90 resultados para Simbologia


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Blood is one of the most important and powerful elements in magical and religious symbology. As it is an essential substance for animal survival, it does not sound strange that through the ages blood has been given many significant symbolic values (both positive and negative). It can provide life, protection and prosperity in the same proportion that it can cause calamities, destruction and even death. In Opus agriculturae, a farming treatise written by Palladius (V AD), more specifically in Book I, Chapter 35, the author presents prescriptions to protect farms against scourges and climatic phenomena. He mentions some procedures in which blood is a fundamental component in the success of the prescriptions. The aim of the present article is to identify any magic power associated with these practices, their specific symbolic value, especially when related to menstrual blood and to other feminine elements with some magical or religious value. An evaluation is also made of the extent of these symbologies in the context of other practices and situations linked not only to agricultural magic, but to religion and to the ritual practices of other communities, whether in ancient times or not.

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In this paper we analyze how the symbols of land and woman are articulated in the lyric from Ana Paula Tavares. Such motifs, applicants at O lago da lua (1999), will take on a structuring in the poetic universe from this Angolan writer, because architect his being in the world at an existential level and political. Paula Tavares gives her voice to express, with defiance and tenderness, the bitter cry of women prisoners in their own silence. The symbiosis between land and woman works as formative and empowering element of identity

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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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This paper, through a literature review, demonstrates the importance of the use of brands by men, initially as a form of expression and communication. History has shown that the visual language and the use of images in the form of the brands, proved a very efficient and direct interpretation, with accuracy to what it represents, setting the brand as a financially valued member. The paper deals with analysis of the Spanish example that argues the way that touristic points has been used to represent places in the whole world; then, at the same time, it measures the case of the Brazilian city of Rio de Janeiro where brands are created for special events and there is not a representative tourist brand to this town; But when analyzing the places in the city, symbols like The Copacabana Promenade has a strong presence in the collective imagination, that's the reason why it has been used as an element of strong local identity and in the Industrial Design.

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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.

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Este trabalho é uma interpretação do imaginário a respeito de Deus, revelado por um grupo de crianças desprotegidas. Obter-se uma representação desse imaginário, tarefa difícil, foi o primeiro passo da investigação. A partir da prática do desenho, considerado como forma capaz de oferecer indicações seguras para busca de traços de personalidade, adicionada às interpretações verbais, realizadas pelas crianças; imagens foram se revelando e concretizando o desejado imaginário. A explicitação dos mecanismos de produção de sentidos das imagens fundamentou-se em dois diferentes níveis de interpretação teórica: a primeira, subsidiada por propostas psicológicas e psicanalíticas, permitiu a interpretação dos traços e cores, nos desenhos, como indicadores de sentimento. A segunda, baseada na Teologia Sistemática: a simbologia segundo Tillich, oportunizou a identificação de símbolos relacionados ao Divino, dos quais um, pela sua presença nas duas expressões: pictórica e verbal, foi considerado o símbolo, ou, a figura simbólica de Deus, manifestada pelas crianças. O desenvolvimento do trabalho abarca os seguintes tópicos: realidade contextual das crianças, a perda como uma característica marcante nas crianças, o imaginário infantil, síntese tradicional das interpretações que as crianças fazem a respeito de Deus, significações das expressões pictóricas, revelação simbólica como representação da pessoa de Deus, imaginada, experiências religiosas de fé das crianças, para com a pessoa de Deus, por elas revelada. Considerando-se que nenhuma análise é acabada, no final do trabalho encontram-se algumas perspectivas oriundas do seu interior, substituindo qualquer conclusão.(AU)

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Este trabalho é uma interpretação do imaginário a respeito de Deus, revelado por um grupo de crianças desprotegidas. Obter-se uma representação desse imaginário, tarefa difícil, foi o primeiro passo da investigação. A partir da prática do desenho, considerado como forma capaz de oferecer indicações seguras para busca de traços de personalidade, adicionada às interpretações verbais, realizadas pelas crianças; imagens foram se revelando e concretizando o desejado imaginário. A explicitação dos mecanismos de produção de sentidos das imagens fundamentou-se em dois diferentes níveis de interpretação teórica: a primeira, subsidiada por propostas psicológicas e psicanalíticas, permitiu a interpretação dos traços e cores, nos desenhos, como indicadores de sentimento. A segunda, baseada na Teologia Sistemática: a simbologia segundo Tillich, oportunizou a identificação de símbolos relacionados ao Divino, dos quais um, pela sua presença nas duas expressões: pictórica e verbal, foi considerado o símbolo, ou, a figura simbólica de Deus, manifestada pelas crianças. O desenvolvimento do trabalho abarca os seguintes tópicos: realidade contextual das crianças, a perda como uma característica marcante nas crianças, o imaginário infantil, síntese tradicional das interpretações que as crianças fazem a respeito de Deus, significações das expressões pictóricas, revelação simbólica como representação da pessoa de Deus, imaginada, experiências religiosas de fé das crianças, para com a pessoa de Deus, por elas revelada. Considerando-se que nenhuma análise é acabada, no final do trabalho encontram-se algumas perspectivas oriundas do seu interior, substituindo qualquer conclusão.(AU)

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O tema a respeito do Filho do Homem foi pesquisado tendo como objetivo a identificação desta expressão com um personagem da história de Israel. Um novo olhar está sendo direcionado para o tema objetivando não mais a identificação de um personagem histórico senão que o desenvolvimento de idéias e re-significação das mesmas através de grupos sociais que projetam suas esperanças num futuro vindouro, em contraste com seu atual estado. O livro do Apocalipse nos capítulo 1, 9-18 contém a figura de um ser misterioso envolto numa simbologia judaica o qual João denomina um como o filho do homem . O aparecimento da expressão Filho do Homem ocorre no Antigo e Novo Testamento, mas também na literatura conhecida como Apocalipses Judaicos. Nos diferentes tipos de relatos encontrados a expressão designando um ser possuidor de atributos, funções e ofícios distintos, sendo que se reporta na maioria delas no sentido de realizar um cenário de julgamento, tendo como base o povo de Israel. O presente trabalho tem como objetivo analisar a expressão utilizada pelo autor de Apocalipse e suas implicações para o pensamento e desenvolvimento da idéia da cristologia do FdH no cristianismo primitivo.

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O tema a respeito do Filho do Homem foi pesquisado tendo como objetivo a identificação desta expressão com um personagem da história de Israel. Um novo olhar está sendo direcionado para o tema objetivando não mais a identificação de um personagem histórico senão que o desenvolvimento de idéias e re-significação das mesmas através de grupos sociais que projetam suas esperanças num futuro vindouro, em contraste com seu atual estado. O livro do Apocalipse nos capítulo 1, 9-18 contém a figura de um ser misterioso envolto numa simbologia judaica o qual João denomina um como o filho do homem . O aparecimento da expressão Filho do Homem ocorre no Antigo e Novo Testamento, mas também na literatura conhecida como Apocalipses Judaicos. Nos diferentes tipos de relatos encontrados a expressão designando um ser possuidor de atributos, funções e ofícios distintos, sendo que se reporta na maioria delas no sentido de realizar um cenário de julgamento, tendo como base o povo de Israel. O presente trabalho tem como objetivo analisar a expressão utilizada pelo autor de Apocalipse e suas implicações para o pensamento e desenvolvimento da idéia da cristologia do FdH no cristianismo primitivo.

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O objetivo dessa tese é aprofundar, a partir do discurso pós-colonial, uma crise na perspectiva teológica da libertação. Esta promoveu, na década de 1970, uma reviravolta nos estudos teológicos no terceiro mundo. Para tanto, leremos um conto de Gabriel García Márquez chamado “El ahogado más hermosodel mundo” (1968) analizando e avaliando as estratégias políticas e culturais ali inscritas. Para levar a frente tal avaliação é preciso ampliar o escopo de uma visão que divide o mundo em secular/religioso, ou em ideias/práticas religiosas e não religiosas, para dar passo a uma visão unificada que compreende a mundanalidade, tanto do que é catalogado como ‘religioso’ quanto do que se pretende ‘não religioso’. A teologia/ciências da religião, como discurso científico sobre a economia das trocas que lidam com visões, compreensões e práticas de mundo marcadas pelo reconhecimento do mistério que lhes é inerente, possuem um papel fundamental na compreensão, explicitação, articulação e disponibilização de tais forças culturais. A percepção de existirem elementos no conto que se relacionam com os símbolos sobre Jesus/Cristo nos ofereceu um vetor de análise; entretanto, não nos deixamos limitar pelos grilhões disciplinares que essa simbologia implica. Ao mesmo tempo, esse vínculo, compreendido desde a relação imperial/colonial inerente aos discursos e imagens sobre Jesus-Cristo, embora sem centralizar a análise, não poderia ficar intocado. Partimos para a construção de uma estrutura teórica que explicitasse os valores, gestos, e horizontes mundanos do conto, cristológicos e não-cristológicos, contribuindo assim para uma desestabilização dos quadros tradicionais a partir dos quais se concebem a teologia e as ciências da religião, a obra de García Márquez como literatura, e a geografia imperial/colonial que postula o realismo ficcional de territórios como “América Latina”. Abrimos, assim, um espaço de significação que lê o conto como uma “não-cristologia”, deslocando o aprisionamento disciplinar e classificatório dos elementos envolvidos na análise. O discurso crítico de Edward Said, Homi Bhabha e GayatriSpivak soma-se à prática teórica de teólogas críticas feministas da Ásia, da África e da América Latina para formular o cenário político emancipatório que denominaremos teologia crítica secular.

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A sexualidade de Lea e Raquel, o útero, as mandrágoras e o corpo de Jacó são fatores que definem o alicerce do nosso texto como espaços de diálogo, mediação e estrutura do cenário. O destaque principal está sob o capítulo 30.14-16 que retrata a memória das mandrágoras. Como plantas místicas elas dominam o campo religioso e como plantas medicinais elas são utilizadas para solucionar problemas biológicos. As instituições e sociedades detentoras de uma ideologia e de leis que regulamentam uma existência apresentam na narrativa, duas irmãs, mas também esposas de um mesmo homem que, manipuladas por essa instituição que minimiza e oprime a mulher, principalmente a estéril, confina-as como simples objeto de sexualidade e mantenedoras da descendência por meio da maternidade. A memória das mandrágoras é sinal de que a prática existente circundava uma religião não monoteísta. Ela existia sociologicamente por meio de sincretismos, força e poderes sócio-culturais e religiosos. Era constituída das memórias de mulheres que manipulavam e dominavam o poder sagrado para controle de suas necessidades. O discurso dessas mulheres, em nossa unidade, prova que o discurso dessa narrativa não se encontra somente no plano individual, mas também se estende a nível comunitário, espaço que as define e lhes concede importância por meio do casamento e dádivas da maternidade como continuidade da descendência. São mulheres que dominaram um espaço na história com suas lutas e vitórias, com atos de amor e de sofrimento, de crenças e poderes numa experiência religiosa dominada pelo masculino que vai além do nosso conhecimento atual. As lutas firmadas na fé e na ideologia dessas mulheres definiram e acentuaram seu papel de protagonistas nas narrativas 9 bíblicas que estudamos no Gênesis. A conservação dessas narrativas, e do espaço teológico da época, definiu espaços, vidas, gerações e tribos que determinaram as gerações prometidas e fecharam um ciclo: o da promessa de Iahweh quanto à descendência desde Abraão. Os mitos e as crenças foram extintos para dar espaço a uma fé monoteísta, mas a experiência religiosa

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Enfoca a simbologia numérica judaica abordando a temática doutrinária quando necessário.

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A Mensagem de Fernando Pessoa é uma obra marcada por uma forte riqueza simbólica e com inesgotáveis potencialidades interpretativas. Neste caso, analisou-se o contraste luz/sombra, considerando- se que o Quinto Império é anunciado como teatro do dia claro e o sebastianismo que percorre a obra é mistério e nevoeiro. Observado o valor simbólico que pode ser atribuído a estes termos e analisadas as ocorrências de vocábulos que remetem para eles, concluiu-se que existe um elevado número de ocorrências de vocábulos associados à luz e que esta se relaciona com o heroísmo, o conhecimento e o Quinto Império. A sombra que atravessa a obra remete para o desconhecido, o perigo e, também, para o que, estando oculto, pode ser desvendado. Associa-se, deste modo, ao mito sebástico.

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A vertiginosa difusão das TIC e o crescente desenvolvimento de diverso software científico estão a produzir mudanças relevantes nos processos formativos em matemática, estando estas a favorecer a criação de novos e melhores recursos didáticos e de autoaprendizagem, assim como uma nova forma de gerar e difundir conhecimento ou experiências cognitivas (Atencio, 2013). No entanto para tirar partido, a nível pessoal ou profissional, da variedade de recursos que estão ao nosso alcance para aprender/ensinar matemática, como os programas Geogebra, Surfer, GeCla, Microsoft Mathematics etc., é importante conhecê-los e saber trabalhar com eles. Tendo em vista este objetivo, neste Workshop pretende-se “apresentar” o software Microsoft Mathematics, explorá-lo como recurso na resolução de algumas tarefas de matemática, assim como discutir as suas potencialidades e limitações. O software Microsoft Mathematics, inicialmente com a designação Microsoft Math, foi lançado pela Microsoft Corporation em 2006, e surgiu para tentar resolver o problema de muitos alunos brasileiros que tinham dificuldades nas disciplinas que envolviam cálculo. No início estava apenas disponível para uso de uma comunidade estudantil que, com o apoio de empresas e universidades, visava formar alunos na área de tecnologias de informação para o mercado de trabalho. Depois de algumas melhorias, o programa passou a ser disponibilizado para o público em geral e a ser comercializado (Sousa e Araújo (s.d.)). Atualmente a versão 4.0 é a mais recente, é gratuita e está disponível para download na internet no site https://www.microsoft.com/ptpt/ download/details.aspx?id=15702. Do ponto de vista da matemática, o Microsoft Mathematics abrange domínios como a aritmética, o cálculo, a álgebra e a estatística. Por exemplo, permite executar uma diversidade de cálculos: resolver equações, inequações e sistemas de equações, converter unidades de medida, calcular estatísticas básicas (como média e desvio-padrão), efetuar operações com números complexos, calcular derivadas e integrais, realizar operações com matrizes, entre outros, e, em alguns casos, possibilita a consulta da resolução passo a passo. Tem também uma vertente gráfica, podendo representar-se gráficos a duas ou a três dimensões. Esta funcionalidade possibilita, ainda, representar graficamente equações com parâmetros, o que permite visualizar as mudanças em função da variação do valor do parâmetro, que pode ser de grande utilidade, por exemplo, na discussão de sistemas de equações lineares. Em termos de usabilidade, o Microsoft Mathematics tem uma interface simples e facilmente compreensível para o utilizador e a sintaxe para comunicar com o software é quase sempre a que se utiliza em matemática. Torna-se igualmente uma mais-valia quando se pretende produzir documentos em Word com simbologia matemática, pois permite exportar para este aplicativo o trabalho realizado. Conclui-se, assim, que o Microsoft Mathematics é um software educativo que fornece um conjunto de ferramentas que podem constituir um apoio para os estudantes do 3.º ciclo do ensino básico, do ensino secundário e ensino superior, na resolução de tarefas que exigem conhecimentos matemáticos. Pode, ainda, tornar-se um recurso útil para os professores tanto na preparação de aulas como no contexto de sala de aula, na medida em que, para além de facilitar a execução de cálculos, permite explorar alguns conteúdos de uma forma interativa e com maior profundidade.