563 resultados para Vasculatura venosa


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Las diferencias individuales ante cualquier estímulo son parte de la condición humana, y reflejan nuestra diversidad genética, así como la influencia del entorno. Conocer el papel que juegan las variaciones genéticas o polimorfismos, es vital para entender de forma integral la respuesta del organismo al ejercicio. Por tanto, el presente trabajo tiene como objetivo fundamental definir el posible rol de tres variantes genéticas en el metabolismo energético durante la realización de ejercicio físico. Más concretamente, los objetivos principales son, por un lado, observar si existen diferencias en la respuesta láctica en sangre capilar y venosa en función del polimorfismo A1470T del gen del Transportador de Monocarboxilatos 1 (MCT1) (rs1049434). Por otro lado, el segundo objetivo es estudiar si presencia del polimorfismo del gen MCT1 determina parcialmente la máxima concentración de lactato en sangre venosa alcanzada durante diferentes protocolos de circuitos de fuerza. Por último, los objetivos tercero y cuarto se centran en analizar si existen diferencias en las ratios de acilcarnitinas en sangre, que reflejan la actividad de la Carnitina Palmitoiltransferasa II (CPTII), en función de los polimorfismo Val368Ile (rs1799821) y Met647Val (rs1799822) del gen de la CPTII (CPT2) durante la realización de una sesión de Circuito Mixto de musculación-aeróbico. Para la consecución de estos objetivos se realizaron dos estudios (Piloto y General). En el primero de ellos (Estudio Piloto) 10 hombres estudiantes de la Licenciatura en Ciencias de la Actividad Física y del Deporte (CCAFD) realizaron 6 sesiones de fuerza en circuito. En días no continuados y a una intensidad diferente (30%, 40%, 50%, 60%, 70% u 80% de la 15 repetición máxima, 15RM), los sujetos ejecutaron tres vueltas a un mismo circuito de 8 ejercicios. A lo largo de la sesión se tomaron muestras de sangre capilar para el análisis de la concentración de lactato. En el Estudio General, 15 hombres y 14 mujeres estudiantes de la Licenciatura en CCAFD realizaron 3 protocolos de fuerza en circuito, al 70% de la 15 RM y al 70% de la reserva de la frecuencia cardiaca. Cada día ejecutaron un protocolo diferente: Circuito de Máquinas, Circuito de Peso Libre o Circuito Mixto de musculación- aeróbico, completando en cada uno tres vueltas. Durante cada una de las sesiones se extrajeron muestras de sangre venosa para el análisis de la concentración de lactato y del perfil de acilcarnitinas. Los resultados del presente trabajo evidencian que los sujetos portadores del polimorfismo A1470T del MCT1 (genotipos AT y TT) tienen un comportamiento de lactato diferente que los sujetos no portadores (genotipo AA) cuando se someten a diferentes circuitos de fuerza. En el Estudio Piloto los portadores tuvieron mayor pendiente de acumulación de lactato capilar a la intensidad del 80% de la 15RM, mientras que en el Estudio General los sujetos homocigotos para la variante genética (TT) registraron menores concentraciones de lactato venoso que los homocigotos normales (AA) durante el Circuito de Máquinas. No podemos concluir si esta diferencia de resultados se deriva del tipo de sangre analizada (capilar VS. venosa), de la existencia de un efecto umbral para el transportador o de una bidireccionalidad del MCT1, aunque la hipótesis de bidireccionalidad parece la más integradora. En el grupo de mujeres, no se observó un patrón claro de diferencias entre grupos genéticos por lo que no podemos concluir si el polimorfismo tiene efecto o no en este sexo. En el estudio 2 del Estudio General, la inclusión la variante del MCT1 como variable predictora cuando las variables dependientes fueron la máxima concentración de lactato venosa en los tres protocolos en conjunto, o la máxima concentración venosa durante el Circuito de Máquinas, confirma su influencia en los entrenamientos con elevada producción de lactato. No obstante, en los entrenamientos con concentraciones de lactato más bajas, parece que existen factores más determinantes para la máxima concentración que el polimorfismo del MCT1. Por último, los resultados del tercer estudio del Estudio General, aunque preliminares, sugieren que la presencia de las variantes polimórficas del CPT2 podría influir sobre el transporte de los ácidos grasos durante la realización de actividad física, particularmente en hombres. Aún así, son necesarios más estudios para confirmar, especialmente en mujeres, la influencia de ambos polimorfismos en la actividad de la CPTII.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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A vascularização tem um papel central na progressão tumoral e representa um alvo terapêutico de grande interesse. A inibição da angiogênese tem potencial de retardar a progressão tumoral e inibir metástase. Em decorrência disto, terapias anti-angiogênicas têm demonstrado ser promissora no controle do crescimento tumoral. Segundo a literatura, interferon-? (IFN?, ativador do sistema imune inato e adaptativo) e p19Arf (supressor de tumor e parceiro funcional de p53), quando estudados individualmente, alteram a vasculatura tumoral. Nosso grupo construiu e utilizou vetores adenovirais recombinantes portadores dos cDNAs de INFbeta e p19Arf e observou que a transferência desta combinação de genes induziu morte celular e diminuiu progressão tumoral, resultados foram observados em modelos murinos de melanoma B16 de terapia genica in situ, vacina profilática e vacina terapêutica. Neste trabalho, exploramos a ideia que a combinação dos vetores adenovirais portadores de INFbeta e p19Arf proporcionam efeitos anti-angiogênicos através de seu impacto em células endoteliais. Para averiguarmos essa hipótese, células endoteliais murinas (tEnd) foram transduzidas com os vetores adenovirais, revelando que o vetor Ad-p19 confere inibição da proliferação, formação de tubos, migração e induz aumento na expressão de genes relacionados a via de p53 e morte celular. O vetor Ad-IFNbeta sozinho ou adicionado em combinação com Ad-p19, não teve impacto significante nestes ensaios. Alternativamente, a influencia indireta, ou parácrina, nas células tEnd cultivadas juntamente com as células B16 transduzidas com os vetores adenovirais também foi investigada. Quando as células B16 foram transduzidas com Ad-IFNbeta ou a co-transdução Ad-IFNbeta+Ad-p19 em co-cultura com a linhagem tEnd, houve inibição da proliferação. Não observamos efeito inibitório na tEnd da co-cultura quando as células da B16 foram transduzidas somente com Ad-p19. Seguindo o ensaio de co-cultura, produzimos meio condicionado da B16 transduzida com os vetores e aplicamos esses meios nas células tEnd. Observamos que Ad-IFN, sozinho ou em combinação com Ad-19, diminuiu a viabilidade, proliferação e levou a morte das células tEnd. Neste trabalho, constamos que inibição de células endoteliais pode ser realizada por transdução direta com Ad-19 ou quando estas células são expostas ao ambiente modulado por células tumorais transduzidas com o vetor Ad-IFNbeta. Mesmo que a transferência gênica de ambos IFNbeta e p19Arf não demonstrou ser uma abordagem superior à aplicação dos genes isolados, observamos que nossa abordagem pode ter um impacto importante na inibição da angiogênese pelas células endoteliais

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INTRODUÇÃO: O transplante hepático é o único tratamento efetivo para uma variedade de doenças hepáticas irreversíveis. No entanto, o número limitado de doadores pediátricos leva ao uso de enxertos hepáticos de doadores adultos, com necessidade de anastomoses vasculares mais complexas. Essas anastomoses tornam-se complicadas pela diferença no calibre dos vasos entre o doador e o receptor, resultando em alterações do fluxo sanguíneo, estenose da anastomose venosa ou arterial e trombose. Os efeitos para regeneração hepática decorrentes da privação do fluxo sanguíneo pela veia porta ou pela artéria hepática não estão completamente elucidados. Experimentalmente, quando um lobo do fígado não recebe o fluxo venoso portal, é observada atrofia deste segmento e hipertrofia do restante do órgão perfundido. Embora existam vários modelos experimentais para estudo da regeneração hepática, poucos são focados em animais em crescimento. Além disso, os efeitos regenerativos de drogas como o tacrolimus e a insulina precisam ser pesquisados, com o objetivo de encontrar um tratamento ideal para a insuficiência hepática ou um método de estimular a regeneração do fígado após ressecções ou transplantes parciais. O objetivo do presente estudo é descrever modelos de regeneração hepática em ratos em crescimento com: 1) ausência de fluxo hepático arterial e 2) redução do fluxo portal. Adicionalmente, o estudo avalia o efeito pró-regenerativo do tacrolimus e da insulina nesses modelos descritos. MÉTODOS: cento e vinte ratos (entre 50 e 100g de peso) foram divididos em 6 grupos, de acordo com o tipo de intervenção cirúrgica: Grupo 1, incisão abdominal sem intervenção hepática; Grupo 2, hepatectomia a 70%; Grupo 3, hepatectomia a 70% + estenose de veia porta; Grupo 4, hepatectomia a 70% + ligadura da artéria hepática; Grupo 5, hepatectomia a 70% + estenose de veia porta + insulina; Grupo 6, hepatectomia a 70% + estenose de veia porta + tacrolimus. Os animais dos grupos 1 ao 4 foram subdivididos em 5 subgrupos de acordo com o momento da morte: 1, 2, 3, 5 e 10 dias após a intervenção cirúrgica. Os animais dos grupos 5 e 6 foram subdividos em 2 subgrupos de acordo com o momento da morte: 2 e 10 dias após a intervenção cirúrgica. Os lobos hepáticos remanescentes foram submetidos à análise histomorfométrica, imuno-histoquímica e molecular. RESULTADOS: Verificou-se que no grupo com hepatectomia a 70% houve recuperação do peso do fígado no terceiro dia com aumento da atividade mitótica, enquanto que no grupo com estenose portal não se observou esse fenômeno (p < 0,001). A insulina e o tacrolimus promoveram aumento do peso do fígado e do índice mitótico. A atividade mitótica foi considerada aumentada nos animais dos grupos hepatectomia, hepatectomia + ligadura da artéria, insulina e tacrolimus; e esse parâmetro estava reduzido no grupo submetido à hepatectomia + estenose portal (p < 0,001). A expressão de interleucina 6 estava presente em todos os animais, sendo significativamente maior nos grupos hepatectomia, hepatectomia + ligadura da artéria e significativamente menor no grupo hepatectomia + estenose portal. Entretanto, a administração de tacrolimus ou insulina recuperou os níveis teciduais de interleucina 6 no grupo com estenose portal. CONCLUSÕES: No presente estudo foi padronizado um modelo simples e facilmente reprodutível para estudar a regeneração hepática em ratos em crescimento com redução do fluxo arterial ou venoso para o fígado. Foi demonstrado que a administração de insulina ou tacrolimus é capaz de reverter os efeitos deletérios da estenose portal na regeneração hepática. A obstrução do fluxo arterial não afetou a capacidade regenerativa hepática

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014

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A terapêutica antitrombótica ocupa um lugar central no tratamento da doença coronária aguda. A sua importância foi reforçada com a generalização dos procedimentos de intervenção percutânea, em especial quando são implantados dispositivos intra-coronários. Neste domínio, o uso da dupla antiagregação plaquetar é obrigatório, combinando a clássica aspirina às tienopiridinas, em particular ao clopidogrel. Em paralelo, o uso de anticoagulantes é igualmente mandatório, particularmente nas primeiras horas, até à angioplastia e implantação de stent. Depois de uma década dominada pelo clopidogrel e pela enoxaparina, assistimos, recentemente, à introdução de novos fármacos, em especial o fondaparinux e mais recentemente o prasugrel, ambos com as suas vantagens e desvantagens. O Congresso Europeu de Cardiologia 2009 foi particularmente rico nesta área, já que três importantes estudos viram os seus resultados apresentados, todos eles com relevantes implicações para a prática clínica. O estudo PLATO introduzindo o ticagrelor,primeiro antiplaquetar actuando via receptor P2Y12 com efeito reversível; o estudo CURRENT-OASIS 7 testando doses, acima do convencional, de clopidogrel e aspirina; o estudo SEPIA-ACS 1 TIMI 42 introduzindo o otamixaban, novo anticoagulante com efeito anti-Xa administrado por via intra-venosa; são, no presente trabalho, sumariamente apresentados e discutidos, procurando realçar alguns aspectos que poderão vir a introduzir alterações nas recomendações e consequentemente na prática do dia a dia.