981 resultados para Teoria do Comportamento Planeado


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A presente pesquisa apresentou como seu objetivo principal verificar as relações entre valores, atitude em relação ao empreendedorismo (AE) e intenção empreendedora (IE) em um estudo comparativo com universitários de graduação em Administração das Cinco Regiões Brasileiras e Cabo Verde. O instrumento de pesquisa foi composto por um questionário sócio demográfico, a escala de Valores Humanos – Questionário de Perfis de Valores de Schwartz(2001) e o Questionário de Intenção Empreendedora de Liñán & Chen (2009). Após o consentimento livre e informado, os alunos responderam o instrumento de pesquisa, perfazendo um total de 1561 respostas válidas. Os dados foram tabulados e analisados nos Softwares: SPSS 21 e AMOS 21 para a produção de Estatísticas Descritivas, Análises de Confiabilidade, Análises de Correlação, Análise de Variância (ANOVA), Gráficos, Análise Fatorial Confirmatória e Modelagem de Equações Estruturais (SEM). Os modelos utilizaram a Teoria de Ação Racional (FISHBEIN & AJZEN,1971) e Teoria do Comportamento Planejado(AJZEN,1991), testando o impacto dos valores nas atitudes e intenções. Os resultados indicaram que os valores de Estimulação, Poder e Hedonismo foram tiveram os maiores efeitos na IE e na AE. Diferenças significativas foram encontradas entre os gêneros, com os homens apresentando maior IE e AE. Diferenças regionais foram encontradas. Limitações, implicações práticas e teóricas, além de sugestões para pesquisas futuras são apresentadas.

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Pós-graduação em Filosofia - FFC

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Pós-graduação em Matemática Universitária - IGCE

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E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.

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As condições inadequadas vivenciadas nas organizações afligem não só os trabalhadores da iniciativa privada, pois são igualmente encontradas no segmento estatal, contrariando a expectativa de que o aparato governamental eliminaria as condições insalubres e criaria outras melhores nas quais prevalecesse à promoção de saúde. Diante desse panorama questionou-se porque, uma vez que, pelo menos do ponto de vista da sociedade leiga, esses servidores estão submetidos a condições privilegiadas de trabalho. O presente estudo objetivou identificar e descrever possíveis relações entre o clima organizacional e o burnout em servidores públicos de uma instituição federal de ensino. Objetivou-se ainda descrever o clima organizacional predominante. A pesquisa realizada teve cunho quantitativo, tipo estudo de caso e exploratória. A coleta de dados deu-se por meio das escalas ECO (escala de clima organizacional), ECB (escala de caracterização do burnout) e um questionário sociodemográfico, todos os instrumentos autoaplicáveis eletronicamente disponíveis à instituição. Participaram do estudo 201 servidores públicos federais, com idade média de 37 anos, majoritariamente de nível superior e casados. Os resultados revelaram que cerca de um quarto dos participantes raramente experimentaram burnout, no entanto outra quarta parte deles frequentemente experimentaram altos níveis de burnout, resultado bastante expressivo. Os servidores perceberam clima organizacional mediano, destacando-se a boa coesão entre os colegas de trabalho e a percepção de baixa recompensa. Merece destaque a grande dispersão entre as percepções de clima, o que permite inferir haver subclimas não identificados nesta investigação, possivelmente ocasionados por uma força de clima fraca e pela participação dos servidores de unidades de ensino geograficamente distintas, geridas por gestores locais com relativa autonomia. Os resultados dos cálculos de correlação revelaram que, quanto menos os participantes percebem apoio da chefia e da organização, coesão entre colegas, e mais controle/pressão, mais exaustos se sentem, mais desumanizam as pessoas com quem tratam e mais se decepcionam no trabalho e vice-versa. Conforto físico menor está associado a maior desumanização e a mais decepção no trabalho e vice-versa; e que controle/pressão, relaciona-se positiva e fracamente com desumanização e vice-versa. Desta forma, a hipótese de que existe associação entre burnout e clima organizacional foi confirmada. Os resultados também revelaram que os servidores com burnout, perceberam pior clima organizacional que os seus pares sem burnout, confirmando a segunda hipótese. Esses servidores também se mostraram neutros quanto à percepção de apoio da chefia e conforto físico; não percebem controle pressão, nem recompensa; todavia percebem coesão entre os colegas. Esses resultados sugerem que os participantes têm se apoiado nessas relações para suportar a indiferença e ausência de estímulos experimentados no trabalho. Os resultados obtidos nesse estudo permitiram concluir que o clima organizacional é fraco, provavelmente influenciado por uma cultura organizacional fraca, explicando a heterogeneidade da percepção do clima organizacional pelos servidores. Além disso, embora haja burnout entre poucos participantes, há que se atentar que cerca de um quarto deles, encontra-se acometido desta síndrome e isto poderá contagiar os demais.

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O número de Instituições de ensino e alunos têm aumentado e a efetividade na gestão acadêmica torna-se assunto relevante. Simultaneamente ao aumento de estudantes, a tecnologia da informação tem evoluído rapidamente, o que tem propiciado novas oportunidades de ensino e profusão de informações. Infelizmente, no sentido oposto ao da qualidade de ensino, esse cenário tem propiciado o surgimento e crescimento de uma variedade de situações e oportunidades para que o comportamento academicamente desonesto se desenvolva. Uma possível associação entre desonestidade acadêmica e o comportamento antiético no ambiente de trabalho é defendida por vários autores, alertando que comportamentos éticos dos estudantes podem gerar melhores líderes de organizações no futuro e aconselhando que se estabeleçam universidades provedoras de princípios morais e íntegros. O objetivo deste trabalho é contribuir para o entendimento dos fatores antecedentes da atitude dos alunos em relação à desonestidade acadêmica, por meio da identificação das associações que possam existir entre aspectos individuais e de grupo. Fundamentado inicialmente na Theory of Planned Behavior TPB (Teoria do Comportamento Planejado) de AJZEN (1991), e com base em extensa revisão de literatura, criou-se um modelo de pesquisa instrumentalizado como um pré-teste a estudantes de uma IES particular como forma de operacionalizar os construtos, obtendo-se 116 respostas válidas. Os dados foram obtidos a partir de uma survey eletrônica e analisados por Modelagem com Equações Estruturais, em particular com base no algoritmo Partial Least Squares PLS. As estimativas de coeficientes foram feitas pela técnica Bootstrap, com 1000 reamostragens, com reposição. Com base no pré-teste os resultados indicaram que a percepção das práticas do grupo é especialmente influente no comportamento acadêmico desonesto do indivíduo (Beta = 0,39; p< 0,00), mas também que a idade do aluno é inversamente proporcional à intensidade com que essa desonestidade se manifesta (Beta = -0,24; p<0,00). Adicionalmente, a característica pessoal de idealismo mostrou ser provável um fator de contenção da atitude favorável à desonestidade (Beta =-0,25; p<0,05), mas mecanismos como o desengajamento moral indicam sua provável presença identificada (Beta = 0,25; p<0,05), desfavorecendo o processo de autorregulação do aluno, o que amplia a atitude de desonestidade acadêmica. Optou-se pela técnica de análise multivariada com Modelagem de Equações Estruturais, considerada adequada para análise simultânea de relações entre construtos, e considerada uma técnica de caráter confirmatório, utilizada para determinar a validade do modelo teórico diante dos dados observados. Com algumas reformulações no instrumento, foi aplicada uma nova survey, quanto à coleta de dados foi aplicado um questionário eletrônico operado na plataforma Surveymonkey. O link do questionário foi enviado á uma população de 2000 alunos obtendo como retorno 146 respostas válidas. Nos resultados apresentados na pesquisa final destacam-se a influência da Percepção Social no comportamento da desonestidade acadêmica com coeficiente altamente significante (0,446***), também o desengajamento Moral frente à atitude e a Intenção/Comportamento com resultados expressivos quanto a influência do fator idade, apresentando o coeficiente (-0,156***). O estudo indica a possível existência de várias implicações para o gestor e para a comunidade acadêmica, permitindo desdobramentos em pesquisas futuras

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A crescente preocupação com a desonestidade acadêmica e seus possíveis impactos para as organizações e sociedade tem requerido especial atenção. Diversos estudos indicam que a tecnologia e, em especial, a Internet, pode ocasionar o aumento da desonestidade acadêmica e, em especial, da prática de plágio. Tipos de desonestidade acadêmica são listados pela literatura como sendo a fraude, o plágio, o auxílio externo e a fraude eletrônica. Dentre estes tipos, o plágio está se tornando a maior preocupação entre as instituições de ensino superior em comparação com os demais (LOVETT-HOOPER et al., 2007). A existência da intencionalidade do indivíduo é uma característica central nos estudos sobre plágio, caracterizado como sendo a consequência de uma decisão individual. Do ponto de vista da Theory of Planned Behavior - TPB (Teoria do Comportamento Planejado), de Ajzen (1991), a ação do indivíduo é orientada por crenças (comportamentais, normativas e de controle) que influenciam sua atitude em relação a algo, que por sua vez leva à racionalização da intenção que influenciará o comportamento do indivíduo. Esta pesquisa tem como objetivo identificar os fatores antecedentes que influenciam a atitude em relação ao plágio dentre estudantes brasileiros do ensino superior, modalidade à distância. Um sistemático mapeamento da literatura sobre o tema identificou mais de 300 artigos e convergiu para um número de 74 artigos considerados fundamentais. Destes, foi gerado um modelo de análise que define como preditores da Atitude Positiva em relação ao Plágio (a partir de determinadas influências recebidas, o indivíduo considerará a prática do plágio), os seguintes construtos: Posicionamento Moral, Normas sociais e Aspectos situacionais. Para análise do modelo, utilizou-se uma pesquisa do tipo survey quando, nesta fase foram encaminhados, 1800 questionários, a alunos de diferentes períodos do curso de Administração, de uma Universidade particular. A taxa de retorno dos questionários foi de 28,95%, totalizando 353 questionários válidos. Para a análise dos dados utilizou-se a modelagem por equações estruturais com algoritmo Partial Least Squares (PLS), técnica adequada para um número reduzido de observações e quando não se pode assumir parâmetros para a distribuição. Os principais resultados encontrados nesta pesquisa foram: 41,8% da variablidade da Atitude explicada do modelo de Atitude Positiva frente ao plágio; e a identificação de seis construtos significantes associados ao modelo, sendo: Entendimento (-0,102, p<0,05), Expectativa de Valor (0,243, p<0,001), Facilidade (0,108, p<0,05), Situação de Pressão (0,126, p<0,01), Relativismo (0,272, p<0,001) e Severidade e Possibilidade de Punição (-0,255, p<0,001).

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O presente trabalho descreve um estudo exploratório sobre a temática “Comportamentos de Risco no Tráfego Rodoviário” realizado a condutores da cidade de Bragança. Os principais objetivos direcionam-se para a identificação dos fatores cognitivos que mais influenciam a condução, das atitudes gerais e específicas de maior ou menor risco nos condutores de Bragança, e das crenças normativas e a intenção comportamental face à condução e aos comportamentos de risco. Para obter a informação necessária, foi usado o “Questionário baseado no modelo do Comportamento Planeado para a predição do comportamento de condução”, que foi realizado para a população portuguesa, e que a autora, Doutora Cristina Pimentão, permitiu a adaptação do mesmo ao tema da presente investigação. De uma forma geral, os resultados que se obtiveram evidenciam que o fator cognitivo que mais influencia o processo da condução é a atenção. Quanto às atitudes gerais, os comportamentos apontados que evidenciam maior risco são “A confiança na resposta do carro” e o “Excesso de confiança”, e os comportamentos que revelam menor risco são o cumprimento da regra de paragem completa num sinal de STOP e a discordância de que as pessoas que conduzem de forma agressiva estão mais atentas à condução. Por sua vez, nos resultados das atitudes específicas registam-se atitudes de indiferença, por parte dos inquiridos que responderam “Não concordo nem discordo” nas questões sobre “As campanhas que alertam para os efeitos do álcool são eficazes” e “Se o ensino das escolas de condução fosse adequado não teríamos condutores a conduzir sob a influência do álcool”. Já no que diz respeito às crenças normativas, verificaram-se resultados que apontam para expectativas de menor risco, pois na ótica dos condutores as pessoas que lhe são importantes esperariam deles comportamentos de menor risco. Paralelamente, os resultados sobre as intenções comportamentais traduzem baixas intenções de praticar o comportamento de risco, excetuando no item “É provável que eu venha conduzir um automóvel sob o efeito do álcool”, em que um número considerável de inquiridos respondeu que seria provável e muito provável a intenção de praticar este comportamento de risco. Os resultados são claros relativamente ao consumo de álcool e à sua influência no comportamento dos condutores, sendo necessário e urgente uma intervenção coerente e direcionada para a prevenção da ocorrência deste comportamento.

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Tese (doutorado)—Universidade de Brasília, Faculdade de Tecnologia, Departamento de Engenharia Civil e Ambiental, 2016.

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A presente dissertação de mestrado tem por assunto a representação do comportamento mecânico do concreto sob cargas de curta e longa duração, incluindo efeitos não-lineares. Para tal fim trabalha-se com equações baseadas na teoria do dano contínuo. São propostas equações para o caso triaxial e, baseado nelas, é implementado um programa computacional. Com diversos exemplos verifica-se que: a) A solução numérica aproxima bem os resultados teóricos. b) O comportamento do modelo representa bem as características qualitativas do concreto. c) O modelo permite aproximar bem alguns resultados experimentais, mas ainda deve ser aperfeiçoado, particularmente no que refere-se à identificação de parâmetros.

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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Instituto de Relações Internacionais, Programa de Pós-Graduação em Relações Internacionais, 2016.

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Traça o perfil dos Consórcios Intermunicipais de Saúde (CIS) no Brasil, principalmente quanto aos aspectos econômico-financeiros, e analisa sua formação e sustentabilidade político-financeira, utilizando o instrumental oferecido pela teoria dos jogos.

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O trabalho promove um estudo exploratório-analítico sobre as leis distritais da 5.ª Legislatura declaradas inconstitucionais pelo Poder Judiciário, sob o enfoque de sua tramitação legislativa e das características dessas leis. São utilizados conhecimentos acerca dos limites jurídicos opostos ao legislador distrital, do modelo distributivista de comportamento parlamentar, associado a práticas políticas clientelistas, e da concepção da jurisdição constitucional à luz da teoria dos diálogos constitucionais, pela qual a adequada interpretação da Constituição Federal e da Lei Orgânica do Distrito Federal estabelece-se a partir do diálogo dos Poderes da República entre si e com a sociedade civil, e não pela última palavra a ser declarada pelos tribunais judiciários. Com a análise dos dados coletados, pretende-se identificar as principais causas, as características e os autores do fenômeno da declaração judicial de inconstitucionalidade das leis distritais, a fim de possibilitar uma melhor compreensão da comunidade sobre esse complexo tema.