982 resultados para Basi di dati, Database, Linq, Entity framework, Workflow, Database


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L’utilizzo di materiali compositi come i calcestruzzi fibrorinforzati sta diventando sempre più frequente e diffuso. Tuttavia la scelta di nuovi materiali richiede una approfondita analisi delle loro caratteristiche e dei loro comportamenti. I vantaggi forniti dall’aggiunta di fibre d’acciaio ad un materiale fragile, quale il calcestruzzo, sono legati al miglioramento della duttilità e all'aumento di assorbimento di energia. L’aggiunta di fibre permette quindi di migliorare il comportamento strutturale del composito, dando vita ad un nuovo materiale capace di lavorare non solo a compressione ma anche in piccola parte a trazione, ma soprattutto caratterizzato da una discreta duttilità ed una buona capacità plastica. Questa tesi ha avuto come fine l’analisi delle caratteristiche di questi compositi cementizi fibrorinforzati. Partendo da prove sperimentali classiche quali prove di trazione e compressione, si è arrivati alla caratterizzazione di questi materiali avvalendosi di una campagna sperimentale basata sull’applicazione della norma UNI 11039/2003. L’obiettivo principale di questo lavoro consiste nell’analizzare e nel confrontare calcestruzzi rinforzati con fibre di due diverse lunghezze e in diversi dosaggi. Studiando questi calcestruzzi si è cercato di comprendere meglio questi materiali e trovare un riscontro pratico ai comportamenti descritti in teorie ormai diffuse e consolidate. La comparazione dei risultati dei test condotti ha permesso di mettere in luce differenze tra i materiali rinforzati con l’aggiunta di fibre corte rispetto a quelli con fibre lunghe, ma ha anche permesso di mostrare e sottolineare le analogie che caratterizzano questi materiali fibrorinforzati. Sono stati affrontati inoltre gli aspetti legati alle fasi della costituzione di questi materiali sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico. Infine è stato sviluppato un modello analitico basato sulla definizione di specifici diagrammi tensione-deformazione; i risultati di questo modello sono quindi stati confrontati con i dati sperimentali ottenuti in laboratorio.

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Il presente lavoro tratta lo studio dei fenomeni aeroelastici di interazione fra fluido e struttura, con il fine di provare a simularli mediante l’ausilio di un codice agli elementi finiti. Nel primo capitolo sono fornite alcune nozioni di fluidodinamica, in modo da rendere chiari i passaggi teorici fondamentali che portano alle equazioni di Navier-Stokes governanti il moto dei fluidi viscosi. Inoltre è illustrato il fenomeno della formazione di vortici a valle dei corpi tozzi dovuto alla separazione dello strato limite laminare, con descrizione anche di alcuni risultati ottenuti dalle simulazioni numeriche. Nel secondo capitolo vengono presi in rassegna i principali fenomeni di interazione fra fluido e struttura, cercando di metterne in luce le fondamenta della trattazione analitica e le ipotesi sotto le quali tale trattazione è valida. Chiaramente si tratta solo di una panoramica che non entra in merito degli sviluppi della ricerca più recente ma fornisce le basi per affrontare i vari problemi di instabilità strutturale dovuti a un particolare fenomeno di interazione con il vento. Il terzo capitolo contiene una trattazione più approfondita del fenomeno di instabilità per flutter. Tra tutti i fenomeni di instabilità aeroelastica delle strutture il flutter risulta il più temibile, soprattutto per i ponti di grande luce. Per questo si è ritenuto opportuno dedicargli un capitolo, in modo da illustrare i vari procedimenti con cui si riesce a determinare analiticamente la velocità critica di flutter di un impalcato da ponte, a partire dalle funzioni sperimentali denominate derivate di flutter. Al termine del capitolo è illustrato il procedimento con cui si ricavano sperimentalmente le derivate di flutter di un impalcato da ponte. Nel quarto capitolo è presentato l’esempio di studio dell’impalcato del ponte Tsing Ma ad Hong Kong. Sono riportati i risultati analitici dei calcoli della velocità di flutter e di divergenza torsionale dell’impalcato e i risultati delle simulazioni numeriche effettuate per stimare i coefficienti aerodinamici statici e il comportamento dinamico della struttura soggetta all’azione del vento. Considerazioni e commenti sui risultati ottenuti e sui metodi di modellazione numerica adottati completano l’elaborato.

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Il lavoro svolto consiste inizialmente in una presentazione generale della situazione attuale della viabilità sul territorio casalecchiese. Su di esso si affronteranno un buon numero di problematiche che rendono le strade, presenti sul territorio, a rischio di incidentalità. Inerente a questo si è analizzato i dati degli incidenti dell’ultimo anno avvenuti sul territorio attraverso il lavoro di raccolta dati effettuato dall’Osservatorio dell’incidentalità stradale della Provincia di Bologna. Dai dati ottenuti e dai rilevamenti effettuati nell’arco di questi quattro mesi passati nell’Ufficio Traffico del comune di Casalecchio di Reno, sulle strade comunali si è riscontrato una serie di situazione a rischio che ho presentato in un capitolo apposito e si è discusso anche le relative soluzioni di intervento. Tali situazioni comprendono sia strade leggermente attempate che necessitano di interventi di sistemazione, sia intersezioni a raso di vario tipo che presentano un ampio ventaglio di problematiche per la sicurezza stradale, sia attraversamenti pedonali non a norma, con situazioni al limite della sicurezza che necessitano di immediati interventi di sistemazione e messa in sicurezza. In particolare si è approfondito lo studio degli attraversamenti pedonali, presentando tutti i possibili scenari che questa particolare situazione può avere, elencando tutti i possibili interventi che si possono adottare al fine di ottimizzare la sicurezza e ridurre al minimo i rischi, ovvero ridurre il più possibile la probabilità che un incidente accada e il danno subito dal pedone. Infine si è studiato nello specifico una situazione di pericolo, fra quelle presentate, che probabilmente rappresenta una delle situazioni più a rischio presenti sul territorio casalecchiese: un attraversamento pedonale sulla via Porrettana, nei pressi del parco Rodari, situato all’incirca a mezzavia fra l’incrocio tra via Porrettana e via Calzavecchio, e la rotonda Biagi. Tale attraversamento pedonale, in alcuni orari della giornata assai utilizzato dai residenti del limitrofo quartiere Calzavecchio che raggiungono il parco Rodari e nel giorno di mercoledì mattina il mercato rionale situato accanto al parco, presenta flussi pedonali abbastanza corposi ed è situato su una strada caratterizzata da un elevato flusso veicolare. Dopo aver presentato in maniera approfondita la situazione attuale di tale attraversamento pedonale, si sono infine proposte due diverse soluzione di intervento: una da poter essere attuata nell’immediato, l’altra subito dopo che si ottenga la declassazione di via Porrettana, cioè all’incirca fra cinque o sei anni. Si è allegato, infine, come appendice, la Normativa che si è utilizzata al fine di progettare tali soluzioni.

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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

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Nel presente lavoro di tesi sono state messe a confronto le ATP sintasi wild-type e γM23-K in cromatofori del batterio fotosintetico Rhodobacter capsulatus sotto gli aspetti funzionale e regolatorio. Si pensava inizialmente che la mutazione, in base a studi riportati in letteratura condotti sull’omologa mutazione in E. coli, avrebbe indotto disaccoppiamento intrinseco nell’enzima. Il presente lavoro ha chiarito che il principale effetto della mutazione è un significativo aumento dell’affinità dell’enzima per l’ADP inibitorio, che ne determina il ridotto livello di ATP idrolisi e la rapidissima reinattivazione in seguito ad attivazione da forza protonmotiva. Il residuo 23 della subunità γ si trova posizionato in prossimità della regione conservata DEELSED carica negativamente della subunità β, e l’introduzione nel mutante di una ulteriore carica positiva potrebbe determinare una maggiore richiesta di energia per indurre l’apertura del sito catalitico. Un’analisi quantitativa dei dati di proton pumping condotta mediante inibizione parziale dell’idrolisi del wildtype ha inoltre mostrato come il grado di accoppiamento del mutante in condizioni standard non differisca sostanzialmente da quello del wild-type. D’altro canto, è stato recentemente osservato come un disaccoppiamento intrinseco possa venire osservato in condizioni opportune anche nel wild-type, e cioè a basse concentrazioni di ADP e Pi. Nel presente lavoro di tesi si è dimostrato come nel mutante l’osservazione del fenomeno del disaccoppiamento intrinseco sia facilitata rispetto al wild-type. È stato proprio nell’ambito delle misure condotte sul mutante che è stato possibile dimostrare per la prima volta il ruolo fondamentale della componente elettrica della forza protonmotiva nel mantenere lo stato enzimatico ad elevato accoppiamento. Tale ruolo è stato successivamente messo in luce anche nel wild-type, in parte anche grazie all’uso di inibitori specifici di F1 e di FO. Il disaccoppiamento intrinseco nel wild-type è stato ulteriormente esaminato anche nella sua dipendenza dalla rimozione di ADP e Pi; in particolare, oltre all’amina fluorescente ACMA, è stata utilizzata come sonda di ΔpH anche la 9-aminoacridina e come sonda di Δψ l’Oxonolo VI. In entrambi i casi il ruolo accoppiante di questi due ligandi è stato confermato, inoltre utilizzando la 9-aminoacridina è stato possibile calibrare il segnale di fluorescenza con salti acido-base, dando quindi una base quantitativa ai dati ottenuti. Noi riteniamo che il più probabile candidato strutturale coinvolto in questi cambiamenti di stato enzimatici sia la subunità ε, di cui è noto il coinvolgimento in processi di regolazione e in cambiamenti strutturali indotti da nucleotidi e dalla forza protonmotiva. In collaborazione con il Dipartimento di Chimica Fisica dell’Università di Friburgo è in atto un progetto per studiare i cambiamenti strutturali presumibilmente associati al disaccoppiamento intrinseco tramite FRET in singola molecola di complessi ATP-sintasici marcati con fluorofori sia sulla subunità ε che sulla subunità γ. Nell’ambito di questa tesi sono stati creati a questo fine alcuni doppi mutanti cisteinici ed è stato messo a punto un protocollo per la loro marcatura con sonde fluorescenti.

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Il sistema viabile rappresenta una parte fondamentale nella dinamica dei trasporti al servizio della mobilità di trasporti e merci. La mobilità, ha fatto registrare ritmi di crescita sostenuti nel corso degli anni. Le trasformazioni sociali, del mercato del lavoro, lo sviluppo produttivo e commerciale, la posizione baricentrica tra le province jonca salentina e brindisina fanno di Manduria, una realtà dove è necessario prestare attenzione al sistema dei trasporti. Tuttavia la rete statale di vecchio stampo che risulta utilizzata, soprattutto da quote di mobilità interprovinciale per questioni di economicità del percorso e dal momento che manca una rete viaria ordinaria funzionale e scorrevole che colleghi in modo capillare il territorio fanno si che la Strada Statale 7ter risulti congestionata in maniera diffusa. La Superstrada di nuova costruzione sarebbe potuta essere un importante arteria stradale allacciandosi alla SS Taranto Brindisi Lecce collegando il sud della provincia Jonica in modo capillare ai comuni della provincia Taranto e Lecce, la quale non è stata ultimata ed avrebbe rappresentato una valida alternativa alla statale esistenti. Oltre a favorire i collegamenti tra il territorio jonico, brindisino e quello salentino, tale intervento sarebbe stato necessario per ridurre la componente di traffico di attraversamento di una serie di centri urbani, tra cui il Comune di Manduria. In questa tesi, sulla base dei dati raccolti dall’ultimo censimento nell’ambito provinciale e del Comune di Manduria, verrà implementato il funzionamento del Piano del Traffico stradale del Comune di Manduria e verranno condotte delle simulazioni, con l’ausilio del software di pianificazione di sistemi di trasporto stradale Omnitrans, versione demo, scaricabile gratuitamente dal sito www.omnitrans-international.com. Si ricercheranno stime sul funzionamento della rete, valutando la congestione del traffico ed eventualmente in termini di aumento della sicurezza e riduzione dell’inquinamento atmosferico.

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This thesis is aimed at analysing EU external relations from the perspective of the promotion of the rule of law in order to evaluate the effectiveness and consistency of its action within the international community. The research starts with an examination of the notion of the rule of law from a theoretical point of view. The first chapter initially describes the historical-political evolution of the establishment of the notion of the rule of law. Some of the most significant national experiences (France, the UK, Germany and Austria) are discussed. Then, the focus is put on the need to propose interpretations which explain the grounds of the rule of law, by highlighting the different formal and substantive interpretations. This philosophical-historical analysis is complemented by a reconstruction of how the notion of the rule of law was developed by the international community, with a view to searching a common notion at the international level by comparing theory and practice within the main international organisations such as the UN, OECD and the Council of Europe. Specific mention is made of the EU experience, whose configuration as a Community based on the rule of law is often debated, starting from the case law of the European Court of Justice. The second chapter deals with the conditionality policy and focuses on the development and scope of democratic conditionality according to the dominant approach of the doctrine. First, the birth of conditionality is analysed from an economic point of view, especially within international financial organisations and the different types of conditionality recreated in the scientific sector. Then an analysis is provided about the birth of democratic conditionality in the EC – in relation to its external relations – firstly as a mere political exercise to be then turned into a standardised system of clauses. Specific reference is made to the main scope of conditionality, that is to say enlargement policy and the development of the Copenhagen criteria. The third chapter provides further details about the legal questions connected to the use of democratic clauses: on the one hand, the power of the EC to include human rights clauses in international agreements, on the other, the variety and overlapping in the use of the legal basis. The chapter ends with an analysis of the measures of suspension of agreements with third countries in those rare but significant cases in which the suspension clause, included in the Lomè Convention first and in the Cotonou Agreement then, is applied. The last chapter is devoted to the analysis of democratic clauses in unilateral acts adopted by the European Union which affect third countries. The examination of this practice and the comparison with the approach analysed in the previous chapter entails a major theoretical question. It is the clear-cut distinction between conditionality and international sanction. This distinction is to be taken into account when considering the premises and consequences, in terms of legal relations, which are generated when democratic clauses are not complied with. The chapter ends with a brief analysis of what, according to the reconstruction suggested, can be rightly labelled as real democratic conditionality, that is to say the system of incentives, positive measures developed within the community GSP. The dissertation ends with a few general considerations about the difficulties experienced by the EU in promoting the rule of law. The contradictory aspects of the EU external actions are manifold, as well as its difficulties in choosing the most appropriate measures to be taken which, however, reflect all the repercussions and tension resulting from the balance of power within the international community. The thesis argues that it is difficult to grant full credibility to an entity like the EU which, although it proclaims itself as the guardian and promoter of the rule of law, in practice, is too often biased in managing its relations with third countries. However, she adds, we must acknowledge that the EU is committed and constantly strives towards identifying new spaces and strategies of action.

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[EN]The use of new technologies in order to step up the inter- action between humans and machines is the main proof that faces are important in videos. Therefore we suggest a novel Face Video Database for development, testing and veri cation of algorithms related to face- based applications and to facial recognition applications. In addition of facial expression videos, the database includes body videos. The videos are taken by three di erent cameras, working in real time, without vary- ing illumination conditions.

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It is not unknown that the evolution of firm theories has been developed along a path paved by an increasing awareness of the organizational structure importance. From the early “neoclassical” conceptualizations that intended the firm as a rational actor whose aim is to produce that amount of output, given the inputs at its disposal and in accordance to technological or environmental constraints, which maximizes the revenue (see Boulding, 1942 for a past mid century state of the art discussion) to the knowledge based theory of the firm (Nonaka & Takeuchi, 1995; Nonaka & Toyama, 2005), which recognizes in the firm a knnowledge creating entity, with specific organizational capabilities (Teece, 1996; Teece & Pisano, 1998) that allow to sustaine competitive advantages. Tracing back a map of the theory of the firm evolution, taking into account the several perspectives adopted in the history of thought, would take the length of many books. Because of that a more fruitful strategy is circumscribing the focus of the description of the literature evolution to one flow connected to a crucial question about the nature of firm’s behaviour and about the determinants of competitive advantages. In so doing I adopt a perspective that allows me to consider the organizational structure of the firm as an element according to which the different theories can be discriminated. The approach adopted starts by considering the drawbacks of the standard neoclassical theory of the firm. Discussing the most influential theoretical approaches I end up with a close examination of the knowledge based perspective of the firm. Within this perspective the firm is considered as a knowledge creating entity that produce and mange knowledge (Nonaka, Toyama, & Nagata, 2000; Nonaka & Toyama, 2005). In a knowledge intensive organization, knowledge is clearly embedded for the most part in the human capital of the individuals that compose such an organization. In a knowledge based organization, the management, in order to cope with knowledge intensive productions, ought to develop and accumulate capabilities that shape the organizational forms in a way that relies on “cross-functional processes, extensive delayering and empowerment” (Foss 2005, p.12). This mechanism contributes to determine the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, it also shape the technological trajectories along which the firm moves. After having recognized the growing importance of the firm’s organizational structure in the theoretical literature concerning the firm theory, the subsequent point of the analysis is that of providing an overview of the changes that have been occurred at micro level to the firm’s organization of production. The economic actors have to deal with challenges posed by processes of internationalisation and globalization, increased and increasing competitive pressure of less developed countries on low value added production activities, changes in technologies and increased environmental turbulence and volatility. As a consequence, it has been widely recognized that the main organizational models of production that fitted well in the 20th century are now partially inadequate and processes aiming to reorganize production activities have been widespread across several economies in recent years. Recently, the emergence of a “new” form of production organization has been proposed both by scholars, practitioners and institutions: the most prominent characteristic of such a model is its recognition of the importance of employees commitment and involvement. As a consequence it is characterized by a strong accent on the human resource management and on those practices that aim to widen the autonomy and responsibility of the workers as well as increasing their commitment to the organization (Osterman, 1994; 2000; Lynch, 2007). This “model” of production organization is by many defined as High Performance Work System (HPWS). Despite the increasing diffusion of workplace practices that may be inscribed within the concept of HPWS in western countries’ companies, it is an hazard, to some extent, to speak about the emergence of a “new organizational paradigm”. The discussion about organizational changes and the diffusion of HPWP the focus cannot abstract from a discussion about the industrial relations systems, with a particular accent on the employment relationships, because of their relevance, in the same way as production organization, in determining two major outcomes of the firm: innovation and economic performances. The argument is treated starting from the issue of the Social Dialogue at macro level, both in an European perspective and Italian perspective. The model of interaction between the social parties has repercussions, at micro level, on the employment relationships, that is to say on the relations between union delegates and management or workers and management. Finding economic and social policies capable of sustaining growth and employment within a knowledge based scenario is likely to constitute the major challenge for the next generation of social pacts, which are the main social dialogue outcomes. As Acocella and Leoni (2007) put forward the social pacts may constitute an instrument to trade wage moderation for high intensity in ICT, organizational and human capital investments. Empirical evidence, especially focused on the micro level, about the positive relation between economic growth and new organizational designs coupled with ICT adoption and non adversarial industrial relations is growing. Partnership among social parties may become an instrument to enhance firm competitiveness. The outcome of the discussion is the integration of organizational changes and industrial relations elements within a unified framework: the HPWS. Such a choice may help in disentangling the potential existence of complementarities between these two aspects of the firm internal structure on economic and innovative performance. With the third chapter starts the more original part of the thesis. The data utilized in order to disentangle the relations between HPWS practices, innovation and economic performance refer to the manufacturing firms of the Reggio Emilia province with more than 50 employees. The data have been collected through face to face interviews both to management (199 respondents) and to union representatives (181 respondents). Coupled with the cross section datasets a further data source is constituted by longitudinal balance sheets (1994-2004). Collecting reliable data that in turn provide reliable results needs always a great effort to which are connected uncertain results. Data at micro level are often subjected to a trade off: the wider is the geographical context to which the population surveyed belong the lesser is the amount of information usually collected (low level of resolution); the narrower is the focus on specific geographical context, the higher is the amount of information usually collected (high level of resolution). For the Italian case the evidence about the diffusion of HPWP and their effects on firm performances is still scanty and usually limited to local level studies (Cristini, et al., 2003). The thesis is also devoted to the deepening of an argument of particular interest: the existence of complementarities between the HPWS practices. It has been widely shown by empirical evidence that when HPWP are adopted in bundles they are more likely to impact on firm’s performances than when adopted in isolation (Ichniowski, Prennushi, Shaw, 1997). Is it true also for the local production system of Reggio Emilia? The empirical analysis has the precise aim of providing evidence on the relations between the HPWS dimensions and the innovative and economic performances of the firm. As far as the first line of analysis is concerned it must to be stressed the fundamental role that innovation plays in the economy (Geroski & Machin, 1993; Stoneman & Kwoon 1994, 1996; OECD, 2005; EC, 2002). On this point the evidence goes from the traditional innovations, usually approximated by R&D investment expenditure or number of patents, to the introduction and adoption of ICT, in the recent years (Brynjolfsson & Hitt, 2000). If innovation is important then it is critical to analyse its determinants. In this work it is hypothesised that organizational changes and firm level industrial relations/employment relations aspects that can be put under the heading of HPWS, influence the propensity to innovate in product, process and quality of the firm. The general argument may goes as follow: changes in production management and work organization reconfigure the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, they shape the technological trajectories along which the firm moves; cooperative industrial relations may lead to smother adoption of innovations, because not contrasted by unions. From the first empirical chapter emerges that the different types of innovations seem to respond in different ways to the HPWS variables. The underlying processes of product, process and quality innovations are likely to answer to different firm’s strategies and needs. Nevertheless, it is possible to extract some general results in terms of the most influencing HPWS factors on innovative performance. The main three aspects are training coverage, employees involvement and the diffusion of bonuses. These variables show persistent and significant relations with all the three innovation types. The same do the components having such variables at their inside. In sum the aspects of the HPWS influence the propensity to innovate of the firm. At the same time, emerges a quite neat (although not always strong) evidence of complementarities presence between HPWS practices. In terns of the complementarity issue it can be said that some specific complementarities exist. Training activities, when adopted and managed in bundles, are related to the propensity to innovate. Having a sound skill base may be an element that enhances the firm’s capacity to innovate. It may enhance both the capacity to absorbe exogenous innovation and the capacity to endogenously develop innovations. The presence and diffusion of bonuses and the employees involvement also spur innovative propensity. The former because of their incentive nature and the latter because direct workers participation may increase workers commitment to the organizationa and thus their willingness to support and suggest inovations. The other line of analysis provides results on the relation between HPWS and economic performances of the firm. There have been a bulk of international empirical studies on the relation between organizational changes and economic performance (Black & Lynch 2001; Zwick 2004; Janod & Saint-Martin 2004; Huselid 1995; Huselid & Becker 1996; Cappelli & Neumark 2001), while the works aiming to capture the relations between economic performance and unions or industrial relations aspects are quite scant (Addison & Belfield, 2001; Pencavel, 2003; Machin & Stewart, 1990; Addison, 2005). In the empirical analysis the integration of the two main areas of the HPWS represent a scarcely exploited approach in the panorama of both national and international empirical studies. As remarked by Addison “although most analysis of workers representation and employee involvement/high performance work practices have been conducted in isolation – while sometimes including the other as controls – research is beginning to consider their interactions” (Addison, 2005, p.407). The analysis conducted exploiting temporal lags between dependent and covariates, possibility given by the merger of cross section and panel data, provides evidence in favour of the existence of HPWS practices impact on firm’s economic performance, differently measured. Although it does not seem to emerge robust evidence on the existence of complementarities among HPWS aspects on performances there is evidence of a general positive influence of the single practices. The results are quite sensible to the time lags, inducing to hypothesize that time varying heterogeneity is an important factor in determining the impact of organizational changes on economic performance. The implications of the analysis can be of help both to management and local level policy makers. Although the results are not simply extendible to other local production systems it may be argued that for contexts similar to the Reggio Emilia province, characterized by the presence of small and medium enterprises organized in districts and by a deep rooted unionism, with strong supporting institutions, the results and the implications here obtained can also fit well. However, a hope for future researches on the subject treated in the present work is that of collecting good quality information over wider geographical areas, possibly at national level, and repeated in time. Only in this way it is possible to solve the Gordian knot about the linkages between innovation, performance, high performance work practices and industrial relations.

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Intangible resources have raised the interests of scholars from different research areas due to their importance as crucial factors for firm performance; yet, contributions to this field still lack a theoretical framework. This research analyses the state-of-the-art results reached in the literature concerning intangibles, their main features and evaluation problems and models. In search for a possible theoretical framework, the research draws a kind of indirect analysis of intangibles through the theories of the firm, their critic and developments. The heterodox approaches of the evolutionary theory and resource-based view are indicated as possible frameworks. Based on this theoretical analysis, organization capital (OC) is identified, for its features, as the most important intangible for firm performance. Empirical studies on the relationship intangibles-firm performance have been sporadic and have failed to reach firm conclusions with respect to OC; in the attempt to fill this gap, the effect of OC is tested on a large sample of European firms using the Compustat Global database. OC is proxied by capitalizing an income statement item (Selling, General and Administrative expenses) that includes expenses linked to information technology, business process design, reputation enhancement and employee training. This measure of OC is employed in a cross-sectional estimation of a firm level production function - modeled with different functional specifications (Cobb-Douglas and Translog) - that measures OC contribution to firm output and profitability. Results are robust and confirm the importance of OC for firm performance.

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Lo sviluppo locale rappresenta, non solo per gli economisti, un tema di analisi sempre più rilevante sia al livello istituzionale che al livello scientifico. La complessità degli aspetti inerenti lo sviluppo locale richiede il coinvolgimento di diverse discipline, in ambito economico, politico, sociale e ambientale e di tutti i livelli istituzionali. Parallelamente è cresciuta l’esigenza di processi valutativi coerenti e sistematici, basati su di un numero sempre maggiore di strumenti e metodologie di valutazione. Dall’orientamento della Commissione Europea emerge del resto con sempre maggiore evidenza il binomio fra politica di sviluppo locale e valutazione, che coinvolge i diversi livelli di governo. Il presente lavoro realizza un quadro delle politiche di sviluppo locale, partendo dal livello europeo fino ad arrivare al livello locale, ed una successiva analisi di metodologie e strumenti di valutazione consolidati e di frontiera. La considerazione della valutazione come strumento strategico per le politiche di sviluppo locale trova applicazione nella realizzazione di una analisi comparativa di due aree di montagna. Tali aree, identificate nell’Appennino Bolognese e nell’area montana della Contea di Brasov in Romania, pur collocate in paesi a diverso livello di sviluppo, risultano confrontabili, in termini di similitudini e criticità, al fine di trarre considerazioni di policy inerenti il disegno di adeguate politiche di riqualificazione, mettendo in luce l’importanza del processo valutativo e la necessità di contribuire a diffondere una vera e propria cultura della valutazione.

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I comportamenti nutrizionali stanno assumendo sempre maggiore rilievo all’interno delle politiche comunitarie e questo sottolinea che la dieta sta avendo, negli ultimi anni, una maggiore importanza come fattore di causa e allo stesso tempo prevenzione nella diffusione di malattie croniche come il cancro, malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi e disturbi dentali. Numerosi studi mostrano infatti che i tassi di obesità sono triplicati nelle ultime due decadi e si è stimato che, se i livelli di obesità continueranno a crescere allo stesso tasso del 1990, nel 2010 il numero di persone obese raggiungerà i 150 milioni tra gli adulti e i 15 milioni tra bambini e adolescenti. I governi nazionali stanno quindi cercando di risolvere questo problema, a cui sono inoltre legati alti costi nazionali, tramite l’implementazione di politiche nutrizionali. Analisi di tipo cross-section sono già state evidenziate da studiosi come Schmidhuber e Traill (2006), i quali hanno effettuato un’analisi di convergenza a livello europeo per esaminare la distanza tra le calorie immesse da 426 prodotti diversi. In quest’analisi hanno così dimostrato la presenza di una similarità distinta e crescente tra i paesi europei per quanto riguarda la composizione della dieta. Srinivasan et al. invece hanno osservato la relazione esistente tra ogni singolo prodotto alimentare consumato e le norme nutrizionali dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) Lo scopo di questa tesi è quello di evidenziare il problema a livello di aggregati nutritivi e di specifiche componenti nutrizionali come zucchero, frutta e verdura e non relativamente ad ogni singolo prodotto consumato. A questo proposito ci si è basati sulla costruzione di un indicatore (Recommendation Compliance Index) in modo da poter misurare le distanze tra la dieta media e le raccomandazioni del WHO. Lo scopo è quindi quello di riuscire a quantificare il fenomeno del peggioramento della dieta in diverse aree del mondo negli ultimi quattro decenni, tramite un’analisi panel, basandosi sui dati sui nutrienti consumati, provenienti dal database della FAO (e precisamente dal dataset Food Balance Sheets – FBS). Nella prima fase si introduce il problema dell’obesità e delle malattie croniche correlate, evidenziando dati statistici in diversi paesi europei e mondiali. Si sottolineano inoltre le diverse azioni dei governi e del WHO, tramite l’attuazione di campagne contro l’obesità e in favore di una vita più salutare e di una maggiore attività fisica. Nella seconda fase si è costruito un indicatore aggregato (Recommendation Compliance Index) in modo da analizzare le caratteristiche nella dieta dei diversi Paesi a livello mondiale rispetto alle norme del WHO. L’indicatore si basa sui dati ottenuti da FAOSTAT ed è calcolato per 149 paesi del database dell’FBS per il periodo 1961-2002. Nell’analisi si sono utilizzati i dati sulle percentuali di energia prodotta dalle varie componenti nutritive, quali grassi, grassi saturi e transaturi, zuccheri, carboidrati, proteine e le quantità di frutta e verdura consumate. Inoltre si è applicato un test statistico per testare se il valore del RCI è significativamente cambiato nel tempo, prendendo in considerazione gruppi di Paesi (Paesi OECD, Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati). Si è voluto poi valutare la presenza o meno di un processo di convergenza, applicando l’analisi di σ-convergenza per osservare ad esempio se la variabilità è diminuita nel tempo in modo significativo. Infine si è applicato l’indicatore ad un livello micro, utilizzando il database del National Diet and Nutrition Survey, che raccoglie dati di macrocomponenti nutritive e misure antropometriche della popolazione inglese dai 16 ai 64 anni per il periodo 2000-2001. Si sono quindi effettuate analisi descrittive nonché analisi di correlazione, regressione lineare e ordinale per osservare le relazioni tra l’indicatore, i macronutrienti, il reddito e le misure antropometriche dell’ Indice di Massa Corporea (Body Mass Index, BMI) e del rapporto vita-fianchi (Waist-hip ratio, WHR).

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L’infezione da virus dell’ epatite E (HEV) nei suini e nell’uomo è stata segnalata in diversi Paesi. Nei suini, il virus causa infezioni asintomatiche, mentre nell’uomo è responsabile di epidemie di epatite ad andamento acuto nei Paesi a clima tropicale o subtropicale con condizioni igieniche scadenti, di casi sporadici in quelli sviluppati. HEV è stato isolato anche in diversi animali e l’analisi nucleotidica degli isolati virali di origine animale ha mostrato un elevato grado di omologia con i ceppi di HEV umani isolati nelle stesse aree geografiche, avvalorando l’ipotesi che l'infezione da HEV sia una zoonosi. In America del Sud HEV suino è stato isolato per la prima volta in suini argentini nel 2006, mentre solo dal 1998 esistono dati sull’ infezione da HEV nell’uomo in Bolivia. In questa indagine è stato eseguito uno studio di sieroprevalenza in due comunità rurali boliviane e i risultati sono stati confrontati con quelli dello studio di sieroprevalenza sopra menzionato condotto in altre zone rurali della Bolivia. Inoltre, mediante Nested RT-PCR, è stata verificata la presenza di HEV nella popolazione umana e suina. La sieroprevalenza per anticorpi IgG anti-HEV è risultata pari al 6,2%, molto simile a quella evidenziata nello studio precedente. La prevalenza maggiore (24%) si è osservata nei soggetti di età compresa tra 41 e 50 anni, confermando che l’ infezione da HEV è maggiore fra i giovani-adulti. La ricerca di anticorpi anti HEV di classe IgM eseguita su 52 sieri ha fornito 4 risultati positivi. Il genoma virale è stato identificato in uno dei 22 pool di feci umane e l'esame virologico di 30 campioni individuali fecali e 7 individuali di siero ha fornito rispettivamente risultati positivi in 4/30 e 1/7. La Nested RT-PCR eseguita sui 22 pool di feci suine ha dato esito positivo in 7 pool. L’analisi delle sequenze genomiche di tutti gli amplificati ha consentito di stabilire che gli isolati umani appartenevano allo stesso genotipo III di quelli suini e presentavano con questi una elevata omologia aminoacidica (92%).

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Parapoxvirus (PPV) are member of a genus in the family poxviridae which currently encompasses four species: the prototype orf virus (OV), bovine papular stomatitis virus (BPSV), pseudocowpox virus (PCPV) and parapoxvirus of New Zealand red deer (PVNZ). PPVs cause widespread, but localized diseases of small and large ruminants and they can also be transmitted to man. Knowledge of the molecular biology of PPV is still limited as compared to orthopoxviruses, especially vaccinia virus (VACV). The PPV genome displays a high G+C content and relatively small size for poxvirus. Coventional electron microscopy displays PPV virions with ovoid shape and slightly smaller in size than the brickshaped orthopoxviruses. The most striking feature, which readily enables identification of PPV, is a tubule-like structure that surrounds the particle in a spiral fashion. PPV genome organization and content is very similar to that of other poxviruses, the central region contain 88 genes which are present in all poxviruse, in contrast the terminal regions are variable and contain a set of genes unique to the genus PPV. Genes in the near-terminal regions of the genome are frequently not essential for growth in cultured cells encoding factors with important roles in virushost interactions including modulating host immune responses and determining host range. Recently it was suggested that the open reading frames (ORFs) 109 and 110 of the OV genome have a major role in determining species specificity during natural infection in sheep and goats. This hypothesis is based on the analysis of a few number of sequences of different sheep and goats viral isolates. PPV replicate into the cytoplasm of infected cells and produce three structurally different infectious particles: the intracellular mature virions (IMV), intracellular enveloped virions (IEV) and the extracellular enveloped virions (EEV). The vaccinia A33R and A34R hotologue proteins encoded by the ORFS 109 and 110 are expressed in the envelope of the IEV and EEV. The F1L immunodominant protein of orf virus is the major component of the surface tubule structure of the IMV and can post-translationaly insert into membranes via Cterminal, hydrofobic anchor sequence like its orthologue VACV H3L protein. Moreover the F1L protein binds to glycosaminoglycans on the cell surface and has an important role in IMV adsorption to mammalian cells. In this study we investigated the morphogenesis of the PPV through the construction of a mutant virus deleted of the F1L protein. A study of the deleted virus life cycle was conducted in different type of cells and its morphology was observed with electron microscopy. It was demonstared that F1L protein have important role in morphogenesis and infectivity. Moreover it is essential to determine the spiral fashion of the tubule like structure of the virion surface. Some pathogenetic aspects of the PPV infection were studied, in particular the protein implicated in the host range were analysed in detail. An experimental infection with OV and PCPV was conducted in goats and sheep. After infection, the severity of the lesions were comparable in both the animal species. The OV did not result in severe disease neither in sheep nor in goats, suggesting that host factors, rather than virus strain characteristics, may play an important role in the pathogenesis of the Parapoxvirus infections. The PCPV failed to produce any lesion in both sheep and goats, ruling out the possibility of any recombination between PCPV and OV during natural infection in these animal species. The phylogenetic analysis of the ORFs 109 and 110 from several goats and sheep viral isolates showed a clustering based on the antigenic content of the protein that was independent from species and geographic origin.