazione genitale, sulla velocità ed efficacia degli accoppiamenti e sui tempi di sfarfallamento degli adulti sono state condotte su maschi irraggiati a diverse dosi. Infine su femmine di Ae. albopictus si sono realizzate prove in gabbia per lo studio dei tempi di recettività all'accoppiamento. Prove di competizione L'effetto negativo della colonizzazione in condizioni artificiali e l'irraggiamento sono riconosciuti come i fattori principali che incidono sulla competitività dei maschi sterilizzati nei confronti di quelli fertili. Per la verifica della variazione di fitness dovuta a imbreeding ed eterosi, prove di competizione in serra (7,5 x 5 x 2,80 m) sono state realizzate impiegando ceppi allevati in laboratorio, ceppi selvatici raccolti in campo e ceppi ibridi ottenuti incrociando diversi ceppi di laboratorio. RISULTATI 1. Prove di allevamento Sono state confrontate la dieta standard (DS = 2,5 mg/larva Friskies Adult ® + 0,5 mg/larva lievito di birra) e la nuova dieta integrata addizionata di Tetramin ® (DI = DS + 0,2 mg/larva Tetramin ®) per l’alimentazione delle larve in allevamento. Le prove condotte hanno evidenziato una buona risposta nelle percentuali di impupamento e di produttività in termini di pupe per la nuova dieta senza peevidenziare miglioramenti significativi con la DS. Con la dieta integrata si ottiene un impupamento a 7 giorni del 66,6% delle larve allevate (65% con la DS) e il setacciamento a 1400 μm delle pupe ottenute produce in media il 98,3% di maschi nel setacciato (98,5% con la DS). Con la dieta standard la percentuale di maschi ottenuti sulle larve iniziali è pari a 27,2% (20-25% con la DS). Come riportato da Timmermann e Briegel (1999) la dieta delle larve va strutturata con l’obiettivo di garantire un ampio range di elementi nutritivi evitando così il rischio di carenze o sub-carenze che possano influire negativamente sulla produttività dell’allevamento e sulle condizioni di vigore dei maschi. Secondo Reisen (1980, 1982), l’influenza negativa dell’allevamento sulla competitività dei maschi nella fase di accoppiamento potrebbe essere di maggiore peso rispetto all’influenza dell’irraggiamento dei maschi. Infine le prove di laboratorio condotte per la verifica dell’efficacia fagostimolante di ATP nel pasto di sangue offerto alle femmine dell’allevamento non hanno evidenziato differenze significative in nessuno dei parametri considerati tra il campione nutrito con ATP e il testimone. Nella realizzazione di allevamenti massali per la produzione di maschi da irraggiare, si ritiene quindi opportuno mantenere la nuova dieta testata che garantisce una spettro nutritivo più ampio e completo alle larve in allevamento. L’aggiunta di ATP nel pasto di sangue delle femmine adulte non sarà impiegato in quanto troppo costoso e significativamente poco produttivo nel garantire un aumento del numero di uova prodotte. 2. Prove di irraggiamento Oltre alla sopravvivenza e alla sterilità, la scelta dello stadio di sviluppo più conveniente da irraggiare in un programma SIT dipende dalla possibilità di maneggiare in sicurezza grandi quantità di insetti senza danneggiarli durante tutte le fasi che intercorrono tra l’allevamento massale, l’irraggiamento e il lancio in campo. La fase pupale risulta sicuramente più vantaggiosa per il maggior numero di pupe irraggiabili per unità di volume e per il minimo danneggiamento arrecabile all'insetto che viene mantenuto in acqua durante tutte le procedure. La possibilità di lavorare con la minima dose radiante efficace, significa ridurre lo stress provocato inevitabilmente alle pupe maschio, che si manifesta nell’adulto con una ridotta longevità, una diminuita capacità di accoppiamento o di ricerca del partner e attraverso possibili alterazioni comportamentali che possono rendere il maschio inattivo o inefficace una volta introdotto in campo. I risultati ottenuti sottoponendo pupe maschili a irraggiamento a differenti ore dall’impupamento evidenziano come la maturità del campione influisca sia sulla mortalità delle pupe che sull’efficacia sterilizzante dell’irraggiamento. Come riportato anche da Wijeyaratne (1977) le pupe più vecchie mostrano una minore mortalità e una maggiore sensibilità alle radiazioni rispetto a quelle più giovani. In particolare si è osservato come pupe maschili di età superiore 24h fossero maggiormente sensibili all’irraggiamento riportando minore perdita di competitività rispetto alle pupe irraggiate precocemente. La minore dose impiegata per il raggiungimento della sterilità con minimi effetti sulla longevità dei maschi trattati e con livelli di fecondie fertilità indotti sulle femmine non differenti dal testimone, corrisponde a 40Gy (Cs 137 - 2,3 Gy/min). Analizzando la sopravvivenza dei maschi, si osserva una tendenza all'aumento della mortalità in funzione dell’aumento della dose fornita per tutte le età pupali di irraggiamento testate. Per trattamenti condotti su pupe di età > 30h la longevità dei maschi non risente dell’irraggiamento fino a dosi di 40Gy. La fecondidelle femmine accoppiatesi con maschi irraggiati con dosi superiori a 40Gy mostra una tendenza alla riduzione del numero di uova prodotte con l’aumentare della dose ricevuta dal maschio. L’irraggiamento delle pupe non determina variazioni significative nei tempi di sfarfallamento degli adulti per le diverse dosi radianti fornite e per le differenti età pupali testate in rapporto al testimone. L’irraggiamento influenza al contrario i tempi di rotazione dei genitali esterni dei maschi evidenziando un ritardo proporzionale alla dose ricevuta. Resta da definire sui maschi irraggiati l’effetto combinato dei due effetti sui tempi di sfarfallamento degli adulti anche se appare chiara l’assenza di variazioni significative per la dose di irraggiamento 40Gy scelta come radiazione utile per la sterilizzazione dei maschi da lanciare in campo. Per quanto riguarda l’analisi dei tempi di accoppiamento dei maschi irraggiati si osserva in generale una minore reattività rispetto ai maschi fertili particolarmente marcata nei maschi irraggiati a dosi superiori i 40 Gy. Gli studi condotti sui tempi di accoppiamento delle femmine evidenziano una buona recettività (>80%) all’accoppiamento solo per femmine di età superiore a 42 - 48 h femmine. Prima di tale periodo la femmina realizza accoppiamenti con normale appaiamento dei due sessi ma non riceve il trasferimento degli spermi. 3. Prove di competizione Prove preliminari di competizione in tunnel svolte nel 2006 su ceppi selvatici e di allevamento avevano mostrato risultati di competitività dei maschi sterili (50 Gy) segnati da forte variabilità. Nel 2007 dopo aver condotto analisi per la verifica dei tempi di sfarfallamento, di accoppiamento e di rotazione genitale nei maschi sterilizzati, e di recettività nelle femmine, sono state realizzate nuove prove. In queste prove maschi adulti di Ae. albopictus irraggiati a 40Gy sono stati posizionati in campo, in ambiente naturale ombreggiato ed isolato, all’interno di serre (8x5x2,8 m) insieme a maschi adulti fertili e femmine vergini di Ae. albopictus con rapporto 1:1:1. Le prove preliminari 2006 erano condotte con le medesime condizioni sperimentali del 2007 ad eccezione dei tempi di inserimento delle femmine vergini passati da 1 giorno nel 2006, a 3 giorni nel 2007 dall’immissione dei maschi in tunnel. Sono state effettuate prove testando la competizione tra esemplari provenienti da ceppi di allevamento (cicli di allevamento in gabbia > 15), ceppi selvatici (da materiale raccolto in campo e con cicli di allevamento in gabbia < 5) e ceppi ibridi (ottenuti dall’incrocio di ceppi italiani di diversa provenienza geografica). I risultati ottenuti mostrano indici di competizioni medi accettabili senza evidenziare differenza fra i ceppi impiegati. L’allevamento massale quindi non deprime i ceppi allevati e gli ibridi realizzati non mostrano una vigoria superiore ne rispetto ai ceppi selvatici ne rispetto agli allevati in laboratorio.

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Il tema della Logistica Urbana è un argomento complesso che coinvolge diverse discipline. Infatti, non è possibile affrontare la distribuzione delle merci da un solo punto di vista. Da un lato, infatti, manifesta l’esigenza della città e della società in generale di migliorare la qualità della vita anche attraverso azioni di contenimento del traffico, dell’inquinamento e degli sprechi energetici. A questo riguardo, è utile ricordare che il trasporto merci su gomma costituisce uno dei maggiori fattori di impatto su ambiente, sicurezza stradale e congestione della viabilità urbana. Dall’altro lato vi sono le esigenze di sviluppo economico e di crescita del territorio dalle quali non è possibile prescindere. In questa chiave, le applicazioni inerenti la logistica urbana si rivolgono alla ricerca di soluzioni bilanciate che possano arrecare benefici sociali ed economici al territorio anche attraverso progetti concertati tra i diversi attori coinvolti. Alla base di tali proposte di pratiche e progetti, si pone il concetto di esternalità inteso come l’insieme dei costi esterni sostenuti dalla società imputabili al trasporto, in particolare al trasporto merci su gomma. La valutazione di questi costi, che rappresentano spesso una misurazione qualitativa, è un argomento delicato in quanto, come è facile immaginare, non può essere frutto di misure dirette, ma deve essere dedotto attraverso meccanismi inferenziali. Tuttavia una corretta definizione delle esternalità definisce un importante punto di partenza per qualsiasi approccio al problema della Logistica Urbana. Tra gli altri fattori determinanti che sono stati esplorati con maggiore dettaglio nel testo integrale della tesi, va qui accennata l’importanza assunta dal cosiddetto Supply Chain Management nell’attuale assetto organizzativo industriale. Da esso dipendono approvvigionamenti di materie prime e consegne dei prodotti finiti, ma non solo. Il sistema stesso della distribuzione fa oggi parte di quei servizi che si integrano con la qualità del prodotto e dell’immagine della Azienda. L’importanza di questo settore è accentuata dal fatto che le evoluzioni del commercio e l’appiattimento dei differenziali tra i sistemi di produzione hanno portato agli estremi la competizione. In questa ottica, minimi vantaggi in termini di servizio e di qualità si traducono in enormi vantaggi in termini di competitività e di acquisizione di mercato. A questo si aggiunge una nuova logica di taglio dei costi che porta a ridurre le giacenze di magazzino accorciando la pipeline di produzione ai minimi termini in tutte le fasi di filiera. Naturalmente questo si traduce, al punto vendita in una quasi totale assenza di magazzino. Tecnicamente, il nuovo modello di approvvigionamento viene chiamato just-in-time. La ricerca che è stata sviluppata in questi tre anni di Dottorato, sotto la supervisione del Prof. Piero Secondini, ha portato ad un approfondimento di questi aspetti in una chiave di lettura ad ampio spettro. La ricerca si è quindi articolata in 5 fasi: 1. Ricognizione della letteratura italiana e straniera in materia di logistica e di logistica urbana; 2. Studio delle pratiche nazionali ed europee 3. Analisi delle esperienze realizzate e delle problematiche operative legate ai progetti sostenuti dalla Regione Emilia Romagna 4. Il caso di studio di Reggio Emilia e redazione di più proposte progettuali 5. Valutazione dei risultati e conclusioni Come prima cosa si è quindi studiata la letteratura in materia di Logistica Urbana a livello nazionale. Data la relativamente recente datazione dei primi approcci nazionali ed europei al problema, non erano presenti molti testi in lingua italiana. Per contro, la letteratura straniera si riferisce generalmente a sistemi urbani di dimensione e configurazione non confrontabili con le realtà nazionali. Ad esempio, una delle nazioni che hanno affrontato per prime tale tematica e sviluppato un certo numero di soluzioni è stata il Giappone. Naturalmente, città come Tokyo e Kyoto sono notevolmente diverse dalle città europee ed hanno necessità ed esigenze assai diverse. Pertanto, soluzioni tecnologiche e organizzative applicate in questi contesti sono per la maggior parte inattuabili nei contesti del vecchio continente. Le fonti che hanno costituito maggiore riferimento per lo sviluppo del costrutto teorico della tesi, quindi, sono state i saggi che la Regione Emilia Romagna ha prodotto in occasione dello sviluppo del progetto City Ports di cui la Regione stessa era coordinatore di numerosi partners nazionali ed europei. In ragione di questo progetto di ricerca internazionale, l’Emilia Romagna ha incluso il trattamento della logistica delle merci negli “Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria” con le province ed i capoluoghi. In Questo modo si è posta l’attenzione sulla sensibilizzazione delle Pubbliche Amministrazioni locali verso la mobilità sostenibile anche nell’ambito di distribuzione urbana delle merci. Si noti infatti che l’impatto sulle esternalità dei veicoli leggeri per il trasporto merci, quelli cioè che si occupano del cosiddetto “ultimo miglio” sono di due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli dei veicoli passeggeri. Nella seconda fase, la partecipazione a convegni di ambito regionale e nazionale ha permesso di arricchire le conoscenze delle best-practice attuate in Italia per lo sviluppo di strumenti finalizzati ad condividere i costi esterni della mobilità delle merci con gli operatori logistici. In questi contesti è stato possibile verificare la disponibilità di tre linee di azione sulle quali, all’interno del testo della tesi si farà riferimento molto spesso: - linea tecnologica; - linea amministrativa; - linea economico/finanziaria. Nel discutere di questa tematica, all’interno di questi contesti misti in cui partecipavano esponenti della cultura accademica, delle pubbliche amministrazioni e degli operatori, ci si è potuti confrontare con la complessità che il tema assume. La terza fase ha costituito la preparazione fondamentale allo studio del caso di studio. Come detto sopra, la Regione Emilia Romagna, all’interno degli Accordi di Programma con le Province, ha deliberato lo stanziamento di co-finanziamenti per lo sviluppo di progetti, integrati con le pratiche della mobilità, inerenti la distribuzione delle merci in città. Inizialmente, per tutti i capoluoghi di provincia, la misura 5.2 degli A.d.P. prevedeva la costruzione di un Centro di Distribuzione Urbana e l’individuazione di un gestore dei servizi resi dallo stesso. Successive considerazioni hanno poi portato a modifiche della misura lasciando una maggiore elasticità alle amministrazioni locali. Tramite una esperienza di ricerca parallela e compatibile con quella del Dottorato finanziata da un assegno di ricerca sostenuto dall’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia, si è potuto partecipare a riunioni e seminari presentati dalla Regione Emilia Romagna in cui si è potuto prendere conoscenza delle proposte progettuali di tutte le province. L’esperienza di Reggio Emilia costituisce il caso di studio della tesi di Dottorato. Le molteplici problematiche che si sono affrontate si sono protratte per tempi lunghi che hanno visto anche modifiche consistenti nell’assetto della giunta e del consiglio comunali. Il fatto ha evidenziato l’ennesimo aspetto problematico legato al mantenimento del patrimonio conoscitivo acquisito, delle metodiche adottate e di mantenimento della coerenza dell’impostazione – in termini di finalità ed obiettivi – da parte dell’Amministrazione Pubblica. Essendo numerosi gli attori coinvolti, in un progetto di logistica urbana è determinante per la realizzazione e la riuscita del progetto che ogni fattore sia allineato e ben informato dell’evoluzione del progetto. In termini di programmazione economica e di pianificazione degli interventi, inoltre, la pubblica amministrazione deve essere estremamente coordinata internamente. Naturalmente, questi sono fattori determinanti per ogni progetto che riguarda le trasformazioni urbane e lo sviluppo delle città. In particolare, i diversi settori (assessorati) coinvolti su questa tematica, fanno o possno fare entrare in situazioni critiche e rischiose la solidità politica dello schieramento di maggioranza. Basti pensare che la distribuzione delle merci in città coinvolge gli assessorati della mobilità, del commercio, del centro storico, dell’ambiente, delle attività produttive. In funzione poi delle filiere che si ritiene di coinvolgere, anche la salute e la sicurezza posso partecipare al tavolo in quanto coinvolte rispettivamente nella distribuzione delle categorie merceologiche dei farmaci e nella security dei valori e della safety dei trasporti. L’esperienza di Reggio Emilia è stata una opportunità preziosissima da molteplici punti di vista. Innanzitutto ha dato modo di affrontare in termini pratici il problema, di constatare le difficoltà obiettive, ad esempio nella concertazione tra gli attori coinvolti, di verificare gli aspetti convergenti su questo tema. Non ultimo in termini di importanza, la relazione tra la sostenibilità economica del progetto in relazione alle esigenze degli operatori commerciali e produttivi che ne configurano gli spazi di azione. Le conclusioni del lavoro sono molteplici. Da quelle già accennate relative alla individuazione delle criticità e dei rischi a quelle dei punti di forza delle diverse soluzioni. Si sono affrontate, all’interno del testo, le problematiche più evidenti cercando di darne una lettura costruttiva. Si sono evidenziate anche le situazioni da evitare nel percorso di concertazione e si è proposto, in tal proposito, un assetto organizzativo efficiente. Si è presentato inoltre un modello di costruzione del progetto sulla base anche di una valutazione economica dei risultati per quanto riguarda il Business Plan del gestore in rapporto con gli investimenti della P.A.. Si sono descritti diversi modelli di ordinanza comunale per la regolamentazione della circolazione dei mezzi leggeri per la distribuzione delle merci in centro storico con una valutazione comparativa di meriti ed impatti negativi delle stesse. Sono inoltre state valutate alcune combinazioni di rapporto tra il risparmio in termini di costi esterni ed i possibili interventi economico finanziario. Infine si è analizzato il metodo City Ports evidenziando punti di forza e di debolezza emersi nelle esperienze applicative studiate.

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Individuazione dei valori ottimali di crescita di dinoflagellate bentoniche, valutazione della tossicità e di interazioni allelopatiche. Il fitoplancton rappresenta la base della catena trofica in ambiente marino, nonché oltre la metà  della produzione primaria a livello mondiale. Le dinoflagellate, assieme alle diatomee, costituiscono la maggior parte del fitoplancton, comprendendo numerose e diversificate specie di microalghe dalla differente distribuzione, ecologia e fisiologia. Alcune specie appartenenti a tale gruppo sono in grado di dare luogo, in determinate condizioni, a estesi fenomeni di fioriture algali, che diventano particolarmente impattanti se le specie coinvolte sono responsabili della produzione di biotossine, le quali possono direttamente uccidere altri organismi o accumularsi nei loro tessuti. Gli effetti nocivi di questi fenomeni si ripercuotono pesantemente sull'ecosistema marino, con ingenti morie di organismi acquatici (da pesci a molluschi, dal bentos al necton) e profonde alterazioni nelle comunità specifiche. Un forte coinvolgimento si ha di conseguenza anche per le attività umane, in seguito a forti esternalità negative su pesca, turismo, attività ricreative, o spesso con rischi direttamente correlati alla salute umana, dovuti perlopiù ad ingestione di organismi contaminati o all'inalazione di tossine per via aerea. Negli ultimi anni le fioriture algali tossiche si sono fortemente intensificate in distribuzione, estensione e frequenza, attirando l'interesse globale della comunità scientifica. Diversi studi condotti in questo senso hanno portato all'identificazione di numerose specie di dinoflagellate tossiche e all'isolamento di una lunga serie di composti chimici con effetti dannosi da esse sintetizzate. Tuttavia si conosce ancora ben poco sull'ecologia di queste specie, in particolare su quali siano i fattori che possano indurre o regolare la proliferazione e lo sviluppo di un bloom algale. Questo studio si è focalizzato su due specie di dinoflagellate bentoniche tossiche, Ostreopsis ovata e Coolia monotis, entrambe appartenenti alla famiglia Ostreopsidaceae, note già da tempo nei paesi tropicali poiché associate alla sindrome da ciguatera. Negli ultimi anni, Ostreopsis ovata è stata oggetto di numerose ricerche in Europa, poiché ha dato luogo a fenomeni di bloom, collegati con danni respiratori nell'uomo, anche lungo i litorali italiani; soltanto recentemente grazie ad una tecnica analitica basata sulla combinazione di cromatografia liquida e spettrometria di massa (LC-MS), è stato possibile isolare la diverse tossine responsabili. Durante i vari monitoraggi e campionamenti delle acque, questa dinoflagellata è stata sempre riscontrata in presenza di Coolia monotis (e Prorocentrum lima), di cui invece si conosce ben poco, visto che la sua tossicità in Mediterraneo non è ancora stata dimostrata, né la sua tossina caratterizzata. Il primo step di questo studio è stato quello di valutare, attraverso il mantenimento di colture in vitro, l'importanza della temperatura nella crescita di O. ovata e C. monotis (singolarmente) provenienti dalla zona del monte Conero (Ancona, Marche). Esistono già studi di questo tipo su ceppi adriatici di O. ovata, tuttavia è stato effettuato un esperimento similare utilizzando un nuovo ceppo, isolato in anni recenti; per C. monotis invece non sono presenti molti studi in letteratura, in particolare nessuno riguardante ceppi italiani. La valutazione della crescita è stata effettuata attraverso conteggio delle cellule, misura dell'efficienza fotosintetica e consumo dei macronutrienti. Quindi, visto che le due specie vivono in associazione nell'ambiente marino, si è cercato di evidenziare l'instaurarsi di eventuali processi competitivi o di fenomeni di allelopatia. Dall'analisi dei risultati è emerso che, se coltivate individualmente, sia C. monotis che O. ovata mostrano un optimum di crescita alla temperatura di 20°C, con tasso di crescita, numero di cellule e rendimento fotosintetico raggiunti più elevati, seppure non di molto rispetto alle colture a 25°C. Le colture a 30°C al contrario hanno mostrato valori sensibilmente inferiori. Se fatte crescere assieme, invece, C. monotis mantiene lo stesso pattern riscontrato nella monoculture a 20 e 25°C, seppur raggiungendo numeri di cellule inferiori, mentre a 30°C ha una crescita bassissima. Al contrario, O. ovata alla temperatura più elevata raggiunge lo stesso numero di cellule della monocultura, alla temperatura intermedia registra il tasso di crescita, ma non il numero di cellule, più elevato, mentre alla temperatura più bassa (che era l'optimum per la monocultura) si ha il maggior stress per la specie, evidenziando forti fenomeni di competizione. Esperimenti su C. monotis fatta crescere in un filtrato di O. ovata non hanno invece chiarito l'esistenza o meno di eventuali effetti allelopatici di Ostreopsis su Coolia, dato che non sono apparse differenze evidenti tra il controllo e il filtrato, mentre hanno messo in luce l'importanza dei batteri associati alle microalghe come supporto alla loro crescita, poiché le colture cresciute in filtrato sterile hanno manifestato tutte quante un rendimento quantico fotosintetico inferiore.

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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitantee con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienzeevidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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La tesi riporta la sperimentazione in un liceo scientifico di un software di geometria didattica applicato alle isometrie del piano. L'argomento è stato introdotto partendo dalle tassellazioni del piano mostrando immagini relative all'Alhambra in Spagna e dipinti di Escher.

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Questo elaborato si pone l'obiettivo di analizzare e valutare la sostenibilità dell'intera filiera dell'olio di palma, che viene importato da paesi del Sud Est asiatico per essere utilizzato in Europa per scopi sia energetici che alimentari. Nell'introduzione è inquadrata la problematica dei biocombustibili e degli strumenti volontari che possono essere utilizzati per garantire ed incentivare la sostenibilità in generale e dei biocombustibili; è presente inoltre un approfondimento sull'olio di palma, sulle sue caratteristiche e sulla crescita che ha subito negli ultimi anni in termini di produzione e compra/vendita. Per questa valutazione sono stati impiegati tre importanti strumenti di analisi e certificazione della sostenibilità, che sono stati applicati ad uno specifico caso di studio: l'azienda Unigrà SpA. La certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è uno strumento volontario per la garanzia della sostenibilità della filiera dell'olio di palma in termini economici (vitalità nel mercato), ambientali (risparmio delle emissioni di gas ad effetto serra o GHG, conservazione delle risorse naturali e della biodiversità) e sociali (preservazione delle comunità locali e miglioramento nella gestione delle aree di interesse). La Global Reporting Initiative è un'organizzazione che prevede la redazione volontaria di un documento chiamato bilancio di sostenibilità secondo delle linee guida standardizzate che permettono alle organizzazioni di misurare e confrontare le loro performance economiche, sociali e ambientali nel tempo. La Direttiva Comunitaria 2009/28/CE (Renewable Energy Directive o RED) è invece uno strumento cogente nel caso in cui le organizzazioni intendano utilizzare risorse rinnovabili per ottenere incentivi finanziari. A seguito di un calcolo delle emissioni di GHG, le organizzazioni devono dimostrare determinate prestazioni ambientali attraverso il confronto con delle soglie presenti nel testo della Direttiva. Parallelamente alla valutazione delle emissioni è richiesto che le organizzazioni aderiscano a dei criteri obbligatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale, verificabili grazie a degli schemi di certificazione che rientrano all'interno di politiche di sostenibilità globale. Questi strumenti sono stati applicati ad Unigrà, un'azienda che opera nel settore della trasformazione e della vendita di oli e grassi alimentari, margarine e semilavorati destinati alla produzione alimentare e che ha recentemente costruito una centrale da 58 MWe per la produzione di energia elettrica, alimentata in parte da olio di palma proveniente dal sud-est asiatico ed in parte dallo scarto della lavorazione nello stabilimento. L'adesione alla RSPO garantisce all'azienda la conformità alle richieste dell'organizzazione per la commercializzazione e la vendita di materie prime certificate RSPO, migliorando l'immagine di Unigrà all'interno del suo mercato di riferimento. Questo tipo di certificazione risulta importante per le organizzazioni perché può essere considerato un mezzo per ridurre l'impatto negativo nei confronti dell'ambiente, limitando deforestazione e cambiamenti di uso del suolo, oltre che consentire una valutazione globale, anche in termini di sostenibilità sociale. Unigrà ha visto nella redazione del bilancio di sostenibilità uno strumento fondamentale per la valutazione della sostenibilità a tutto tondo della propria organizzazione, perché viene data uguale rilevanza alle tre sfere della sostenibilità; la validazione esterna di questo documento ha solo lo scopo di controllare che le informazioni inserite siano veritiere e corrette secondo le linee guida del GRI, tuttavia non da giudizi sulle prestazioni assolute di una organizzazione. Il giudizio che viene dato sulle prestazioni delle organizzazioni e di tipo qualitativo ma non quantitativo. Ogni organizzazione può decidere di inserire o meno parte degli indicatori per una descrizione più accurata e puntuale. Unigrà acquisterà olio di palma certificato sostenibile secondo i principi previsti dalla Direttiva RED per l'alimentazione della centrale energetica, inoltre il 10 gennaio 2012 ha ottenuto la certificazione della sostenibilità della filiera secondo lo schema Bureau Veritas approvato dalla Comunità Europea. Il calcolo delle emissioni di tutte le fasi della filiera dell'olio di palma specifico per Unigrà è stato svolto tramite Biograce, uno strumento di calcolo finanziato dalla Comunità Europea che permette alle organizzazioni di misurare le emissioni della propria filiera in maniera semplificata ed adattabile alle specifiche situazioni. Dei fattori critici possono però influenzare il calcolo delle emissioni della filiera dell'olio di palma, tra questi i più rilevanti sono: cambiamento di uso del suolo diretto ed indiretto, perché possono provocare perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di riserve di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale, combustione delle foreste, malattie respiratorie, cambiamenti nelle caratteristiche dei terreni e conflitti sociali; presenza di un sistema di cattura di metano all'oleificio, perché gli effluenti della lavorazione non trattati potrebbero provocare problemi ambientali; cambiamento del rendimento del terreno, che può influenzare negativamente la resa delle piantagioni di palma da olio; sicurezza del cibo ed aspetti socio-economici, perché, sebbene non inseriti nel calcolo delle emissioni, potrebbero provocare conseguenze indesiderate per le popolazioni locali. Per una valutazione complessiva della filiera presa in esame, è necessario ottenere delle informazioni puntuali provenienti da paesi terzi dove però non sono di sempre facile reperibilità. Alla fine della valutazione delle emissioni, quello che emerge dal foglio di Biograce e un numero che, sebbene possa essere confrontato con delle soglie specifiche che descrivono dei criteri obbligatori di sostenibilità, non fornisce informazioni aggiuntive sulle caratteristiche della filiera considerata. È per questo motivo che accanto a valutazioni di questo tipo è necessario aderire a specifici criteri di sostenibilità aggiuntivi. Il calcolo delle emissioni dell'azienda Unigrà risulta vantaggioso in quasi tutti i casi, anche considerando i fattori critici; la certificazione della sostenibilità della filiera garantisce l'elevato livello di performance anche nei casi provvisti di maggiore incertezza. L'analisi del caso Unigrà ha reso evidente come l'azienda abbia intrapreso la strada della sostenibilità globale, che si traduce in azioni concrete. Gli strumenti di certificazione risultano quindi dei mezzi che consentono di garantire la sostenibilità della filiera dell'olio di palma e diventano parte integrante di programmi per la strategia europea di promozione della sostenibilità globale. L'utilizzo e l'implementazione di sistemi di certificazione della sostenibilità risulta per questo da favorire.

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Il Protocollo di Montreal, che succede alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono richiede l’eliminazione di idrocarburi contenenti cloro (CFC). Nel corso degli ultimi decenni ha quindi assunto importanza la reazione di idrodeclorurazione di clorofluorocarburi, in particolare rivolta alla produzione di idrocarburi fluorurati che sono risultati interessanti per la produzione di polimeri con specifiche caratteristiche di resistenza meccanica, termica e chimica. In questo lavoro di tesi, svolto in collaborazione con SOLVAY SPECIALTY POLYMERS ITALY, sono stati studiati catalizzatori innovativi per la produzione di perfluorometilviniletere (MVE), mediante idrodeclorurazione di perfluorometilcloroviniletere (AM). Attualmente la reazione di produzione industriale dell’MVE, condotta con l'utilizzo di quantità stechiometriche di Zn e dimetilformammide (DMF), presenta il notevole problema dello smaltimento di grandi quantità di zinco cloruro e di DMF. La reazione studiata, condotta in catalisi eterogenea, in presenta di H2, presenta una forte dipendenza dalla natura dei metalli utilizzati oltre che dal tipo di sintesi dei catalizzatori impiegati. Nell'ambito di questo lavoro è stato sviluppato un metodo, a basso impatto ambientale, per la sintesi si nanoparticelle preformate da utilizzare per la preparazione di catalizzatori supportati si TiO2 e SiO2. Le nanosospensioni ed i sistemi catalitici prodotti sono stati caratterizzati utilizzando diverse metodologie di analisi quali: XRD, XRF, TEM, TPR-MS, che hanno permesso di ottimizzare le diverse fasi della preparazione. Allo scopo di osservare effetti sinergici tra le specie utilizzate sono stati confrontati sistemi catalitici monometallici con sistemi bimetallici, rivelando interessanti implicazioni derivanti dall’utilizzo di fasi attive nanoparticellari a base di Pd e Cu. In particolare, è stato possibile apprezzare miglioramenti significativi nelle prestazioni catalitiche in termini di selettività a perfluorometilviniletere all’aumentare del contenuto di Cu. La via di sintesi ottimizzata e impiegata per la produzione di nanoparticelle bimetalliche è risultata una valida alternativa, a basso impatto ambientale, ai metodi di sintesi normalmente usati, portando alla preparazione di catalizzatori maggiormente attivi di quelli preparati con i metalli standard.

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A partire dalla fine degli anni ’80, gli impianti di molluschicoltura stanno subendo pesanti danni economici a causa dei sempre più frequenti divieti di raccolta dovuti alla comparsa di concentrazioni di biotossine algali all’interno dei tessuti dei molluschi oltre i limiti di legge. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di determinare la distribuzione spaziale e temporale delle specie tossiche lungo le coste dell’Emilia Romagna e correlare la loro presenza alla rilevazione di biotossine marine nel tessuto dei mitili. Sono state effettuate analisi biotossicologiche per l’individuazione e quantificazione delle tossine responsabili della PSP, della ASP e delle tossine liposolubili (OAs, PTXs, AZAs e YTXs). Parallelamente è stato effettuato il monitoraggio delle specie fitoplanctoniche in grado di rendere i mitili tossici e, di conseguenza, responsabili di tali biointossicazioni. Le tossine che hanno superato il limite di legge, nel periodo di tempo considerato, sono state le yessotossine. Le analisi del fitoplancton tossico hanno evidenziato la presenza delle specie Gonyaulax spinifera, Lingulodinium polyedrum e Protoceratium reticulatum (sinonimo di Gonyaulax grindleyi). Le correlazioni effettuate mostrano che la specie G. spinifera è responsabile della chiusura degli allevamenti lungo la costa, a causa della produzione di homo-YTX, mentre la specie P. reticulatum produce prevalentemente YTX. Tale lavoro rappresenta il primo studio in campo in cui viene correlata la presenza delle due tossine, YTX e homo-YTX, con quella delle due alghe produttrici, confermando quanto riportato dalla letteratura. Tale lavoro intende offrire uno spunto, una base di partenza al fine di ottenere un quadro più dettagliato dell’andamento delle specie tossiche lungo la costa oggetto di studio.

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Il lavoro svolto nel corso del mio dottorato ha avuto per oggetto lo studio dell’ inibizione della glicolisi aerobia (il principale processo metabolico utilizzato dalle cellule neoplastiche per produrre energia) ottenuta mediante il blocco dell’enzima lattato deidrogenasi (LDH). La mia attività si è concentrata sulla possibilità di utilizzare questo approccio allo scopo di migliorare l’efficacia della terapia antitumorale, valutandone gli effetti su colture di carcinoma epatocellulare umano Inizialmente, per valutare gli effetti della inibizione della LDH, è stato usato l’acido ossamico ( OXA). Questo composto è l’unico inibitore noto specifico per LDH ; è una molecola non tossica in vivo, ma attiva a concentrazioni troppo elevate per consentirne un uso terapeutico. Un importante risultato ottenuto è stata la dimostrazione che l’ inibizione della LDH ottenuta con OXA non è solo in grado di innescare una risposta di morte nelle cellule trattate, ma, associata alla somministrazione di sorafenib, aumenta fortemente l’efficacia di questo farmaco, determinando un effetto di sinergismo. Questo forte effetto di potenziamento dell’azione del farmaco è stato spiegato con la dimostrazione che il sorafenib ha la capacità di inibire il consumo di ossigeno delle cellule trattate, rendendole più dipendenti dalla glicolisi. Grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche il nostro gruppo di ricerca è arrivato alla identificazione di un composto (galloflavina) che inibisce la LDH con una efficienza molto maggiore di OXA. I risultati preliminari ottenuti sulle cellule di epatocarcinoma suggeriscono che la galloflavina potrebbe essere un composto promettente nel campo degli inibitori metabolici tumorali e inducono a una sua valutazione più approfondita come potenziale farmaco antineoplastico.

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Self-assembly relies on the association of pre-programmed building blocks through non-covalent interactions to give complex supramolecular architectures. Previous studies provided evidence for the unique self-assembly properties of semi-synthetic lipophilic guanosine derivatives which can sequestrate ions from an aqueous phase, carry them into an organic phase where they promote the generation of well-defined supramolecular assemblies. In the presence of cations lipophilic guanosines form columnar aggregates while in their absence they generate supramolecular ribbons. The aim of this thesis has been the synthesis of guanine derivatives, in particular N9-alkylated guanines and a guanosine functionalized as a perchlorotriphenylmetil moiety (Gace-a-HPTM) in order to observe their supramolecular behaviour in the absence of sugar (ribose or deoxyribose) and in the presence of a bulky and chiral substituent respectively. By using guanine instead of guanosine, while maintaining all the hydrogen bond acceptor and donor groups required for supramolecular aggregation, the steric hindrance to supramolecular aggregation is notably reduced because (i.e. guanines with groups in N9 different from sugar are expected to have a greatest conformational freedom even in presence of bulky groups in C8). Supramolecular self-assembly of these derivatives has been accomplished in solutions by NMR and CD spectroscopy and on surface by STM technique. In analogy with other guanosine derivatives, also N9-substituted guanines and GAceHPTM form either ribbon-like aggregates or cation-templated G-quartet based columnar structures.

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Questa relazione finale è incentrata sul lavoro sperimentale richiesto dalla collaborazione con l’azienda Natural Salumi ed ha come obiettivo principale quello di verifica dei parametri qualitativi e compositivi di una nuova tipologia di salume in fase di studio. L’azienda ha infatti messo a punto un nuovo “prodotto funzionale” addizionando componenti aventi attività nutraceutica al salame ottenuto da sole parti magre di suino (tipo NaturalFetta) e si propone di arricchire il proprio prodotto con acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 (da olio di semi di lino), noti per gli effetti benefici esercitati sulla salute umana. Sul prodotto di nuova formulazione si effettueranno sia la determinazione della percentuale lipidica mediante metodo ufficiale Soxhlet ed automatizzato Soxtec, al fine di individuare il quantitativo totale della parte grassa, che una caratterizzazione del profilo quali-quantitativo in acidi grassi, fondamentale per verificare la conformità con i requisiti indicati dal Reg. 1924/06 (e successivi come il Reg. UE 432/2012) previsti per le indicazioni da inserire in etichetta (claims) per i prodotti arricchiti con acidi grassi polinsaturi (PUFA). La determinazione del profilo in acidi grassi e, nello specifico, del contenuto in acido -linolenico, sarà realizzata mediante gascromatografia previa estrazione della frazione lipidica dei salumi con metodo di Folch modificato, che prevede un'estrazione solido-liquido. La concentrazione di acido alfa-linolenico sarà inoltre monitorata durante tutto il periodo di shelf-life del prodotto (45 gg) al fine di valutare eventuali variazioni durante la conservazione. Per soddisfare quest’ultima finalità, le analisi saranno eseguite sia all’inizio (T0) che alla fine (T1) della vita commerciale del prodotto. Le stesse analisi verranno inoltre condotte sia sul prodotto a formulazione classica che su un prodotto del tutto simile, commercializzato da un’altra azienda e considerato come leader di mercato. In relazione ad un possibile aumento di ossidabilità della frazione lipidica, sarà realizzato un controllo dei parametri chimici, qualitativi e compositivi, con particolare riferimento ai prodotti di ossidazione del colesterolo (date le loro implicazioni in ambito biomedico). La maggiore presenza in formulazione di acidi grassi polinsaturi potrebbe infatti favorire un incremento dei COPs (Cholesterol Oxidation Products), che saranno separati, identificati e quantificati mediante la procedura SPE/GC-MS (estrazione e purificazione in fase solida accoppiata ad analisi gascromatografica con rivelazione mediante spettrometria di massa).