999 resultados para numeri complessi riforma Gelmini storia della matematica TIMMS indicazioni nazionali


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La presente tesi si propone di trattare il soggetto della screendance, giovane disciplina in continua definizione nata combinando cinema e coreografia, da una prospettiva alternativa, coerente con le ultime trasformazioni sociali. La ricerca, suddivisa in quattro parti, inizia da una ricognizione critica sulla terminologia utilizzata per indicare la screendance nel suo sviluppo storico in Europa e in Cina durante il XX secolo. Adoperando una metodologia basata sugli strumenti della storiografia comparativa, vengono utilizzati come chiavi di lettura i due concetti taoisti di xiang o visione e xing o forma, l’uno riferito al contesto culturale, storico e artistico di una data società umana in un dato periodo storico, e l’altro alludente alle forme artistiche specifiche definite da quei principi. Nel focalizzarsi sul confronto tra i differenti sviluppi della screendance nel corso del XX secolo in Europa e in Cina, nella seconda parte, la tesi affronta una comparazione diacronica delle trasformazioni di xiang delle due aree geografiche, insieme a una comparazione sincronica delle xing, rendendo più evidenti analogie e divergenze di numerosi case studies occidentali e cinesi.  Uno sguardo sul panorama europeo, attento alle differenze nella disseminazione della screendance attraverso i festival in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Italia, costituisce il focus della terza parte. Con la quarta ed ultima parte, la tesi riserva ampio spazio alla disamina della situazione contemporanea della screendance, seguendone la diffusione negli ultimi quattro decenni attraverso i festival e, più recentemente, i nuovi canali social di creazione e condivisione di contenuti video, e prospettando un futuro in cui la realtà della screendance europea e quella cinese potranno confrontare le proprie identità culturali. Il ricco apparato documentario include un elenco dei festival di screendance europei e cinesi, e una serie di interviste inedite ai maggiori operatori e professionisti del settore, italiani ed europei.

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Questo progetto di ricerca si pone l'obiettivo di gettare luce sul commercio delle spezie nel Medioevo, a partire dai preziosi dati contenuti nei registri del dazio di Bologna (1388-1448), nei quali venivano raccolti tutti i prodotti afferenti al cosiddetto "dazio della mercanzia" che transitavano in città per poi proseguire il viaggio verso altre destinazioni. Nel Medioevo, Bologna rappresentava un importante snodo per collegare i principali empori del mare Adriatico (prima fra tutti Venezia) con i mercati della Toscana, come Firenze, Pisa e il suo sbocco marittimo, Porto Pisano, da cui le spezie salpavano in direzione di altre regioni europee, come la Francia, l'Inghilterra, la penisola iberica e le Fiandre. I quantitativi di spezie giornalieri, mensili, annuali e totali costituiscono un dato inedito ed inaspettato: infatti, un prodotto tradizionalmente descritto dalla storiografia come raro, prezioso e difficile da reperire, affluiva in realtà con sorprendente costanza e raggiungendo volumi molto elevati. Considerando che Bologna, nonostante la sua importanza nel panorama italiano, rappresentava pur sempre uno snodo "minore" nella complessa rete di circuiti commerciali su cui erano solite viaggiare le spezie (come le grandi rotte marittime, per esempio), questi quantitativi tanto elevati di spezie ci obbligano a riflettere su quanto detto sino ad ora sul commercio di questi prodotti nel Medioevo e a mettere i dati bolognesi a confronto con quelli provenienti da altre fonti. Affiancando al tradizionale metodo storiografico un approccio "empirico", che tenga conto delle caratteristiche materiali ed organolettiche delle spezie, nonché delle informazioni provenienti da un ampio numero di fonti – non necessariamente legate al periodo preso in esame – è possibile riaprire il dibattito attorno a questo tema, che ha ancora molto da offrire alla ricerca storico alimentare.

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La tesi si propone di ricostruire i tentativi di riforma della legislazione fascista alla base dell’ordinamento dei principali enti espostivi italiani, ossia la Biennale di Venezia, la Quadriennale di Roma e la Triennale di Milano, prendendo in esame l’iter che a partire dall’immediato dopoguerra avrebbe condotto, nel 1973, dopo ben ventotto anni di tentativi, all’approvazione del nuovo statuto della Biennale veneziana, che nelle intenzioni dei riformatori era chiamato a rappresentare il modello per la riorganizzazione non solo delle altre manifestazioni sorelle, ma di tutte le istituzioni pubbliche di cultura. In particolare, nell’ambito di questo processo, si intende qui valorizzare l’apporto del riformismo di marca azionista, incarnato al suo massimo grado dalla figura di Carlo Ludovico Ragghianti, che fu l’artefice e l’ispiratore di ben tre proposte di legge presentate in Parlamento, incentrate su due cardini principali: l’autonomia rispetto all’esecutivo e alla burocrazia, in linea con quanto stabilito dall’articolo 33 della Carta costituzionale, e la piena responsabilità sul piano gestionale-amministrativo affidata ai tecnici del settore, ossia gli artisti e i critici d’arte.

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“Probabilità e gioco d’azzardo” è un progetto didattico interdisciplinare tra Matematica ed Educazione Civica elaborato per le classi seconde del Liceo Scientifico. Si introduce il concetto di probabilità per indagare le criticità legate al gioco d’azzardo e per capire come alcuni preconcetti e intuizioni relativi alla probabilità possano influenzarne l’analisi e la comprensione. Nel lavoro di tesi la dimensione teorica non è solo utile alla comprensione dell’aspetto pratico, ma ha un ruolo a sé stante e multidisciplinare: si ripercorre la storia dell’evoluzione della probabilità dalle origini alle moderne interpretazioni. L’analisi del concetto di equità nel SuperEnalotto e nella Roulette caratterizza la dimensione pratica dell’attività. L’apprendimento concettuale non ha un ruolo centrale: l’obiettivo del progetto è fornire agli studenti strumenti per imparare a ragionare, riflettere, mettere in discussione, argomentare e controbattere.

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Tutti sono a conoscenza degli innumerevoli conflitti che, negli ultimi trent’anni, hanno interessato diverse aree del mondo, coinvolgendo Occidente e Oriente, a partire dalla guerra del Golfo, nel 1991, passando per la guerra nei Balcani, per arrivare alla guerra civile siriana e alla recentissima occupazione russa in Ucraina. Ciò che tende a rimanere nascosto è che, di fianco alle forze militari e para-militari, come personale sanitario e scienziati specializzati in vari ambiti, in ognuna di queste situazioni hanno operato e operano tutt’oggi figure che sono tendenzialmente invisibili, almeno sotto il punto di vista della copertura mediatica: gli interpreti. La loro invisibilità, tuttavia, ha iniziato a venire meno a partire dai primi anni del XXI secolo per merito di alcuni studiosi di linguistica e sociologia che, mossi da svariate motivazioni, hanno analizzato e approfondito diversi aspetti e sfaccettature proprie di questo ruolo. Questo elaborato si propone di analizzare i progressi fatti in campo dello studio del fenomeno dell’interpretazione (e della mediazione) in zone di conflitto. In primo luogo, sarà necessario definire chi effettivamente siano gli interpreti nelle aree di guerra, come e quando nascono e per quale motivo. A questo punto, saranno approfondite le responsabilità proprie di queste figure, ma anche le questioni etiche e morali affrontate sia dai mediatori, sia dalle istituzioni per cui lavorano, comprese quelle dell’identità e della fiducia. In seguito, il focus dell’elaborato si sposterà sui cosiddetti “non-professional interpreters”, sul loro reclutamento nella storia recente e sulle conseguenze causate da tali incarichi negli interpreti stessi. Infine, si prenderanno in analisi alcuni casi studio, in particolare quelli dell’Afghanistan e dell’Iraq, per cercare di capire in che modo e in quale misura gli interpreti in zone di conflitto siano tutelati da un punto di vista giuridico.

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pp. 105-125

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Come Luca progettò la sua storia raccontata nel Vangelo e negli Atti? Come identificare le unità letterarie e teologiche? Uno studio critico di alto livello che affronta le problematiche connesse alla stesura del testo degli Atti degli Apostoli in parallelo al Vangelo di Luca, identifica le ambivalenze e le questioni teologiche della Chiesa primitiva, delinea la fisionomia dei protagonisti (Paolo, Barnaba, Pietro, Timoteo e gli altri) concentrando l'attenzione in modo particolare su At 5,1-11 e At 9; 22 e 26 come passaggi critici e illuminanti.

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Il sottoscritto lavoro e ricerca è risultato di circa tre anni di ricerche presso l’Università autonoma di Barcellona ed altre università europee ed iraniane. Il tema della ricerca s’intitola “La storia del Diritto Privato e l’organizzazione giuridica nell’antica Persia” ed è stato realizzato con la gentile direzione della Professoressa Gete Alonso, cattedratica di Diritto Civile presso l’Università Autonoma di Barcellona. In questo lavoro si è parlato maggiormente di due dinastie principali dell’era antica persiana ovvero la dinastia degli achemenide ed i sassani , ovvero un periodo di tempo tra l’anno 550 a.c. ed il 651 d.c. in qui fu il culmine dell’evoluzione storica e giuridica iraniana nell’antica Persia che va a sostituirsi con l’attacco e l’invasione araba e l’inizio dell’era islamica. Questo studio ci offre una base adatta ad effettuare di un lato uno studio comparato tra un sistema giuridico mediorientale antico con altri sistemi giuridici vigenti al tempo nel mondo come l’antica Babilinia, Grecia e Roma e d'altronde creare una base per confrontare il diritto antico applicato in Persia con il diritto attuale applicato nella Repubblica Islamica dell’Iran e quindi proporre una base di studio comparato nel tempo e tra vari sistemi giuridici antichi. Spero tanto che questa ricerca possa essere utile agli studiosi interessati a conoscere vari sistemi giuridici per poi confrontarli con altri sistemi antichi ed oggigiorno vigenti in modo tale di poter migliorare giorno dopo giorno le idee giuridiche applicabili nei vari sistemi attuali.

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Il lungo e complesso itinerario narrativo di Luigi Meneghello è ben rappresentato dalle migliaia di documenti che compongono il suo Archivio, oggi conservati in varie sedi pubbliche: il Centro Manoscritti dell'Università di Pavia (che ha acquisito la parte più abbondante e notevole delle carte, a partire dal 1983 e grazie soprattutto al lungimirante intervento di Maria Corti) la Biblioteca dell'Università di Reading, il Museo Casabianca di Malo e l''Archivio di Scrittori Vicentini della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza. Il presente lavoro è il frutto di una ricerca che si è sviluppata in due direzioni strettamente interrelate: la prima parte, di taglio storico-archivistico, riguarda il Fondo Meneghello di Pavia, anche in relazione all'intero Archivio dello scrittore; la seconda parte analizza filologicamente e criticamente il caso specifico della genesi di una delle sue opere maggiori, Pomo pero (Rizzoli, 1974), rivelando e indagando una fitta rete di connessioni nell'intera produzione narrativa. Più nel dettaglio, nel primo capitolo del lavoro (L'ARCHIVIO DI LUIGI MENEGHELLO, pp. 1-92) ho cercato di delineare il quadro complessivo dell'Archivio, segnalando i dati dei diversi Fondi sparsi, per poi concentrare l'attenzione sul Fondo pavese. Di questo Fondo ho tracciato brevemente la storia, fornendo un quadro molto dettagliato delle carte conservate, carte che ho provveduto integralmente a catalogare. La schedatura si trova alle pp. 29-92 ed è divisa in due sezioni: la prima è relativa ai materiali donati dall'autore in vita (a partire dal 1983/4 sino al 2001, per un totale di 36000 documenti); la seconda comprende i conferimenti postumi. Alle pp. 29-33 della tesi ho chiarito preliminarmente i criteri di ordinamento adottati, in gran parte dedotti dalle indicazioni e dalle linee guida del progetto Archivi Letterari Lombardi del Novecento, a cura di Simone Albonico. Il secondo capitolo (UN CASO DI FILOLOGIA D'ARCHIVIO: LA GENESI DI POMO PERO, pp. 93-166) si occupa dell'elaborata vicenda compositiva di Pomo pero, terzo romanzo, e altro scomparto dell'epopea maladense che segue al primo Libera nos a malo, ma anche se ne differenzia per tratti e tonalità non irrilevanti (in Appendice si fornisce trascrizione del testo con indici topografici e cronologici). Ho cercato di seguirne per tappe la formazione alla luce delle numerose testimonianze dell'Archivio, partendo dai primi materiali ancora rintracciabili tra le carte di Libera nos a malo, e individuando progressivamente il filo intricato dell'elaborazione testuale, tra frequenti intrecci con le altre opere e continui ripensamenti e rielaborazioni, dunque in un percorso complessivo che dal 1962 (dunque a monte dell'uscita di Libera nos a malo) va sino al 1974, a ridosso della stampa. Sono emersi anche progetti totalmente sconosciuti di testi inediti, collocabili nel fertile periodo della metà degli anni Sessanta, che conducono alla suggestiva ipotesi di un "cantiere unico" di elaborazione testuale (cfr. cap. III «CONCLUSIONI PROVVISORIE». TRA I PROGETTI DEGLI ANNI SESSANTA; L'ESPEDIENTE DEL FRATELLO; L'IPOTESI DEL CANTIERE UNICO, pp. 167-186).