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OBJETIVO: Investigar a associação entre índice glicêmico (IG) e/ou carga glicêmica (CG) da dieta e síndrome metabólica (SM). MÉTODOS: Trata-se de estudo documental e do tipo caso-controle, com uma amostra de 229 idosos. Calcularam-se o IG e a CG, classificando-os em adequado (baixo) e inadequado (moderado e alto). Calculou-se ainda a prevalência de consumo dos alimentos, consumidos por pelo menos metade dos avaliados. A análise estatística dos dados foi efetuada por meio do teste c² e teste t de Student. Adotou-se p < 0,05 como nível de significância. RESULTADOS: Dos indivíduos estudados (n = 229), 74,2% pertenciam ao sexo feminino. A média de idade do grupo foi de 70,1 (6,4) anos. A média diária de IG do grupo caso foi de 62,3 (6,5), e do grupo controle de 62,1 (6,1), com p = 0,864. As médias diárias de CG não foram estatisticamente diferentes (p = 0,212), sendo a do grupo caso de 99,8 (33,8) e do grupo controle de 108,9 (45,7). Os alimentos consumidos tanto pelos casos como pelos controles, com maior contribuição ao IG, foram: pão, arroz, banana e açúcar refinado. CONCLUSÃO: No grupo avaliado, não houve associação entre índice glicêmico e carga glicêmica dietéticos e síndrome metabólica. O padrão identificado, no entanto, coloca portadores e não portadores em situação de risco à saúde, merecendo ações educativas.
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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.
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Bei dem 2010 von unserer Arbeitsgruppe entdeckten Mega-Hämocyanin handelt es sich um einen stark abgewandelten Typ des respiratorischen Proteins Hämocyanin, bestehend aus zwei flankierenden regulären Dekameren und einem zentralen Mega-Dekamer. Diese sind aus zwei immunologisch verschiedenen Untereinheiten mit ~400 bzw. ~550 kDa aufgebaut, die in unserer Arbeitsgruppe bereits proteinbiochemisch charakterisiert wurden. Im Zuge dieser Untersuchungen konnte zudem eine 3D-Rekonstruktion des Oligomers (13,5 MDa) mit einer Auflösung von 13Å erstellt werden. Das Ziel der vorliegenden Arbeit war die Aufklärung der Primärstruktur beider Polypeptide bei der Schnecke Melanoides tuberculata (MtH). Es gelang, die cDNAs der beiden Untereinheiten vollständig zu sequenzieren. Die zu typischen Dekameren assemblierende MtH400-Untereinheit umfasst 3445 Aminosäuren und besitzt eine theoretische Molekularmasse von 390 kDa. Nach dem Signalpeptid von 23 Aminosäuren Länge folgen die für Gastropoden-Hämocyanine typischen funktionellen Einheiten FU-a bis FU-h. Insgesamt verfügt die MtH400-Untereinheit über sechs potentielle N-Glykosylierungsstellen. Die MtH550-Untereinheit, welche mit 10 Kopien das Mega-Dekamer bildet, umfasst 4999 Aminosäuren und besitzt eine theoretische Molekularmasse von 567 kDa. Damit handelt es sich bei dieser Untereinheit um die zweitgrößte jemals bei einem Protein detektierte Polypeptidkette. Die MtH550-Untereinheit besteht aus einem Signalpeptid von 20 Aminosäuren Länge und den typischen Wand-FUs (FU-a bis FU-f). Daran anschließend folgen sechs weitere Varianten der FU-f (FU-f1 bis FU-f6). Die MtH550-Untereinheit verfügt über insgesamt zwölf potentielle N-Glykosylierungsstellen. Anhand der ermittelten Primärstrukturdaten wird klar, dass der auffällig vergrößerte Kragenbereich des Mega-Dekamers aus je 10 Kopien der FU-f1 bis FU-f6 besteht. Die ermittelten Sequenzdaten der beiden MtH-Untereinheiten weisen im Vergleich zu anderen Hämocyanin Sequenzen einige sehr charakteristische Indels sowie unübliche N-Glykosylierungsstellen auf. Es war zudem möglich, anhand einer molekularen Uhr den Entstehungszeitpunkt des Mega-Hämocyanins zu datieren (145 ± 35 MYA). Sowohl die Topologie als auch die berechneten Trennungszeitpunkte des an allen Verzweigungen gut unterstützten Stammbaums stimmen mit den bisher publizierten und auf Hämocyanindaten basierenden molekularen Uhren überein.
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The European LeukemiaNet (ELN), workpackage 10 (WP10) was designed to deal with diagnosis matters using morphology and immunophenotyping. This group aimed at establishing a consensus on the required reagents for proper immunophenotyping of acute leukemia and lymphoproliferative disorders. Animated discussions within WP10, together with the application of the Delphi method of proposals circulation, quickly led to post-consensual immunophenotyping panels for disorders on the ELN website. In this report, we established a comprehensive description of these panels, both mandatory and complementary, for both types of clinical conditions. The reason for using each marker, sustained by relevant literature information, is provided in detail. With the constant development of immunophenotyping techniques in flow cytometry and related software, this work aims at providing useful guidelines to perform the most pertinent exploration at diagnosis and for follow-up, with the best cost benefit in diseases, the treatment of which has a strong impact on health systems.
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Background Osteoarthritis is the most common form of joint disorder and a leading cause of pain and physical disability. Observational studies suggested a benefit for joint lavage, but recent, sham-controlled trials yielded conflicting results, suggesting joint lavage not to be effective. Objectives To compare joint lavage with sham intervention, placebo or non-intervention control in terms of effects on pain, function and safety outcomes in patients with knee osteoarthritis. Search methods We searched CENTRAL, MEDLINE, EMBASE, and CINAHL up to 3 August 2009, checked conference proceedings, reference lists, and contacted authors. Selection criteria We included studies if they were randomised or quasi-randomised trials that compared arthroscopic and non-arthroscopic joint lavage with a control intervention in patients with osteoarthritis of the knee. We did not apply any language restrictions. Data collection and analysis Two independent review authors extracted data using standardised forms. We contacted investigators to obtain missing outcome information. We calculated standardised mean differences (SMDs) for pain and function, and risk ratios for safety outcomes. We combined trials using inverse-variance random-effects meta-analysis. Main results We included seven trials with 567 patients. Three trials examined arthroscopic joint lavage, two non-arthroscopic joint lavage and two tidal irrigation. The methodological quality and the quality of reporting was poor and we identified a moderate to large degree of heterogeneity among the trials (I2 = 65%). We found little evidence for a benefit of joint lavage in terms of pain relief at three months (SMD -0.11, 95% CI -0.42 to 0.21), corresponding to a difference in pain scores between joint lavage and control of 0.3 cm on a 10-cm visual analogue scale (VAS). Results for improvement in function at three months were similar (SMD -0.10, 95% CI -0.30 to 0.11), corresponding to a difference in function scores between joint lavage and control of 0.2 cm on a WOMAC disability sub-scale from 0 to 10. For pain, estimates of effect sizes varied to some degree depending on the type of lavage, but this variation was likely to be explained by differences in the credibility of control interventions: trials using sham interventions to closely mimic the process of joint lavage showed a null-effect. Reporting on adverse events and drop out rates was unsatisfactory, and we were unable to draw conclusions for these secondary outcomes. Authors' conclusions Joint lavage does not result in a relevant benefit for patients with knee osteoarthritis in terms of pain relief or improvement of function.
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To evaluate the impact of a national HIV voluntary counselling and testing (VCT) campaign on presentation to HIV care in a rural population in Tanzania.
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To compare the magnetic resonance (MR) imaging findings in patients with acute whiplash injury with those in matched control subjects.
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Pulmonary fat embolism (PFE) is frequently encountered in blunt trauma. The clinical manifestation ranges from no impairment in light cases to death due to right-sided heart failure or hypoxaemia in severe cases. Occasionally, pulmonary fat embolism can give rise to a fat embolism syndrome (FES), which is marked by multiorgan failure, respiratory disorders, petechiae and often death. It is well known that fractures of long bones can lead to PFE. Several authors have argued that PFE can arise due to mere soft tissue injury in the absence of fractures, a claim other authors disagree upon. In this study, we retrospectively examined 50 victims of blunt trauma with regard to grade and extent of fractures and crushing of subcutaneous fatty tissue and presence and severity of PFE. Our results indicate that PFE can arise due to mere crushing of subcutaneous fat and that the fracture grade correlated well with PFE severity (p = 0.011). The correlation between PFE and the fracture severity (body regions affected by fractures and fracture grade) showed a lesser significant correlation (p = 0.170). The survival time (p = 0.567), the amount of body regions affected by fat crushing (p = 0.336) and the fat crush grade (p = 0.485) did not correlate with the PFE grade, nor did the amount of body regions affected by fractures. These results may have clinical implications for the assessment of a possible FES development, as, if the risk of a PFE is known, preventive steps can be taken.
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Self-control is a prerequisite for complex cognitive processes such as cooperation and planning. As such, comparative studies of self-control may help elucidate the evolutionary origin of these capacities. A variety of methods have been developed to test for self-control in non-human primates that include some variation of foregoing an immediate reward in order to gain a more favorable reward. We used a token exchange paradigm to test for self-control in capuchin monkeys (Cebus apella). Animals were trained that particular tokens could be exchanged for food items worth different values. To test for self-control, a monkey was provided with a token that was associated with a lower-value food. When the monkey exchanged the token, the experimenter provided the monkey with a choice between the lower-value food item associated with the token or another token that was associated with a higher-value food. If the monkey chose the token, they could then exchange it for the higher-value food. Of seven monkeys trained to exchange tokens, five demonstrated that they attributed value to the tokens by differentially selecting tokens for higher-value foods over tokens for lower-value foods. When provided with a choice between a food item or a token for a higher-value food, two monkeys selected the token significantly more than expected by chance. The ability of capuchin monkeys to forego an immediate food reward and select a token that could then be traded for a more preferred food demonstrated some degree of self-control. Thus, results suggest a token exchange paradigm could be a successful technique for assessing self-control in this New World species.