917 resultados para Filiera di recupero, plastica, valutazione impatto economico ed ambientale
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L’utilizzo degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) nel campo dell’ingegneria civile riguarda essenzialmente il settore del restauro delle strutture degradate o danneggiate e quello dell’adeguamento statico delle strutture edificate in zona sismica; in questi settori è evidente la difficoltà operativa alla quale si va in contro se si volessero utilizzare tecniche di intervento che sfruttano materiali tradizionali. I motivi per cui è opportuno intervenire con sistemi compositi fibrosi sono: • l’estrema leggerezza del rinforzo, da cui ne deriva un incremento pressoché nullo delle masse sismiche ed allo stesso tempo un considerevole aumento della duttilità strutturale; • messa in opera senza l’ausilio di particolari attrezzature da un numero limitato di operatori, da cui un minore costo della mano d’opera; • posizionamento in tempi brevi e spesso senza interrompere l’esercizio della struttura. Il parametro principale che definisce le caratteristiche di un rinforzo fibroso non è la resistenza a trazione, che risulta essere ben al di sopra dei tassi di lavoro cui sono soggette le fibre, bensì il modulo elastico, di fatti, più tale valore è elevato maggiore sarà il contributo irrigidente che il rinforzo potrà fornire all’elemento strutturale sul quale è applicato. Generalmente per il rinforzo di strutture in c.a. si preferiscono fibre sia con resistenza a trazione medio-alta (>2000 MPa) che con modulo elastico medio-alto (E=170-250 GPa), mentre per il recupero degli edifici in muratura o con struttura in legno si scelgono fibre con modulo di elasticità più basso (E≤80 GPa) tipo quelle aramidiche che meglio si accordano con la rigidezza propria del supporto rinforzato. In questo contesto, ormai ampliamente ben disposto nei confronti dei compositi, si affacciano ora nuove generazioni di rinforzi. A gli ormai “classici” FRP, realizzati con fibre di carbonio o fibre di vetro accoppiate a matrici organiche (resine epossidiche), si affiancano gli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix), i TRM (Textile Reinforced Mortars) e gli SRG (Steel Reinforced Grout) che sfruttano sia le eccezionali proprietà di fibre di nuova concezione come quelle in PBO (Poliparafenilenbenzobisoxazolo), sia un materiale come l’acciaio, che, per quanto comune nel campo dell’edilizia, viene caratterizzato da lavorazioni innovative che ne migliorano le prestazioni meccaniche. Tutte queste nuove tipologie di compositi, nonostante siano state annoverate con nomenclature così differenti, sono però accomunate dell’elemento che ne permette il funzionamento e l’adesione al supporto: la matrice cementizia
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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.
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The ideal approach for the long term treatment of intestinal disorders, such as inflammatory bowel disease (IBD), is represented by a safe and well tolerated therapy able to reduce mucosal inflammation and maintain homeostasis of the intestinal microbiota. A combined therapy with antimicrobial agents, to reduce antigenic load, and immunomodulators, to ameliorate the dysregulated responses, followed by probiotic supplementation has been proposed. Because of the complementary mechanisms of action of antibiotics and probiotics, a combined therapeutic approach would give advantages in terms of enlargement of the antimicrobial spectrum, due to the barrier effect of probiotic bacteria, and limitation of some side effects of traditional chemiotherapy (i.e. indiscriminate decrease of aggressive and protective intestinal bacteria, altered absorption of nutrient elements, allergic and inflammatory reactions). Rifaximin (4-deoxy-4’-methylpyrido[1’,2’-1,2]imidazo[5,4-c]rifamycin SV) is a product of synthesis experiments designed to modify the parent compound, rifamycin, in order to achieve low gastrointestinal absorption while retaining good antibacterial activity. Both experimental and clinical pharmacology clearly show that this compound is a non systemic antibiotic with a broad spectrum of antibacterial action, covering Gram-positive and Gram-negative organisms, both aerobes and anaerobes. Being virtually non absorbed, its bioavailability within the gastrointestinal tract is rather high with intraluminal and faecal drug concentrations that largely exceed the MIC values observed in vitro against a wide range of pathogenic microorganisms. The gastrointestinal tract represents therefore the primary therapeutic target and gastrointestinal infections the main indication. The little value of rifaximin outside the enteric area minimizes both antimicrobial resistance and systemic adverse events. Fermented dairy products enriched with probiotic bacteria have developed into one of the most successful categories of functional foods. Probiotics are defined as “live microorganisms which, when administered in adequate amounts, confer a health benefit on the host” (FAO/WHO, 2002), and mainly include Lactobacillus and Bifidobacterium species. Probiotic bacteria exert a direct effect on the intestinal microbiota of the host and contribute to organoleptic, rheological and nutritional properties of food. Administration of pharmaceutical probiotic formula has been associated with therapeutic effects in treatment of diarrhoea, constipation, flatulence, enteropathogens colonization, gastroenteritis, hypercholesterolemia, IBD, such as ulcerative colitis (UC), Crohn’s disease, pouchitis and irritable bowel syndrome. Prerequisites for probiotics are to be effective and safe. The characteristics of an effective probiotic for gastrointestinal tract disorders are tolerance to upper gastrointestinal environment (resistance to digestion by enteric or pancreatic enzymes, gastric acid and bile), adhesion on intestinal surface to lengthen the retention time, ability to prevent the adherence, establishment and/or replication of pathogens, production of antimicrobial substances, degradation of toxic catabolites by bacterial detoxifying enzymatic activities, and modulation of the host immune responses. This study was carried out using a validated three-stage fermentative continuous system and it is aimed to investigate the effect of rifaximin on the colonic microbial flora of a healthy individual, in terms of bacterial composition and production of fermentative metabolic end products. Moreover, this is the first study that investigates in vitro the impact of the simultaneous administration of the antibiotic rifaximin and the probiotic B. lactis BI07 on the intestinal microbiota. Bacterial groups of interest were evaluated using culture-based methods and molecular culture-independent techniques (FISH, PCR-DGGE). Metabolic outputs in terms of SCFA profiles were determined by HPLC analysis. Collected data demonstrated that rifaximin as well as antibiotic and probiotic treatment did not change drastically the intestinal microflora, whereas bacteria belonging to Bifidobacterium and Lactobacillus significantly increase over the course of the treatment, suggesting a spontaneous upsurge of rifaximin resistance. These results are in agreement with a previous study, in which it has been demonstrated that rifaximin administration in patients with UC, affects the host with minor variations of the intestinal microflora, and that the microbiota is restored over a wash-out period. In particular, several Bifidobacterium rifaximin resistant mutants could be isolated during the antibiotic treatment, but they disappeared after the antibiotic suspension. Furthermore, bacteria belonging to Atopobium spp. and E. rectale/Clostridium cluster XIVa increased significantly after rifaximin and probiotic treatment. Atopobium genus and E. rectale/Clostridium cluster XIVa are saccharolytic, butyrate-producing bacteria, and for these characteristics they are widely considered health-promoting microorganisms. The absence of major variations in the intestinal microflora of a healthy individual and the significant increase in probiotic and health-promoting bacteria concentrations support the rationale of the administration of rifaximin as efficacious and non-dysbiosis promoting therapy and suggest the efficacy of an antibiotic/probiotic combined treatment in several gut pathologies, such as IBD. To assess the use of an antibiotic/probiotic combination for clinical management of intestinal disorders, genetic, proteomic and physiologic approaches were employed to elucidate molecular mechanisms determining rifaximin resistance in Bifidobacterium, and the expected interactions occurring in the gut between these bacteria and the drug. The ability of an antimicrobial agent to select resistance is a relevant factor that affects its usefulness and may diminish its useful life. Rifaximin resistance phenotype was easily acquired by all bifidobacteria analyzed [type strains of the most representative intestinal bifidobacterial species (B. infantis, B. breve, B. longum, B. adolescentis and B. bifidum) and three bifidobacteria included in a pharmaceutical probiotic preparation (B. lactis BI07, B. breve BBSF and B. longum BL04)] and persisted for more than 400 bacterial generations in the absence of selective pressure. Exclusion of any reversion phenomenon suggested two hypotheses: (i) stable and immobile genetic elements encode resistance; (ii) the drug moiety does not act as an inducer of the resistance phenotype, but enables selection of resistant mutants. Since point mutations in rpoB have been indicated as representing the principal factor determining rifampicin resistance in E. coli and M. tuberculosis, whether a similar mechanism also occurs in Bifidobacterium was verified. The analysis of a 129 bp rpoB core region of several wild-type and resistant bifidobacteria revealed five different types of miss-sense mutations in codons 513, 516, 522 and 529. Position 529 was a novel mutation site, not previously described, and position 522 appeared interesting for both the double point substitutions and the heterogeneous profile of nucleotide changes. The sequence heterogeneity of codon 522 in Bifidobacterium leads to hypothesize an indirect role of its encoded amino acid in the binding with the rifaximin moiety. These results demonstrated the chromosomal nature of rifaximin resistance in Bifidobacterium, minimizing risk factors for horizontal transmission of resistance elements between intestinal microbial species. Further proteomic and physiologic investigations were carried out using B. lactis BI07, component of a pharmaceutical probiotic preparation, as a model strain. The choice of this strain was determined based on the following elements: (i) B. lactis BI07 is able to survive and persist in the gut; (ii) a proteomic overview of this strain has been recently reported. The involvement of metabolic changes associated with rifaximin resistance was investigated by proteomic analysis performed with two-dimensional electrophoresis and mass spectrometry. Comparative proteomic mapping of BI07-wt and BI07-res revealed that most differences in protein expression patterns were genetically encoded rather than induced by antibiotic exposure. In particular, rifaximin resistance phenotype was characterized by increased expression levels of stress proteins. Overexpression of stress proteins was expected, as they represent a common non specific response by bacteria when stimulated by different shock conditions, including exposure to toxic agents like heavy metals, oxidants, acids, bile salts and antibiotics. Also, positive transcription regulators were found to be overexpressed in BI07-res, suggesting that bacteria could activate compensatory mechanisms to assist the transcription process in the presence of RNA polymerase inhibitors. Other differences in expression profiles were related to proteins involved in central metabolism; these modifications suggest metabolic disadvantages of resistant mutants in comparison with sensitive bifidobacteria in the gut environment, without selective pressure, explaining their disappearance from faeces of patients with UC after interruption of antibiotic treatment. The differences observed between BI07-wt e BI07-res proteomic patterns, as well as the high frequency of silent mutations reported for resistant mutants of Bifidobacterium could be the consequences of an increased mutation rate, mechanism which may lead to persistence of resistant bacteria in the population. However, the in vivo disappearance of resistant mutants in absence of selective pressure, allows excluding the upsurge of compensatory mutations without loss of resistance. Furthermore, the proteomic characterization of the resistant phenotype suggests that rifaximin resistance is associated with a reduced bacterial fitness in B. lactis BI07-res, supporting the hypothesis of a biological cost of antibiotic resistance in Bifidobacterium. The hypothesis of rifaximin inactivation by bacterial enzymatic activities was verified by using liquid chromatography coupled with tandem mass spectrometry. Neither chemical modifications nor degradation derivatives of the rifaximin moiety were detected. The exclusion of a biodegradation pattern for the drug was further supported by the quantitative recovery in BI07-res culture fractions of the total rifaximin amount (100 μg/ml) added to the culture medium. To confirm the main role of the mutation on the β chain of RNA polymerase in rifaximin resistance acquisition, transcription activity of crude enzymatic extracts of BI07-res cells was evaluated. Although the inhibition effects of rifaximin on in vitro transcription were definitely higher for BI07-wt than for BI07-res, a partial resistance of the mutated RNA polymerase at rifaximin concentrations > 10 μg/ml was supposed, on the basis of the calculated differences in inhibition percentages between BI07-wt and BI07-res. By considering the resistance of entire BI07-res cells to rifaximin concentrations > 100 μg/ml, supplementary resistance mechanisms may take place in vivo. A barrier for the rifaximin uptake in BI07-res cells was suggested in this study, on the basis of the major portion of the antibiotic found to be bound to the cellular pellet respect to the portion recovered in the cellular lysate. Related to this finding, a resistance mechanism involving changes of membrane permeability was supposed. A previous study supports this hypothesis, demonstrating the involvement of surface properties and permeability in natural resistance to rifampicin in mycobacteria, isolated from cases of human infection, which possessed a rifampicin-susceptible RNA polymerase. To understand the mechanism of membrane barrier, variations in percentage of saturated and unsaturated FAs and their methylation products in BI07-wt and BI07-res membranes were investigated. While saturated FAs confer rigidity to membrane and resistance to stress agents, such as antibiotics, a high level of lipid unsaturation is associated with high fluidity and susceptibility to stresses. Thus, the higher percentage of saturated FAs during the stationary phase of BI07-res could represent a defence mechanism of mutant cells to prevent the antibiotic uptake. Furthermore, the increase of CFAs such as dihydrosterculic acid during the stationary phase of BI07-res suggests that this CFA could be more suitable than its isomer lactobacillic acid to interact with and prevent the penetration of exogenous molecules including rifaximin. Finally, the impact of rifaximin on immune regulatory functions of the gut was evaluated. It has been suggested a potential anti-inflammatory effect of rifaximin, with reduced secretion of IFN-γ in a rodent model of colitis. Analogously, it has been reported a significant decrease in IL-8, MCP-1, MCP-3 e IL-10 levels in patients affected by pouchitis, treated with a combined therapy of rifaximin and ciprofloxacin. Since rifaximin enables in vivo and in vitro selection of Bifidobacterium resistant mutants with high frequency, the immunomodulation activities of rifaximin associated with a B. lactis resistant mutant were also taken into account. Data obtained from PBMC stimulation experiments suggest the following conclusions: (i) rifaximin does not exert any effect on production of IL-1β, IL-6 and IL-10, whereas it weakly stimulates production of TNF-α; (ii) B. lactis appears as a good inducer of IL-1β, IL-6 and TNF-α; (iii) combination of BI07-res and rifaximin exhibits a lower stimulation effect than BI07-res alone, especially for IL-6. These results confirm the potential anti-inflammatory effect of rifaximin, and are in agreement with several studies that report a transient pro-inflammatory response associated with probiotic administration. The understanding of the molecular factors determining rifaximin resistance in the genus Bifidobacterium assumes an applicative significance at pharmaceutical and medical level, as it represents the scientific basis to justify the simultaneous use of the antibiotic rifaximin and probiotic bifidobacteria in the clinical treatment of intestinal disorders.
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Confronto tra due software specifici per l'analisi di rischio nel trasporto stradale di merci pericolose (TRAT GIS 4.1 e QRAM 3.6) mediante applicazione a un caso di studio semplice e al caso reale di Casalecchio di Reno, comune della provincia di Bologna.
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In questa tesi si è voluta porre l’attenzione sulla suscettibilità alle alte temperature delle resine che li compongono. Lo studio del comportamento alle alte temperature delle resine utilizzate per l’applicazione dei materiali compositi è risultato un campo di studio ancora non completamente sviluppato, nel quale c’è ancora necessità di ricerche per meglio chiarire alcuni aspetti del comportamento. L’analisi di questi materiali si sviluppa partendo dal contesto storico, e procedendo successivamente ad una accurata classificazione delle varie tipologie di materiali compositi soffermandosi sull’ utilizzo nel campo civile degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e mettendone in risalto le proprietà meccaniche. Considerata l’influenza che il comportamento delle resine riveste nel comportamento alle alte temperature dei materiali compositi si è, per questi elementi, eseguita una classificazione in base alle loro proprietà fisico-chimiche e ne sono state esaminate le principali proprietà meccaniche e termiche quali il modulo elastico, la tensione di rottura, la temperatura di transizione vetrosa e il fenomeno del creep. Sono state successivamente eseguite delle prove sperimentali, effettuate presso il Laboratorio Resistenza Materiali e presso il Laboratorio del Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali, su dei provini confezionati con otto differenti resine epossidiche. Per valutarne il comportamento alle alte temperature, le indagini sperimentali hanno valutato dapprima le temperature di transizione vetrosa delle resine in questione e, in seguito, le loro caratteristiche meccaniche. Dalla correlazione dei dati rilevati si sono cercati possibili legami tra le caratteristiche meccaniche e le proprietà termiche delle resine. Si sono infine valutati gli aspetti dell’applicazione degli FRP che possano influire sul comportamento del materiale composito soggetto alle alte temperature valutando delle possibili precauzioni che possano essere considerate in fase progettuale.
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Applicazione di metodi indiretti per la stima delle portate di progetto, aventi tempi di ritorno pari a: 30, 100 e 200 anni. Simulazione in moto permanente mediante programma di calcolo noto come hec-Ras. individuazione su carta delle fasce inondabili in seguito ad un evento di piena con tempo di ritorno assegnato.
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L’utilizzo di materiali compositi come i calcestruzzi fibrorinforzati sta diventando sempre più frequente e diffuso. Tuttavia la scelta di nuovi materiali richiede una approfondita analisi delle loro caratteristiche e dei loro comportamenti. I vantaggi forniti dall’aggiunta di fibre d’acciaio ad un materiale fragile, quale il calcestruzzo, sono legati al miglioramento della duttilità e all'aumento di assorbimento di energia. L’aggiunta di fibre permette quindi di migliorare il comportamento strutturale del composito, dando vita ad un nuovo materiale capace di lavorare non solo a compressione ma anche in piccola parte a trazione, ma soprattutto caratterizzato da una discreta duttilità ed una buona capacità plastica. Questa tesi ha avuto come fine l’analisi delle caratteristiche di questi compositi cementizi fibrorinforzati. Partendo da prove sperimentali classiche quali prove di trazione e compressione, si è arrivati alla caratterizzazione di questi materiali avvalendosi di una campagna sperimentale basata sull’applicazione della norma UNI 11039/2003. L’obiettivo principale di questo lavoro consiste nell’analizzare e nel confrontare calcestruzzi rinforzati con fibre di due diverse lunghezze e in diversi dosaggi. Studiando questi calcestruzzi si è cercato di comprendere meglio questi materiali e trovare un riscontro pratico ai comportamenti descritti in teorie ormai diffuse e consolidate. La comparazione dei risultati dei test condotti ha permesso di mettere in luce differenze tra i materiali rinforzati con l’aggiunta di fibre corte rispetto a quelli con fibre lunghe, ma ha anche permesso di mostrare e sottolineare le analogie che caratterizzano questi materiali fibrorinforzati. Sono stati affrontati inoltre gli aspetti legati alle fasi della costituzione di questi materiali sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico. Infine è stato sviluppato un modello analitico basato sulla definizione di specifici diagrammi tensione-deformazione; i risultati di questo modello sono quindi stati confrontati con i dati sperimentali ottenuti in laboratorio.
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Il presente lavoro tratta lo studio dei fenomeni aeroelastici di interazione fra fluido e struttura, con il fine di provare a simularli mediante l’ausilio di un codice agli elementi finiti. Nel primo capitolo sono fornite alcune nozioni di fluidodinamica, in modo da rendere chiari i passaggi teorici fondamentali che portano alle equazioni di Navier-Stokes governanti il moto dei fluidi viscosi. Inoltre è illustrato il fenomeno della formazione di vortici a valle dei corpi tozzi dovuto alla separazione dello strato limite laminare, con descrizione anche di alcuni risultati ottenuti dalle simulazioni numeriche. Nel secondo capitolo vengono presi in rassegna i principali fenomeni di interazione fra fluido e struttura, cercando di metterne in luce le fondamenta della trattazione analitica e le ipotesi sotto le quali tale trattazione è valida. Chiaramente si tratta solo di una panoramica che non entra in merito degli sviluppi della ricerca più recente ma fornisce le basi per affrontare i vari problemi di instabilità strutturale dovuti a un particolare fenomeno di interazione con il vento. Il terzo capitolo contiene una trattazione più approfondita del fenomeno di instabilità per flutter. Tra tutti i fenomeni di instabilità aeroelastica delle strutture il flutter risulta il più temibile, soprattutto per i ponti di grande luce. Per questo si è ritenuto opportuno dedicargli un capitolo, in modo da illustrare i vari procedimenti con cui si riesce a determinare analiticamente la velocità critica di flutter di un impalcato da ponte, a partire dalle funzioni sperimentali denominate derivate di flutter. Al termine del capitolo è illustrato il procedimento con cui si ricavano sperimentalmente le derivate di flutter di un impalcato da ponte. Nel quarto capitolo è presentato l’esempio di studio dell’impalcato del ponte Tsing Ma ad Hong Kong. Sono riportati i risultati analitici dei calcoli della velocità di flutter e di divergenza torsionale dell’impalcato e i risultati delle simulazioni numeriche effettuate per stimare i coefficienti aerodinamici statici e il comportamento dinamico della struttura soggetta all’azione del vento. Considerazioni e commenti sui risultati ottenuti e sui metodi di modellazione numerica adottati completano l’elaborato.
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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.
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Il documento pre-normativo italiano sul rinforzo di strutture in c.a. mediante l’uso di materiale fibrorinforzato. 1.1 INTRODUZIONE La situazione unica dell’Italia per quanto riguarda la conservazione delle costruzioni esistenti, è il risultato della combinazione di due aspetti, come primo, il medio-alto rischio sismico di una gran parte di territorio, come testimoniato dalla zonizzazione sismica recente, e come secondo aspetto, l'estrema complessità di un ambiente edilizio che non ha confronto nel mondo. Le tipologie della costruzione in Italia si distinguono a quelle stimate come patrimonio storico, che in alcuni casi risalgono a circa 2000 anni fa, a quelle che sono state costruite in ultimi cinque secoli, durante e dopo il Rinascimento, che sono considerate come patrimonio culturale ed architettonico dell' Italia (e del mondo!), infine a quelle fatte in tempi recenti, considerevolmente durante e dopo il boom economico del l960 ed ora visti come antiquate. Le due prime categorie in gran parte sono composte dalle edilizie di muratura, mentre agli ultimi principalmente appartengono le costruzioni di cemento armato.