980 resultados para Altai Mountains
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.
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Thermal infrared (IR, 10.5 – 12.5 m) images from the Meteosat Visible and Infrared Imager (MVIRI) of cold cloud episodes (cloud top brightness temperature < 241 K) are used as a proxy of precipitating clouds to derive a warm season (May-August) climatology of their coherency, duration, span, and speed over Europe and the Mediterranean. The analysis focuses over the 30°-54°N, 15°W-40°E domain in May-August 1996-2005. Harmonic analysis using discrete Fourier transforms is applied together with a statistical analysis and an investigation of the diurnal cycle. This study has the objective to make available a set of results on the propagation dynamics of the cloud systems with the aim of assist numerical modellers in improving summer convection parameterization. The zonal propagation of cold cloud systems is accompanied by a weak meridional component confined to narrow latitude belts. The persistence of cold clouds over the area evidences the role of orography, the Pyrenees, the Alps, the Balkans and Anatolia. A diurnal oscillation is found with a maximum marking the initiation of convection in the lee of the mountains and shifting from about 1400 UTC at 40°E to 1800 UTC at 0°. A moderate eastward propagation of the frequency maximum from all mountain chains across the domain exists and the diurnal maxima are completely suppressed west of 5°W. The mean power spectrum of the cold cloud frequency distribution evidences a period of one day all over Europe disappearing over the ocean (west of 10°W). Other maxima are found in correspondence of 6 to 10 days in the longitudes from 15° W to 0° and indicate the activity of the westerlies with frontal passage over the continent. Longer periods activities (from 15 up to 30 days) were stronger around 10° W and from 5° W to 15° E and are likely related to the Madden Julian Oscillation influence. The maxima of the diurnal signal are in phase with the presence of elevated terrain and with land masses. A median zonal phase speed of 16.1 ms-1 is found for all events ≥ 1000 km and ≥ 20 h and a full set of results divided by years and recurrence categories is also presented.
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Im Wassereinzugsgebiet der Aar zwischen Taunuskamm und Limburger Becken wurden 242 Erosionsschluchten, so genannte Runsen kartiert. Die vorgefundenen geomorphologischen Formen sind zum Teil mehr als 15 Meter tief, kerben- oder kastenförmig. Einige führen ein zeitweise oder ständig fließendes Gerinne. Die Untersuchung acht verschiedener Einzelbeispiele mit geomorphologischen, bodenkundlichen und kulturhistorischen Methoden ergab, dass die Erosionsschluchten in geschichtlicher Zeit entstanden sind. Damit wurden die Ergebnisse von BORK 1988, 1985, BORK et al. 1998, BAUER 1995, 1993, SEMMEL 1963, HEMPEL 1954, 1954 und HARD 1970 weitgehend bestätigt. Die Runsen an der Aar und ihrer Nebenbäche sind das Ergebnis exzessiver Erosionsprozesse, die in Folge einer erheblichen Übernutzung der Landschaft durch Köhlerei, Eisenerzverhüttung und Landwirtschaft hauptsächlich im 17. und 18. Jahrhundert ausgelöst wurden. Dabei kommt der seit 1656 betriebenen Michelbacher Hütte als landesherrliches Eisenwerk eine besondere Rolle zu. Ein weiterer Einfluss geht auf die spezifische Geofaktorenkonstellation im Untertaunus zurück. Die dort verbreiteten stark tonig verwitterten Schiefer und erodierten Parabraunerden fördern den Oberflächenabfluss, der während zeitweise auftretender Starkregenereignisse an den Hängen zum Einreißen von Erosionsschluchten führen kann . Zur Untersuchung des Phänomens wurden sowohl geomorphologische und bodenkundliche als auch historisch-kulturlandschaftgenetische Methoden herangezogen. Neben der bodenkundlichen Beprobung zahlreicher Aufschlüsse wurden auch Analysen mittels der Radiokarbonmethode, Schwermineralanalysen, Kohlholzspektren historischer Meilerplätze und die Auswertung von Archivunterlagen als Methoden herangezogen. Als grundlegendes Ergebnis liefert die vorliegende Arbeit einen umfassenden Abriss der Nutzungsgeschichte im Wassereinzugsgebiet der Aar von vorgeschichtlicher Zeit bis zum heutigen Tage. Zudem werden die naturräumlichen Einflussfaktoren, die die Entstehung von Erosionsschluchten erst ermöglichen, auf umfassende Weise dargestellt. Zwei Exkurse behandeln die Bedeutung der spätmittelalterlichen Landwehr bei Hennethal, die während der Geländearbeiten entdeckt wurde sowie die Entstehung und zeitliche Einordnung der Auelehme im Aartal.
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Spannungsumlagerungen in Mineralen und Gesteinen induzieren in geologisch aktiven Bereichen mikromechanische und seismische Prozesse, wodurch eine schwache natürliche elektromagnetische Strahlung im Niederfrequenzbereich emittiert wird. Die elektromagnetischen Emissionen von nichtleitenden Mineralen sind auf dielektrische Polarisation durch mehrere physikalische Effekte zurückzuführen. Eine gerichtete mechanische Spannung führt zu einer ebenso gerichteten elektromagnetischen Emission. Die Quellen der elektromagnetischen Emissionen sind bekannt, jedoch können sie noch nicht eindeutig den verschiedenen Prozessen in der Natur zugeordnet werden, weshalb im Folgenden von einem seismo-elektromagnetischen Phänomen (SEM) gesprochen wird. Mit der neuentwickelten NPEMFE-Methode (Natural Pulsed Electromagnetic Field of Earth) können die elektromagnetischen Impulse ohne Bodenkontakt registriert werden. Bereiche der Erdkruste mit Spannungsumlagerungen (z.B. tektonisch aktive Störungen, potenzielle Hangrutschungen, Erdfälle, Bergsenkungen, Firstschläge) können als Anomalie erkannt und abgegrenzt werden. Basierend auf dem heutigen Kenntnisstand dieser Prozesse wurden Hangrutschungen und Locker- und Festgesteine, in denen Spannungsumlagerungen stattfinden, mit einem neuentwickelten Messgerät, dem "Cereskop", im Mittelgebirgsraum (Rheinland-Pfalz, Deutschland) und im alpinen Raum (Vorarlberg, Österreich, und Fürstentum Liechtenstein) erkundet und die gewonnenen Messergebnisse mit klassischen Verfahren aus Ingenieurgeologie, Geotechnik und Geophysik in Bezug gesetzt. Unter Feldbedingungen zeigte sich großenteils eine gute Übereinstimmung zwischen den mit dem "Cereskop" erkundeten Anomalien und den mit den konventionellen Verfahren erkundeten Spannungszonen. Auf Grundlage der bisherigen Kenntnis und unter Einbeziehung von Mehrdeutigkeiten werden die Messergebnisse analysiert und kritisch beurteilt.
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Palynologie und Sedimentologie der Interglazialprofile Döttingen, Bonstorf, Munster und Bilshausen Zusammenfassung In der vorliegenden Dissertation wurden vier dem Holstein-Interglazial zugehörige Bohrkerne sowie ein rhumezeitlicher Bohrkern palynologisch und sedimentologisch bearbeitet. Die holsteinzeitlichen Bohrkerne stammen aus Kieselgurlagerstätten der Lüneburger Heide (Bonstorf und Munster) und aus einem Trockenmaar (Döttingen) in der Eifel. Der rhumezeitliche Kern stammt aus der Typlokalität Bilshausen im Harzvorland. Neben Prozentwertdiagrammen werden Pollendichte- und wenn möglich Polleninfluxwerte vorgestellt, die insbesondere für die Lokalitäten Hetendorf/Bonstorf und Munster/Breloh bisher nicht verfügbar waren. Mit dem Profil Döttingen konnte erstmals eine sowohl vollständige als auch nicht innerhalb des klassischen Aufkommens holsteinzeitlicher Fundstellen im norddeutschen Tiefland positionierte Holsteinsequenz aus dem deutschen Mittelgebirge dokumentiert werden. Das erhaltene Pollendiagramm bestätigt die aus den norddeutschen Profilen bekannte holsteintypische Vegetationsabfolge, durch die das Holstein gegenüber anderen Interglazialen wie Holozän, Eem oder Rhume palynologisch definiert ist. Neben der grundsätzlichen Übereinstimmung der Pollensequenz unterscheidet sich das Profil Döttingen aber deutlich im prozentualen Aufkommen der beteiligten Taxa von den norddeutschen Profilen. So wird eine hohe Alnus-Präsenz als Merkmal deutscher Holsteinprofile bestätigt, jedoch ist die, in den norddeutschen Lokalitäten durchhaltend hohe oder dominante Beteiligung von Pinus im deutschen Mittelgebirge nicht vorhanden und muss daher auf die Standortbedingungen Norddeutschlands zurückgeführt werden. Abies dagegen ist im Holstein der Mittelgebirge wesentlich präsenter als im norddeutschen Flachland. Im Profil Döttingen wurden insgesamt 10 Tephralagen gefunden. Auf eine dieser Tephren folgt ein „Birken-Kiefern-Gräser Vorstoß“, der palynostratigraphisch dem älteren „Birken-Kiefern Vorstoß“ in Munster/Breloh entspricht. Als eine Typologie des Holstein kann das in den Profilen Döttingen und Munster bestätigte intraholsteinzeitliche Carpinus-Minimum verstanden werden. An Hand sedimentologischer und palynologischer Befunde aus dem Bohrkern MU 2 muss die Existenz zweier, in der Literatur postulierter, postholsteinzeitlicher, „Nachschwankungen“ in Munster/Breloh in Frage gestellt, wenn nicht abgelehnt werden. In Kern MU 2 fallen palynostratigraphische Grenzen häufig mit Sandeinschaltungen zusammen. Eine dieser Sandeinschaltungen, nämlich unmittelbar vor dem älteren „Birken-Kiefern-Vorstoß“, korreliert in ihrer stratigraphischen Position mit der den „Birken-Kiefern-Gräser-Vorstoß“ im Profil Döttingen einleitenden Tephralage. Es gelang die Dauer des intraholsteinzeitlichen Carpinus Minimums auf etwa 1500±100 Jahre zu bestimmen und eine interne Zweigliederung zu dokumentieren. Im rhumezeitlichen Kern von Bilshausen (BI 1) konnten zahlreiche Störungen nachgewiesen werden. Insbesondere im Teufenbereich des Bilshausener „Birken-Kiefern-Vorstoßes“ deuten diese auf eine möglicherweise verfälschte Überlieferung. Der palynologisch markante „Lindenfall“ von Bilshausen liegt im Bereich einer isoklinalen Schichtenverfaltung. Die in der Literatur im Horizont des „Lindenfalls“ beschriebene „Bilshausentephra“ wurde nicht gefunden. Warvenzählungen an den Kernen MU 1, MU 2 und BI 1 ermöglichten Pollenzonendauern in Holstein- und Rhume-Interglazial zu bestimmen. Dabei wurde mittels den Warvenzählungen, unter zu Hilfenahme von Literaturdaten und von Schätzwerten eine Dauer für das Holstein-Interglazial sensu stricto (Pollenzonen I-XIV) von 15400-17800 Jahren und für das Rhume-Interglazial von wahrscheinlich 22000 Jahren bis maximal 26000 Jahren ermittelt.
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Die (Wieder-)Nutzung auf Schwerkraft basierender Fördertechniken, die insbesondere durch das niedrige Energiepreisniveau in den Jahrzehnten nach dem 2. Weltkrieg in der Tagebautechnik nahezu vollständig verdrängt wurden, ist bei den heutigen wirtschaftlichen Randbedingungen und anzustrebenden ökologischen Standards eine Herausforderung für die bergbautreibende Industrie. Seit Aufnahme der Entwicklung des Förderkonzeptes – Geführte Versturztechnik – Mitte der 1990er Jahre haben sich die Kosten für Rohöl vor Steuern nach dem Tiefstand um das Jahr 1998 bis heute mehr als verdreifacht, alleine seit 2004 mehr als verdoppelt. Gesetzliche Regelwerke wie die europäische IVU-Richtlinie 96/61/EG zur „integrierten Vermeidung und Verminderung der Umweltverschmutzung“ fordern, Genehmigungen nur noch bei Einsatz der besten verfügbaren Techniken (BVT oder BAT: „best available techniques“) zu erteilen. Die Umsetzung in nationale Vorschriften wie das Bundes-Immissionsschutzgesetz und nachgeordnete Regelwerke fordern hierauf aufbauend, dass Umweltbelastungen nicht in andere Medien verlagert werden dürfen. Die Anordnung einer Versturzrinne zur Nutzung von Massenschwerebewegungen am Beispiel von Quarzitabbau im Rheinischen Schiefergebirge bei denen die Förderbezugsebene unterhalb der Strossen liegt, die zur sichern und selektiven Gewinnung des Rohstoffs aufgefahren werden müssen, erfüllt durch Rückgriff auf ein vermeintlich „archaisches“ Förderkonzept durch Nutzung der Schwerkraft die obigen Anforderungen. Offenkundige Umweltbelastungen, die alleine durch die Verbrennung von Dieselkraftstoff und hieraus resultierender Schadstoff- und Wärmeeinträge in die Luft beim verbreiteten Einsatz von SLKW zur Abwärtsförderung entstehen, können erheblich vermindert werden. Der Aspekt der Betriebssicherheit einer solchen Anordnung kann durch Auffahren eines geradlinigen Bauwerks mit an das Fördergut angepassten Dimensionen sowie Einrichtungen zur Beschränkung der kinetischen Energie erreicht werden. Diese stellen auch gleichzeitig sicher, dass die Zerkleinerung des durch die Versturzrinne abwärts transportierten Materials betrieblich zulässige Grenzen nicht überschreitet. Hierfür kann auf das umfangreiche Wissen zu Massenschwerebewegungen Rückgriff genommen werden. Dem Aspekt des Umweltschutzes, der sich in Bezug auf das Medium Luft auf den autochtonen Staub reduziert, kann durch Vorrichtungen zur Staubniederschlagung Rechnung getragen werden. Vertiefende Untersuchungen sind erforderlich, um die mit komplexen, aber erprobten Techniken arbeitende Tagebauindustrie auch in dicht besiedelten Regionen wieder an die Nutzung von Schwerkraft (-gestützten) Fördertechniken heranzuführen. Auch das Konzept – Geführte Versturztechnik – ist auf konkrete Anwendungsfälle hin in Details anzupassen.
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Die Systematik, Phylogenie und Biogeographie der Gattung Cousinia (Asteraceae, Cardueae) als größter Gattung der Tribus Cardueae mit mehr als 600 Arten wurde untersucht. Diese Dissertation umfasst drei Hauptteile: Im ersten Teil wurde die Phylogenie und Evolution des Arctium-Cousinia-Komplexes Untersucht. Dieser Gattungskomplex enthält Arctium, Cousinia, Hypacanthium und Schmalhausenia und zeigt die höchste Diversität in der Irano-Turanischen Region und in den Gebirgen Zentralasiens. Es wurden ITS und rpS4-trnT-trnL-Sequenzen für insgesamt 138 Arten generiert, darunter von 129 (von ca. 600) Arten von Cousinia. Wie in früheren Analysen bereits gefunden, ist Cousinia nicht monophyletisch. Stattdessen sind Cousinia subg. Cynaroides und subg. Hypacanthodes mit insgesamt ca. 30 Arten enger mit Arctium, Hypacanthium und Schmalhausenia (Arctioid Clade) als mit subg. Cousinia (Cousinioid Clade) verwandt. Die Arctioid und Cousiniod clades werden auch durch Pollenmorphologie und Chromosomenzahl unterstützt, wie bereits früher bekannt war. In dem Arctioid Clade entsprechen morphologische Gattungsgrenzen, basierend auf Blattform, Blattbedornung und Morphologie der Involukralblätter, nicht den in der molekularen analyse gefundenen clades. Es kann keine taxonomische Lösung für diesen Konflikt gefunden werden, und die gennanten Merkmale wurden als homoplastisch betrachtet. Obwohl die phylogenetische Auflösung in dem Cousinioid Clade schlecht ist, enthalten die ITS und rpS4-trnT-trnL-Sequenzen phylogenetische Information. So gruppierten z.B. die sechs annuellen Arten in zwei Gruppen. Schlechte phylogenetische Auflösung resultiert wahrscheinlich aus dem Mangel an Merkmalen und der großen Artenzahl in dieser artenreichen und vergleichsweise jungen (ca. 8,7 mya) Linie. Artbildung in dem Cousinioid Clade scheint hauptsächlich allopatrisch zu sein. Der zweite Teil der Dissertation untersucht die Rolle der Hybridisierung in der Evolution von Cousinia s.s. Die in der Vergangenheit publizierteten 28 Hybrid-Kombinationen und 11 Zwischenformen wurden kritisch geprüft, und zwei Hybridindividuen wurden morphologisch und molekular untersucht. Die vermutlichen oder nachgewiesenen Eltern der Hybriden und Zwischenformen wurden auf die aus einer Bayesischen Analyse der ITS-Sequenzen von 216 Arten von Cousinia und verwandten Gattungen resultierenden Phylogenie aufgetragen. Weder Hybriden zwischen dem Cousinioid Clade und anderen Haupt-Claden des Arctium-Cousinia-Komplexes noch zwischen annuellen und perennirenden Arten von Cousinia s.s. wurden beobachtet. Die Ergebnisse zeigen eindeutig, dass Hybridisierung in Cousinia möglich is, und dass ca. 10,7% der Arten an interspezifischer Hybridisierung beteiligt sind. Obwohl Hybridisierung in Cousinia s.s. stattfindet und zu den Schwierigkeiten bei der Rekonstruktion ihrer phylogenetischen Geschichte beitragen könnte, war ihre Rolle für die Entwicklung und Diversität der Gruppe offenbar gering. Im dritten Teil wird eine taxonomische Revision der C. sect. Cynaroideae präsentiert. Cousinia sect. Cynaroideae, die größte Sektion der Gattung mit 110 veröffentlichten Arten, zeichnet sich durch eine Chromosomenzahl von 2n = 24 und durch ± herablaufende Blätter und Hüllblätter mit Anhängseln aus. Sie kommt im Iran, Irak, dem Kaukasus, der Türkei, Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, dem Libanon und Anti-Libanon vor und hat ihre Hauptzentren der Artdiversität im westlichen und nordwestlichen Iran, im Irak und in der südöstlichen Türkei. Die Revision dieser Gruppe, hauptsächlich basierend auf der Untersuchung von ca. 2250 Herbarbögen, führte zu einer Verringerung der Artenzahl auf 31 Arten mit acht Unterarten. Alle Arten werden typifiziert und ausgeschlüsselt, und Beschreibungen, Abbildungen und Verbreitungskarten werden für jede Art angegeben.
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Während der Glazialphasen kam es in den europäischen Mittelgebirgen bedingt durch extensive solifluidale Massenbewegungen zur Bildung von Deckschichten. Diese Deckschichten repräsentieren eine Mischung verschiedener Substrate, wie anstehendes Ausgangsgestein, äolische Depositionen und lokale Erzgänge. Die räumliche Ausdehnung der Metallkontaminationen verursacht durch kleinräumige Erzgänge wird durch die periglaziale Solifluktion verstärkt. Das Ziel der vorliegenden Untersuchung war a) den Zusammenhang zwischen den Reliefeigenschaften und den Ausprägungen der solifluidalen Deckschichten und Böden aufzuklären, sowie b) mittels Spurenelementgehalte und Blei-Isotopen-Verhältnisse als Eingangsdaten für Mischungsmodelle die Beitrage der einzelnen Substrate zum Ausgangsmaterial der Bodenbildung zu identifizieren und quantifizieren und c) die räumliche Verteilung von Blei (Pb) in Deckschichten, die über Bleierzgänge gewandert sind, untersucht, die Transportweite des erzbürtigen Bleis berechnet und die kontrollierenden Faktoren der Transportweite bestimmt werden. Sechs Transekte im südöstlichen Rheinischen Schiefergebirge, einschließlich der durch periglaziale Solifluktion entwickelten Böden, wurden untersucht. Die bodenkundliche Geländeaufnahme erfolgte nach AG Boden (2005). O, A, B und C-Horizontproben wurden auf ihre Spurenelementgehalte und teilweise auf ihre 206Pb/207Pb-Isotopenverhältnisse analysiert. Die steuernden Faktoren der Verteilung und Eigenschaften periglazialer Deckschichten sind neben der Petrographie, Reliefeigenschaften wie Exposition, Hangneigung, Hangposition und Krümmung. Die Reliefanalyse zeigt geringmächtige Deckschichten in divergenten, konvexen Hangbereichen bei gleichzeitig hohem Skelettgehalt. In konvergent, konkaven Hangbereichen nimmt die Deckschichtenmächtigkeit deutlich zu, bei gleichzeitig zunehmendem Lösslehm- und abnehmendem Skelettgehalt. Abhängig von den Reliefeigenschaften und -positionen reichen die ausgeprägten Bodentypen von sauren Braunerden bis hin zu Pseudogley-Parabraunerden. Des Weiteren kommen holozäne Kolluvien in eher untypischen Reliefpositionen wie langgestreckten, kaum geneigten Hangbereichen oder Mittelhangbereichen vor. Außer für Pb bewegen sich die Spurenelementgehalte im Rahmen niedriger Hintergrundgehalte. Die Pb-Gehalte liegen zwischen 20-135 mg kg-1. Abnehmende Spurenelementgehalte und Isotopensignaturen (206Pb/207Pb-Isotopenverhältnisse) von Pb zeigen, dass nahezu kein Pb aus atmosphärischen Depositionen in die B-Horizonte verlagert wurde. Eine Hauptkomponentenanalyse (PCA) der Spurenelementgehalte hat vier Hauptsubstratquellen der untersuchten B-Horizonte identifiziert (Tonschiefer, Löss, Laacher-See-Tephra [LST] und lokale Pb-Erzgänge). Mittels 3-Komponenten-Mischungsmodell, das Tonschiefer, Löss und LST einschloss, konnten, bis auf 10 Ausreißer, die Spurenelementgehalte aller 120 B-Horizontproben erklärt werden. Der Massenbeitrag des Pb-Erzes zur Substratmischung liegt bei <0,1%. Die räumliche Pb-Verteilung zeigt Bereiche lokaler Pb-Gehaltsmaxima hangaufwärtiger Pb-Erzgänge. Mittels eines 206Pb/207Pb-Isotopenverhältnis-Mischungsmodells konnten 14 Bereiche erhöhter lokaler Pb-Gehaltsmaxima ausgewiesen werden, die 76-100% erzbürtigen Bleis enthalten. Mit Hilfe eines Geographischen Informationssystems wurden die Transportweiten des erzbürtigen Bleis mit 30 bis 110 m bestimmt. Die steuerenden Faktoren der Transportweite sind dabei die Schluffkonzentration und die Vertikalkrümmung. Diese Untersuchung zeigt, dass Reliefeigenschaften und Reliefposition einen entscheidenden Einfluss auf die Ausprägung der Deckschichten und Böden im europäischen Mittelgebirgsbereich haben. Mischungsmodelle in Kombination mit Spurenelementanalysen und Isotopenverhältnissen stellen ein wichtiges Werkzeug zur Bestimmung der Beiträge der einzelnen Glieder in Bodensubstratmischungen dar. Außerdem können lokale Bleierzgänge die natürlichen Pb-Gehalte in Böden, entwickelt in periglazialen Deckschichten der letzten Vereisungsphase (Würm), bis über 100 m Entfernung erhöhen.
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The PhD thesis at hand consists of three parts and describes the petrogenetic evolution of Uralian-Alaskan-type mafic ultramafic complexes in the Ural Mountains, Russia. Uralian-Alaskan-type mafic-ultramafic complexes are recognized as a distinct class of intrusions. Characteristic petrologic features are the concentric zonation of a central dunite body grading outward into wehrlite, clinopyroxenite and gabbro, the absence of orthopyroxene and frequently occurring platinum group element (PGE) mineralization. In addition, the presence of ferric iron-rich spinel discriminates Uralian-Alaskan-type complexes from most other mafic ultramafic rock assemblages. The studied Uralian-Alaskan-type complexes (Nizhnii Tagil, Kytlym and Svetley Bor) belong to the southern part of a 900 km long, N–S-trending chain of similar intrusions between the Main Uralian Fault to the west and the Serov-Mauk Fault to the east. The first chapter of this thesis studies the evolution of the ultramafic rocks tracing the compositional variations of rock forming and accessory minerals. The comparison of the chemical composition of olivine, clinopyroxene and chromian spinel from the Urals with data from other localities indicates that they are unique intrusions having a characteristic spinel and clinopyroxene chemistry. Laser ablation-ICPMS (LA-ICPMS ) analyses of trace element concentrations in clinopyroxene are used to calculate the composition of their parental melt which is characterized by enriched LREE (0.5-5.2 prim. mantle) and other highly incompatible elements (U, Th, Ba, Rb) relative to the HREE (0.25-2.0 prim. mantle). A subduction-related geotectonic setting is indicated by a positive anomaly for Sr and negative anomalies for Ti, Zr and Hf. The mineral compositions monitor the evolution of the parental magmas and decipher differences between the studied complexes. In addition, the observed variation in LREE/HREE (for example La/Lu = 2-24) can be best explained with the model of an episodically replenished and erupted open magma chamber system with the extensive fractionation of olivine, spinel and clinopyroxene. The data also show that ankaramites in a subduction-related geotectonic setting could represent parental magmas of Uralian-Alaskan-type complexes. The second chapter of the thesis discusses the chemical variation of major and trace elements in rock-forming minerals of the mafic rocks. Electron microprobe and LA-ICPMS analyses are used to quantitatively describe the petrogenetic relationship between the different gabbroic lithologies and their genetic link to the ultramafic rocks. The composition of clinopyroxene identifies the presence of melts with different trace element abundances on the scale of a thin section and suggests the presence of open system crustal magma chambers. Even on a regional scale the large variation of trace element concentrations and ratios in clinopyroxene (e.g. La/Lu = 3-55) is best explained by the interaction of at least two fundamentally different magma types at various stages of fractionation. This requires the existence of a complex magma chamber system fed with multiple pulses of magmas from at least two different coeval sources in a subduction-related environment. One source produces silica saturated Island arc tholeiitic melts. The second source produces silica undersaturated, ultra-calcic, alkaline melts. Taken these data collectively, the mixing of the two different parental magmas is the dominant petrogenetic process explaining the observed chemical variations. The results further imply that this is an intrinsic feature of Uralian-Alaskan-type complexes and probably of many similar mafic-ultramafic complexes world-wide. In the third chapter of this thesis the major element composition of homogeneous and exsolved spinel is used as a petrogenetic indicator. Homogeneous chromian spinel in dunites and wehrlites monitors the fractionation during the early stages of the magma chamber and the onset of clinopyroxene fractionation as well as the reaction of spinel with interstitial liquid. Exsolved spinel is present in mafic and ultramafic rocks from all three studied complexes. Its composition lies along a solvus curve which defines an equilibrium temperature of 600°C, given that spinel coexists with olivine. This temperature is considered to be close to the temperature of the host rocks into which the studied Uralian-Alaskan-type complexes intruded. The similarity of the exsolution temperatures in the different complexes over a distance of several hundred kilometres implies a regional tectonic event that terminated the exsolution process. This event is potentially associated with the final exhumation of the Uralian-Alaskan-type complexes along the Main Uralian Fault and the Serov-Mauk Fault in the Uralian fold belt.
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Species richness varies greatly across geographical regions. Eastern Arc Mountains (EAM) of Kenya and Tanzania is one of the global biodiversity hotspots. Despite this, high species diversity the explanatory factors have remained largely unexplored. Herein, this study first investigated amphibian species richness patterns in the EAM and particularly the reasons for the low richness in Taita Hills. It tested the hypothesis that the low richness is due to past forest loss or other factors. The results demonstrated that the regional species richness pattern was influenced largely by mean annual rainfall and not forest area. Secondly, using the 26 currently recorded amphibians in the Taita Hills, it investigated the relationship between amphibian species composition along anthropogenic habitat disturbance and elevation gradients. It tested the hypothesis that sites with similar environmental characteristics (temperature, rainfall and elevation), in close proximity and with similar disturbance levels (habitat types) harbour similar species composition. It was found that amphibian species composition differed in terms of elevation and was explained by both temperature and rainfall. Therefore sites with similar environmental characteristics, disturbance levels and in close proximity geographically have similar amphibian composition. Thirdly, diagnostic characters, distribution, basic life history characteristics and conservation status of all currently known amphibians in the Taita Hills were provided. Finally, first long term life history and ecological characteristics of a brevicipitid frog (Callulina sp) was provided. The results showed that this frog abundance and distribution is influenced mainly by mean monthly temperature, breeds during the long dry season and exhibit parental care. Results of this study strongly recommend increasing indigenous forest cover in order to enhance the conservation of the endemic indigenous forest associated amphibians such as Callulina sp, Boulengerula taitana and Boulengerula niedeni.
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The Vrancea region, at the south-eastern bend of the Carpathian Mountains in Romania, represents one of the most puzzling seismically active zones of Europe. Beside some shallow seismicity spread across the whole Romanian territory, Vrancea is the place of an intense seismicity with the presence of a cluster of intermediate-depth foci placed in a narrow nearly vertical volume. Although large-scale mantle seismic tomographic studies have revealed the presence of a narrow, almost vertical, high-velocity body in the upper mantle, the nature and the geodynamic of this deep intra-continental seismicity is still questioned. High-resolution seismic tomography could help to reveal more details in the subcrustal structure of Vrancea. Recent developments in computational seismology as well as the availability of parallel computing now allow to potentially retrieve more information out of seismic waveforms and to reach such high-resolution models. This study was aimed to evaluate the application of a full waveform inversion tomography at regional scale for the Vrancea lithosphere using data from the 1999 six months temporary local network CALIXTO. Starting from a detailed 3D Vp, Vs and density model, built on classical travel-time tomography together with gravity data, I evaluated the improvements obtained with the full waveform inversion approach. The latter proved to be highly problem dependent and highly computational expensive. The model retrieved after the first two iterations does not show large variations with respect to the initial model but remains in agreement with previous tomographic models. It presents a well-defined downgoing slab shape high velocity anomaly, composed of a N-S horizontal anomaly in the depths between 40 and 70km linked to a nearly vertical NE-SW anomaly from 70 to 180km.
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The Variscan basement of Northern Apennines (Northern Italy) is a polymetamorphic portion of continental crust. This thesis investigated the metamorphic history of this basement occurring in the Cerreto Pass, in the Pontremoli well, and in the Pisani Mountains. The study comprised fieldwork, petrography and microstructural analysis, determination of the bulk rock and mineral composition, thermodynamic modelling, conventional geothermobarometry, monazite chemical dating and Ar/Ar dating of muscovite. The reconstructed metamorphic evolution of the selected samples allowed to define a long-lasting metamorphic history straddling the Variscan and Alpine orogenesis. Some general petrological issues generally found in low- to medium-grade metapelites were also tackled: (i) With middle-grade micaschist it is possible to reconstruct a complete P-T-D path by combining microstructural analysis and thermodynamic modelling. Prekinematic white mica may preserve Mg-rich cores related to the pre-peak stage. Mn-poor garnet rim records the peak metamorphism. Na-rich mylonitic white mica, the XFe of chlorite and the late paragenesis may constrain the retrograde stage. (ii) Metapelites may contain coronitic microstructures of apatite + Th-silicate, allanite and epidote around unstable monazite grains. Chemistry and microstructure of Th-rich monazite relics surrounded by this coronitic microstructure may suggest that monazite mineral was inherited and underwent partial dissolution and fluid-aided replacement by REE-accessory minerals at 500-600°C and 5-7 kbar. (iii) Fish-shaped white mica is not always a (prekinematic) mica-fish. Observed at high-magnification BSE images it may consist of several white mica formed during a mylonitic stage. Hence, the asymmetric foliation boudin is a suitable microstructure to obtain geochronological information about the shearing stage. (iv) Thermodynamic modelling of a hematite-rich metasedimentary rock fails to reproduce the observed mineral compositions when the bulk Fe2O3 is neglected or determined through titration. The mismatch between observed and computed mineral compositions and assemblage is resolved by tuning the effective ferric iron content by P-XFe2O3 diagrams.
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Il seguente lavoro analizza lo sviluppo dell’occupazione territoriale dell’area collinare e montana del bolognese e della Romagna nell’età del Bronzo. Si sono censite le attestazioni archeologiche relative all’età del Bronzo nell’area di studio, per analizzare le tendenze insediative e le loro eventuali modificazioni nel corso del tempo, onde individuare le strategie alla base del scelta del luogo da insediare e le eventuali vie di percorrenza. Attraverso l’analisi tipologica del materiale rinvenuto nei vari contesti si è cercato di determinare le influenze culturali provenienti dal centro Italia o dalla zona terramaricola. Per raggiungere questo obbiettivo si sono analizzati i dati di archivio della Soprintendenza ai beni archeologici dell’Emilia Romagna e l’Archivio Renato Scarani, protagonista delle ricerche archeologiche in Emilia Romagna per il periodo degli anni ’50-’70 del XX secolo, recentemente acquisito dall’Università di Bologna. Ai dati desunti dagli archivi, che in molti casi hanno chiarito le vicende concernenti le indagini ed i posizionamenti di molti dei siti segnalati ed esplorati tra la seconda metà del XIX e gli anni ’70 del XX secolo, che costituiscono la maggioranza del campione analizzato, si sono aggiunti i dati recentemente acquisiti a seguito degli scavi a Monterenzio Località Chiesa Vecchia (Bo), uno dei siti più importanti (per stratigrafia conservata e per contesto territoriale) dell'Appennino Bolognese.
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In dieser Arbeit wird ein neuer Dynamikkern entwickelt und in das bestehendernnumerische Wettervorhersagesystem COSMO integriert. Für die räumlichernDiskretisierung werden diskontinuierliche Galerkin-Verfahren (DG-Verfahren)rnverwendet, für die zeitliche Runge-Kutta-Verfahren. Hierdurch ist ein Verfahrenrnhoher Ordnung einfach zu realisieren und es sind lokale Erhaltungseigenschaftenrnder prognostischen Variablen gegeben. Der hier entwickelte Dynamikkern verwendetrngeländefolgende Koordinaten in Erhaltungsform für die Orographiemodellierung undrnkoppelt das DG-Verfahren mit einem Kessler-Schema für warmen Niederschlag. Dabeirnwird die Fallgeschwindigkeit des Regens, nicht wie üblich implizit imrnKessler-Schema diskretisiert, sondern explizit im Dynamikkern. Hierdurch sindrndie Zeitschritte der Parametrisierung für die Phasenumwandlung des Wassers undrnfür die Dynamik vollständig entkoppelt, wodurch auch sehr große Zeitschritte fürrndie Parametrisierung verwendet werden können. Die Kopplung ist sowohl fürrnOperatoraufteilung, als auch für Prozessaufteilung realisiert.rnrnAnhand idealisierter Testfälle werden die Konvergenz und die globalenrnErhaltungseigenschaften des neu entwickelten Dynamikkerns validiert. Die Massernwird bis auf Maschinengenauigkeit global erhalten. Mittels Bergüberströmungenrnwird die Orographiemodellierung validiert. Die verwendete Kombination ausrnDG-Verfahren und geländefolgenden Koordinaten ermöglicht die Behandlung vonrnsteileren Bergen, als dies mit dem auf Finite-Differenzenverfahren-basierendenrnDynamikkern von COSMO möglich ist. Es wird gezeigt, wann die vollernTensorproduktbasis und wann die Minimalbasis vorteilhaft ist. Die Größe desrnEinflusses auf das Simulationsergebnis der Verfahrensordnung, desrnParametrisierungszeitschritts und der Aufteilungsstrategie wirdrnuntersucht. Zuletzt wird gezeigt dass bei gleichem Zeitschritt die DG-Verfahrenrnaufgrund der besseren Skalierbarkeit in der Laufzeit konkurrenzfähig zurnFinite-Differenzenverfahren sind.
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Vorliegende Dissertation beschäftigt sich mit der Populationsgenetik eisenzeitlicher Bevölkerungen der Eurasischen Steppe, die mit der skythischen Kultur assoziiert werden. Für die Analysen wurden 30 Fragmente der kodierenden Region und die HVR1 (16040–16400) des mitochondrialen Genoms, sowie 20 phänotypische Marker untersucht. Die Marker wurden durch Multiplex-PCRs angereichert, mit einem probenspezifischen barcode versehen und einer parallelen Sequenzanalyse mit dem 454 GS FLX Sequenzierer unterzogen. 97 Individuen wurden erfolgreich analysiert, von denen 19 aus dem Westen der Eurasischen Steppe und 78 aus dem Bereich des Altai-Gebirges stammen. Die populationsgenetischen Analysen ergaben geringe genetische Distanzen zwischen den skythischen Populationen aus dem Bereich des Altai-Gebirges, die sich vom 9. bis zum 3. Jahrhundert vor Christus erstrecken, was für eine kontinuierliche Bevölkerungsentwicklung sprechen könnte. Weiterhin finden sich geringe genetische Distanzen zwischen den Gruppen im Osten und Westen der Eurasischen Steppe, was auf eine gemeinsame Ursprungspopulation, oder zumindest Genfluss hinweisen kann. Die Ergebnisse aus dem Vergleich mit neolithischen und bronzezeitlichen Referenzpopulationen aus Zentralasien und den angrenzenden Gebieten weisen auf die Möglichkeit eines gemeinsamen zentral-asiatischen Ursprungs hin, zeigen aber auch, dass die östlichen und westlichen Gruppen der Eisenzeit jeweils zusätzlich lokalem Genfluss ausgesetzt waren. Die Allelfrequenzen der phänotypischen Marker deuten auf einen größeren europäischen Einfluss auf das östliche Zentralasien in der Eisenzeit hin, oder ansteigenden Genfluss aus Ostasien nach der Eisenzeit.