971 resultados para Rainha D. Maria Pia
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Cesarean Delivery (CD) rates are rising in many parts of the world. In order to define strategies to reduce them, it is important to explore the role of clinical and organizational factors. This thesis has the objective to describe the contemporary CD practice and study clinical and organizational variables as determinants of CD in all women who gave birth between 2005 and June 2010 in the Emilia Romagna region (Italy). All hospital discharge abstracts of women who delivered between 2005 and mid 2010 in the region were selected and linked with birth certificates. In addition to descriptive statistics, in order to study the role of clinical and organizational variables (teaching or non-teaching hospital, birth volumes, time and day of delivery) multilevel Poisson regression models and a classification tree were used. A substantial inter-hospital variability in CD rate was found, and this was only partially explained by the considered variables. The most important risk factors of CD were: previous CD (RR 4,95; 95%CI: 4,85-5,05), cord prolapse (RR 3,51; 95% CI:2,96-4,16), and malposition/malpresentation (RR 2,72; 95%CI: 2,66-2,77). Delivery between 7 pm and 7 am and during non working days protect against CD in all subgroups including those with a small number of elective CDs while delivery at a teaching hospital and birth volumes were not statistically significant risk factors. The classification tree shows that previous CD and malposition/malpresentation are the most important variables discriminating between high and low risk of CD. These results indicate that other not considered factors might explain CD variability and do not provide clear evidence that small hospitals have a poor performance in terms of CD rate. Some strategies to reduce CD could be found by focusing on the differences in delivery practice between day and night and between working and no-working day deliveries.
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I calibratori di attività dei radionuclidi sono strumenti fondamentali per la pratica diagnostica e terapeutica in Medicina Nucleare. Il loro ruolo principale è quello di quantificare accuratamente l’attività dei radiofarmaci somministrata ai pazienti, vengono pertanto progettati per avere una accuratezza di misura ottimale per attività relativamente alte. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare il livello di minima attività rivelabile (o Minimum Detectable Activity, MDA) di diversi modelli di calibratori di attività, al fine di estendere l’utilizzo di questi strumenti ad altre applicazioni. E’ stata quindi eseguita un’estesa campagna di misure sperimentali sui principali modelli di calibratori commercialmente distribuiti. Le modalità di misura della MDA sviluppate sono basate su un adattamento delle tecniche di riferimento per altri tipi di strumenti; tali tecniche, non solo rispondono all’obiettivo immediato, ma hanno permesso di dimostrare che è possibile una determinazione generalizzata della MDA di questa classe di apparecchiature. I risultati che verranno presentati sono stati ottenuti con una metodologia indipendente dal tipo di apparecchiatura e sono basati su misurazioni che possono essere replicate in ogni laboratorio.
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L'obiettivo della tesi è diradare, almeno parzialmente, le incertezze che potrebbero essere presenti nella caratterizzazione a compressione di materiali compositi. Per quanto concerne la compressione, in un primo momento, non essendo ritenuta una caratteristica troppo rilevante, si considerava che il materiale composito avesse proprietà equivalenti a quelle in trazione. Solo successivamente, dai primi anni ’70, si sono iniziate ad indagare in modo approfondito e mirato le proprietà meccaniche a compressione di tali materiali. Si sono sviluppati e normati nel tempo vari metodi che vengono classificati in base al modo di applicazione del carico sul provino. Ci si è quindi proposti, basandosi anche sulle richieste mosse dalla Scuderia Toro Rosso di Faenza, di determinare, dopo aver analizzato tutti i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna metodologia, quella migliore a cui attenersi per tutte le prove di compressione che seguiranno. A tale scopo, dopo una attenta e approfondita analisi dei vari metodi di prova, si è scelto di utilizzare il Combined Loading Compression (CLC) Test Fixture: attrezzatura leggera e molto compatta, che dimostra una affidabilità dei risultati superiore alle altre tecnologie. Si è, inoltre, deciso di testare laminati non unidirezionali, evitando così molte problematiche quali, ad esempio, quelle dovute all’utilizzo di tabs o al possibile insorgere di microbuckling delle fibre. Si è risaliti, poi, al valore di resistenza a compressione della lamina unidirezionale attraverso il metodo di calcolo indiretto del Back-Out Factor (BF). Di tale metodo si sono indagate le basi teoriche, a partire dalla teoria classica dei laminati, e si sono ricavate le formule necessarie per l'applicazione pratica sperimentale. Per quanto riguarda la campagna sperimentale, svolta presso i laboratori ENEA di Faenza – Unità Tecnica Tecnologie dei Materiali Faenza (UTTMATF), sono stati realizzati 6 laminati di materiale composito, ognuno con differente sequenza di laminazione e percentuale di fibre nelle diverse direzioni. Due laminati sono stati ottenuti impilando lamine unidirezionali preimpregnate, in modo da ottenere una configurazione cross-ply (0°\90°), due in configurazione angle-ply (0°\90°\±45°) e due materiali unidirezionali (0° e 90°). Da questi 6 laminati sono stati ricavati 12/13 provini ciascuno. I provini cross-ply e angle-ply sono stati testati per ricavarne la resistenza a compressione, da cui, poi, risalire a quella della lamina unidirezionale a 0° mediante il BF. Dal confronto dei risultati ottenuti attraverso l'applicazione combinata di CLC e Back-Out Factor, con i dati riportati nel datasheet ufficiale, si è avuta conferma dell'affidabilità della metodologia scelta. Per quanto concerne l'elaborazione dei dati ricavati dalle prove sperimentali, è stato utilizzato un opportuno programma realizzato con il software Matlab. Con l'estensione GUI, poi, è stata creata un'interfaccia grafica per agevolare la comprensione delle fasi di elaborazione anche ad un utente non esperto.
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Background: Clinical trials have demonstrated that selected secondary prevention medications for patients after acute myocardial infarction (AMI) reduce mortality. Yet, these medications are generally underprescribed in daily practice, and older people are often absent from drug trials. Objectives: To examine the relationship between adherence to evidence-based (EB) drugs and post-AMI mortality, focusing on the effects of single therapy and polytherapy in very old patients (≥80 years) compared with elderly and adults (<80 years). Methods: Patients hospitalised for AMI between 01/01/2008 and 30/06/2011 and resident in the Local Health Authority of Bologna were followed up until 31/12/2011. Medication adherence was calculated as the proportion of days covered for filled prescriptions of angiotensin-converting enzyme inhibitors (ACEIs)/angiotensin receptor blockers (ARBs), β-blockers, antiplatelet drugs, and statins. We adopted a risk set sampling method, and the adjusted relationship between medication adherence (PDC≥75%) and mortality was investigated using conditional multiple logistic regression. Results: The study population comprised 4861 patients. During a median follow-up of 2.8 years, 1116 deaths (23.0%) were observed. Adherence to the 4 EB drugs was 7.1%, while nonadherence to any of the drugs was 19.7%. For both patients aged ≥80 years and those aged <80 years, rate ratios of death linearly decreased as the number of EB drugs taken increased. There was a significant inverse relationship between adherence to each of 4 medications and mortality, although its magnitude was higher for ACEIs/ARBs (adj. rate ratio=0.60, 95%CI=0.52–0.69) and statins (0.60, 0.50–0.72), and lower for β-blockers (0.75, 0.61–0.92) and antiplatelet drugs (0.73, 0.63–0.84). Conclusions: The beneficial effect of EB polytherapy on long-term mortality following AMI is evident also in nontrial older populations. Given that adherence to combination therapies is largely suboptimal, the implementation of strategies and initiatives to increase the use of post-AMI secondary preventive medications in old patients is crucial.
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L’ictus è un importante problema di salute pubblica, è causa di morte e disabilità nella popolazione anziana. La necessità di strategie di prevenzione secondaria e terziaria per migliorare il funzionamento post-ictus e prevenire o ritardare altre condizioni disabilitanti, ha portato l’Italia a sviluppare un intervento di Attività Fisica Adattata (AFA) per l’ictus, che permettesse di migliorare gli esiti della riabilitazione. Obiettivo dello studio è di valutare se l’AFA unita all’Educazione Terapeutica (ET), rispetto al trattamento riabilitativo standard, migliora il funzionamento e la qualità di vita in pazienti con ictus. Studio clinico non randomizzato, in cui sono stati valutati 229 pazienti in riabilitazione post-ictus, 126 nel gruppo sperimentale (AFA+ET) e 103 nel gruppo di controllo. I pazienti sono stati valutati al baseline, a 4 e a 12 mesi di follow-up. Le misure di esito sono il cambiamento a 4 mesi di follow-up (che corrisponde a 2 mesi post-intervento nel gruppo sperimentale) di: distanza percorsa, Berg Balance Scale, Short Physical Performance Battery, e Motricity Index. Le variabili misurate a 4 e a 12 mesi di follow-up sono: Barthel Index, Geriatric Depression Scale, SF-12 e Caregiver Strain Index. La distanza percorsa, la performance fisica, l’equilibrio e il punteggio della componente fisica della qualità di vita sono migliorate a 4 mesi nel gruppo AFA+ET e rimasti stabili nel gruppo di controllo. A 12 mesi di follow-up, il gruppo AFA+ET ottiene un cambiamento maggiore, rispetto al gruppo di controllo, nell’abilità di svolgimento delle attività giornaliere e nella qualità di vita. Infine il gruppo AFA+ET riporta, nell’ultimo anno, un minor numero di fratture e minor ricorso a visite riabilitative rispetto al gruppo di controllo. I risultati confermano che l’AFA+ET è efficace nel migliorare le condizioni cliniche di pazienti con ictus e che gli effetti, soprattutto sulla riabilitazione fisica, sono mantenuti anche a lungo termine.
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Neurodevelopment of preterm children has become an outcome of major interest since the improvement in survival due to advances in neonatal care. Many studies focused on the relationships among prenatal characteristics and neurodevelopmental outcome in order to identify the higher risk preterms’ subgroups. The aim of this study is to analyze and put in relation growth and development trajectories to investigate their association. 346 children born at the S.Orsola Hospital in Bologna from 01/01/2005 to 30/06/2011 with a birth weight of <1500 grams were followed up in a longitudinal study at different intervals from 3 to 24 months of corrected age. During follow-up visits, preterms’ main biometrical characteristics were measured and the Griffiths Mental Development Scale was administered to assess neurodevelopment. Latent Curve Models were developed to estimate the trajectories of length and of neurodevelopment, both separately and combined in a single model, and to assess the influence of clinical and socio-economic variables. Neurodevelopment trajectory was stepwise declining over time and length trajectory showed a steep increase until 12 months and was flat afterwards. Higher initial values of length were correlated with higher initial values of neurodevelopment and predicted a more declining neurodevelopment. SGA preterms and those from families with higher status had a less declining neurodevelopment slope, while being born from a migrant mother proved negative on neurodevelopment through the mediating effect of a being taller at 3 months. A longer stay in NICU used as a proxy of preterms’ morbidity) was predictive of lower initial neurodevelopment levels. At 24 months, neurodevelopment is more similar among preterms and is more accurately evaluated. The association among preterms’ neurodevelopment and physiological growth may provide further insights on the determinants of preterms’ outcomes. Sound statistical methods, exploiting all the information collected in a longitudinal study, may be more appropriate to the analysis.
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I calibratori di attività sono strumenti fondamentali in medicina nucleare, utilizzati da ogni struttura al fine di quantificare l’attività di radiofarmaco da somministrare al paziente. L'accurata taratura di questi strumenti richiederebbe la disponibilità di sorgenti di riferimento certificate per ciascun radionuclide di interesse; tuttavia vi è una importante serie di casi in cui questo metodo non è praticabile a causa delle caratteristiche del radionuclide, come ad esempio il brevissimo tempo di dimezzamento. Lo scopo di questo studio è stato determinare il fattore di taratura per un radioisotopo PET a brevissimo tempo di dimezzamento, il 11C, per il quale non sono commercialmente reperibili delle sorgenti certificate, eseguendo un’accurata misura dell’efficienza di rivelazione di un moderno rivelatore per spettrometria allo specifico valore di energia di 511 keV dei fotoni di annichilazione. Lo strumento utilizzato è un nuovo rivelatore a CZT (tellururo di cadmio-zinco), il Kromek GR1, un rivelatore compatto che opera a temperatura ambiente, caratterizzato da una interessante risoluzione energetica e da una efficienza di rivelazione contenuta, quest’ultima adeguata per l’analisi di campioni che hanno un’attività relativamente elevata, come di frequente accade nei siti di produzione dei nuclidi radioattivi. Le misure sperimentali sono state eseguite cercando di ottimizzare ogni passaggio al fine di minimizzare le incertezze, in modo da ottenere una stima accurata del fattore di taratura, secondo una modalità tracciabile ad uno standard accreditato NIST e riproducibile per qualunque altro radioisotopo PET. Potranno quindi essere constatati i fattori di taratura noti di altri radionuclidi e successivamente stimati i fattori per radioisotopi sperimentali anche mediante diversi modelli di calibratori.
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In questo studio ci siamo proposti di investigare i sistemi di modulazione automatica della dose sui sistemi TC Multislice (Automatic Exposure Control – AEC) da tre diversi produttori, aventi differenti indicatori di qualità delle immagini. Il presente lavoro è stato svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria - Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e consiste in un’analisi quantitativa della dose impiegata durante esami di Tomografia Computerizzata Multi-Slice (TCMS) e delle rispettive immagini radiologiche. Le immagini sono state acquisite con : GE LightSpeed VCT 64 e GE LightSpeed 16 (AEC AutomA 3D longitudinale e angolare), Siemens Sensation 16 (AEC CARE Dose 4D combinato), Philips Brilliance 16 e iCT 64 (separati in AEC ZDOM longitudinale e AEC DDOM angolare). Le acquisizioni TCMS sono state effettuate a differenti kV e mA di riferimento, al fine di investigarne gli effetti sulla modulazione, impiegando algoritmi di ricostruzione standard presenti su ogni macchina. Due fantocci antropomorfi simulanti la zona del torace e dell’addome sono stati utilizzati per simulare un paziente standard posizionato come in un esame clinico di routine ; a questo proposito, sono stati impiegati protocolli elicoidali standard con e senza modulazione. Sono inoltre stati testati differenti valori di indice di qualità delle immagini. Il profilo dei mA lungo la lunghezza è stato ottenuto utilizzando ImageJ, un programma open source comunemente utilizzato per l’elaborazione di immagini; i mAs sono stati normalizzati ad un fattore che tiene conto delle differenti geometrie e delle filtrazioni dei diversi scanner tomografici analizzati nell’esperienza. Il rumore è stato valutato tramite la scelta di determinate ROI (Region Of Interest) localizzate in aree il più possibili uniformi disponibili lungo i fantocci. Abbiamo registrato che una variazione del Noise Index o dei mAs di riferimento a seconda della tipologia di macchina analizzata risulta in uno shift dei profili di dose; lo stesso si è verificato quando sono stati cambiato kV o mA nella scout di acquisizione. Sistemi AEC longitudinali e combinati hanno mostrato profili di mAs normalizzati simili tra loro, con valori elevati evidenziati nella zona delle spalle e zona pelvi; sono state osservate differenze del 30-40% tra i differenti scanner tomografici. Solo in un caso di macchina analizzata si è verificato un comportamento opposto rispetto alle altre due tipologie di macchina in esame. A dispetto della differente natura dei sistemi AEC, i risultati ottenuti dai protocolli combinati e longitudinali sono simili tra loro. Il rumore presente nelle immagini è aumentato ad un livello accettabile e la sua uniformità lungo la direzione di scan è migliorata.
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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.
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In un contesto dominato da invecchiamento della popolazione, prevalenza della cronicità e presenza crescente di pazienti multiproblematici e non autosufficienti è indispensabile spostare il baricentro delle cure dall'acuzie alla cronicità, e quindi assicurare la continuità e la coerenza fra i diversi setting di cura, sia sanitari che socio-sanitari (ospedale, servizi sanitari territoriali, domicilio, strutture residenziali di Long term care). Dall'analisi della letteratura emerge che il maggiore ostacolo a realizzare questa continuità è rappresentato dalla presenza, caratteristica del sistema di welfare italiano, di molteplici attori e strutture con competenze, obiettivi e funzioni diverse e separate, e la raccomandazione di lavorare per l'integrazione contemporaneamente su più livelli: - normativo-istituzionale - programmatorio - professionale e gestionale Il sistema della "governance" realizzato in Emilia-Romagna per l'integrazione socio-sanitaria è stato valutato alla luce di queste raccomandazioni, seguendo il modello della Realist evaluation per i Social complex interventions: enucleando le "teorie" alla base dell'intervento ed analizzando i diversi step della sua implementazione. Alla luce di questa valutazione, il modello della "governance" è risultato coerente con le indicazioni delle linee guida, ed effettivamente capace di produrre risultati al fine della continuità e della coerenza fra cure sanitarie e assistenza sociale e sanitaria complessa. Resta da realizzare una valutazione complessiva dell'impatto su efficacia, costi e soddisfazione dei pazienti.
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Numerose ricerche indicano i modelli di cure integrate come la migliore soluzione per costruire un sistema più efficace ed efficiente nella risposta ai bisogni del paziente con tumore, spesso, però, l’integrazione è considerata da una prospettiva principalmente clinica, come l’adozione di linee guida nei percorsi della diagnosi e del trattamento assistenziale o la promozione di gruppi di lavoro per specifiche patologie, trascurando la prospettiva del paziente e la valutazione della sua esperienza nei servizi. Il presente lavoro si propone di esaminare la relazione tra l’integrazione delle cure oncologiche e l’esperienza del paziente; com'è rappresentato il suo coinvolgimento e quali siano i campi di partecipazione nel percorso oncologico, infine se sia possibile misurare l’esperienza vissuta. L’indagine è stata svolta sia attraverso la revisione e l’analisi della letteratura sia attraverso un caso di studio, condotto all'interno della Rete Oncologica di Area Vasta Romagna, tramite la somministrazione di un questionario a 310 pazienti con neoplasia al colon retto o alla mammella. Dai risultati, emerge un quadro generale positivo della relazione tra l’organizzazione a rete dei servizi oncologici e l’esperienza del paziente. In particolare, è stato possibile evidenziare quattro principali nodi organizzativi che introducono la prospettiva del paziente: “individual care provider”,“team care provider”,“mixed approach”,“continuity and quality of care”. Inoltre, è stato possibile delineare un campo semantico coerente del concetto di coinvolgimento del paziente in oncologia e individuare quattro campi di applicazione, lungo tutte le fasi del percorso: “prevenzione”, “trattamento”,“cura”,“ricerca”. Infine, è stato possibile identificare nel concetto di continuità di cura il modo in cui i singoli pazienti sperimentano l’integrazione o il coordinamento delle cure e analizzare differenti aspetti del vissuto della persona e dell’organizzazione.
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In recent years, an increasing attention has been given to the optimization of the performances of new supramolecular systems, as antennas for light collection. In such background, the aim of this thesis was the study of multichromophoric architectures capable of performing such basic action. A synthetic antenna should consist of a structure with large UV-Vis absorption cross-section, panchromatic absorption, fixed orientation of the components and suitable energy gradients between them, in order to funnel absorbed energy towards a specific site, through fast energy-transfer processes. Among the systems investigated in this thesis, three suitable classes of compounds can be identified: 1) transition metal-based multichromophoric arrays, as models for antenna construction, 2) free-base trans-A2B-phenylcorroles, as self-assembling systems to make effective mimics of the photosynthetic system, and 3) a natural harvester, the Photosystem I, immobilized on the photoanode of a solar-to-fuel conversion device. The discussion starts with the description of the photophysical properties of dinuclear quinonoid organometallic systems, able to fulfil some of the above mentioned absorption requirements, displaying in some cases panchromatic absorption. The investigation is extended to the efficient energy transfer processes occurring in supramolecular architectures, suitably organized around rigid organic scaffolds, such as spiro-bifluorene and triptycene. Furthermore, the photophysical characterization of three trans-A2B-phenylcorroles with different substituents on the meso-phenyl ring is introduced, revealing the tendency of such macrocycles to self-organize into dimers, by mimicking natural self-aggregates antenna systems. In the end, the photophysical analysis moved towards the natural super-complex PSI-LHCI, immobilized on the hematite surface of the photoanode of a bio-hybrid dye-sensitized solar cell. The importance of the entire work is related to the need for a deep understanding of the energy transfer mechanisms occurring in supramolecules, to gain insights and improve the strategies for governing the directionality of the energy flow in the construction of well-performing antenna systems.
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In Medicina Nucleare è possibile ottenere immagini funzionali grazie all’iniezione nel paziente di un radiofarmaco. Quello più utilizzato nelle procedure diagnostiche di Medicina Nucleare è il 99mTc, un gamma emettitore con tempo di dimezzamento di circa sei ore. Attualmente, questo nuclide è prodotto attraverso generatori di 99Mo-99mTc, sfruttando il decadimento β- del 99Mo. Da diversi anni, però, si cerca in tutto il mondo una soluzione alternativa alla produzione di 99mTc, poiché il 99Mo si ottiene in reattori nucleari a partire dalla reazione di fissione del 235U, ma tali reattori sono stati quasi tutti costruiti più di cinquanta anni fa e necessitano continuamente di spegnimenti prolungati e riparazioni. L’alternativa più accreditata è quella relativa alla produzione diretta di 99mTc in ciclotrone attraverso l’irraggiamento di 100Mo con protoni. Il problema principale risiede nella scelta della forma chimica che contenga il 100Mo e del tipo di target da irraggiare. Quest’ultimo deve resistere ad alte correnti e a lunghi tempi di irraggiamento per ottenere quantità di 99mTc sufficienti a soddisfare almeno il fabbisogno del centro ospedaliero in cui è prodotto. Questo lavoro di tesi, svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria del Policlinico S.Orsola-Malpighi, è basato sulla realizzazione di un target a basso costo di triossido Molibdeno arricchito per la produzione diretta di 99mTc. Si sono inoltre valutate le impurezze e l’attività del nuclide di nostro interesse a seguito di irraggiamenti nel ciclotrone PETtrace.
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Il presente lavoro è stato svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Azienda USL della Romagna, Presidio Ospedaliero di Ravenna e consiste nella validazione del dato dosimetrico visualizzato su due apparecchiature per mammografia digitale e nel confronto tra qualità immagine di diverse curve di acquisizione in funzione della dose e della post-elaborazione. Presupposto per l’acquisizione delle immagini è stata la validazione del dato dosimetrico visualizzato sui mammografi, tramite misura diretta della dose in ingresso con strumentazione idonea, secondo protocolli standard e linee guida europee. A seguire, sono state effettuate prove di acquisizione delle immagini radiografiche su due diversi fantocci, contenenti inserti a diverso contrasto e risoluzione, ottenute in corrispondenza di tre curve dosimetriche e in funzione dei due livelli di post-elaborazione delle immagini grezze. Una volta verificati i vari passaggi si è proceduto con l’analisi qualitativa e quantitativa sulle immagini prodotte: la prima valutazione è stata eseguita su monitor di refertazione mammografica, mentre la seconda è stata effettuata calcolando il contrasto in relazione alla dose ghiandolare media. In particolare è stato studiato l’andamento del contrasto cambiando le modalità del software Premium View e lo spessore interposto tra la sorgente di raggi X ed il fantoccio, in modo da simulare mammelle con grandezze differenti.
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Nell'ambito della Fisica Medica, le simulazioni Monte Carlo sono uno strumento sempre più diffuso grazie alla potenza di calcolo dei moderni calcolatori, sia nell'ambito diagnostico sia in terapia. Attualmente sono disponibili numerosi pacchetti di simulazione Monte Carlo di carattere "general purpose", tra cui Geant4. Questo lavoro di tesi, svolto presso il Servizio di Fisica Sanitaria del Policlinico "S.Orsola-Malpighi", è basato sulla realizzazione, utilizzando Geant4, di un modello Monte Carlo del target del ciclotrone GE-PETtrace per la produzione di C-11. Nel modello sono stati simulati i principali elementi caratterizzanti il target ed il fascio di protoni accelerato dal ciclotrone. Per la validazione del modello sono stati valutati diversi parametri fisici, tra i quali il range medio dei protoni nell'azoto ad alta pressione e la posizione del picco di Bragg, confrontando i risultati con quelli forniti da SRIM. La resa a saturazione relativa alla produzione di C-11 è stata confrontata sia con i valori forniti dal database della IAEA sia con i dati sperimentali a nostra disposizione. Il modello è stato anche utilizzato per la stima di alcuni parametri di interesse, legati, in particolare, al deterioramento dell'efficienza del target nel corso del tempo. L'inclinazione del target, rispetto alla direzione del fascio di protoni accelerati, è influenzata dal peso del corpo del target stesso e dalla posizione in cui questo é fissato al ciclotrone. Per questo sono stati misurati sia il calo della resa della produzione di C-11, sia la percentuale di energia depositata dal fascio sulla superficie interna del target durante l'irraggiamento, al variare dell'angolo di inclinazione del target. Il modello che abbiamo sviluppato rappresenta, dunque, un importante strumento per la valutazione dei processi che avvengono durante l'irraggiamento, per la stima delle performance del target nel corso del tempo e per lo sviluppo di nuovi modelli di target.