927 resultados para Apprendimento, Automatico, Tris, Scacchi, Annotazioni, Gioco
Resumo:
La tesi di Matteo Allodi intende analizzare alcune pratiche socio-assistenziali rivolte a minori e famiglie in difficoltà relative a progetti di accoglienza presso alcune strutture residenziali. In particolare, Matteo Allodi si sofferma su progetti di accoglienza elaborati presso alcune Comunità familiari la cui metodologia d’intervento si caratterizza per un orientamento verso un modello di lavoro sociale di tipo sussidiario nell’ottica del recupero dei legami e delle competenze genitoriali. La tesi affronta nella prima parte la dimensione teorica relativa a un approccio progettuale di intervento sociale che, mettendo al centro le relazioni dei soggetti in gioco, possa promuovere la loro attivazione in funzione della realizzazione dell’obiettivo del recupero della genitorialità. Allodi si concentra dal punto di vista teorico sulle modalità di realizzazione di un servizio alla persona guidato dal principio di sussidiarietà, ovvero orientato alla valorizzazione delle capacità riflessive degli attori. Nella seconda, parte Allodi presenta l’indagine condotta in alcune Comunità di tipo familiare di Parma. La strategia iniziale d’indagine è quella del case study. Allodi sceglie di indagare il fenomeno partendo da un’osservazione partecipata di orientamento etnometodologico integrata con interviste agli attori privilegiati. In questa fase si è proceduto a una prima ricerca qualitativa, attraverso la metodologia dello studio di caso, che ha permesso di entrare in contatto con alcune tipologie di strutture residenziali per minori al fine di completare il quadro generale del fenomeno delle Comunità familiari e impostare una prima mappatura esplorativa. La ricerca prosegue con uno studio longitudinale prospettico volto a monitorare e valutare il lavoro di rete della comunità e dei servizi, osservando principalmente la mobilitazione verso l’autonomia e l’empowerment dei soggetti (minori) e delle reti ancorate al soggetto (single case study). Si è voluto comprendere quali modalità relazionali gli attori della rete di coping mettono in gioco in funzione del “cambiamento sociale”.
Resumo:
In questa tesi vengono introdotte le idee chiave della moderna crittografia, presentato il cifrario perfetto one-time pad e mostrate le criticità che l’utilizzo di tale schema presenta. L’idea di schemi di cifratura matematicamente sicuri deve essere superata a favore di schemi computazionalmente sicuri. A questo proposito diventa cruciale il concetto di pseudocasualità: come la sicurezza computazionale è un indebolimento della sicurezza perfetta, così la pseudocasualità è un indebolimento della pura casualità. E' quindi necessario avere dei metodi per definire la bontà di un generatore pseudocasuale di numeri. Il National Institute of Standars and Technology fornisce alcuni criteri per caratterizzare e scegliere generatori appropriati sulla base di test statistici. Alcuni di questi test sono stati implementati all’interno del portale di apprendimento CrypTool sviluppato da alcune Università e centri di ricerca di Germania e Austria.
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Background: l’epilessia è una malattia cerebrale che colpisce oggigiorno circa l’1% della popolazione mondiale e causa, a chi ne soffre, convulsioni ricorrenti e improvvise che danneggiano la vita quotidiana del paziente. Le convulsioni sono degli eventi che bloccano istantaneamente la normale attività cerebrale; inoltre differiscono tra i pazienti e, perciò, non esiste un trattamento comune generalizzato. Solitamente, medici neurologi somministrano farmaci, e, in rari casi, l’epilessia è trattata con operazioni neurochirurgiche. Tuttavia, le operazioni hanno effetti positivi nel ridurre le crisi, ma raramente riescono a eliminarle del tutto. Negli ultimi anni, nel campo della ricerca scientifica è stato provato che il segnale EEG contiene informazioni utili per diagnosticare l'arrivo di un attacco epilettico. Inoltre, diversi algoritmi automatici sono stati sviluppati per rilevare automaticamente le crisi epilettiche. Scopo: lo scopo finale di questa ricerca è l'applicabilità e l'affidabilità di un dispositivo automatico portatile in grado di rilevare le convulsioni e utilizzabile come sistema di monitoraggio. L’analisi condotta in questo progetto, è eseguita con tecniche di misure classiche e avanzate, in modo tale da provare tecnicamente l’affidabilità di un tale sistema. La comparazione è stata eseguita sui segnali elettroencefalografici utilizzando due diversi sistemi di acquisizione EEG: il metodo standard utilizzato nelle cliniche e il nuovo dispositivo portatile. Metodi: è necessaria una solida validazione dei segnali EEG registrati con il nuovo dispositivo. I segnali saranno trattati con tecniche classiche e avanzate. Dopo le operazioni di pulizia e allineamento, verrà utilizzato un nuovo metodo di rappresentazione e confronto di segnali : Bump model. In questa tesi il metodo citato verrà ampiamente descritto, testato, validato e adattato alle esigenze del progetto. Questo modello è definito come un approccio economico per la mappatura spazio-frequenziale di wavelet; in particolare, saranno presenti solo gli eventi con un’alta quantità di energia. Risultati: il modello Bump è stato implementato come toolbox su MATLAB dallo sviluppatore F. Vialatte, e migliorato dall’Autore per l’utilizzo di registrazioni EEG da sistemi diversi. Il metodo è validato con segnali artificiali al fine di garantire l’affidabilità, inoltre, è utilizzato su segnali EEG processati e allineati, che contengono eventi epilettici. Questo serve per rilevare la somiglianza dei due sistemi di acquisizione. Conclusioni: i risultati visivi garantiscono la somiglianza tra i due sistemi, questa differenza la si può notare specialmente comparando i grafici di attività background EEG e quelli di artefatti o eventi epilettici. Bump model è uno strumento affidabile per questa applicazione, e potrebbe essere utilizzato anche per lavori futuri (ad esempio utilizzare il metodo di Sincronicità Eventi Stocas- tici SES) o differenti applicazioni, così come le informazioni estratte dai Bump model potrebbero servire come input per misure di sincronicità, dalle quali estrarre utili risultati.
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La presente tesi è dedicata al riuso nel software. Eccettuata un'introduzione organica al tema, l'analisi è a livello dei meccanismi offerti dai linguaggi di programmazione e delle tecniche di sviluppo, con speciale attenzione rivolta al tema della concorrenza. Il primo capitolo fornisce un quadro generale nel quale il riuso del software è descritto, assieme alle ragioni che ne determinano l'importanza e ai punti cruciali relativi alla sua attuazione. Si individuano diversi livelli di riuso sulla base dell'astrazione e degli artefatti in gioco, e si sottolinea come i linguaggi contribuiscano alla riusabilità e alla realizzazione del riuso. In seguito, viene esplorato, con esempi di codice, il supporto al riuso da parte del paradigma ad oggetti, in termini di incapsulamento, ereditarietà, polimorfismo, composizione. La trattazione prosegue analizzando differenti feature – tipizzazione, interfacce, mixin, generics – offerte da vari linguaggi di programmazione, mostrando come esse intervengano sulla riusabilità dei componenti software. A chiudere il capitolo, qualche parola contestualizzata sull'inversione di controllo, la programmazione orientata agli aspetti, e il meccanismo della delega. Il secondo capitolo abbraccia il tema della concorrenza. Dopo aver introdotto l'argomento, vengono approfonditi alcuni significativi modelli di concorrenza: programmazione multi-threaded, task nel linguaggio Ada, SCOOP, modello ad Attori. Essi vengono descritti negli elementi fondamentali e ne vengono evidenziati gli aspetti cruciali in termini di contributo al riuso, con esempi di codice. Relativamente al modello ad Attori, viene presentata la sua implementazione in Scala/Akka come caso studio. Infine, viene esaminato il problema dell'inheritance anomaly, sulla base di esempi e delle tre classi principali di anomalia, e si analizza la suscettibilità del supporto di concorrenza di Scala/Akka a riscontrare tali problemi. Inoltre, in questo capitolo si nota come alcuni aspetti relativi al binomio riuso/concorrenza, tra cui il significato profondo dello stesso, non siano ancora stati adeguatamente affrontati dalla comunità informatica. Il terzo e ultimo capitolo esordisce con una panoramica dell'agent-oriented programming, prendendo il linguaggio simpAL come riferimento. In seguito, si prova ad estendere al caso degli agenti la nozione di riuso approfondita nei capitoli precedenti.
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Il Web nel corso della sua esistenza ha subito un mutamento dovuto in parte dalle richieste del mercato, ma soprattutto dall’evoluzione e la nascita costante delle numerose tecnologie coinvolte in esso. Si è passati da un’iniziale semplice diffusione di contenuti statici, ad una successiva collezione di siti web, dapprima con limitate presenze di dinamicità e interattività (a causa dei limiti tecnologici), ma successivamente poi evoluti alle attuali applicazioni web moderne che hanno colmato il gap con le applicazioni desktop, sia a livello tecnologico, che a livello di diffusione effettiva sul mercato. Tali applicazioni web moderne possono presentare un grado di complessità paragonabile in tutto e per tutto ai sistemi software desktop tradizionali; le tecnologie web hanno subito nel tempo un evoluzione legata ai cambiamenti del web stesso e tra le tecnologie più diffuse troviamo JavaScript, un linguaggio di scripting nato per dare dinamicità ai siti web che si ritrova tutt’ora ad essere utilizzato come linguaggio di programmazione di applicazioni altamente strutturate. Nel corso degli anni la comunità di sviluppo che ruota intorno a JavaScript ha prodotto numerose librerie al supporto del linguaggio dotando così gli sviluppatori di un linguaggio completo in grado di far realizzare applicazioni web avanzate. Le recenti evoluzioni dei motori javascript presenti nei browser hanno inoltre incrementato le prestazioni del linguaggio consacrandone la sua leadership nei confronti dei linguaggi concorrenti. Negli ultimi anni a causa della crescita della complessità delle applicazioni web, javascript è stato messo molto in discussione in quanto come linguaggio non offre le classiche astrazioni consolidate nel tempo per la programmazione altamente strutturata; per questo motivo sono nati linguaggi orientati alla programmazione ad oggetti per il web che si pongono come obiettivo la risoluzione di questo problema: tra questi si trovano linguaggi che hanno l’ambizione di soppiantare JavaScript come ad esempio Dart creato da Google, oppure altri che invece sfruttano JavaScript come linguaggio base al quale aggiungono le caratteristiche mancanti e, mediante il processo di compilazione, producono codice JavaScript puro compatibile con i motori JavaScript presenti nei browser. JavaScript storicamente fu introdotto come linguaggio sia per la programmazione client-side, che per la controparte server-side, ma per vari motivi (la forte concorrenza, basse performance, etc.) ebbe successo solo come linguaggio per la programmazione client; le recenti evoluzioni del linguaggio lo hanno però riportato in auge anche per la programmazione server-side, soprattutto per i miglioramenti delle performance, ma anche per la sua naturale predisposizione per la programmazione event-driven, paradigma alternativo al multi-threading per la programmazione concorrente. Un’applicazione web di elevata complessità al giorno d’oggi può quindi essere interamente sviluppata utilizzando il linguaggio JavaScript, acquisendone sia i suoi vantaggi che gli svantaggi; le nuove tecnologie introdotte ambiscono quindi a diventare la soluzione per i problemi presenti in JavaScript e di conseguenza si propongono come potenziali nuovi linguaggi completi per la programmazione web del futuro, anticipando anche le prossime evoluzioni delle tecnologie già esistenti preannunciate dagli enti standard della programmazione web, il W3C ed ECMAScript. In questa tesi saranno affrontate le tematiche appena introdotte confrontando tra loro le tecnologie in gioco con lo scopo di ottenere un’ampia panoramica delle soluzioni che uno sviluppatore web dovrà prendere in considerazione per realizzare un sistema di importanti dimensioni; in particolare sarà approfondito il linguaggio TypeScript proposto da Microsoft, il quale è nato in successione a Dart apparentemente con lo stesso scopo, ma grazie alla compatibilità con JavaScript e soprattutto con il vasto mondo di librerie legate ad esso nate in questi ultimi anni, si presenta nel mercato come tecnologia facile da apprendere per tutti gli sviluppatori che già da tempo hanno sviluppato abilità nella programmazione JavaScript.
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Hämocyanine sind große, kupferhaltige Sauerstoff-Transportproteine, die bei zahlreichen Schnecken extrazellulär in der Hämolymphe vorkommen. Das Keyhole Limpet-Hämocyanin (KLH) der Schlüssellochschnecke Megathura crenulata dient aufgrund seiner immunstimu-latorischen Eigenschaften seit vielen Jahren als Modellprotein in der Immunologie. In der Klinik wird es als Hapten- und Vakzincarrier sowie als Medikament gegen oberflächliche Harnblasenkarnzinome eingesetzt. Die Quartärstruktur des KLH besteht aus einem Hohl-zylinder mit einer Molekülmasse von 8 MDa und einem Durchmesser von 35 nm. Dieses sogenannte Didekamer setzt sich aus 20 Untereinheiten mit jeweils 400 kDa zusammen. Jede Untereinheit lässt sich weiter in acht funktionelle Einheiten a bis h (engl. Functional Units = FU) mit ~ 50 kDa unterteilen. Die FUs a bis f bilden die Wandregion des Moleküls, während der Kragen aus den FUs g und h geformt wird. Die Struktur der Wandregion sowie der FU-g konnte bisher bereits durch Röntgenstrukturanalysen aufgeklärt werden. Bezüglich der Struktur der FU-h, die sich durch eine spezielle C-terminale Verlängerung von ~ 100 Amino-säuren auszeichnet, sind allerdings noch keine Informationen verfügbar. Um die Architektur des Kragens zu verstehen, wurden im Rahmen dieser Arbeit zunächst Strategien entwickelt, diese spezielle FU in großer Menge und Reinheit zu isolieren. Anschließend konnten Bedingungen gefunden werden, die zur Ausbildung 0,2 mm großer, hexagonaler Kristalle führten. Diese ergaben am Synchrotron eine Auflösung von 4 Å. Durch Auswertung der Röntgenstrukturdaten konnte für die C-terminale Zusatzdomäne der FU-h eine Cupredoxin-ähnliche Typ I-Kupferfaltung ermittelt werden. Der Nachweis eines zusätzlichen Kupfer-atoms innerhalb dieser Domäne bedarf allerdings einer höheren Auflösung der Kristall-struktur. Hämocyanine lassen sich aufgrund ihrer evolutionären Verwandtschaft zu Phenol-oxidasen mit Hilfe verschiedener in vitro-Aktivatoren zur Catecholoxidase und teilweise auch zur Tyrosinase aktivieren. Beim KLH konnte in dieser Arbeit eine eindeutige Diphenolase- und sogar eine schwache Monophenolase-Aktivität der FUs-a und -f nach SDS-Aktivierung nachgewiesen werden. Zudem konnte eine geringfügige intrinsische Diphenolase-Aktivität dieser FUs belegt werden. Die enzymatischen Reaktionen waren sowohl von der gewählten Puffersubstanz, als auch der Anwesenheit bivalenter Kationen abhängig. Tris wirkt vermutlich als allosterischer Effektor und steigerte den Substrat-Umsatz, während Mg2+-Ionen zu einer starken Inhibition der katalytischen Aktivität führten. Die Klärung einer möglichen physiologischen Funktion der Phenoloxidase-Aktivität des KLH sowie potenziellen in vivo-Aktivatoren steht noch aus. Studien zur thermischen Stabilität des KLH resultierten in einer irreversiblen Denaturierung des Proteins. Die Schmelzpunkte deuteten auf eine hohe Tempe-raturstabilität des KLH, vor allem in Anwesenheit bivalenter Kationen. Eine Hämocyanin-typische Abhängigkeit der Hitzeresistenz vom Oligomerisierungsgrad ließ sich nicht feststellen, da sowohl bei der FU-h als auch den KLH-Didekameren eine vergleichbar hohe thermische Stabilität, bei einer nach wie vor vorhandenen Oxygenierung beobachtet wurde.
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Il vigore è un aspetto rilevante della qualità delle sementi, strettamente connesso al loro status fisiologico, al genotipo e alle condizioni di stoccaggio. Stress ossidativi e danni alle macromolecole sono alla base del deterioramento del seme, che è equipaggiato con sistemi protettivi e di riparazione. Uno di questi coinvolge l’L-isoaspartil metiltransferasi (PIMT) che ripara i misfolding proteici catalizzando la riconversione in aspartato dell’isoaspartile anomalo accumulato. Scopo di questo studio era valutare il possibile ruolo del meccanismo di riparazione di PIMT nel vigore del seme in girasole. Per questo il relativo gene è stato isolato e caratterizzato, la variabilità allelica determinata su un campione di linee inbred e l’espressione genica misurata in risposta all’invecchiamento accelerato (aging) e al priming. La sequenza codificante ottenuta è costituita da 4 esoni e contiene i 5 domini caratteristici delle metiltransferasi. Il gene mostra elevata similarità con gli ortologhi vegetali e scarsa diversità nucleotidica nei genotipi coltivati rappresentativi della variabilità della specie. Nella sequenza aminoacidica, comunque, sono state rinvenute tre sostituzioni che potrebbero influenzare la funzionalità enzimatica. Dal punto di vista fisiologico i genotipi considerati hanno esibito notevole variabilità di risposte ai trattamenti, sia in termini di vigore che di espressione genica. Aging e priming hanno prodotto generalmente gli effetti attesi, rispettivamente negativi e positivi, sulla germinabilità e sulla sua velocità. In generale l’espressione di PIMT è risultata massima nel seme secco, come riportato altrove, e ridotta dall’aging. Anche il priming ha diminuito l’espressione rispetto al seme quiescente, mentre il suo effetto dopo l’aging è risultato genotipo-dipendente. Tuttavia, nelle condizioni descritte, non si sono evidenziate correlazioni significative tra vigore ed espressione di PIMT, tali da suggerire un chiaro ruolo di questo meccanismo nella qualità fisiologica del seme.
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L’invarianza spaziale dei parametri di un modello afflussi-deflussi può rivelarsi una soluzione pratica e valida nel caso si voglia stimare la disponibilità di risorsa idrica di un’area. La simulazione idrologica è infatti uno strumento molto adottato ma presenta alcune criticità legate soprattutto alla necessità di calibrare i parametri del modello. Se si opta per l’applicazione di modelli spazialmente distribuiti, utili perché in grado di rendere conto della variabilità spaziale dei fenomeni che concorrono alla formazione di deflusso, il problema è solitamente legato all’alto numero di parametri in gioco. Assumendo che alcuni di questi siano omogenei nello spazio, dunque presentino lo stesso valore sui diversi bacini, è possibile ridurre il numero complessivo dei parametri che necessitano della calibrazione. Si verifica su base statistica questa assunzione, ricorrendo alla stima dell’incertezza parametrica valutata per mezzo di un algoritmo MCMC. Si nota che le distribuzioni dei parametri risultano in diversa misura compatibili sui bacini considerati. Quando poi l’obiettivo è la stima della disponibilità di risorsa idrica di bacini non strumentati, l’ipotesi di invarianza dei parametri assume ancora più importanza; solitamente infatti si affronta questo problema ricorrendo a lunghe analisi di regionalizzazione dei parametri. In questa sede invece si propone una procedura di cross-calibrazione che viene realizzata adottando le informazioni provenienti dai bacini strumentati più simili al sito di interesse. Si vuole raggiungere cioè un giusto compromesso tra lo svantaggio derivante dall’assumere i parametri del modello costanti sui bacini strumentati e il beneficio legato all’introduzione, passo dopo passo, di nuove e importanti informazioni derivanti dai bacini strumentati coinvolti nell’analisi. I risultati dimostrano l’utilità della metodologia proposta; si vede infatti che, in fase di validazione sul bacino considerato non strumentato, è possibile raggiungere un buona concordanza tra le serie di portata simulate e osservate.
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La tesi sviluppa le proposte teoriche della Linguistica Cognitiva a proposito della metafora e propone una loro possibile applicazione in ambito didattico. La linguistica cognitiva costituisce la cornice interpretativa della ricerca, a partire dai suoi concetti principali: la prospettiva integrata, l’embodiment, la centralità della semantica, l’attenzione per la psicolinguistica e le neuroscienze. All’interno di questo panorama, prende vigore un’idea di metafora come punto d’incontro tra lingua e pensiero, come criterio organizzatore delle conoscenze, strumento conoscitivo fondamentale nei processi di apprendimento. A livello didattico, la metafora si rivela imprescindibile sia come strumento operativo che come oggetto di riflessione. L’approccio cognitivista può fornire utili indicazioni su come impostare un percorso didattico sulla metafora. Nel presente lavoro, si indaga in particolare l’uso didattico di stimoli non verbali nel rafforzamento delle competenze metaforiche di studenti di scuola media. Si è scelto come materiale di partenza la pubblicità, per due motivi: il diffuso impiego di strategie retoriche in ambito pubblicitario e la specificità comunicativa del genere, che permette una chiara disambiguazione di fenomeni che, in altri contesti, non potrebbero essere analizzati con la stessa univocità. Si presenta dunque un laboratorio finalizzato al miglioramento della competenza metaforica degli studenti che si avvale di due strategie complementari: da una parte, una spiegazione ispirata ai modelli cognitivisti, sia nella terminologia impiegata che nella modalità di analisi (di tipo usage-based); dall’altra un training con metafore visive in pubblicità, che comprende una fase di analisi e una fase di produzione. È stato usato un test, suddiviso in compiti specifici, per oggettivare il più possibile i progressi degli studenti alla fine del training, ma anche per rilevare le difficoltà e i punti di forza nell’analisi rispetto sia ai contesti d’uso (letterario e convenzionale) sia alle forme linguistiche assunte dalla metafora (nominale, verbale, aggettivale).
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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.
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This thesis presents the versatile synthesis and self-organization of C3-symmetric discotic nanographene molecules as well as their potential applications as materials in molecular electronics. The details can be described as follows: 1) A novel synthetic strategy towards properly designed C3 symmetric 1,3,5-tris-2’arylbenzene precursors has been developed. After the final planarization by treatment with FeCl3 under mild conditions, for the first time, it became possible to access a variety of new C3-symmetric hexa-peri-hexabenzocoronenes (HBCs) and a series of triangle-shaped nanographenes. D3 symmetric HBC with three alkyl substituents and C2 symmetric HBC with two alkyl substituents were synthesized and found to show the surprising decrease of isotropic points., the self-assembly at the liquid-solid interface displayed a unique zigzag and flower patterns. 2) Triangle-shaped discotics revealed a unique self-assembly behavior in solution, solid state as well as at the solution-substrate interface. A mesophase stability over the broad temperature range with helical supramoelcular arrangement were observed in the bulk state. The honeycomb pattern as the result of novel self-assembly was presented. Triangle-shaped discotics with swallow alkyl tails were fabricated into photovoltaic devices, the supramolecular arrangement upon thermal treatment was found to play a key role in the improvement of solar efficiency. 3) A novel class of C3 symmetric HBCs with alternating polar/apolar substituents was synthesized. Their peculiar self-assembly in solution, in the bulk and on the surface were investigated by NMR techniques, X-ray diffraction as well as different electron microscope techniques. 4) A novel concept for manipulating the intracolumnar stacking of discotics and thus for controlling the helical pitch was presented. A unique staggered stacking in the column was achieved for the first time. Theoretical simulations confirmed this self-organization and predicted that this packing should show the highest charge carrier mobility for all discotics.
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The aim of this thesis was to investigate the respective contribution of prior information and sensorimotor constraints to action understanding, and to estimate their consequences on the evolution of human social learning. Even though a huge amount of literature is dedicated to the study of action understanding and its role in social learning, these issues are still largely debated. Here, I critically describe two main perspectives. The first perspective interprets faithful social learning as an outcome of a fine-grained representation of others’ actions and intentions that requires sophisticated socio-cognitive skills. In contrast, the second perspective highlights the role of simpler decision heuristics, the recruitment of which is determined by individual and ecological constraints. The present thesis aims to show, through four experimental works, that these two contributions are not mutually exclusive. A first study investigates the role of the inferior frontal cortex (IFC), the anterior intraparietal area (AIP) and the primary somatosensory cortex (S1) in the recognition of other people’s actions, using a transcranial magnetic stimulation adaptation paradigm (TMSA). The second work studies whether, and how, higher-order and lower-order prior information (acquired from the probabilistic sampling of past events vs. derived from an estimation of biomechanical constraints of observed actions) interacts during the prediction of other people’s intentions. Using a single-pulse TMS procedure, the third study investigates whether the interaction between these two classes of priors modulates the motor system activity. The fourth study tests the extent to which behavioral and ecological constraints influence the emergence of faithful social learning strategies at a population level. The collected data contribute to elucidate how higher-order and lower-order prior expectations interact during action prediction, and clarify the neural mechanisms underlying such interaction. Finally, these works provide/open promising perspectives for a better understanding of social learning, with possible extensions to animal models.
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Il processo di riforma a carattere europeo che ha condotto alla nascita di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore ha conosciuto diverse tappe fondamentali, fra cui, per esempio, la ripartizione in cicli e l’adozione dei crediti ECTS. Una di queste tappe, ossia il passaggio da una pianificazione della didattica basata sui contenuti ad una basata sui risultati dell’apprendimento, ricopre un ruolo di primo piano nel presente progetto di dottorato. Lo studio qui descritto ha esaminato, da un punto di vista sintattico e semantico, un campione di obiettivi e risultati dell’apprendimento di insegnamenti di alcuni corsi di laurea di primo e secondo ciclo, delle scienze umanistiche, in Austria, Germania, Italia e Regno Unito. L’obiettivo del progetto è proporre uno schema per una classificazione a faccette di obiettivi dell’apprendimento denominato FLOC. Tale schema è adottato per classificare gli obiettivi dell’apprendimento di quattro contesti linguistico-culturali (nei paesi summenzionati), dando vita a FLOC-AT, FLOC-DE, FLOC-IT e FLOC-EN. Queste quattro classificazioni forniscono inoltre il contesto per un’analisi contrastiva multilingue fra unità di obiettivi di apprendimento.
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Negli ultimi vent’anni sono state proposte al livello internazionale alcune analisi dei problemi per le scienze nella scuola e diverse strategie per l’innovazione didattica. Molte ricerche hanno fatto riferimento a una nuova nozione di literacy scientifica, quale sapere fondamentale dell’educazione, indipendente dalle scelte professionali successive alla scuola. L’ipotesi di partenza di questa ricerca sostiene che alcune di queste analisi e l’idea di una nuova literacy scientifica di tipo non-vocazionale mostrino notevoli limiti quando rapportate al contesto italiano. Le specificità di quest’ultimo sono state affrontate, innanzitutto, da un punto di vista comparativo, discutendo alcuni documenti internazionali sull’insegnamento delle scienze. Questo confronto ha messo in luce la difficoltà di ottenere un insieme di evidenze chiare e definitive sui problemi dell’educazione scientifica discussi da questi documenti, in particolare per quanto riguarda i dati sulla crisi delle vocazioni scientifiche e sull’attitudine degli studenti verso le scienze. Le raccomandazioni educative e alcuni progetti curricolari internazionali trovano degli ostacoli decisivi nella scuola superiore italiana anche a causa di specificità istituzionali, come particolari principi di selezione e l’articolazione dei vari indirizzi formativi. Il presente lavoro si è basato soprattutto su una ricostruzione storico-pedagogica del curricolo di fisica, attraverso l’analisi delle linee guida nazionali, dei programmi di studio e di alcuni rappresentativi manuali degli ultimi decenni. Questo esame del curricolo “programmato” ha messo in luce, primo, il carattere accademico della fisica liceale e la sua debole rielaborazione culturale e didattica, secondo, l’impatto di temi e problemi internazionali sui materiali didattici. Tale impatto ha prodotto dei cambiamenti sul piano delle finalità educative e degli strumenti di apprendimento incorporati nei manuali. Nonostante l’evoluzione di queste caratteristiche del curricolo, tuttavia, l’analisi delle conoscenze storico-filosofiche utilizzate dai manuali ha messo in luce la scarsa contestualizzazione culturale della fisica quale uno degli ostacoli principali per l’insegnamento di una scienza più rilevante e formativa.