817 resultados para stabilité structurelle


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A fianco ai metodi più tradizionali, fin ora utilizzati, le tecnologie additive hanno subito negli ultimi anni una notevole evoluzione nella produzione di componenti. Esse permettono un ampio di range di applicazioni utilizzando materiali differenti in base al settore di applicazione. In particolare, la stampa 3D FDM (Fused Deposition Modeling) rappresenta uno dei processi tecnologici additivi più diffusi ed economicamente più competitivi. Le tempistiche e le richieste industriali obbligano sempre di più i progettisti ad uno studio predittivo delle problematiche che si possono incontrare in fare produttiva. In ambito strutturale questo è già da diversi anni la norma per componenti realizzati con tecnologia tradizionale. In ambito termico, invece, si procede ancora troppo spesso per tentativi seguendo l’esperienza del singolo. Per questo motivo, è necessario uno studio approfondito e un metodo per caratterizzare i transitori termici. Per fare ciò è necessario introdurre un modello semplificativo attraverso l’uso su un provino cilindrico. Questa semplice geometria permette di mettere in relazione la soluzione analitica, la soluzione approssimata agli elementi finiti e la soluzione sperimentale. Una volta ottenuti questi risultati sarà poi possibile, mantenendo invariati il ciclo termico e le caratteristiche termo-strutturali del materiale, modificare a piacimento la geometria per analizzare un qualsiasi componente. Questo approccio permette quindi di realizzare delle analisi FEM sui componenti da stampare e di predirne i gradienti termici e le deformazioni a partire dalle caratteristiche del materiale, della geometria e del ciclo termico a cui sono sottoposti. Permettendo così di valutare in modo preventivo e predittivo problematiche di stabilità geometrica e strutturale.

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La salvaguardia ambientale, intesa come la capacità di garantire nel futuro la stabilità di un ecosistema, i processi ecologici che lo interessano e la sua biodiversità, costituiscono i pilastri fondamentali del concetto moderno di sostenibilità. Il presente lavoro di tesi ha lo scopo di fornire informazioni in merito all’utilizzo di granulato di conglomerato bituminoso e di scorie d’acciaieria, all’interno di miscele prodotte a caldo per strati di usura drenanti. Si è proceduto ad analizzare le caratteristiche meccaniche e prestazionali di due miscele di conglomerato bituminoso, confezionate una con percentuali di scorie d’acciaieria al suo interno, ed una con percentuali sia di scorie d’acciaieria sia di granulato di conglomerato bituminoso. La prima fase della sperimentazione si è concentrata nella calibrazione della quantità di materiali da inserire all’interno delle due miscele. Successivamente, la seconda fase della sperimentazione ha coinvolto i test di caratterizzazione per entrambe le miscele confrontandole con le prestazioni date della miscela di riferimento. Le due miscele di conglomerato bituminoso a ridotto impatto ambientale sono risultate paragonabili, in termini di prestazioni, alla miscela di riferimento e idonee al rispetto delle principali caratteristiche prestazionali imposte dal capitolato speciale d’appalto di Autostrade per l’Italia.

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Nel lavoro vengono presentati i risultati del rilevamento geologico svolto nell'area di San Martino di Castrozza, nel mese di giugno 2022, durante il campo geologico. L'approfondimento tematico verte sull'analisi di stabilità di versante nel Monte Castellazzo. Gli studi sono stati accompagnati dal rilevamento geomeccanico che ha permesso di determinare i parametri necessari alla caratterizzazione dell'ammasso e alle verifiche cinematiche, e mediante un softwere di plottare i dati in degli stereoneit per definire gli eventi di instabilità associati ad ogni settore del Monte Castellazzo.

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La finalità della tesi è quella di poter progettare il cerchione del veicolo solare "Emilia 5" in materiale composito. Questa auto è l’evoluzione della "Emilia 4", sviluppata dalla squadra Onda Solare in collaborazione con l’Università di Bologna, con cui sono state vinte molte gare. Tramite software (Ansys) è stato realizzato il modello virtuale del cerchione in fibra di carbonio e, con l'ausilio dell'analisi agli elementi finiti, ne è stata verificata la stabilità, sottoponendolo a cinque condizioni di carico diverse. Lo studio approfondisce le tematiche riguardanti i materiali compositi, il concetto di sequenza di laminazione e come varia la distribuzione delle tensioni al variare di esse. In particolare, viene analizzato con attenzione lo studio tramite software della sequenza di laminazione che permette di ottenere i risultati migliori per il tipo di applicazione. Infine, vengono confrontati i dati ottenuti dalle simulazioni effettuate, per l'analisi e lo studio dei dati significativi.

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Nel presente progetto di tesi sono state preparate e studiate delle miscele polimeriche di poli(ottilene 2,5-furanoato) (POF) e il poli(trietilene 2,5-furanoato) (PTEF) a diversa composizione allo scopo di ottenere materiali adatti al packaging alimentare flessibile e sostenibile. I due omopolimeri sono stati sintetizzati mediante policondensazione in massa, ed in seguito sono state preparate le miscele fisiche per solvent casting, processate in forma di film per pressofusione. Dopo una completa caratterizzazione molecolare, i materiali realizzati sono stati caratterizzati morfologicamente (SEM), termicamente (TGA e DSC), strutturalmente (WAXS), meccanicamente (prove a trazione), e ne sono studiate le proprietà barriera. Le miscele sono risultate immiscibili ma comunque caratterizzate da buona compatibilità e stabilità termica. Considerando che il POF è un materiale gommoso e semicristallino mentre il PTEF è gommoso ma amorfo, le miscele presentano caratteristiche meccaniche coerenti con la loro composizione: in particolare, al diminuire della porzione cristallizabile POF e all’aumentare della porzione gommosa PTEF, si registra un progressivo aumento degli allungamenti a rottura e una diminuzione del modulo elastico. Inoltre, nelle blend contenenti il 50 e il 60% di PTEF, le performance barriera risultano migliori di quasi due ordini di grandezza rispetto a quelle dell’omopolimero POF. Per quanto riguarda le prove di compostaggio, le miscele con una quantità di POF superiore al 50% non subiscono degradazione, mentre si registra una totale compostabilità per le due miscele più ricche in PTEF.

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Il presente elaborato finale si inserisce in un progetto di ricerca, svolto in collaborazione con il gruppo di ricerca di chimica metallorganica e l’azienda Biolchim S.p.A, volto alla sintesi e caratterizzazione di nuovi complessi di zinco, solubili in acqua, da impiegare nel campo agronomico come fertilizzanti. Diversi leganti sono stati studiati per la creazione di chelati di zinco, tra cui acido citrico, amminoacidi quali glicina ed alanina e acido o-idrossimandelico. La stabilità dei diversi complessi sintetizzati è stata studiata in funzione di vari range di pH e temperatura, così da valutarne la resistenza in condizioni simili a quelle reali in suolo. I prodotti solidi sono stati caratterizzati tramite IR-ATR e NMR; i complessi di zinco citrato e zinco-acido o-idrossi mandelico sono stati studiati mediante spettrometria di massa e un’analisi elementare.

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Negli ultimi decenni la necessità di salvaguardare l’ambiente ha portato ad un importante sviluppo dei processi catalitici con particolare attenzione agli aspetti di sostenibilità e impatto ambientale. Le nanoparticelle metalliche, note per le ottime proprietà catalitiche, ricoprono un ruolo fondamentale nel settore della catalisi. Al fine di innescare effetti sinergici e ottenere catalizzatori più performanti, la ricerca si sta orientando verso lo studio di nanoparticelle bimetalliche o multicomponente. Questo lavoro di tesi presenta la sintesi di nanoparticelle di Au, Pt e AuPt applicabili in catalisi e preparate mediante un processo a basso impatto ambientale assistito da microonde. Un’estesa caratterizzazione chimicofisica dei prodotti (DLS/ELS, UV-VIS, ICP-OES, XRD; TEM-EDS) ha consentito di ottimizzare le sintesi rispetto a distribuzione granulometrica, stabilità colloidale, resa di reazione e composizione di fase. Per AuPt NPs si sono sviluppate due preparazioni finalizzate all’ottenimento di diverse nanostrutture, core-shell e leghe. Infine, le prestazioni catalitiche dei campioni preparati sono state valutate mediante idrogenazione di 4-nitrofenolo (4-NP) a 4-amminofenolo (4-AP) in presenza di NaBH4, una reazione modello utilizzata per testare l'attività catalitica di nanometalli. Il campione in lega, Au97.5Pt2.5, e il campione core-shell, Au90@Pt10, hanno evidenziato effetti sinergici positivi con una migliore attività catalitica rispetto ai monometalli.

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Il presente lavoro di tesi ha avuto lo scopo di valutare l’effetto del trattamento con campi elettrici pulsati sulla funzionalità delle proteine e sul livello di ossidazione lipidica e proteica di filetti di branzino (Dicentrarchus labrax) durante 12 giorni di conservazione refrigerata. A tale scopo, un totale di 50 filetti è stato sottoposto a salagione mediante salamoia contenente il 5% di NaCl per 24 ore e successivamente diviso in 2 gruppi sperimentali (n=25/gruppo): CONT, filetti non sottoposti a trattamento e PEF, filetti trattati con campi elettrici pulsati aventi intensità di 0,6 kV/cm, ampiezza degli impulsi di 10 μs per un tempo totale di trattamento pari a 10 s. I filetti sono stati confezionati in atmosfera protettiva (20% di CO2 e 80% di N2) e conservati a temperatura di refrigerazione per i 12 giorni successivi. Nel complesso, i risultati ottenuti suggeriscono come il trattamento PEF non abbia esercitato un effetto né migliorativo né peggiorativo sulla funzionalità delle proteine, determinata tramite analisi della solubilità, risultato piuttosto inatteso data la potenzialità del PEF di migliorare la funzionalità proteica. Si può ipotizzare che il processo di salatura a cui sono stati sottoposti i campioni possa avere in qualche modo mascherato un possibile effetto positivo del trattamento a causa della solubilizzazione delle proteine avvenuta già in fase di salatura. Inoltre, nonostante il PEF possa innescare fenomeni ossidativi a carico della matrice lipidica e proteica, in questo studio non sono state osservate modificazioni, suggerendo come il trattamento non abbia alterato la stabilità ossidativa dei filetti. In conclusione, i risultati ottenuti nel presente studio sono da considerarsi positivi, in quanto è possibile evincere come il trattamento effettuato abbia consentito di migliorare le rese di processo, senza però influenzare la stabilità ossidativa di lipidi e proteine, lasciando quindi inalterata la funzionalità delle stesse.

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Che si parli di tempi passati o del presente, la parola Lambrusco ha sempre avuto la capacità di suscitare notevole curiosità in chi vi si imbatteva. Si voglia perché esso rappresenta uno dei vini italiani con i più alti volumi di produzione, o perché per anni è stato (ed è tuttora) tra i maggiormente esportati in tutto il mondo, o ancora perché si tratta di un vino rosso con le bollicine, attributo tanto originale quanto unico. Questa tesi si propone di presentare sommariamente il vitigno Lambrusco Grasparossa descrivendone gli aspetti storici ma soprattutto quelli territoriali e agronomici, in riferimento ad un’azienda specifica a conduzione famigliare situata nell’areale di Castelvetro di Modena; si farà riferimento dunque alla Denominazione Lambrusco Grasparossa di Castelvetro. L’obiettivo sperimentale della tesi è quello di studiare, attraverso opportune analisi chimico-fisiche ed indagini organolettiche, la differenza tra un Lambrusco Grasparossa che ha subito un processo di microfiltrazione tangenziale in fase di pre-imbottigliamento ed uno che invece è stato imbottigliato senza la filtrazione, in seguito ad una lunga fase di stabilizzazione a freddo. In particolar modo si è cercato di valutare le differenze chimico-fisiche in termini di fenoli totali, profilo del colore e stabilità, oltre alle differenze organolettiche, evidenziate grazie a degustazioni svolte da tecnici professionisti. L’interesse verso questo tipo di indagine è scaturito dalla volontà di comprendere fino a che punto i due campioni potessero differire l’uno dall’altro e valutare, eventualmente, di eliminare l’utilizzo della filtrazione sterile prima dell’imbottigliamento per questo tipo di vino. Tutto ciò potrebbe snellire il processo di vinificazione al fine di: ridurre lo stress sul vino, alleggerire la lavorazione, accorciare i tempi di lavorazione, portare ad un minor consumo di acqua ed energia e ridurre i costi.

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In questa tesi si affronta analiticamente il problema della stabilità di modelli a più specie interagenti, in campo epidemiologico, per la diffusione ed il controllo di infezioni da virus. Vengono considerati non solo modelli governati da Sistemi Dinamici, ma anche modelli parabolici del tipo Diffusione e Reazione. Partendo dal modello pioneristico SIR di Kermak-McKendrick si affrontano in modo approfondito tutti gli aspetti matematici che permettono di prevenire e controllare la formazione e la gravità di una possibile epidemia. Il modello viene poi articolato con l'aggiunta di considerazioni sulla variazione demografica della popolazione, indicato per questo motivo con il termine endemico. Si generalizza poi questo modello a due possibili applicazioni, includendo nella prima gli effetti della vaccinazione, ottenendo così il nuovo sistema dinamico SIRV. La seconda rappresenta invece uno studio avvenuto agli inizi dell'epidemia da COVID-19, quando i vaccini non erano ancora disponibili. Successivamente viene presentato il recente studio di Bellomo, estensione del modello prototipo per la diffusione di virus, un sistema di tipo Diffusione-Reazione con equazione di tipo diffusione-drift, in cui vengono connessi due aspetti importanti: la propagazione di virus e la chemotassi, in forte analogia con il modello SIR e derivante dalla logica del modello pioneristico di Keller-Segel. Infine, a completamento dello studio analitico, vengono proposti alcuni strumenti dell'analisi numerica, utilizzando l'ambiente MATLAB sul classico modello SIR e su altri due modelli che lo generalizzano per tener conto in un primo tempo della diffusione spaziale della coppia SI e poi solo di S, ma con effetto drift, guidato da I.

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Background: l’intervento di artroprotesi inversa di spalla sta assumendo sempre più importanza all’interno dell’approccio chirurgico della spalla. Il Concetto Bobath viene somministrato solitamente a pazienti con problematiche neurologiche centrali (es. ictus), ma si è visto molto efficace nel ristabilire un’importante stabilità scapolare a livello dell’arto superiore. Obiettivo: valutare il dolore e la funzionalità di spalla in persone con protesi inversa di spalla in seguito ad un percorso riabilitativo implementato da tecniche appartenenti al Concetto Bobath. Metodi: sono stati selezionati tre soggetti (3 F) di et. media di 74 anni sottoposti ad intervento di artroprotesi inversa di spalla e successivamente a trattamento riabilitativo con tecniche appartenenti al Concetto Bobath. I soggetti partecipanti sono stati valutati durante e alla fine del percorso riabilitativo attraverso l’utilizzo della scala NRS per il dolore, mentre per la funzionalità di spalla la UCLA Shoulder Scale), la Constant-Murley Scale e la DASH. I limiti presenti in questo studio sono attribuibili sia al fatto che nelle banche dati sono assenti studi che riguardano lo stesso argomento, sia al fatto che il numero di pazienti entrati a far parte dello studio è molto limitato sia per le complicanze durante il trattamento o l’interruzione del trattamento in alcuni pazienti. Risultati: al termine della sperimentazione, tutti i soggetti hanno presentato un miglioramento delle misure di outcome. Un importante miglioramento si è notato nella stabilità scapolare, nei compensi muscolari e nel dolore. I risultati sono stati poi confrontati con gli outcome di pazienti trattati secondo protocolli standardizzati, appartenenti a studi presenti all’interno delle banche dati. Conclusioni: l’utilizzo di tecniche appartenenti al Concetto Bobath sembra essere efficace in pazienti sottoposti ad artroprotesi inversa di spalla. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per verificarne gli effettivi effetti.

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Introduzione: In seguito ad una distorsione di caviglia, circa il 40% dei soggetti tende a sviluppare sintomi ricorrenti e persistenti, come dolore, gonfiore, alterazione della percezione o recidive, che a lungo termine potrebbero portare ad una instabilità cronica di caviglia. Questa problematica potrebbe limitare i soggetti nelle varie attività della vita quotidiana e nelle attività sportive, riducendo la loro qualità della vita. Solitamente, il trattamento in seguito ad una distorsione o in soggetti affetti da instabilità cronica di caviglia è il training propriocettivo. Obiettivi: Confrontare gli studi raccolti e i risultati ottenuti da essi e valutare se il training propriocettivo potrebbe essere efficace o meno nei soggetti che presentano l’instabilità cronica di caviglia. Metodi di ricerca: Le ricerche per questa revisione sistematica sono state fatte sulle banche dati “PubMed”, “PEDro” e “Cochrane Library”. Le parole chiave utilizzate sono “ankle sprains”, “chronic ankle instability”, “ankle injuries”, “proprioceptive training”, “proprioception”, “pain”, “disability” e “quality of life”. Sono stati inclusi soltanto RCTs inerenti al quesito di ricerca (PICOS) e conformi ai criteri di eleggibilità. Risultati: In questa revisione sistematica sono stati inclusi 4 RCTs, che mettono a confronto il training propriocettivo con altre metodiche riabilitative. Si sono osservati miglioramenti per quanto riguarda la disabilità, la qualità di vita, l’equilibrio dinamico, l’equilibrio statico e gli outcome riportati dai partecipanti. Conclusioni: Il training propriocettivo risulta essere efficace nel migliorare la sintomatologia data dall’instabilità cronica di caviglia e anche la stabilità e propriocezione dell’articolazione. Si dovrebbero eseguire ulteriori studi per approfondire l'efficacia di questo trattamento sul dolore e anche la sua efficacia a lungo termine.

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Background: la lesione del LCA è l’infortunio più frequente per quanto riguarda l’articolazione del ginocchio e nella maggior parte dei casi viene trattato tramite intervento chirurgico di ricostruzione del legamento stesso. I pazienti vengono distinti in coper e non-coper, in base alla stabilità dinamica dell’articolazione in seguito al trauma: i primi possono essere sottoposti ad un programma di allenamento neuromuscolare progressivo e della forza (NMST) di 10 sessioni, che ha l’obiettivo di ripristinare le corrette risposte neuromuscolari e il recupero della forza muscolare tramite esercizi pliometrici ed esercizi neuromuscolari avanzati. Obiettivi: indagare la conoscenza e l’utilizzo di questo tipo di trattamento da parte di fisioterapisti e chirurghi ortopedici, oltre che la collaborazione tra queste due categorie di professionisti. Materiale e metodi: 471 fisioterapisti e 106 chirurghi ortopedici sono stati sottoposti ad un questionario online, tramite l’utilizzo della piattaforma “Moduli Google©”, in lingua italiana, nel periodo dal 10/10/2021 al 10/01/2022. Il questionario prevedeva 2 domande a risposta aperta e 10 domande con più opzioni di scelta. Risultati: dallo studio è emerso che solo il 18% dei fisioterapisti e il 22% degli ortopedici utilizza lo screening nella pratica clinica quotidiana avendone sufficiente familiarità. Inoltre, il 30% dei fisioterapisti si affida spesso ad un ortopedico di fiducia e il 30% dei chirurghi si affida sempre ad un fisioterapista di fiducia. Per quanto riguarda i professionisti esperti di LCA, 4 dei 22 fisioterapisti e 16 dei 38 ortopedici affermano di applicare lo screening nella pratica clinica quotidiana avendone sufficiente familiarità. Conclusione: i risultati mostrano una ridotta conoscenza e applicazione dello screening sia da parte dei fisioterapisti che dei chirurghi ortopedici. Emerge anche una scarsa collaborazione tra le due classi di professionisti, soprattutto tra quelli non esperti di LCA.

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La stenosi spinale lombare (LSS) è un processo degenerativo frequente nell’attuale popolazione anziana e può essere considerata come la causa principale di chirurgia spinale nei pazienti di età superiore ai sessantacinque anni. Comporta un restringimento del forame vertebrale, che, nei casi più gravi, causa una compressione del midollo spinale e degli elementi neurali e vascolari situati nel tratto lombo-sacrale. Uno dei trattamenti chirurgici di decompressione utilizzato è l’emilaminectomia, che, prevedendo la resezione della lamina di un solo lato della vertebra e di parte del legamento giallo, può portare a una riduzione della stabilità spinale. L’obiettivo di questo studio in vitro è quello di analizzare l’impatto dell’emilaminectomia sulla biomeccanica del rachide. Sei provini, estratti da rachide umano e costituiti da quattro vertebre lombari e una sacrale (L2-S1), sono stati testati meccanicamente in flessione, estensione e flessione laterale sinistra e destra in due condizioni di prova: intatti e post emilaminectomia. La stabilità spinale è stata valutata calcolando il Range of Motion tra le vertebre L2 e S1 agli estremi dei provini. Mediante l’algoritmo di Digital Image Correlation (DIC), sono state estratte e valutate le distribuzioni delle deformazioni dell’intero provino, valutando, in particolare, le deformazioni principali massime e minime sulla superficie del disco intervertebrale L4-L5. I risultati hanno mostrato che l’emilaminectomia ha causato una diminuzione significativa della stabilità spinale solo in flessione, con un aumento del Range of Motion del 54%. L’emilaminectomia non ha causato variazioni nelle distribuzioni delle deformazioni in ogni configurazione di carico. Le deformazioni principali minime sul disco intervertebrale L4-L5, tra le due vertebre in cui è stata eseguita l’emilaminectomia, sono aumentate, in modo statisticamente significativo, del 38% nella flessione nel lato in cui è stato svolto l’intervento di emilaminectomia.

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L’immunoterapia è una delle tecniche più all’avanguardia per la lotta contro il cancro e si basa sull’aumento delle prestazioni del sistema immunitario attraverso anticorpi monoclonali (ovvero farmaci immunoterapici). Grazie a questi, la terapia garantisce l’inibizione dei checkpoint immunologici, che permettono alle cellule del sistema immunitario di riconoscere la presenza del tumore e aggredirlo fino a eradicarlo. La tesi propone una soluzione frazionaria al problema della crescita tumorale, basandosi su un modello di Kuznetsov esteso dove viene presa in considerazione anche il parametro di concentrazione di Interleuchina-2. Tramite un’analisi di stabilità del modello proposto è possibile arrivare a un valore di sigma, ovvero il rateo di cellule effettrici, per il quale il sistema delle cellule tumorali viene completamente eradicato. Una volta trovata la condizione di stabilità e calcolato il valore di alpha (ordine della derivata frazionaria) che approssima al meglio la crescita tumorale nel caso reale, viene proposto un sistema di controllo automatico in retroazione basato sul numero di cellule effettrici per automatizzare il processo immunoterapico.