950 resultados para INFARTO DEL MIOCARDIO


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JUSTIFICATIVA E OBJETIVOS: Estudo longitudinal, prospectivo, aleatório e encoberto para avaliar a influência do local de inserção do dreno pleural, de PVC atóxico, na função pulmonar e na dor pós-operatória dos pacientes submetidos à revascularização do miocárdio nos três primeiros dias pós-cirúrgicos e logo após a retirada do dreno. PACIENTES E MÉTODOS: Trinta e seis pacientes escalados para cirurgia eletiva de revascularização do miocárdio, com uso de circulação extracorpórea (CEC), em dois grupos: grupo SX (dreno subxifoide) e grupo IC (dreno intercostal). Feitos registros espirométricos, da gasometria arterial e da dor. RESULTADOS: Trinta e um pacientes analisados, 16 no grupo SX e 15 no grupo IC. O grupo SX apresentou valores espirométricos maiores do que o grupo IC (p < 0,05) no pós-operatório (PO), denotando menor influência do local do dreno na respiração. A PaO2 arterial no segundo PO aumentou significantemente no grupo SX quando comparada com o grupo IC (p < 0,0188). A intensidade da dor no grupo SX, antes e após a espirometria, era menor do que no grupo IC (p < 0,005). Houve aumento significativo dos valores espirométricos em ambos os grupos após a retirada do dreno pleural. CONCLUSÃO: A inserção do dreno na região subxifoide altera menos a função pulmonar, provoca menos desconforto e possibilita uma melhor recuperação dos parâmetros respiratórios.

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FUNDAMENTO: A Contração Pós-Repouso (CPR) do músculo cardíaco fornece informações indiretas sobre a manipulação de cálcio intracelular. OBJETIVO: Nosso objetivo foi estudar o comportamento da CPR e seus mecanismos subjacentes em camundongos com infarto do miocárdio. MÉTODOS: Seis semanas após a oclusão coronariana, a contratilidade dos Músculos Papilares (MP) obtidos a partir de camundongos submetidos à cirurgia sham (C, n = 17), com infarto moderado (MMI, n = 10) e grande infarto (LMI, n = 14), foi avaliada após intervalos de repouso de 10 a 60 segundos antes e depois da incubação com cloreto de lítio (Li+) em substituição ao cloreto de sódio ou rianodina (Ry). A expressão proteica de SR Ca(2+)-ATPase (SERCA2), trocador Na+/Ca2+ (NCX), fosfolambam (PLB) e fosfo-Ser (16)-PLB foi analisada por Western blotting. RESULTADOS: Os camundongos MMI apresentaram potenciação de CPR reduzida em comparação aos camundongos C. Em oposição à potenciação normal para camundongos C, foram observadas degradações de força pós-repouso nos músculos de camundongos LMI. Além disso, a Ry bloqueou a degradação ou potenciação de PRC observada em camundongos LMI e C; o Li+ inibiu o NCX e converteu a degradação em potenciação de CPR em camundongos LMI. Embora os camundongos MMI e LMI tenham apresentado diminuição no SERCA2 (72 ± 7% e 47 ± 9% de camundongos controle, respectivamente) e expressão protéica de fosfo-Ser16-PLB (75 ± 5% e 46 ± 11%, respectivamente), a superexpressão do NCX (175 ± 20%) só foi observada nos músculos de camundongos LMI. CONCLUSÃO: Nossos resultados mostraram, pela primeira vez, que a remodelação miocárdica pós-IAM em camundongos pode mudar a potenciação regular para degradação pós-repouso, afetando as proteínas de manipulação de Ca(2+) em miócitos.

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OBJETIVOS: Adaptar culturalmente o Cardiac Patients'Leaning Needs Inventory para uso no Brasil e testar sua confiabilidade (consistência interna e estabilidade) em pacientes brasileiros com doença arterial coronariana. MÉTODOS: Participaram do estudo 65 pacientes com infarto agudo do miocárdio, internados em um hospital público do interior do Estado de São Paulo. Para a coleta dos dados, foram utilizados um instrumento para caracterização sociodemográfica e a versão em português do Cardiac Patients Leaning Needs Inventory. A consistência interna foi estimada com base no alfa de Cronbach. A estabilidade foi medida apoiada no teste-reteste e calculada pelo teste t de Student. O nível de significância adotado foi 0,05. RESULTADOS: Identificou-se consistência interna alta (0,96 na primeira medida e 0,78 na segunda). O domínio que apresentou melhor consistência interna foi Fatores de Risco (α= 0,91). CONCLUSÃO: A versão adaptada manteve as equivalências conceituais, semânticas e idiomáticas da versão original e apresentou confiabilidade e estabilidade adequadas.

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Nell’ambito di questa Tesi sono state affrontate le fasi di progettazione, sviluppo e caratterizzazione di materiali biomimetici innovativi per la realizzazione di membrane e/o costrutti 3D polimerici, come supporti che mimano la matrice extracellulare, finalizzati alla rigenerazione dei tessuti. Partendo dall’esperienza di ISTEC-CNR e da un’approfondita conoscenza chimica su polimeri naturali quali il collagene, è stata affrontata la progettazione di miscele polimeriche (blends) a base di collagene, addizionato con altri biopolimeri al fine di ottimizzarne i parametri meccanici e la stabilità chimica in condizioni fisiologiche. I polimeri naturali chitosano ed alginato, di natura polisaccaridica, già noti per la loro biocompatibilità e selezionati come additivi rinforzanti per il collagene, si sono dimostrati idonei ad interagire con le catene proteiche di quest’ultimo formando blends omogenei e stabili. Al fine di ottimizzare l’interazione chimica tra i polimeri selezionati, sono stati investigati diversi processi di blending alla base dei quali è stato applicato un processo complesso di co-fibrazione-precipitazione: sono state valutate diverse concentrazioni dei due polimeri coinvolti e ottimizzato il pH dell’ambiente di reazione. A seguito dei processi di blending, non sono state registrate alterazioni sostanziali nelle caratteristiche chimiche e nella morfologia fibrosa del collagene, a riprova del fatto che non hanno avuto luogo fenomeni di denaturazione della sua struttura nativa. D’altro canto entrambe le tipologie di compositi realizzati, possiedano proprietà chimico-fisiche peculiari, simili ma non identiche a quelle dei polimeri di partenza, risultanti di una reale interazione chimica tra le due molecole costituenti il blending. Per entrambi i compositi, è stato osservato un incremento della resistenza all’attacco dell’enzima collagenasi ed elevato grado di swelling, quest’ultimo lievemente inferiore per il dispositivo contenente chitosano. Questo aspetto, negativo in generale per quanto concerne la progettazione di impianti per la rigenerazione dei tessuti, può avere aspetti positivi poiché la minore permeabilità nei confronti dei fluidi corporei implica una maggiore resistenza verso enzimi responsabili della degradazione in vivo. Studi morfologici al SEM hanno consentito di visualizzare le porosità e le caratteristiche topografiche delle superfici evidenziando in molti casi morfologie ibride che confermano il buon livello d’interazione tra le fasi; una più bassa omogeneità morfologica si è osservata nel caso dei composti collagene-alginato e solo dopo reidratazione dello scaffold. Per quanto riguarda le proprietà meccaniche, valutate in termini di elasticità e resistenza a trazione, sono state rilevate variazioni molto basse e spesso dentro l’errore sperimentale per quanto riguarda il modulo di Young; discorso diverso per la resistenza a trazione, che è risultata inferiore per i campione di collagene-alginato. Entrambi i composti hanno comunque mostrato un comportamento elastico con un minore pre-tensionamento iniziale, che li rendono promettenti nelle applicazioni come impianti per la rigenerazione di miocardio e tendini. I processi di blending messi a punto nel corso della ricerca hanno permesso di ottenere gel omogenei e stabili per mezzo dei quali è stato possibile realizzare dispositivi con diverse morfologie per diversi ambiti applicativi: dispositivi 2D compatti dall’aspetto di membrane semitrasparenti idonei per rigenerazione del miocardio e ligamenti/tendini e 3D porosi, ottenuti attraverso processi di liofilizzazione, con l’aspetto di spugne, idonei alla riparazione/rigenerazione osteo-cartilaginea. I test di compatibilità cellulare con cardiomioblasti, hanno dimostrato come entrambi i materiali compositi realizzati risultino idonei a processi di semina di cellule differenziate ed in grado di promuovere processi di proliferazione cellulare, analogamente a quanto avviene per il collagene puro.

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Solo il 60% dei candidati alla resincronizzazione cardiaca risponde in termini di rimodellamento ventricolare inverso che è il più forte predittore di riduzione della mortalità e delle ospedalizzazioni. Due cause possibili della mancata risposta sono la programmazione del dispositivo e i limiti dell’ approccio transvenoso. Nel corso degli anni di dottorato ho effettuato tre studi per ridurre il numero di non responder. Il primo studio valuta il ritardo interventricolare. Al fine di ottimizzare le risorse e fornire un reale beneficio per il paziente ho ricercato la presenza di predittori di ritardo interventricolare diverso dal simultaneo, impostato nella programmazione di base. L'unico predittore è risultato essere l’ intervallo QRS> 160 ms, quindi ho proposto una flow chart per ottimizzare solo i pazienti che avranno nella programmazione ottimale un intervallo interventricolare non simultaneo. Il secondo lavoro valuta la fissazione attiva del ventricolo sinistro con stent. I dislocamenti, la soglia alta di stimolazione del miocardio e la stimolazione del nervo frenico sono tre problematiche che limitano la stimolazione biventricolare. Abbiamo analizzato più di 200 angiografie per vedere le condizioni anatomiche predisponenti la dislocazione del catetere. Prospetticamente abbiamo deciso di utilizzare uno stent per fissare attivamente il catetere ventricolare sinistro in tutti i pazienti che presentavano le caratteristiche anatomiche favorenti la dislocazione. Non ci sono più state dislocazioni, c’è stata una migliore risposta in termini di rimodellamento ventricolare inverso e non ci sono state modifiche dei parametri elettrici del catetere. Il terzo lavoro ha valutato sicurezza ed efficacia della stimolazione endoventricolare sinistra. Abbiamo impiantato 26 pazienti giudicati non responder alla terapia di resincronizzazione cardiaca. La procedura è risultata sicura, il rischio di complicanze è simile alla stimolazione biventricolare classica, ed efficace nell’arrestare la disfunzione ventricolare sinistra e / o migliorare gli effetti clinici in un follow-up medio.

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La rotazione dell’apice del cuore è una delle espressioni della complessa cinematica del miocardio e rappresenta un importante indice di funzionalità cardiaca. Disporre di un sensore impiantabile che permetta un monitoraggio continuo di tale parametro consentirebbe di individuare precocemente un deterioramento della performance cardiaca e di adattare tempestivamente la terapia. L’obiettivo del lavoro di tesi è la realizzazione di un sistema di acquisizione dati per segnali provenienti da un giroscopio MEMS triassiale da utilizzarsi per lo studio della cinematica cardiaca, in particolare della rotazione del cuore. Per leggere e decodificare i segnali digitali in uscita dal giroscopio MEMS triassiale utilizzato (CMR3100, VTI Technologies) è stata progettata e sviluppata un’unità di condizionamento composta da una board Arduino ADK, associata ad un adattatore di tensione PCA9306 e a 3 convertitori digitali/analogici MCP4921, che ha richiesto lo sviluppo di software per la gestione del protocollo di comunicazione e della decodifica del segnale digitale proveniente dal sensore. Per caratterizzare e validare il sistema realizzato sono state effettuate prove di laboratorio, che hanno permesso di individuare i parametri di lavoro ottimali del sensore. Una prima serie di prove ha dimostrato come l’unità di condizionamento realizzata consenta di acquisire i segnali con una velocità di processo elevata (1 kHz) che non comporta perdita di dati in uscita dal sensore. Successivamente, attraverso un banco prova di simulazione appositamente assemblato allo scopo di riprodurre rotazioni cicliche nel range dei valori fisio-patologici, è stato quantificato lo sfasamento temporale (St) tra il segnale rilevato dal CMR3100 e decodificato dall'unità di condizionamento e un segnale analogico in uscita da un giroscopio analogico, ottenendo un valore medio St=4 ms. Attraverso lo stesso banco di simulazione, è stata infine dimostrata una buona accuratezza (errore percentuale <10%) nella misura dell'angolo di rotazione derivato dal segnale di velocità angolare rilevato direttamente dal sensore CRM300.

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Scopo della tesi è illustrare l’evoluzione delle tecniche ecocardiografiche relativamente alla diagnosi precoce della cardiotossicità. L’elaborato espone le modalità di imaging ecocardiografico che vengono utilizzate per diagnosticare la cardiotossicità a partire dall’ecocardiografia bidimensionale, fino alle tecniche tridimensionali con acquisizione in tempo reale, attualmente in evoluzione. Si analizzano le varie tecniche diagnostiche rese disponibili dall’esame ecocardiografico: ecocardiografia a contrasto, doppler ad onda continua e pulsata e color doppler, e i metodi e le stime attraverso i quali è possibile quantificare i volumi cardiaci, indici della funzionalità del miocardio. La frazione di eiezione è infatti stata, fino ad ora, il parametro di riferimento per la verifica di lesioni cardiache riportate a seguito di terapia antitumorale. La cardiotossicità viene riscontrata per riduzioni dei valori della frazione di eiezione da ≥5% a <55% con sintomi di scompenso cardiaco e riduzione asintomatica da ≥10% al 55%. Tuttavia, l’osservazione di questo parametro, permette di quantificare il danno riportato quando ormai ha avuto ripercussioni funzionali. In campo clinico, si sta imponendo, al giorno d’oggi, l’analisi delle deformazioni cardiache per una valutazione precoce dell’insorgenza della cardiotossicità. Lo studio delle deformazioni cardiache viene effettuato tramite una nuova tecnica di imaging: l’ecocardiografia speckle tracking (STE), che consente un’analisi quantitativa e oggettiva, poiché indipendente dall’angolo di insonazione, della funzionalità miocardica sia globale sia locale, analizzando le dislocazioni spaziali degli speckles, punti generati dall’interazione tra ultrasuoni e fibre miocardiche. I parametri principali estrapolati dall’indagine sono: deformazione longitudinale, deformazione radiale e deformazione circonferenziale che descrivono la meccanica del muscolo cardiaco derivante dall’anatomia delle fibre miocardiche. La STE sviluppata inizialmente in 2D, è disponibile ora anche in 3D, permettendo la valutazione del vettore delle dislocazioni lungo le tre dimensioni e non più limitatamente ad un piano. Un confronto tra le due mostra come nella STE bidimensionale venga evidenziata una grande variabilità nella misura delle dislocazioni mentre la 3D mostra un pattern più uniforme, coerente con la normale motilità delle pareti cardiache. La valutazione della deformazione longitudinale globale (GLS), compiuta tramite ecocardiografia speckle tracking, viene riconosciuta come indice quantitativo della funzione del ventricolo sinistro le cui riduzioni sono predittive di cardiotossicità. Queste riduzioni vengono riscontrate anche per valori di frazioni di eiezione normale: ne risulta che costituiscono un più efficace e sensibile indicatore di cardiotossicità e possono essere utilizzate per la sua diagnosi precoce.

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L’imaging ad ultrasuoni è una tecnica di indagine utilizzata comunemente per molte applicazioni diagnostiche e terapeutiche. La tecnica ha numerosi vantaggi: non è invasiva, fornisce immagini in tempo reale e l’equipaggiamento necessario è facilmente trasportabile. Le immagini ottenute con questa tecnica hanno tuttavia basso rapporto segnale rumore a causa del basso contrasto e del rumore caratteristico delle immagini ad ultrasuoni, detto speckle noise. Una corretta segmentazione delle strutture anatomiche nelle immagini ad ultrasuoni è di fondamentale importanza in molte applicazioni mediche . Nella pratica clinica l’identificazione delle strutture anatomiche è in molti casi ancora ottenuta tramite tracciamento manuale dei contorni. Questo processo richiede molto tempo e produce risultati scarsamente riproducibili e legati all’esperienza del clinico che effettua l’operazione. In ambito cardiaco l’indagine ecocardiografica è alla base dello studio della morfologia e della funzione del miocardio. I sistemi ecocardiografici in grado di acquisire in tempo reale un dato volumetrico, da pochi anni disponibili per le applicazioni cliniche, hanno dimostrato la loro superiorità rispetto all’ecocardiografia bidimensionale e vengono considerati dalla comunità medica e scientifica, la tecnica di acquisizione che nel futuro prossimo sostituirà la risonanza magnetica cardiaca. Al fine di sfruttare appieno l’informazione volumetrica contenuta in questi dati, negli ultimi anni sono stati sviluppati numerosi metodi di segmentazione automatici o semiautomatici tesi alla valutazione della volumetria del ventricolo sinistro. La presente tesi descrive il progetto, lo sviluppo e la validazione di un metodo di segmentazione ventricolare quasi automatico 3D, ottenuto integrando la teoria dei modelli level-set e la teoria del segnale monogenico. Questo approccio permette di superare i limiti dovuti alla scarsa qualità delle immagini grazie alla sostituzione dell’informazione di intensità con l’informazione di fase, che contiene tutta l’informazione strutturale del segnale.

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Antecedentes: el strain longitudinal global (SLG) es una herramienta diagnóstica útil en definidos escenarios clínicos, como el de la valoración de disfunción sistólica precoz. Existen varios métodos para su cuantificación y escasas referencias del método Vector velocity imaging (VVI) que validen sus valores normales para el ventrículo izquierdo y el derecho (VI, VD). Objetivo: conocer cifras normales del SLG del VI y del VD por método VVI en población sana y compararlas con series internacionales por igual método. Valorar su correlación con otras medidas de función sistólica, medidas antropométricas y hemodinámicas. Material y métodos: se trata de un estudio prospectivo, observacional, utilizando el strain longitudinal por método VVI en voluntarios sanos. Se seleccionó una muestra de conveniencia de 57 sujetos sanos -edad ³18 años-, reclutados de manera prospectiva. Se realizó cuestionario y examen físico, ecocardiograma Doppler color y strain longitudinal regional y global del VI y del VD. Para el análisis de los datos se dividió la población por sexo, y se compararon los datos de SLGVI y SLGVD obtenidos, con los de otra población de referencia internacional. Resultado: se incluyeron 52 pacientes. Los valores del SLG VI: -19,8 ± 1,7%; SLG VD: -20,9% ± 2,9%. La comparación en cuanto a diferencias de medias entre nuestra población y la de referencia internacional para el VI (%) con igual método de análisis: 0,04 (95%IC -0,51 - 0,52; p: 0,98). Comparando con el trabajo de VD (%): -0,5 (95%IC -1,2 - 0,17; p: 0,13). Conclusión: evaluamos en forma detallada la deformación normal del miocardio en una cohorte amplia de voluntarios sanos y expusimos por vez primera para la región y por método de strain (VVI) valores de referencia de SLG y regional del VI y VD. No se encontraron diferencias con series internacionales en la media de SLG del VI y VD.

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The goal of this trial was to study the long-term effects of intravenous (IV) metoprolol administration before reperfusion on left ventricular (LV) function and clinical events. Early IV metoprolol during ST-segment elevation myocardial infarction (STEMI) has been shown to reduce infarct size when used in conjunction with primary percutaneous coronary intervention (pPCI). The METOCARD-CNIC (Effect of Metoprolol in Cardioprotection During an Acute Myocardial Infarction) trial recruited 270 patients with Killip class ≤II anterior STEMI presenting early after symptom onset (<6 h) and randomized them to pre-reperfusion IV metoprolol or control group. Long-term magnetic resonance imaging (MRI) was performed on 202 patients (101 per group) 6 months after STEMI. Patients had a minimal 12-month clinical follow-up. Left ventricular ejection fraction (LVEF) at the 6 months MRI was higher after IV metoprolol (48.7 ± 9.9% vs. 45.0 ± 11.7% in control subjects; adjusted treatment effect 3.49%; 95% confidence interval [CI]: 0.44% to 6.55%; p = 0.025). The occurrence of severely depressed LVEF (≤35%) at 6 months was significantly lower in patients treated with IV metoprolol (11% vs. 27%, p = 0.006). The proportion of patients fulfilling Class I indications for an implantable cardioverter-defibrillator (ICD) was significantly lower in the IV metoprolol group (7% vs. 20%, p = 0.012). At a median follow-up of 2 years, occurrence of the pre-specified composite of death, heart failure admission, reinfarction, and malignant arrhythmias was 10.8% in the IV metoprolol group versus 18.3% in the control group, adjusted hazard ratio (HR): 0.55; 95% CI: 0.26 to 1.04; p = 0.065. Heart failure admission was significantly lower in the IV metoprolol group (HR: 0.32; 95% CI: 0.015 to 0.95; p = 0.046). In patients with anterior Killip class ≤II STEMI undergoing pPCI, early IV metoprolol before reperfusion resulted in higher long-term LVEF, reduced incidence of severe LV systolic dysfunction and ICD indications, and fewer heart failure admissions.

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It is widely accepted that edema occurs early in the ischemic zone and persists in stable form for at least 1 week after myocardial ischemia/reperfusion. However, there are no longitudinal studies covering from very early (minutes) to late (1 week) reperfusion stages confirming this phenomenon. This study sought to perform a comprehensive longitudinal imaging and histological characterization of the edematous reaction after experimental myocardial ischemia/reperfusion. The study population consisted of 25 instrumented Large-White pigs (30 kg to 40 kg). Closed-chest 40-min ischemia/reperfusion was performed in 20 pigs, which were sacrificed at 120 min (n = 5), 24 h (n = 5), 4 days (n = 5), and 7 days (n = 5) after reperfusion and processed for histological quantification of myocardial water content. Cardiac magnetic resonance (CMR) scans with T2-weighted short-tau inversion recovery and T2-mapping sequences were performed at every follow-up stage until sacrifice. Five additional pigs sacrificed after baseline CMR served as controls. In all pigs, reperfusion was associated with a significant increase in T2 relaxation times in the ischemic region. On 24-h CMR, ischemic myocardium T2 times returned to normal values (similar to those seen pre-infarction). Thereafter, ischemic myocardium-T2 times in CMR performed on days 4 and 7 after reperfusion progressively and systematically increased. On day 7 CMR, T2 relaxation times were as high as those observed at reperfusion. Myocardial water content analysis in the ischemic region showed a parallel bimodal pattern: 2 high water content peaks at reperfusion and at day 7, and a significant decrease at 24 h. Contrary to the accepted view, myocardial edema during the first week after ischemia/reperfusion follows a bimodal pattern. The initial wave appears abruptly upon reperfusion and dissipates at 24 h. Conversely, the deferred wave of edema appears progressively days after ischemia/reperfusion and is maximal around day 7 after reperfusion.

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Pre-reperfusion administration of intravenous (IV) metoprolol reduces infarct size in ST-segment elevation myocardial infarction (STEMI). This study sought to determine how this cardioprotective effect is influenced by the timing of metoprolol therapy having either a long or short metoprolol bolus-to-reperfusion interval. We performed a post hoc analysis of the METOCARD-CNIC (effect of METOprolol of CARDioproteCtioN during an acute myocardial InfarCtion) trial, which randomized anterior STEMI patients to IV metoprolol or control before mechanical reperfusion. Treated patients were divided into short- and long-interval groups, split by the median time from 15 mg metoprolol bolus to reperfusion. We also performed a controlled validation study in 51 pigs subjected to 45 min ischemia/reperfusion. Pigs were allocated to IV metoprolol with a long (−25 min) or short (−5 min) pre-perfusion interval, IV metoprolol post-reperfusion (+60 min), or IV vehicle. Cardiac magnetic resonance (CMR) was performed in the acute and chronic phases in both clinical and experimental settings. For 218 patients (105 receiving IV metoprolol), the median time from 15 mg metoprolol bolus to reperfusion was 53 min. Compared with patients in the short-interval group, those with longer metoprolol exposure had smaller infarcts (22.9 g vs. 28.1 g; p = 0.06) and higher left ventricular ejection fraction (LVEF) (48.3% vs. 43.9%; p = 0.019) on day 5 CMR. These differences occurred despite total ischemic time being significantly longer in the long-interval group (214 min vs. 160 min; p < 0.001). There was no between-group difference in the time from symptom onset to metoprolol bolus. In the animal study, the long-interval group (IV metoprolol 25 min before reperfusion) had the smallest infarcts (day 7 CMR) and highest long-term LVEF (day 45 CMR). In anterior STEMI patients undergoing primary angioplasty, the sooner IV metoprolol is administered in the course of infarction, the smaller the infarct and the higher the LVEF. These hypothesis-generating clinical data are supported by a dedicated experimental large animal study.

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The impact of intravenous (IV) beta-blockers before primary percutaneous coronary intervention (PPCI) on infarct size and clinical outcomes is not well established. This study sought to conduct the first double-blind, placebo-controlled international multicenter study testing the effect of early IV beta-blockers before PPCI in a general ST-segment elevation myocardial infarction (STEMI) population. STEMI patients presenting <12 h from symptom onset in Killip class I to II without atrioventricular block were randomized 1:1 to IV metoprolol (2 × 5-mg bolus) or matched placebo before PPCI. Primary endpoint was myocardial infarct size as assessed by cardiac magnetic resonance imaging (CMR) at 30 days. Secondary endpoints were enzymatic infarct size and incidence of ventricular arrhythmias. Safety endpoints included symptomatic bradycardia, symptomatic hypotension, and cardiogenic shock. A total of 683 patients (mean age 62 ± 12 years; 75% male) were randomized to metoprolol (n = 336) or placebo (n = 346). CMR was performed in 342 patients (54.8%). Infarct size (percent of left ventricle [LV]) by CMR did not differ between the metoprolol (15.3 ± 11.0%) and placebo groups (14.9 ± 11.5%; p = 0.616). Peak and area under the creatine kinase curve did not differ between both groups. LV ejection fraction by CMR was 51.0 ± 10.9% in the metoprolol group and 51.6 ± 10.8% in the placebo group (p = 0.68). The incidence of malignant arrhythmias was 3.6% in the metoprolol group versus 6.9% in placebo (p = 0.050). The incidence of adverse events was not different between groups. In a nonrestricted STEMI population, early intravenous metoprolol before PPCI was not associated with a reduction in infarct size. Metoprolol reduced the incidence of malignant arrhythmias in the acute phase and was not associated with an increase in adverse events.

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Cardiogenic shock (CS) has a poor prognosis. The heterogeneity in the mortality through different subgroups suggests that some factors can be useful to perform risk stratification and guide management. We aimed to find predictors of in-hospital mortality in these patients. We analyzed all cases of cardiogenic shock due to medical conditions admitted in our intensive acute cardiovascular care unity from November 2010 till November 2015. Clinical, biochemical and hemodynamic variables were registered, as was the Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support (INTERMACS) profile at 24 h of CS diagnosis. From a total of 281 patients, 28 died within the first 24 h and were not included in the analysis. A total of 253 patients survived the first 24 h, mean age was 68.8 ± 14.4 years, and 174 (68.8%) were men. Etiologies: acute coronary syndrome 146 (57.7%), acute heart failure 60 (23.7%), arrhythmias 35 (13.8%), and others 12 (4.8%). A total of 91 patients (36.0%) died during hospitalization. We found the following independent predictors of in-hospital mortality: age (odds ratio [OR] 1.032, 95% confidence interval [CI] 1.003–1.062), blood glucose (OR 1.004, 95% CI 1.001–1.008), heart rate (OR 1.014, 95% CI 1.001–1.028), and INTERMACS profile (OR 0.168, 95% CI 0.107–0.266). In patients with CS the INTERMACS profile at 24 h of diagnosis was associated with higher in-hospital mortality. This and other prognostic variables (age, blood glucose, and heart rate) may be useful for risk stratification and to select appropriate medical or invasive interventions.

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We seek to examine the efficacy and safety of prereperfusion emergency medical services (EMS)–administered intravenous metoprolol in anterior ST-segment elevation myocardial infarction patients undergoing eventual primary angioplasty. This is a prespecified subgroup analysis of the Effect of Metoprolol in Cardioprotection During an Acute Myocardial Infarction trial population, who all eventually received oral metoprolol within 12 to 24 hours. We studied patients receiving intravenous metoprolol by EMS and compared them with others treated by EMS but not receiving intravenous metoprolol. Outcomes included infarct size and left ventricular ejection fraction on cardiac magnetic resonance imaging at 1 week, and safety by measuring the incidence of the predefined combined endpoint (composite of death, malignant ventricular arrhythmias, advanced atrioventricular block, cardiogenic shock, or reinfarction) within the first 24 hours. From the total population of the trial (N=270), 147 patients (54%) were recruited during out-of-hospital assistance and transferred to the primary angioplasty center (74 intravenous metoprolol and 73 controls). Infarct size was smaller in patients receiving intravenous metoprolol compared with controls (23.4 [SD 15.0] versus 34.0 [SD 23.7] g; adjusted difference –11.4; 95% confidence interval [CI] –18.6 to –4.3). Left ventricular ejection fraction was higher in the intravenous metoprolol group (48.1% [SD 8.4%] versus 43.1% [SD 10.2%]; adjusted difference 5.0; 95% CI 1.6 to 8.4). Metoprolol administration did not increase the incidence of the prespecified safety combined endpoint: 6.8% versus 17.8% in controls (risk difference –11.1; 95% CI –21.5 to –0.6). Out-of-hospital administration of intravenous metoprolol by EMS within 4.5 hours of symptom onset in our subjects reduced infarct size and improved left ventricular ejection fraction with no excess of adverse events during the first 24 hours.