606 resultados para Occidente


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Resumen basado en el de la publicaci??n

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La Nouvelle Géographie Universelle di Élisée Reclus relativizza e problematizza il ruolo dell’Europa e il suo peso nello scacchiere mondiale, restando tuttavia in equilibrio fra, da una parte, la critica delle pratiche coloniali e dall’altra la fiducia nei confronti della tradizione culturale proveniente dall’antica Grecia e dal secolo de Lumi destinata, nella visione evoluzionista dell’autore, a spargere negli altri continenti i germi del pensiero socialista e anarchico. In questo lavoro si cerca di chiarire questa rappresentazione dei concetti di Europa e Occidente in tre passaggi successivi. Dapprima, la ricostruzione della genealogia, della teoria e del contesto storico del concetto di geografia universale all’epoca. Poi, la ricostruzione dalle fonti di archivio delle reti scientifiche di respiro europeo che sono state alla base di quest’opera, indispensabile per poterne comprendere il significato politico nel contesto dell’epoca. Infine, l’indagine sul testo per ricostruire ruolo, caratteri e suddivisione dell’Europa, che si rivela, nonostante la serrata critica del suo ruolo colonizzatore, come il privilegiato laboratorio individuato dai “geografi anarchici” per lo sviluppo delle lotte sociali e per la costruzione, su basi anche geografiche, di una proposta politica federalista e libertaria.

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Come al giorno dʼoggi si verifica lʼintegrazione (o più spesso lʼemarginazione) della cultura islamica, dalle caratteristiche così differenti e lontane dalla cultura occidentale, con la società contemporanea nella quale viviamo? Riflettendo sulla risposta a tale quesito, alla luce delle conoscenze intraprese durante lʼesperienza erasmus, ho pensato a quale fosse il contesto migliore nel quale investigare e tentare una connessione tra queste due culture. Ho quindi individuato alcune città “modello” per quanto riguarda la convivenza di differenti religioni, crogiuoli di diverse etnie e culture, con una storia radicata di interculturalità: in particolare Sarajevo, Tirana e Beirut. La scelta di allontanarmi da un contesto europeo od addirittura italiano è stata dettata da ragioni storiche e di apertura mentale: in quelle città da anni, forse secoli si verifica la convivenza di differenti confessioni, spesso allʼinterno dello stesso quartiere.

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La ricerca pone al centro dell’indagine lo studio dell’importanza del cibo nelle cerimonie nuziali dell’Europa occidentale nei secoli V-XI. Il corpus di fonti utilizzate comprende testi di genere diverso: cronache, annali, agiografie, testi legislativi, a cui si è aggiunta un’approfondita analisi delle antiche saghe islandesi. Dopo un'introduzione dedicata in particolare alla questione della pubblicità della celebrazione, la ricerca si muove verso lo studio del matrimonio come “processo” sulla base della ritualità alimentare: i brindisi e i banchetti con cui si sigla l’accordo di fidanzamento e i ripetuti convivi allestiti per celebrare le nozze. Si pone attenzione anche ad alcuni aspetti trasversali, come lo studio del caso della “letteratura del fidanzamento bevuto”, ossia una tradizione di testi letterari in cui il fidanzamento tra i protagonisti viene sempre ratificato con un brindisi; a questo si aggiunge un’analisi di stampo antropologico della "cultura dell’eccesso", tipica dei rituali alimentari nuziali nel Medioevo, in contrasto con la contemporanea "cultura del risparmio". L'analisi si concentra anche sulle reiterate proibizioni al clero, da parte della Chiesa, di partecipare a banchetti e feste nuziali, tratto comune di tutta l’epoca altomedievale. Infine, la parte conclusiva della ricerca è incentrata sulla ricezione altomedievale di due figure bibliche che pongono al centro della narrazione un banchetto nuziale: la parabola delle nozze e il banchetto di Cana. L’insistente presenza di questi due brani nelle parole dei commentatori biblici mostra la straordinaria efficacia del “linguaggio alimentare”, ossia di un codice linguistico basato sul cibo (e su contesti quali l’agricoltura, la pesca, ecc.) come strumento di comunicazione sociale di massa con una valenza antropologica essenzialmente universale.

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Ho deciso di documentarmi e di scrivere riguardo la traduzione del Corano e la sua storia in Occidente, in particolare in Italia, per poter comprendere meglio la cultura e il punto di vista di un popolo tanto simile quanto diverso dal mio. In seguito alla mia esperienza personale in Giordania e agli studi svolti fin’ora, mi sono resa conto di come la conoscenza di questo testo, anche se parziale, sia indispensabile per chiunque desideri entrare in contatto col mondo arabo. Riconoscendo le mie lacune in materia e intenzionata a proseguire con lo studio della lingua araba, ho deciso di rimediare scrivendo una tesi che potesse essere uno strumento utile per me, ma anche per tutti gli studenti futuri che, come me, desidereranno approfondire lo studio della cultura araba, oltre a quello della lingua. Dopo una breve introduzione sulla struttura e sulle origini storico-religiose del testo maomettano, proseguirò dunque la mia tesi sulla traduzione del Corano, concentrandomi sulle primissime versioni tradotte in Occidente e, in particolare, sulla prima traduzione italiana del testo sacro all’Islam. Fondamentale per lo studio del Corano e della sua traduzione è stato lo studio della storia, specialmente l’analisi del XVI secolo. Il passaggio dalla fine del Medioevo all’inizio dell’Età moderna porta infatti una serie di cambiamenti, rivoluzioni tecnologiche e filosofiche uniche nella storia europea e mondiale. Oltre ad aver ricercato la storia e tutte le informazioni utili sulle prime traduzioni del Corano in Europa, mi sono anche documentata sulle versioni più moderne, citando sia quelle di traduttori europei in generale, che quelle di autori italiani. Infine ho confrontato le due versioni de ‘Il Corano’ tradotte in lingua italiana da Bausani e Riccardo Hamza Piccardo: il primo studioso attento e traduttore esperto, il secondo religioso che rifiuta la traduzione classica per la traduzione interpretativa.

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La popularidad de las biografías noveladas en los años 20-30 del siglo XX en España se hace notar en las ediciones de la Revista de Occidente, en las que se publican tanto textos extranjeros como biografías escritas por Fernando Vela, Benjamín Jarnés o Rosa Chacel. Definidas por los propios autores como producciones 'entre la historia y la literatura', cuyo proceso de creación se basa en la evocación o intuición de la vida biografiada, la biografía se aleja de la 'imparcialidad documental del historiador' para penetrar en el 'punto de vista del escritor'. Nuestro trabajo pretende mostrar la importancia que adquiere este género dentro de la Revista de Occidente, al operar como una especie legitimador de la teoría 'vitalista' y el perspectivismo de Ortega y Gasset, una vez que invierte el concepto de historia, que deja de ser un proceso colectivo para convertirse en la expresión de un ser en el mundo y establece el protagonismo del individuo, sea el biógrafo o el biografiado

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¿Qué ontología es más conveniente al psicoanálisis lacaniano? La razón de mi pregunta tiene que ver con un diagnóstico compartido entre varios colegas sobre la situación actual del psicoanálisis lacaniano. Para decirlo sencillamente, ese diagnóstico establece que los desarrollos formales de Lacan en torno al concepto de sujeto se han ido perdiendo en el lacanismo a consecuencia de haberse plegado a los términos clásicos de la metafísica. O, para decirlo aún más sencillamente, el concepto de sujeto de Lacan terminó por confundirse con la idea de individuo. ¿Por qué sucede esta cesura si, precisamente, Lacan se ocupó todo el tiempo de diferenciarlos? Conforme con ciertos desarrollos de la ciencia contemporánea, diremos que existe en Occidente una orientación hacia la substancialización de toda idea o concepto, a suponer para todo ente la presencia de una substancia material que da cuenta de su existencia en el mundo. La hipótesis que sostendré, entonces, y que intentará explicar dicha orientación reza de la siguiente manera: la ontología clásica (desde Aristóteles hasta avanzado el siglo XX) ha sidopensada y conceptualizada de tal forma que, en general, la ciencia devino con una fuerte orientación hacia el pensamiento substancial. ¿Por qué plantear el problema de la ontología? Porque considero que el psicoanálisis lacaniano, si pretende ser fiel a la novedad fundada por Lacan en torno al concepto de sujeto, hoy más que nunca debe repensar la ontología sobre la cual funcionan sus conceptos fundamentales. Por ejemplo, toda la potencialidad de lasubversión llevada a cabo por Lacan en torno al concepto de sujeto se vería reducida si su formalización se efectuara a partir de la ontología clásica. Porque la ontología clásica supone, entre otras consecuencias formales, las ideas de identidad y de profundidad (tridimensionalidad). Una orientación de pensamiento contraria a la que Lacan propuso para pensar su concepto de sujeto. Koyré sostuvo que nuestro sentido común es medieval, yo agregaría que nuestro sentido común supone formalmente una ontología clásica, es decir, euclidiana, aristotélica y substancialista. En lo relativo a la configuración de esta ontología clásica, euclidiana, que hace sentido común, no sólo juega un papel la consolidación del verbo ser como cópula en la estructura de las lenguas indoeuropeas sino que también incide el sistema nominativo acusativo. La estructura gramatical de las lenguas indoeuropeas establece a través de los universales cierta relación, quizá de semejanza, entre los verbos ser y estar. Serna Arango (2007) dice que este paso también es clave en la consolidación de la ontología euclidiana, y que podríamos remontar ese paso a través del estudio de tres maniobras acontecidas en la historia de Occidente. La primera fue a través del enunciado atributivo que tuvo lugar con la función sintáctica del verbo ser como cópula. La segunda, cuando Aristóteles postuló la relación del ser con la substancia, cuando en su metafísica preguntaba qué era el ente. Y esa pregunta equivalía a qué es la substancia. No ha sido una casualidad que el concepto de ousía derivara hacia el concepto de ser hasta homologarse. Benveniste, en Categorías del pensamiento y categorías de la lengua (1999), hace mención a que, sin duda, fue desde una reflexión filosófica sobre el ser de donde surgió el sustantivo abstracto derivado del ser. Ello es lo que hemos visto crearse en el curso de la historia, sostiene Benveniste, primero en el pitagorismo dorio y en Platón y después con Aristóteles. La tercera maniobra también alude a Aristóteles, a cuando este definió ousía como hipokeimenon, es decir, ousía como sujeto, como substrato último de toda cualidad y como género. En la Metafísica, Aristóteles expone que la 'substancia se dice en dos sentidos: el sujeto último, que ya no se predica de otro y lo que, siendo algo determinado, también es separable' (Aristóteles, 2007:248)

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La popularidad de las biografías noveladas en los años 20-30 del siglo XX en España se hace notar en las ediciones de la Revista de Occidente, en las que se publican tanto textos extranjeros como biografías escritas por Fernando Vela, Benjamín Jarnés o Rosa Chacel. Definidas por los propios autores como producciones 'entre la historia y la literatura', cuyo proceso de creación se basa en la evocación o intuición de la vida biografiada, la biografía se aleja de la 'imparcialidad documental del historiador' para penetrar en el 'punto de vista del escritor'. Nuestro trabajo pretende mostrar la importancia que adquiere este género dentro de la Revista de Occidente, al operar como una especie legitimador de la teoría 'vitalista' y el perspectivismo de Ortega y Gasset, una vez que invierte el concepto de historia, que deja de ser un proceso colectivo para convertirse en la expresión de un ser en el mundo y establece el protagonismo del individuo, sea el biógrafo o el biografiado