990 resultados para riduzione simplettica, Calogero-Moser
Resumo:
L’elaborato ha ad oggetto l’analisi delle possibili forme di collaborazione tra vettori nei diversi settori del trasporto, con particolare attenzione all’ambito aeronautico e marittimo. Negli ultimi decenni l’incremento del livello di concorrenza tra i competitors su scala planetaria, a seguito della progressiva liberalizzazione e globalizzazione dei trasporti, ha indotto i vettori ad adottare nuove strategie commerciali dirette alla condivisione del rischio, alla riduzione dei costi di esercizio, all’espansione delle proprie reti e alla flessibilizzazione dei processi interni di adeguamento alle continue espansioni e contrazioni del mercato. Hanno, così, fatto la loro comparsa modelli contrattuali nuovi che differiscono per struttura, livello di integrazione delle parti coinvolte e grado di complessità dell’accordo. Nell’elaborato, pertanto, sono state attentamente esaminate le molteplici figure giuridiche generate dalla prassi commerciale, come gli accordi di codesharing, interlining, wet lease, dry lease, franchising, le grandi alleanze strategiche presenti sia in ambito aeronautico, sia in quello marittimo, le Conferences e i Consorzi. La ricerca, in particolare, è focalizzata, alla luce della prassi contrattuale e della normativa nazionale, comunitaria ed internazionale vigente, sui problemi di qualificazione giuridica di tali accordi e, conseguentemente, sulla disciplina di volta in volta ad essi applicabile, sul loro oggetto, regolamento contrattuale e contenuto. Si è proceduto poi ad uno studio comparativo-contrastivo delle differenze tra le varie forme di partnership e all’approfondimento delle questioni concernenti la tutela degli utenti dei servizi di trasporto, siano essi passeggeri o mittenti. Sono affrontati, infatti, con accurata indagine i profili di responsabilità dei vettori coinvolti, sulla base del quadro normativo di riferimento. Nel corso della ricerca si è data anche particolare attenzione all’analisi della compatibilità degli accordi tra vettori con la disciplina comunitaria della concorrenza, registrando una tendenza della Comunità a piegare l’interpretazione delle norme in materia alle superiori esigenze dell’economia, in considerazione delle peculiarità del mercato del trasporto.
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This thesis aims at explaining the intersecting dynamics of structural changes in agriculture and urbanisation, which involves changes in urban-rural relationships. The research questions are: how and why do landowners differ in their attitudes to land and farming? what are the main implications on rural landscapes and the policy implications? Relationships between urbanisation and agriculture are firstly analysed through a critical literature review; the analysis focuses on the 'landowner' as the key actor who actively takes decisions on the rural landscape From the empirical study – which is based on a Tuscan area (Valdera), and addressed through qualitative methods – a great diversity of landowners' attitudes to land and farming emerge, thus contributing to the agricultural restructuring, such as: 1) the emphasis on recreational function of the countryside for urban people 2) contracting out of land management, especially when landowners live or/and have 'urban' employment 3) the active role of hobby farmers in land management 4) agricultural operations simplification and lack of investments (especially in case of property rights expropriation). The thesis is framed in three papers, with the same methods and research questions. It seems evident that rural landscapes is subjected to functional changes (e.g. residential) and structural changes (landscape polarisation), which requires the need 1) to consider that rural landscape management is increasingly less connected to agricultural production as economic activity; 2) to give a coherence to the range of policy interventions (physical planning, landscape, sectoral).
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Le cellule staminali/stromali mesenchimali umane (hMSC) sono attualmente applicate in diversi studi clinici e la loro efficacia è spesso legata alla loro capacità di raggiungere il sito d’interesse. Poco si sa sul loro comportamento migratorio e i meccanismi che ne sono alla base. Perciò, questo studio è stato progettato per comprendere il comportamento migratorio delle hMSC e il coinvolgimento di Akt, nota anche come proteina chinasi B. L’espressione e la fosforilazione della proteinchinasi Akt è stata studiata mediante Western blotting. Oltre al time-lapse in vivo imaging, il movimento cellulare è stato monitorato sia mediante saggi tridimensionali, con l’uso di transwell, che mediante saggi bidimensionali, attraverso la tecnica del wound healing. Le prove effettuate hanno rivelato che le hMSC hanno una buona capacità migratoria. E’ stato osservato che la proteinchinasi B/Akt ha elevati livelli basali di fosforilazione in queste cellule. Inoltre, la caratterizzazione delle principali proteine di regolazione ed effettrici, a monte e a valle di Akt, ha permesso di concludere che la cascata di reazioni della via di segnale anche nelle hMSC segue un andamento canonico. Specifici inibitori farmacologici sono stati utilizzati per determinare il potenziale meccanismo coinvolto nella migrazione cellulare e nell'invasione. L’inibizione della via PI3K/Akt determina una significativa riduzione della migrazione. L’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le singole isoforme di Akt ha permesso di discriminare il ruolo diverso di Akt1 e Akt2 nella migrazione delle hMSC. E’ stato infatti dimostrato che l'inattivazione di Akt2, ma non quella di Akt1, diminuisce significativamente la migrazione cellulare. Nel complesso i risultati ottenuti indicano che l'attivazione di Akt2 svolge un ruolo critico nella migrazione della hMSC; ulteriori studi sono necessari per approfondire la comprensione del fenomeno. La dimostrazione che l’isoforma Akt2 è necessaria per la chemiotassi diretta delle hMSC, rende questa chinasi un potenziale bersaglio farmacologico per modulare la loro migrazione.
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È stata studiata la reattività di sistemi catalitici a base di ossidi misti di V e Fe per la reazione di metilazione del fenolo in fase gas con metanolo. Questi sistemi promuovono efficacemente la deidrogenazione del metanolo a formaldeide, ciò conferisce loro una grande attività e non è stata osservata alcuna disattivazione nei tempi di reazione tenuti. I principali prodotti ottenuti sono 2,6-xilenolo e o-cresolo. Il catalizzatore, inizialmente costituito da FeVO4 subisce, durante le prime fasi di reazione, una progressiva riduzione, fino all’ottenimento di una fase spinello stabile costituita da coulsonite FeV2O4 e magnetite.
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Over the past years fruit and vegetable industry has become interested in the application of both osmotic dehydration and vacuum impregnation as mild technologies because of their low temperature and energy requirements. Osmotic dehydration is a partial dewatering process by immersion of cellular tissue in hypertonic solution. The diffusion of water from the vegetable tissue to the solution is usually accompanied by the simultaneous solutes counter-diffusion into the tissue. Vacuum impregnation is a unit operation in which porous products are immersed in a solution and subjected to a two-steps pressure change. The first step (vacuum increase) consists of the reduction of the pressure in a solid-liquid system and the gas in the product pores is expanded, partially flowing out. When the atmospheric pressure is restored (second step), the residual gas in the pores compresses and the external liquid flows into the pores. This unit operation allows introducing specific solutes in the tissue, e.g. antioxidants, pH regulators, preservatives, cryoprotectancts. Fruit and vegetable interact dynamically with the environment and the present study attempts to enhance our understanding on the structural, physico-chemical and metabolic changes of plant tissues upon the application of technological processes (osmotic dehydration and vacuum impregnation), by following a multianalytical approach. Macro (low-frequency nuclear magnetic resonance), micro (light microscopy) and ultrastructural (transmission electron microscopy) measurements combined with textural and differential scanning calorimetry analysis allowed evaluating the effects of individual osmotic dehydration or vacuum impregnation processes on (i) the interaction between air and liquid in real plant tissues, (ii) the plant tissue water state and (iii) the cell compartments. Isothermal calorimetry, respiration and photosynthesis determinations led to investigate the metabolic changes upon the application of osmotic dehydration or vacuum impregnation. The proposed multianalytical approach should enable both better designs of processing technologies and estimations of their effects on tissue.
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Il sarcoma di Ewing (ES) è un tumore maligno pediatrico dell’apparato scheletrico; è associato a una traslocazione specifica codificante la proteina di fusione EWS-FLI1 e all’alta espressione di CD99, una glicoproteina di membrana fisiologicamente coinvolta in diversi processi biologici. EWS-FLI1 e CD99, sono riportati avere ruoli divergenti nella modulazione della malignità e del differenziamento di ES. CD99 inoltre è riportato modulare il pathway di MAPK, il quale interagendo con molteplici fattori di trascrizione partecipa a processi di proliferazione e differenziamento. In questo studio abbiamo investigato in due linee cellulari di ES silenziate per CD99 (TC-71shCD99 e IOR/CARshCD99) l’attività basale di diversi fattori trascrizionali quali: NF-kBp65, AP1, Elk-1, E2F e CREB. L’unico fattore trascrizionale statisticamente significativo è risultato essere NF-kBp65 e abbiamo valutato il suo ruolo nel differenziamento neurale di cellule di ES e la relazione con EWS-FLI1 e CD99. L’attività trascrizionale di NF-kB è stata valutata attraverso gene reporter assay in linee cellulari di ES a diversa espressione di CD99, EWS-FLI1 e NF-kB stesso. Il differenziamento neurale è stato valutato come espressione di βIII-Tubulin in immunofluorescenza. Il silenziamento di CD99 induce una down-modulazione dell’attività trascrizionale di NF-kB, mentre il knockdown di EWS-FLI1 ne induce un’aumento. Inoltre, il silenziamento di EWS-FLI1 non è in grado di contrastare la riduzione dell’attività di NF-kB osservata dopo silenziamento di CD99, suggerendo un ruolo dominante del CD99 nel signaling di NF-kB. Cellule deprivate di CD99 ma non di EWS-FLI1, mostrano un fenotipo differenziato in senso neurale, fenotipo che viene perso quando le cellule sono indotte a sovraesprimere NF-kB. Inoltre, in cellule CD99 positive, il silenziamento di NF-kB induce un leggero differenziamento neurale. In conclusione, questi dati hanno evidenziato il ruolo di NF-kB nel differenziamento di cellule di ES e che potrebbe essere un potenziale target nel ridurre la progressione di questo tumore.
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Obbiettivo. Analizzare la funzionalità polmonare e diaframmatica dopo interventi di plicatura del diaframma con rete di rinforzo peri-costale eseguiti per relaxatio e riparazione di ernia transdiaframmatica cronica mediante riduzione e sutura diretta. Metodi. Dal 1996 al 2010, 10 pazienti con relaxatio unilaterale del diaframma e 6 pazienti con ernia transdiaframmatica cronica misconosciuta sono stati sottoposti a chirurgia elettiva. Gli accertamenti preoperatori e al follow-up di 12 mesi includevano prove di funzionalità respiratoria, misura della pressione massimale inspiratoria alla bocca in clino e ortostatismo, emogasanlisi, TC del torace e dispnea score. Risultati. I pazienti dei due gruppi non differivano in termini di funzionalità respiratoria preoperatoria nè di complicanze postoperatorie; al follow-up a 12 mesi il gruppo Eventrazione mostrava un significativo aumento del FEV1% (+18,2 – p<0.001), FVC% (+12,8 – p<0.001), DLCO% (+6,84 – p=0,04) e pO2 (+9,8 mmHg – p<0.001). Al contrario nrl gruppo Ernia solo il miglioramento della pO2 era significativo (+8.3 – p=0.04). Sebbene la massima pressione inspiratoria (PImax) fosse aumentata in entrambi i gruppi al follow-up, i pazienti operati per ernia mostravano un miglioramento limitato con persistente caduta significativa della PImax dall’ortostatismo al clinostatismo (p<0.001). Il Transitional dyspnoea score è stato concordante con tali miglioramenti pur senza differenze significative tra i due gruppi. La TC del torace ha evidenziato una sopraelevazione dell’emidiaframma suturato, senza recidiva di ernia, mentre i pazienti sottoposti a plicatura hanno mantenuto l’ipercorrezione. Conclusioni. L’utilizzo di un rinforzo protesico è sicuro e sembra assicurare risultati funzionali migliori a distanza in termini di flussi respiratori e di movimento paradosso del diaframma (valutato mediante PImax). Lacerazioni estese del diaframma coinvolgenti le branche principali di suddivisione del nervo frenico si associano verosimilmente a una relaxatio che può quindi ridurre il guadagno funzionale a lungo termine se non adeguatamente trattata mediante l’utilizzo di un rinforzo protesico.
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Numerosi incidenti verificatisi negli ultimi dieci anni in campo chimico e petrolchimico sono dovuti all’innesco di sostanze infiammabili rilasciate accidentalmente: per questo motivo gli scenari incidentali legati ad incendi esterni rivestono oggigiorno un interesse crescente, in particolar modo nell’industria di processo, in quanto possono essere causa di ingenti danni sia ai lavoratori ed alla popolazione, sia alle strutture. Gli incendi, come mostrato da alcuni studi, sono uno dei più frequenti scenari incidentali nell’industria di processo, secondi solo alla perdita di contenimento di sostanze pericolose. Questi eventi primari possono, a loro volta, determinare eventi secondari, con conseguenze catastrofiche dovute alla propagazione delle fiamme ad apparecchiature e tubazioni non direttamente coinvolte nell’incidente primario; tale fenomeno prende il nome di effetto domino. La necessità di ridurre le probabilità di effetto domino rende la mitigazione delle conseguenze un aspetto fondamentale nella progettazione dell’impianto. A questo scopo si impiegano i materiali per la protezione passiva da fuoco (Passive Fire Protection o PFP); essi sono sistemi isolanti impiegati per proteggere efficacemente apparecchiature e tubazioni industriali da scenari di incendio esterno. L’applicazione dei materiali per PFP limita l’incremento di temperatura degli elementi protetti; questo scopo viene raggiunto tramite l’impiego di differenti tipologie di prodotti e materiali. Tuttavia l’applicazione dei suddetti materiali fireproofing non può prescindere da una caratterizzazione delle proprietà termiche, in particolar modo della conducibilità termica, in condizioni che simulino l’esposizione a fuoco. Nel presente elaborato di tesi si è scelto di analizzare tre materiali coibenti, tutti appartenenti, pur con diversità di composizione e struttura, alla classe dei materiali inorganici fibrosi: Fibercon Silica Needled Blanket 1200, Pyrogel®XT, Rockwool Marine Firebatt 100. I tre materiali sono costituiti da una fase solida inorganica, differente per ciascuno di essi e da una fase gassosa, preponderante come frazione volumetrica. I materiali inorganici fibrosi rivestono una notevole importanza rispetto ad altri materiali fireproofing in quanto possono resistere a temperature estremamente elevate, talvolta superiori a 1000 °C, senza particolari modifiche chimico-fisiche. Questo vantaggio, unito alla versatilità ed alla semplicità di applicazione, li rende leader a livello europeo nei materiali isolanti, con una fetta di mercato pari circa al 60%. Nonostante l’impiego dei suddetti materiali sia ormai una realtà consolidata nell’industria di processo, allo stato attuale sono disponibili pochi studi relativi alle loro proprietà termiche, in particolare in condizioni di fuoco. L’analisi sperimentale svolta ha consentito di identificare e modellare il comportamento termico di tali materiali in caso di esposizione a fuoco, impiegando nei test, a pressione atmosferica, un campo di temperatura compreso tra 20°C e 700°C, di interesse per applicazioni fireproofing. Per lo studio delle caratteristiche e la valutazione delle proprietà termiche dei tre materiali è stata impiegata principalmente la tecnica Transient Plane Source (TPS), che ha consentito la determinazione non solo della conducibilità termica, ma anche della diffusività termica e della capacità termica volumetrica, seppure con un grado di accuratezza inferiore. I test sono stati svolti su scala di laboratorio, creando un set-up sperimentale che integrasse opportunamente lo strumento Hot Disk Thermal Constants Analyzer TPS 1500 con una fornace a camera ed un sistema di acquisizione dati. Sono state realizzate alcune prove preliminari a temperatura ambiente sui tre materiali in esame, per individuare i parametri operativi (dimensione sensori, tempi di acquisizione, etc.) maggiormente idonei alla misura della conducibilità termica. Le informazioni acquisite sono state utilizzate per lo sviluppo di adeguati protocolli sperimentali e per effettuare prove ad alta temperatura. Ulteriori significative informazioni circa la morfologia, la porosità e la densità dei tre materiali sono state ottenute attraverso stereo-microscopia e picnometria a liquido. La porosità, o grado di vuoto, assume nei tre materiali un ruolo fondamentale, in quanto presenta valori compresi tra 85% e 95%, mentre la frazione solida ne costituisce la restante parte. Inoltre i risultati sperimentali hanno consentito di valutare, con prove a temperatura ambiente, l’isotropia rispetto alla trasmissione del calore per la classe di materiali coibenti analizzati, l’effetto della temperatura e della variazione del grado di vuoto (nel caso di materiali che durante l’applicazione possano essere soggetti a fenomeni di “schiacciamento”, ovvero riduzione del grado di vuoto) sulla conducibilità termica effettiva dei tre materiali analizzati. Analoghi risultati, seppure con grado di accuratezza lievemente inferiore, sono stati ottenuti per la diffusività termica e la capacità termica volumetrica. Poiché è nota la densità apparente di ciascun materiale si è scelto di calcolarne anche il calore specifico in funzione della temperatura, di cui si è proposto una correlazione empirica. I risultati sperimentali, concordi per i tre materiali in esame, hanno mostrato un incremento della conducibilità termica con la temperatura, da valori largamente inferiori a 0,1 W/(m∙K) a temperatura ambiente, fino a 0,3÷0,4 W/(m∙K) a 700°C. La sostanziale similitudine delle proprietà termiche tra i tre materiali, appartenenti alla medesima categoria di materiali isolanti, è stata riscontrata anche per la diffusività termica, la capacità termica volumetrica ed il calore specifico. Queste considerazioni hanno giustificato l’applicazione a tutti i tre materiali in esame dei medesimi modelli per descrivere la conducibilità termica effettiva, ritenuta, tra le proprietà fisiche determinate sperimentalmente, la più significativa nel caso di esposizione a fuoco. Lo sviluppo di un modello per la conducibilità termica effettiva si è reso necessario in quanto i risultati sperimentali ottenuti tramite la tecnica Transient Plane Source non forniscono alcuna informazione sui contributi offerti da ciascun meccanismo di scambio termico al termine complessivo e, pertanto, non consentono una facile generalizzazione della proprietà in funzione delle condizioni di impiego del materiale. La conducibilità termica dei materiali coibenti fibrosi e in generale dei materiali bi-fasici tiene infatti conto in un unico valore di vari contributi dipendenti dai diversi meccanismi di scambio termico presenti: conduzione nella fase gassosa e nel solido, irraggiamento nelle superfici delle cavità del solido e, talvolta, convezione; inoltre essa dipende fortemente dalla temperatura e dalla porosità. Pertanto, a partire dal confronto con i risultati sperimentali, tra cui densità e grado di vuoto, l’obiettivo centrale della seconda fase del progetto è stata la scelta, tra i numerosi modelli a disposizione in letteratura per materiali bi-fasici, di cui si è presentata una rassegna, dei più adatti a descrivere la conducibilità termica effettiva nei materiali in esame e nell’intervallo di temperatura di interesse, fornendo al contempo un significato fisico ai contributi apportati al termine complessivo. Inizialmente la scelta è ricaduta su cinque modelli, chiamati comunemente “modelli strutturali di base” (Serie, Parallelo, Maxwell-Eucken 1, Maxwell-Eucken 2, Effective Medium Theory) [1] per la loro semplicità e versatilità di applicazione. Tali modelli, puramente teorici, hanno mostrato al raffronto con i risultati sperimentali numerosi limiti, in particolar modo nella previsione del termine di irraggiamento, ovvero per temperature superiori a 400°C. Pertanto si è deciso di adottare un approccio semi-empirico: è stato applicato il modello di Krischer [2], ovvero una media pesata su un parametro empirico (f, da determinare) dei modelli Serie e Parallelo, precedentemente applicati. Anch’esso si è rivelato non idoneo alla descrizione dei materiali isolanti fibrosi in esame, per ragioni analoghe. Cercando di impiegare modelli caratterizzati da forte fondamento fisico e grado di complessità limitato, la scelta è caduta sui due recenti modelli, proposti rispettivamente da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos [3] e Daryabeigi, Cunnington, Knutson [4] [5]. Entrambi presentavano il vantaggio di essere stati utilizzati con successo per materiali isolanti fibrosi. Inizialmente i due modelli sono stati applicati con i valori dei parametri e le correlazioni proposte dagli Autori. Visti gli incoraggianti risultati, a questo primo approccio è seguita l’ottimizzazione dei parametri e l’applicazione di correlazioni maggiormente idonee ai materiali in esame, che ha mostrato l’efficacia dei modelli proposti da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos e Daryabeigi, Cunnington, Knutson per i tre materiali analizzati. Pertanto l’obiettivo finale del lavoro è stato raggiunto con successo in quanto sono stati applicati modelli di conducibilità termica con forte fondamento fisico e grado di complessità limitato che, con buon accordo ai risultati sperimentali ottenuti, consentono di ricavare equazioni predittive per la stima del comportamento, durante l’esposizione a fuoco, dei materiali fireproofing in esame. Bologna, Luglio 2013 Riferimenti bibliografici: [1] Wang J., Carson J.K., North M.F., Cleland D.J., A new approach to modelling the effective thermal conductivity of heterogeneous materials. International Journal of Heat and Mass Transfer 49 (2006) 3075-3083. [2] Krischer O., Die wissenschaftlichen Grundlagen der Trocknungstechnik (The Scientific Fundamentals of Drying Technology), Springer-Verlag, Berlino, 1963. [3] Karamanos A., Papadopoulos A., Anastasellos D., Heat Transfer phenomena in fibrous insulating materials. (2004) Geolan.gr http://www.geolan.gr/sappek/docs/publications/article_6.pdf Ultimo accesso: 1 Luglio 2013. [4] Daryabeigi K., Cunnington G. R., and Knutson J. R., Combined Heat Transfer in High-Porosity High-Temperature Fibrous Insulation: Theory and Experimental Validation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer 25 (2011) 536-546. [5] Daryabeigi K., Cunnington G.R., Knutson J.R., Heat Transfer Modeling for Rigid High-Temperature Fibrous Insulation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer. AIAA Early Edition/1 (2012).
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Il continuo sviluppo dei sistemi di iniezione, rispondente ad aumento di performance unito alla riduzione delle emissioni inquinanti, evidenzia sempre più la necessità di studiare i fenomeni cavitanti che si instaurano all’interno degli iniettori. La cavitazione, infatti, se particolarmente intensa e prolungata nel tempo porta all’erosione del materiale con la conseguente rottura dell’organo elettromeccanico. Attraverso un confronto tra le diverse tipologie di fori iniettore, si è messa a punto una metodologia di analisi per prevedere quali siano le zone dell’iniettore a maggior rischio di danneggiamento per erosione da cavitazione e quale sia l’influenza della geometria su queste. Lo studio è stato effettuato con il software commerciale FLUENT, codice di simulazione fluidodinamica di ANSYS.
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Solo il 60% dei candidati alla resincronizzazione cardiaca risponde in termini di rimodellamento ventricolare inverso che è il più forte predittore di riduzione della mortalità e delle ospedalizzazioni. Due cause possibili della mancata risposta sono la programmazione del dispositivo e i limiti dell’ approccio transvenoso. Nel corso degli anni di dottorato ho effettuato tre studi per ridurre il numero di non responder. Il primo studio valuta il ritardo interventricolare. Al fine di ottimizzare le risorse e fornire un reale beneficio per il paziente ho ricercato la presenza di predittori di ritardo interventricolare diverso dal simultaneo, impostato nella programmazione di base. L'unico predittore è risultato essere l’ intervallo QRS> 160 ms, quindi ho proposto una flow chart per ottimizzare solo i pazienti che avranno nella programmazione ottimale un intervallo interventricolare non simultaneo. Il secondo lavoro valuta la fissazione attiva del ventricolo sinistro con stent. I dislocamenti, la soglia alta di stimolazione del miocardio e la stimolazione del nervo frenico sono tre problematiche che limitano la stimolazione biventricolare. Abbiamo analizzato più di 200 angiografie per vedere le condizioni anatomiche predisponenti la dislocazione del catetere. Prospetticamente abbiamo deciso di utilizzare uno stent per fissare attivamente il catetere ventricolare sinistro in tutti i pazienti che presentavano le caratteristiche anatomiche favorenti la dislocazione. Non ci sono più state dislocazioni, c’è stata una migliore risposta in termini di rimodellamento ventricolare inverso e non ci sono state modifiche dei parametri elettrici del catetere. Il terzo lavoro ha valutato sicurezza ed efficacia della stimolazione endoventricolare sinistra. Abbiamo impiantato 26 pazienti giudicati non responder alla terapia di resincronizzazione cardiaca. La procedura è risultata sicura, il rischio di complicanze è simile alla stimolazione biventricolare classica, ed efficace nell’arrestare la disfunzione ventricolare sinistra e / o migliorare gli effetti clinici in un follow-up medio.
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L’obiettivo del presente progetto di ricerca era determinare se l’utilizzo non clinico del simulatore d’alba (un dispositivo che emette luce in graduale aumento prima del risveglio), basato su specifiche conoscenze cronobiologiche, potesse ridurre alcune delle conseguenze del social jetlag, in studenti di scuola secondaria di secondo grado. A tal fine, sono stati valutati gli effetti del simulatore d’alba su tono dell’umore (valutato soggettivamente tramite la Global and Vigor Affect Scale-GVA), livelli di attivazione (valutati soggettivamente tramite la GVA), qualità/quantità di sonno (valutate oggettivamente e soggettivamente tramite attigrafia e Mini Sleep Questionnaire-MSQ), architettura del sonno (valutata oggettivamente tramite Zeo®) ed efficienza dei tre network attentivi (alerting, orienting ed executive), valutata oggettivamente tramite l’Attention Network Test (ANT). In totale, hanno preso parte alla ricerca 56 adolescenti (24 femmine e 32 maschi), frequentanti due istituti di scuola secondaria di secondo grado nella città di Cesena, la cui età media era di 17.68 anni (range d’età 15-20 anni). Ad ogni studente è stata richiesta una partecipazione di 5 settimane consecutive ed il disegno di ricerca prevedeva 3 condizioni sperimentali: baseline, simulatore d’alba e controllo. All’MSQ, in seguito all’utilizzo del simulatore d’alba, sono state osservate una minore percezione di sonnolenza diurna, una frequenza inferiore di risvegli notturni ed una riduzione del numero di partecipanti che presentavano una cattiva qualità della veglia. All’ANT, è stato documentato un significativo miglioramento dell’efficienza del network attentivo dell’alerting, successivo all’impiego del simulatore d’alba, dovuto ad una maggiore reattività dei partecipanti in seguito alla comparsa del double cue, che anticipava la presentazione del target (freccia centrale di cui i partecipanti dovevano giudicare la direzione). Tali risultati convergono nell’evidenziare la capacità del simulatore d’alba di esercitare un effetto attivante/stimolante, mostrando dunque come esso possa essere considerato uno strumento potenzialmente utilizzabile quale contromisura al social jetlag in adolescenza.
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Questo lavoro di tesi fa parte di un piano monitoraggio sulla Pialassa dei Piomboni coordinato dal Centro Interdipartimentale di Ricerca per le Scienze Ambientali (CIRSA, Università di Bologna) il cui scopo è stato quello di valutare la presenza di batteri solfato-riduttori (sulphatereducing bacteria SRB) in questa laguna costiera sia nell'acqua che nei sedimenti. Lo sviluppo di odori sgradevoli che avviene periodicamente nella Pialassa dei Piomboni ha fatto sorgere la necessità di verificare l'eventuale presenza di questi batteri. La Pialassa dei Piomboni è una laguna costiera a nord della citta di Ravenna. Si tratta di un'area in evidente stato di degrado a causa di pesanti interventi di antropizzazione e industrializzazione che stanno determinando forti problemi di inquinamento. La qualità dell’acqua di tale bacino risente infatti dei numerosi scarichi inquinati provenienti dal polo industriale e portuale, e di ingenti carichi trofici di origine agricola che entrano in laguna soprattutto attraverso l'idrovora di San Vitale. Questi input di nutrienti stimolano la proliferazione fitoplanctonica, la quale aumenta l'input di materiale organico sul fondo con conseguente riduzione della disponibilita di ossigeno e cambiamento nella struttura dei popolamenti bentonici. L'ipossia che ne consegue determina la diffusione di batteri in grado di degradare anaerobicamente la materia organica, quali ad esempio i solfato-riduttori. Questi batteri utilizzano il solfato come accettore finale di elettroni, che viene ridotto a solfuro di idrogeno. La determinare della presenza di batteri solfato-riduttori nei campioni di acqua e sedimento è stata svolta mediante utilizzo di una metodologia molecolare basata sull’estrazione dell’eDNA (environmental DNA) dalle matrici ambientali e la successiva amplificazione (PCR) di un tratto genico codificante l’enzima solfito reduttasi (dissimilatory sulfite reductase dsrAB), specifico di questi batteri.
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Introduzione alla crittografia e presentazione delle primitive matematiche attualmente utilizzate. Presentazione dei reticoli geometrici, riduzione reticolare e algoritmo LLL. Descrizione dei critto-sistemi Ajtai-Dwork e NTRU. In appendice introduzione a complessità computazionale, problemi P e NP.
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La nascita pretermine determina un’alterazione dei normali processi di maturazione dei vari organi ed apparati che durante la gravidanza fisiologica si completano durante le 38-40 settimane di vita intrauterina. Queste alterazioni sono alla base della mortalità e morbilità perinatale che condiziona la prognosi a breve termine di questa popolazione, ma possono determinare anche sequele a medio e lungo termine. E’ stato ampiamente documentato che la nefrogenesi si completa a 36 settimane di vita intrauterina e pertanto la nascita pretermine altera il decorso fisiologico di tale processo; a questa condizione di immaturità si sovrappongono i fattori patogeni che possono determinare danno renale acuto in epoca neonatale, a cui i pretermine sono in larga misura esposti. Queste condizioni conducono ad un rischio di alterazioni della funzione renale di entità variabile in età infantile ed adulta. Nel presente studio è stata studiata la funzione renale in 29 bambini di 2-4 anni di età, precedentemente sottoposti a valutazione della funzione renale alla nascita durante il ricovero in Terapia Intensiva Neonatale. I dati raccolti hanno mostrato la presenza di alterazioni maggiori (sindrome nefrosica, riduzione di eGFR) in un ridotto numero di soggetti e alterazioni minori ed isolate (proteinuria di lieve entità, riduzione del riassorbimento tubulare del fosforo, pressione arteriosa tra il 90° e il 99° percentile per sesso ed altezza). L’età di 2-4 anni, alla luce dei risultati ottenuti, può rappresentare un momento utile per effettuare una valutazione di screening di funzione renale in una popolazione a rischio come i pretermine, con lo scopo di individuare i soggetti che richiedano una presa in carico specialistica ed un follow-up a lungo termine.
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Nel 2011 si sono registrati in Italia 205.638 incidenti stradali con lesioni a persone. Il numero dei morti (entro il 30° giorno) è stato di 3.860, quello dei feriti ammonta a 292.019.Rispetto all’obiettivo fissato dall’Unione Europea nel Libro Bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, benché sia vicina a questo traguardo, l’Italia non ha ancora raggiunto tale livello (Figura I.1). Sulle strade urbane si sono verificati 157.023 incidenti, con 213.001 feriti e 1.744 morti. Sulle Autostrade gli incidenti sono stati 11.007, con 18.515 feriti e 338 decessi. Sulle altre strade extraurbane, ad esclusione delle Autostrade, si sono verificati 37.608 incidenti, con 65.503 feriti e 1.778 morti. L’indice di mortalità mostra che gli incidenti più gravi avvengono sulle strade extraurbane (escluse le autostrade), dove si registrano 4,7 decessi ogni 100 incidenti. Gli incidenti sulle strade urbane sono meno gravi, con 1,1 morti ogni 100 incidenti. Sulle Autostrade tale indice è pari a 3,1. L’indice di mortalità si mantiene superiore alla media giornaliera (1,9 decessi ogni 100 incidenti) per tutto l’arco di tempo che va dalle 21 alle 7 del mattino, raggiungendo il valore massimo intorno alle 5 del mattino (6,0 decessi ogni 100 incidenti). La domenica è il giorno nel quale si registra il livello più elevato dell’indice di mortalità (2,8 morti per 100 incidenti). In 7 casi su 10 (69,7%) le vittime sono i conducenti di veicoli, nel 15,3% i passeggeri trasportati e nel 15,1% i pedoni. La categoria di veicolo più coinvolta in incidente stradale è quella delle autovetture(66,1%), seguono motocicli (14,0%), i ciclomotori (5,4%) e le biciclette (4,5%).