918 resultados para Civilization, Assyro-Babylonian.


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Attraverso l’indagine di fonti altomedievali come le Leges dei barbari si è potuto valutare, da un punto di vista pragmatico e fattuale, l’intenzione umana – a volte incidentale e pure difficoltosa – di inquadrare e definire il rapporto con un animale domestico come il cane, che continua e si evolve tra Antichità ed Alto Medioevo e senza una cesura netta. Per completare il quadro culturale e storico-sociale della ricerca, oltre alla trattatistica antica e alla letteratura medievale sugli animali, si è passato in rassegna espressioni documentarie come i capitularia mundana ed ecclasiastica, che hanno destato ulteriore interesse in quanto in esse sussiste il riflesso di un’attenzione tutta “altomedievale” per il cane e per quell’attività che da millenni lega l’uomo a questo animale: la caccia. L’argomento venatorio presuppone l’associazione con il cane nella quasi totalità dei provvedimenti sulla caccia, trasmettendo testimonianze stimabili del connubio homo cum canibus. Ne risulta ora un’amicitia, ora un legame impedito come nelle continue interdizioni venatorie rivolte agli ecclesiastici, uomini – e donne – di Chiesa che andavano a caccia. Pur non fornendo le stesse informazioni minuziose sui cani delle Leggi dei barbari, i capitularia propongono suggestivi scorci di un mondo in cui la caccia, forse la sola attività attraverso cui uomo e cane condividono le medesime trepidazioni primordiali, non era violenza gratuita ma un fondamento della cultura, soprattutto, ma non solo, di ambito aristocratico.

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L’ucronia (Alternate History) è un fenomeno letterario ormai popolare e molto studiato, ma non lo sono altrettanto lo sue origini e i suoi rapporti con la storia “fatta con i se” (Counterfactual History), che risale a Erodoto e a Tito Livio. Solo nell’Ottocento alcuni autori, per vie largamente autonome, fecero della storia alternativa un genere di fiction: Louis Geoffroy con Napoléon apocryphe (1836), storia «della conquista del mondo e della monarchia universale», e Charles Renouvier con Uchronie. L’utopie dans l’histoire (1876), storia «della civiltà europea quale avrebbe potuto essere» se il cristianesimo fosse stato fermato nel II secolo. Questi testi intrattengono relazioni complesse con la letteratura dell’epoca di genere sia realistico, sia fantastico, ma altresì con fenomeni di altra natura: la storiografia, nelle sue forme e nel suo statuto epistemico, e ancor più il senso del possibile - o la filosofia della storia - derivato dall’esperienza della rivoluzione e dal confronto con le teorie utopistiche e di riforma sociale. Altri testi, prodotti in Inghilterra e negli Stati Uniti nello stesso periodo, esplorano le possibilità narrative e speculative del genere: tra questi P.s’ Correspondence di Nathaniel Hawthorne (1845), The Battle of Dorking di George Chesney (1871) e Hands Off di Edward Hale (1881); fino a una raccolta del 1931, If It Had Happened Otherwise, che anticipò molte forme e temi delle ucronie successive. Queste opere sono esaminate sia nel contesto storico e letterario in cui furono prodotte, sia con gli strumenti dell’analisi testuale. Una particolare attenzione è dedicata alle strategie di lettura prescritte dai testi, che subordinano i significati al confronto mentale tra gli eventi narrati e la serie dei fatti autentici. Le teorie sui counterfactuals prodotte in altri campi disciplinari, come la storia e la psicologia, arricchiscono la comprensione dei testi e dei loro rapporti con fenomeni extra-letterari.

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Lo studio analizza le svolte nel teatro di innovazione francese prodotte dalla rivolta sociale e dalla sua rivoluzione culturale del 1968. La ricerca si è concentrata su tre livelli di analisi: un'analisi – storica, politica, sociale, culturale – dell'anno-tournant; un'analisi delle reazioni nel mondo del teatro contemporanee alla rivolta; un'analisi delle prassi spettacolari di lunga durata originate dall'evento. Sono stati, quindi, esaminati criticamente i testi cardine degli intellettuali ispiratori, protagonisti e interpreti della breccia culturale, per poi rintracciare i valori emersi all'interno del mondo dello spettacolo. La contestazione sociale ha agito sul mondo del teatro producendo delle ripercussioni immediate – l'occupazione dell'Odéon, la contestazione al XXII Festival d'Avignon, la produzione della Déclaration de Villeurbanne – e delle prassi di lunga durata che hanno agito sui processi formativi e creativi delle compagnie francesi che, dalla fine degli anni Sessanta, hanno prodotto creazioni collettive (in particolare il Théâtre du Soleil e il Théâtre de l'Aquarium, ma anche la Nouvelle Compagnie d'Avignon, il Grand Magic Circus e il Théâtre Populaire di Lorraine) e sul corpus drammaturgico e teorico di Michel Vinaver. Sono state, quindi, analizzate le relazioni che si sono instaurate tra i protagonisti appena nominati e i differenziati contesti, sociali e teatrali, facendo emergere nuove istanze creative. Tali istanze hanno saputo rispondere alle spinte etiche ed estetiche del momento storico, le hanno declinate sul piano delle prassi teatrali e rilanciate verso modalità nuove che hanno favorito l'emersione di una nuova civiltà del testuale.

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« Dieu est mort » proclame à l’envi le fou nietzschéen. C’est sous l’égide inquiète de cette assertion paroxystique, traduisant ce «malaise de la culture» qu’évoquait Freud, que la pensée, la littérature et l’art du XXe siècle européen évoluent. Cependant, le christianisme dont ce cri signe l’extrême décadence, n’est pas seul à imprégner les productions artistiques de ce siècle, même les plus prétendument athées, mais avant tout la figure du Christ - autour de laquelle sont structurés tant cette religion que son système de croyance – semble, littéralement et paradoxalement, infester l’imaginaire du XXe siècle, sous des formes plus ou moins fantasmatiques. Ce travail se propose ainsi précisément d’étudier, dans une optique interdisciplinaire entre littérature, art et cinéma, cette dynamique controversée, ses causes, les processus qui la sous-tendent ainsi que ses effets, à partir des œuvres de trois auteurs : Artaud, Beckett et Pasolini. L’objectif est de fournir une clé de lecture de cette problématique qui mette en exergue comment « la conversion de la croyance », comme la définit Deleuze, à laquelle ces auteurs participent, n’engendre pas un rejet purement profanatoire du christianisme mais, à l’inverse, la mise en œuvre d’un mouvement aussi violent que libératoire qualifié par Nancy de « déconstruction du christianisme ». Ce travail entend donc étudier tout d’abord à la lumière de l’expérience intérieure de Bataille, l’imaginaire christique qui sous-tend leurs productions ; puis, d’en analyser les mouvements et les effets en les questionnant sur la base de cette dynamique ambivalente que Grossman nomme la « défiguration de la forme christique ». Les excès délirants d’Artaud, l’ironie tranchante de Beckett et la passion ambiguë de Pasolini s’avèrent ainsi participer à un mouvement commun qui, oscillant entre reprise et rejet, débouche sur une attitude tout aussi destructive que revitalisante des fondements du christianisme.

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Questa tesi comprende la ricerca sui materiali provenienti dagli scavi britannici, avvenuti fra il 1911 e il 1920, del sito di Karkemish (Gaziantep - Turchia). Vengono qui studiati gli oggetti (a eccezione delle sculture) databili all’Età del Bronzo e del Ferro, che sono nella quasi totalità inediti. Si sono prese in considerazione i reperti attualmente conservati al British Museum di Londra, nei Musei Archeologici di Istanbul e al Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara.

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Lo scritto ha l’obiettivo di definire dinamiche e cronologie di quel complesso processo espansionistico che portò Roma alla conquista dei territori dell’Ager Gallicus, partendo dall’analisi dettagliata della cultura materiale e dei rispettivi contesti di provenienza emersi dalle recenti indagini archeologiche realizzate dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università degli Studi di Bologna nella città di Senigallia. In armonia con quanto testimoniato dalle sequenze stratigrafiche documentate, si delineano quattro principali fasi di vita dell’abitato: la prima preromana, la seconda riferibile alla prima fase di romanizzazione del sito, la terza inerente allo sviluppo dell’insediamento con la fondazione della colonia romana e l’ultima riferibile all’età repubblicana. Emerge con chiarezza la presenza già dalla fine del IV-inizio III a.C., di un insediamento romano nel territorio della città, sviluppatosi con la fondazione di un’area sacra e la predisposizione di un’area produttiva. La scelta del sito di Sena Gallica fu strategica: un territorio idoneo allo sfruttamento agricolo e utile come testa di ponte per la conquista dei territori del Nord Italia. Inoltre, questo centro aveva già intrecciato rapporti commerciali con gli insediamenti costieri adriatici e mediterranei. La presenza di ceramica di produzione locale, il rinvenimento di elementi distanziatori e le caratteristiche geomorfologiche del sito, fanno ipotizzare la presenza in loco di un’officina ceramica. Ciò risulta di grande importanza dato che tutte le attestazioni ceramiche prodotte localmente e rinvenute nel territorio, fino ad oggi sono attribuite alle officine di Aesis e Ariminum. Dunque Sena Gallica sarebbe stata un centro commerciale e produttivo. La precoce presenza di ceramica a Vernice Nera di tipo romano-laziale prodotte localmente prima dell’istituzione ufficiale della colonia, che permette di ipotizzare uno stanziamento di piccoli gruppi di Romani in territori appena conquistati ma non ancora colonizzati, attestata a Sena Gallica, trova riscontro anche in altri centri adriatici come Ariminum, Aesis, Pisaurum, Suasa e Cattolica.

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Für alle fünf zentralasiatischen Teilrepubliken kam der Zusammenbruch der Sowjetunion im Jahr 1991 relativ plötzlich und eher unerwartet. Der Prozess der „Transformation“ beinhaltete für die neu entstandenen Staaten nun nicht nur die Umstellung politischer und wirtschaftlicher Systeme, sondern ebenso die Organisation von Erinnerung und die Konstruktion von Identität, bei der die staatliche Nationalisierungspolitik oft Paradebeispiele von invented traditions her-vorbrachte. rnIn Kasachstan, dem Land, das während der Sowjetzeit am stärksten russifiziert wurde und heute offiziell 120 Minderheiten zählt, stellt sich dabei die Frage, wie nationale Identitätsmus-ter konstruiert werden und wie Politik. Medien und Bevölkerung damit umgehen. Zwanzig Jahre nach der Unabhängigkeitserklärung des Landes und einer Phase, in der die Regierung mit einer Vielzahl von Maßnahmen versucht, den Identitätsfindungsprozess zu steuern, wurde im Rahmen dieser Arbeit erstmals eine empirische Studie zu der Frage durchgeführt, welche Bedeutungen bestimmte Identitätskonzepte für die lokale Bevölkerung haben. Während meh-rerer Forschungsaufenthalte von insgesamt vier Monaten in den Jahren 2010 und 2011 wurden in Hinblick auf die Fragestellung leitfadenorientierte Interviews und informelle Gespräche mit Teilen der kasachstanischen Bevölkerung geführt, teilnehmende Beobachtung, zwei Fragebo-genaktionen und eine Zeitungsanalyse durchgeführt sowie wissenschaftliche Studien und poli-tische Dokumente analysiert.rnDie Arbeit kommt zu dem Ergebnis, dass die Mehrheit der Befragten sich mehr oder weniger stark entweder über die Staatsbürgerschaft oder die ethnische Zugehörigkeit zur Titularnation mit dem Staat identifiziert. Auffällig ist die Bedeutung regionaler Identitäten für die Befrag-ten, die weder in der nationalen Identitätspolitik noch in der wissenschaftlichen Literatur von Wichtigkeit sind. Ethnische und religiöse Nivellierungen scheinen im Alltagsleben belanglos zu sein, aber in bestimmten anderen Kontexten eine entscheidende Rolle zu spielen. Starke Unterschiede in der Bedeutung verschiedener Identitätsmodelle lassen sich zwischen Stadt- und Landbevölkerung beziehungsweise zwischen sowjetisierten und nach der Wende repatri-ierten Kasachen ausmachen.rnEs ist anzunehmen, dass die Regierung der entscheidende Agent in der Identitätsfindung des Landes ist. Unter den Befragten zeigte sich, dass Identitätspolitik auf der pragmatischen Ebe-ne, beispielsweise in der Anerkennung von Russisch und Kasachisch als Staatssprachen, er-folgreicher ist als auf der emotionalen. rn

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In this thesis, I examine the influences of westernization, the tension between Japanese modernity and tradition, and the stories of Hans Christian Andersen on Ogawa Mimei’s children’s stories. I begin the body of my thesis with a brief historical background of Japan, beginning with the start of the Meiji period in 1868. Within the historical section, I focus on societal and cultural elements and changes that pertain to my thesis. I also include the introduction of Hans Christian Andersen in Japan. I wrap up the historical section by a description of Ogawa’s involvement in the Japanese proletarian literature movement and the rise of the Japanese proletarian children’s literature movement. Then, I launch into an analysis of Ogawa’s works categorized by thematic elements. These elements include westernization, class conflict, nature and civilization, religion and morals, and children and childhood. When relevant, I also compare and contrast Ogawa’s stories with Andersen’s. In the westernization section, I show how some of Ogawa’s stories demonstrate contact between Japan and the West. In the Class Conflict section, I discuss how Ogawa views class through a socialist lens, whereas Andersen does not dispute class distinctions, but encourages his readers to attempt an upward social climb. In the nature and civilization section, I show how Ogawa and Andersen share common opinions on the impact of civilization on nature. In the religion and morals section, I show how Ogawa incorporates religion, including Christianity, into vii his works. Andersen utilizes religion in a more overt manner in order to convey morals to his audience. Both authors address religious topics like the concept of the afterlife. Finally, in children and childhood, I demonstrate how both Ogawa and Andersen treat their child protagonists and use them and their situations to instruct their readers. Through this case study, I show how westernization and the tensions between Japanese modernization and tradition led to the rise of the proletarian children’s literature movement, which is exemplified by Ogawa’s stories. The emergence of the proletarian children’s literature movement is an indication of the establishment of a new concept of childhood in Japan. Writers like Ogawa Mimei attempted to write children’s stories that represented the new Japanese culture that was a result of adapting Western ideals to fit Japanese society. Some of Ogawa’s stories are a direct commentary on his opinion of Japanese interaction with the West. By comparing Ogawa’s and Andersen’s stories, I demonstrate how Ogawa borrows certain Western elements and possibly responds directly to Andersen. Ogawa also addresses some of the same topics as Andersen, yet their reactions are not always the same. What I find in my analysis supports my thesis that Ogawa is able to maintain Japanese tradition while infusing his children’s stories with Western and modern elements. In doing so, he reflects a largely popular social and cultural practice of his time.

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Conflict has marked civilization from Biblical times to the present day. Each of us, with our different and competing interests, and our desires to pursue those interests, have over time wronged another person. Not surprisingly then, forgiveness is a concern of individuals and groups¿communities, countries, religious groups, races¿yet it is a complex idea that philosophers, theologians, political scientists, and psychologists have grappled with. Some have argued that forgiveness is a therapeutic means for overcoming guilt, pain, and anger. Forgiveness is often portrayed as a coping mechanism¿how often we hear the phrase, ¿forgive and forget,¿ as an arrangement to help two parties surmount the complications of disagreement. But forgiveness is not simply a modus vivendi; the ability to forgive and conversely to ask for forgiveness, is counted as an admirable trait and virtue. This essay will explore the nature of forgiveness, which in Christian dogma is often posited as an unqualified virtue. The secular world has appropriated the Christian notion of forgiveness as such a virtue¿but are there instances wherein offering forgiveness is morally inappropriate or dangerous? I will consider the situations in which forgiveness, understood in this essay as the overcoming of resentment, may not be a virtue¿when perhaps maintaining resentment is as virtuous, if not more virtuous, than forgiving. I will explain the various ethical frameworks involved in understanding forgiveness as a virtue, and the relationship between them. I will argue that within Divine Command Theory forgiveness is a virtue¿and thus morally right¿because God commands it. This ethical system has established forgiveness as unconditional, an idea which has been adopted into popular culture. With virtue ethics in mind, which holds virtues to be those traits which benefit the person who possesses them, contributing to the good life, I will argue unqualified forgiveness is not always a virtue, as it will not always benefit the victim. Because there is no way to avoid wrongdoing, humans are confronted with the question of forgiveness with every indiscretion. Its limits, its possibilities, its relationship to one¿s character¿forgiveness is a concern of all people at some time if for no other reason than the plain fact that the past cannot be undone. I will be evaluating the idea of forgiveness as a virtue, in contrast to its counterpart, resentment. How can forgiveness be a response to evil, a way to renounce resentment, and a means of creating a positive self-narrative? And what happens when a sense of moral responsibility is impossible to reconcile with the Christian (and now, secularized imperative of) forgiveness? Is it ever not virtuous to forgive? In an attempt to answer that question I will argue that there are indeed times when forgiveness is not a virtue, specifically: when forgiveness compromises one¿s own self-respect; when it is not compatible with respect for the moral community; and when the offender is unapologetic. The kind of offense I have in mind is a dehumanizing one, one that intends to diminish another person¿s worth or humanity. These are moral injuries, to which I will argue resentment is a better response than forgiveness when the three qualifications cannot be met.

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In this issue...Dean Adami, M club, Red Rock, Bernice, Montana, Mineral Club, Mines Football, Sam Worcester, Professor Laity, Western Civilization class

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Buildings and urban construction are understood in this paper as representations of the city. Their meanings, however, are often invisible, positing unrealized urban visions, which are both imbedded in and which call up chains of associations expressing desires and fears. Narratives of what the city should be often contain the rejection of the existing urban situation. Understanding architectural objects as potential underscores their imaginary nature. Freud, for example, uses the Roman ruins in Civilization and its Discontents (1929) as a means to imagine stages of history. Yet, meanings of the new can also be covered over and layered. Milan is a city with fragments of the new, which once projected an ideal urban space into the future. The potentiality of Milan’s postwar urban objects is analyzed in relationship to narratives of the city and insertion is framed as an imagining into the city.

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The reasons for the development and collapse of Maya civilization remain controversial and historical events carved on stone monuments throughout this region provide a remarkable source of data about the rise and fall of these complex polities. Use of these records depends on correlating the Maya and European calendars so that they can be compared with climate and environmental datasets. Correlation constants can vary up to 1000 years and remain controversial. We report a series of high-resolution AMS C-14 dates on a wooden lintel collected from the Classic Period city of Tikal bearing Maya calendar dates. The radiocarbon dates were calibrated using a Bayesian statistical model and indicate that the dates were carved on the lintel between AD 658-696. This strongly supports the Goodman-Martinez-Thompson (GMT) correlation and the hypothesis that climate change played an important role in the development and demise of this complex civilization.

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Ataulla Bajazitov (1846-1911) fulfilled a social double role by serving his Tatar community in St. Petersburg as imam and the Russian state as military Muslim ‘cleric’, translator and teacher. By founding Russia’s first monolingual Tatar newspaper, initiating St. Petersburg’s first Friday mosque and presenting scriptural and rational arguments for the compatibility of Islam and the modern Civilization to a Russian-speaking public as early as 1883, he has been a pioneer among the Muslims in Russia in several respects. In contrast though to similar activities of his Russian contemporary, the Krim Tatar Ismail Gasprinskii (1851-1914), Bajazitov’s endeavours have remained almost unnoticed in Western scholarship. Also in Tatarstan, his books have been only recently reprinted. The present study analyzes Bajazitov’s three monographs written in Russian, namely A Response to Ernest Renan’s lecture “Islam and Science” (1883), The Relationship of Islam towards Science and People of Different Faith (1887) and Islam and Progress (1898). There, he exposes many positions that around that time started to become key arguments of Muslim reformers in the Near East for the progressivness of Islam. The study takes also into account reactions to Bajazitov’s monographs by Russian officers in Tashkent who tried to demonstrate the backwardness of Islam, especially Nikolai Petrovič Ostroumov’s (1846-1930) response in his book entitled Quran and Progress – On the intellectual awakening of today’s Russian Muslims (1901/1903).

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Computerspiele sind ein religionswissenschaftlich relevanter Forschungsgegenstand. Durch ihre weite gesellschaftliche Verbreitung und die häufige Vermittlung religiöser Inhalte sind sie Beispiele der medialen Kommunikation über Religion sowie Agenten der religiösen Sozialisation. Bislang fehlen Methoden, um Computerspiele auf relevante Inhalte und deren Bedeutungen hin zu lesen. Auf der Grundlage der Zeichenlehre von Charles S. Peirce und der Theorie der Spielelemente nach Aki Järvinen wird eine Methode zur Feststellung und Analyse von religiösen Inhalten in Computerspielen vorgestellt und am Beispiel des erfolgreichen Strategiespiels Civilization V: Gods & Kings veranschaulicht. Der Beschreibung und Inhaltsanalyse folgt eine Interpretation in Anlehnung an medienspezifische Theorien und Beobachtungen.