998 resultados para adattamento ai cambiamenti climatici, fiume Reno, Bologna
Resumo:
Nelle epatopatie croniche l’estensione della fibrosi è il principale determinante della prognosi. Sebbene la biopsia epatica rimanga il gold standard ai fini di una stadiazione, il crescente interesse nei confronti di metodi diagnostici non invasivi di fibrosi ha portato allo sviluppo di diversi modelli predittivi basati su parametri clinicolaboratoristici quali Fibrotest, indice APRI, indice Forns. Gli scopi dello studio sono: di stabilire l’accuratezza di un’analisi con rete neurale artificiale (ANN), tecnica di cui è stata dimostrata l’efficacia predittiva in situazioni biologiche complesse nell’identificare lo stadio di fibrosi, di confrontarne i risultati con quelli ottenuti dal calcolo degli indici APRI e Forns sullo stesso gruppo di pazienti e infine di validarne l’efficacia diagnostica in gruppi esterni.
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Una breve introduzione sulla storia del mosaico: dalle origine alle sue evoluzione tipologiche e tecnologiche nel tempo, di come si organizzavano le antiche botteghe del mosaico e le suddivisione dei compiti tra il pictor imaginarius, pictor parietarius e il musivarius (la gerarchia) all’interno di essi; la tecniche esecutiva per la messa in opera dei mosaici pavimentali romani. Visto che i mosaici si trovano a Suasa, quindi è stata riassunta la storia della città romana di Suasa con le sua varie fase edilizie, con maggior approfondimenti per gli edifici che presentano pavimentazione a mosaico: in primo luogo è la domus dei Coiedii contenente più di diciotto pavimenti in opus tessellatum. Il secondo è quello del così detto Edificio 4 (ancora inedito e di incerta natura e destinazione) portato in luce solo parzialmente con due settore a mosaico. Successivamente è stato effettuato in maniera dettagliata lo studio dello stato di conservazione dei vani musivi che sono state oggetto in senso stretto dei varie interventi conservativi, sia nella domus dei Coiedii (vano AU, oecus G e vano BB) che in Edificio 4 (vano A e vano D), evidenziando così le diverse morfologie di degrado in base “Normativa UNI 11176/2006 con l’aiuto della documentazione grafica ed fotografica. Un ampio e complessivo studio archeometrico-tecnologico dei materiali impiegati per la realizzazione dei musaici a Suasa (tessere e malte) presso i laboratori del CNR di Faenza.. Sono stati prelevati complessivamente 90 campione da tredici vani musivi di Suasa, di cui 28 campione di malte, comprese tra allettamento e di sottofondo,42 tessere lapidee e 20 tessere vitree; questi ultimi appartengono a sette vani della domus. Durante l’operazione del prelevo, è stato presso in considerazione le varie tipologie dei materiali musivi, la cromia ed le morfologie di degrado che erano presente. Tale studio ha lo scopo di individuare la composizione chimico-mineropetrografico, le caratteristiche tessiturali dei materiali e fornire precisa informazione sia per fine archeometrici in senso stretto (tecnologie di produzione, provenienza, datazione ecc.), che come supporto ai interventi di conservazione e restauro. Infine si è potuto costruire una vasta banca dati analitici per i materiali musivi di Suasa, che può essere consultata, aggiornata e confrontata in futuro con altri materiali proveniente dalla stessa province e/o regione. Applicazione dei interventi conservativi: di manutenzione, pronto intervento e di restauro eseguiti sui vani mosaicati di Suasa che presentavano un pessimo stato di conservazione e necessitavano l’intervento conservativo, con la documentazione grafica e fotografica dei varie fase dell’intervento. In particolare lo studio dei pregiatissimi materiali marmorei impiegati per la realizzazione dell’opus sectile centrale (sala G) nella domus dei Coiedii, ha portato alla classificazione e alla schedatura di sedici tipi di marmi impiegati; studio esteso poi al tessellato che lo circonda: studio del andamento, tipologie dei materiali, dei colore, dimensione delle tessere, interstizio ecc., ha permesso con l’utilizzo delle tavole tematiche di ottenere una chiara lettura per l’intero tessellato, di evidenziare così, tutti gli interventi antiche e moderni di risarciture, eseguiti dal II sec. d.C. fio ad oggi. L’aspetto didattico (teorico e pratico) ha accompagnato tutto il lavoro di ricerca Il lavoro si qualifica in conclusione come un esempio assai significativo di ricerca storicoiconografiche e archeometriche, con risultati rilevanti sulle tecnologie antiche e sui criteri di conservazione più idonei.
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La tecnica di ozonolisi viene applicata ai fanghi biologici derivanti da impianti di depurazione acque reflue urbane, e consiste nell'ottenere, grazie all'ozono, una minor massa fangosa da smaltire e una miglior trattabilità del fango residue. In questo elaborato si prendono in esame le sperimentazioni effettuate a Marina di Ravenna e si estraggono le prime conclusioni gestionali, economiche e ambientali sull'applicabilità del metodo a questo tipo di fango.
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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.
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Confronto tra due software specifici per l'analisi di rischio nel trasporto stradale di merci pericolose (TRAT GIS 4.1 e QRAM 3.6) mediante applicazione a un caso di studio semplice e al caso reale di Casalecchio di Reno, comune della provincia di Bologna.
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Con questo studio si è volto effettuare un confronto tra la generazione di energia termica a partire da cippato e da pellet, con particolare riferimento agli aspetti di carattere ambientale ed economico conseguenti la produzione delle due differenti tipologie di combustibile. In particolare, si sono ipotizzate due filire, una di produzione del cippato, una del pellet, e per ciascuna di esse si è condotta un'Analisi del Ciclo di Vita, allo scopo di mettere in luce, da un lato le fasi del processo maggiormente critiche, dall'altro gli impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sul consumo di energia e risorse. Quest'analisi si è tradotta in un confronto degli impatti generati dalle due filiere al fine di valutare a quale delle due corrisponda il minore. E' stato infine effettuato un breve accenno di valutazione economica per stimare quale tipologia di impianto, a cippato o a pellet, a parità di energia prodotta, risulti più conveniente.
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I policlorobifenili (PCB) sono un gruppo di 209 congeneri di bifenili policlorurati altamente tossici e persistenti che, a causa della loro elevata lipofilia, tendono ad accumularsi in sedimenti anaerobici marini, tramite i quali possono entrare nella catena alimentare. I PCB possono essere degradati mediante processi di declorurazione riduttiva mediati da popolazioni microbiche anaerobiche in grado di utilizzarli fortuitamente come accettori finali della catena respiratoria. Il processo consiste quindi nella bioconversione di congeneri ad alto grado di clorurazione in PCB basso clorurati, meno tossici, meno bioaccumulabili e più facilmente biodegradabili in condizioni aerobiche. Nel presente elaborato è stata investigata la capacità di una popolazione microbica arricchita su congeneri coplanari di PCB da un sedimento contaminato del Canale Brentella (Prima Zona Industriale di Porto Marghera, laguna di Venezia), di declorurare miscele commerciali di PCB (Aroclor 1254) in condizioni geobiochimiche di laboratorio che riproducono quelle presenti in sito. Il processo è quindi stato studiato in microcosmi anaerobici slurry di sedimento sospeso nella stessa acqua del sito e monitorato con un approccio chimico e microbiologico integrato. Ai fini di caratterizzare e stimolare i microganismi responsabili del processo degradativo sono state utilizzate tecniche convenzionali basate sull’inibizione selettiva di diversi gruppi microbici. Dopo una fase di latenza di 7 settimane, la coltura microbica ha declorurato velocemente ed estesamente la miscela commerciale di PCB saggiata, bioconvertendo il 70% dei congeneri ad alto grado di clorurazione (da penta- a octa- clorurati) in PCB di- e tri-clorurati. Il processo ha esibito selettività nei confronti delle posizioni meta dei gruppi 2,3- e 2,3,4-clorofenile e para dei gruppi 3,4- e 3,4,5-clorofenile, secondo il modello di declorurazione H’. Il monitoraggio delle attività microbiche in presenza dei diversi inibitori saggiati ha permesso inoltre di concludere che i batteri metanogeni e i batteri solfato-riduttori non sono direttamente coinvolti nel processo degradativo, suggerendo invece che le specie decloruranti siano appartenenti o strettamente correlate al genere Dehalococcoides. Poiché lo studio è stato eseguito in condizioni geobiochimiche di laboratorio che mimano quelle presenti in sito, i risultati ottenuti indicano che la popolazione microbica dei sedimenti del canale Brentella, se opportunamente stimolata, è potenzialmente in grado di mediare in situ la declorurazione riduttiva dei PCB preesistenti nel sedimento, contribuendo alla natural attenuation dei sedimenti contaminati.
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L’utilizzo di materiali compositi come i calcestruzzi fibrorinforzati sta diventando sempre più frequente e diffuso. Tuttavia la scelta di nuovi materiali richiede una approfondita analisi delle loro caratteristiche e dei loro comportamenti. I vantaggi forniti dall’aggiunta di fibre d’acciaio ad un materiale fragile, quale il calcestruzzo, sono legati al miglioramento della duttilità e all'aumento di assorbimento di energia. L’aggiunta di fibre permette quindi di migliorare il comportamento strutturale del composito, dando vita ad un nuovo materiale capace di lavorare non solo a compressione ma anche in piccola parte a trazione, ma soprattutto caratterizzato da una discreta duttilità ed una buona capacità plastica. Questa tesi ha avuto come fine l’analisi delle caratteristiche di questi compositi cementizi fibrorinforzati. Partendo da prove sperimentali classiche quali prove di trazione e compressione, si è arrivati alla caratterizzazione di questi materiali avvalendosi di una campagna sperimentale basata sull’applicazione della norma UNI 11039/2003. L’obiettivo principale di questo lavoro consiste nell’analizzare e nel confrontare calcestruzzi rinforzati con fibre di due diverse lunghezze e in diversi dosaggi. Studiando questi calcestruzzi si è cercato di comprendere meglio questi materiali e trovare un riscontro pratico ai comportamenti descritti in teorie ormai diffuse e consolidate. La comparazione dei risultati dei test condotti ha permesso di mettere in luce differenze tra i materiali rinforzati con l’aggiunta di fibre corte rispetto a quelli con fibre lunghe, ma ha anche permesso di mostrare e sottolineare le analogie che caratterizzano questi materiali fibrorinforzati. Sono stati affrontati inoltre gli aspetti legati alle fasi della costituzione di questi materiali sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico. Infine è stato sviluppato un modello analitico basato sulla definizione di specifici diagrammi tensione-deformazione; i risultati di questo modello sono quindi stati confrontati con i dati sperimentali ottenuti in laboratorio.
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Nella tesi si analizzano le principali fonti del rumore aeronautico, lo stato dell'arte dal punto di vista normativo, tecnologico e procedurale. Si analizza lo stato dell'arte anche riguardo alla classificazione degli aeromobili, proponendo un nuovo indice prestazionale in alternativa a quello indicato dalla metodologia di certificazione (AC36-ICAO) Allo scopo di diminuire l'impatto acustico degli aeromobili in fase di atterraggio, si analizzano col programma INM i benefici di procedure CDA a 3° rispetto alle procedure tradizionali e, di seguito di procedure CDA ad angoli maggiori in termini di riduzione di lunghezza e di area delle isofoniche SEL85, SEL80 e SEL75.
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Nel presente lavoro di tesi ci si è occupati dello studio del comportamento idraulico-ambientale della rete di drenaggio a servizio della città di Modena. In particolare si è condotta una valutazione dell’effetto che gli scaricatori della rete fognaria in oggetto hanno sul complesso dei corpi idrici riceventi. Tale lavoro si prefigge anche lo scopo di individuare e dimensionare i più efficaci sistemi di controllo degli sversamenti, operati dagli scaricatori stessi, ed infine supportare analisi costi-benefici in vista della realizzazione delle opere di risanamento ambientale necessarie per ottemperare ai vincoli imposti dalla vigente normativa regionale in merito alla gestione delle acque di prima pioggia (Deliberazione G.R. Emilia Romagna 286/2005). Lo studio si è articolato in fasi successive: • analisi dello stato di fatto; • catalogazione degli scaricatori in esercizio nella rete di drenaggio; • determinazione ed analisi dei bacini idrografici e delle superfici scolanti; • implementazione di un modello numerico della rete di drenaggio; • individuazione e valutazione delle criticità idraulico-ambientali del sistema, mediante simulazioni in continuo delle serie pluviometriche degli anni 2005 e 2006. L’attività che ha portato al conseguimento dei risultati che sono raccolti in questa “nota” è stata svolta in collaborazione con la società HERA Modena s.r.l. a cui compete, fra le altre, la gestione dell’intera rete di drenaggio urbano del Comune di Modena. La fase di analisi dello stato di fatto e delle superfici scolanti afferenti ai singoli sottobacini è stata condotta utilizzando lo strumento GIS Arcview; il quale è di supporto, anche ai fini di un’appropriata definizione delle caratteristiche specifiche del territorio. Lo studio è stato sviluppato mediante la realizzazione di un modello numerico di simulazione quali-quantitativa con l’ausilio del software InfoWorks CS 8.05, distribuito dalla Wallingford Software Ltd UK.