651 resultados para Alte Pinakothek.


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I calibratori di attività dei radionuclidi sono strumenti fondamentali per la pratica diagnostica e terapeutica in Medicina Nucleare. Il loro ruolo principale è quello di quantificare accuratamente l’attività dei radiofarmaci somministrata ai pazienti, vengono pertanto progettati per avere una accuratezza di misura ottimale per attività relativamente alte. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare il livello di minima attività rivelabile (o Minimum Detectable Activity, MDA) di diversi modelli di calibratori di attività, al fine di estendere l’utilizzo di questi strumenti ad altre applicazioni. E’ stata quindi eseguita un’estesa campagna di misure sperimentali sui principali modelli di calibratori commercialmente distribuiti. Le modalità di misura della MDA sviluppate sono basate su un adattamento delle tecniche di riferimento per altri tipi di strumenti; tali tecniche, non solo rispondono all’obiettivo immediato, ma hanno permesso di dimostrare che è possibile una determinazione generalizzata della MDA di questa classe di apparecchiature. I risultati che verranno presentati sono stati ottenuti con una metodologia indipendente dal tipo di apparecchiatura e sono basati su misurazioni che possono essere replicate in ogni laboratorio.

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La VI regio augustea di Roma rappresenta uno dei settori urbani maggiormente investiti dalle modifiche radicali compiute dall’uomo nel processo di urbanizzazione della città che ne hanno modificato profondamente la situazione altimetrica e la conformazione originaria. Questi notevoli cambiamenti ebbero origine sin dall’età antica, ma si intensificarono profondamente soprattutto nel periodo rinascimentale quando a partire da Pio IV e soprattutto con Sisto V, attivo in tante altre zone della città, si svilupparono numerose opere di rinnovamento urbanistico che incisero notevolmente sul volto e sulle caratteristiche della zona in esame. A partire dal Rinascimento fino ad arrivare ai grandi scavi della fine del 1800 tutto il quartiere incominciò a “popolarsi” di numerosi edifici di grande mole che andarono ad intaccare completamente le vestigia del periodo antico: la costruzione del Palazzo del Quirinale e dei vari palazzi nobiliari ma soprattutto la costruzione dei numerosi ministeri e della prima stazione Termini alla fine dell’800 comportarono numerosi sventramenti senza la produzione di una adeguata documentazione delle indagini di scavo. Questa ricerca intende ricostruire, in un’ottica diacronica, la topografia di uno dei quartieri centrali della Roma antica attraverso l’analisi dei principali fenomeni che contraddistinguono l’evoluzione del tessuto urbano sia per quanto riguarda le strutture pubbliche che in particolar modo quelle private. Infatti, il dato principale che emerge da questa ricerca è che questa regio si configura, a partire già dal periodo tardo-repubblicano, come un quartiere a vocazione prevalentemente residenziale, abitato soprattutto dall’alta aristocrazia appartenente alle più alte cariche dello Stato romano; oltre a domus ed insulae, sul Quirinale, vennero costruiti lungo il corso di tutta l’età repubblicana alcuni tra i più antichi templi della città che con la loro mole occuparono parte dello spazio collinare fino all’età tardoantica, rappresentando così una macroscopica e costante presenza nell’ingombro dello spazio edificato.

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La tesi è il risultato di un tirocinio, della durata di cinque mesi, svolto presso l'Azienda 'Aliva', che si occupa di sistemi di facciate. Lo scopo della tesi è la realizzazione di un nuovo sistema di fissaggio a scomparsa di lastre in vetro. Tutta la ricerca è scaturita dalla richiesta dell'azienda per realizzare un nuovo prodotto di fissaggio di lastre di grandi dimensioni in vetro con impatto visivo molto ridotto. Il sistema unisce due tecnologie: - sistema meccanico; - sistema adesivo strutturale di alte performance. Partendo da dei test di laboratorio, la tesi consisterà nell'effettuare le verifiche agli elementi finiti, con l'ausilio del software Strauss7, di lastre in vetro stratificato e vetro camera.

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La radioterapia guidata da immagini (IGRT), grazie alle ripetute verifiche della posizione del paziente e della localizzazione del volume bersaglio, si è recentemente affermata come nuovo paradigma nella radioterapia, avendo migliorato radicalmente l’accuratezza nella somministrazione di dose a scopo terapeutico. Una promettente tecnica nel campo dell’IGRT è rappresentata dalla tomografia computerizzata a fascio conico (CBCT). La CBCT a kilovoltaggio, consente di fornire un’accurata mappatura tridimensionale dell’anatomia del paziente, in fase di pianificazione del trattamento e a ogni frazione del medisimo. Tuttavia, la dose da imaging attribuibile alle ripetute scansioni è diventata, negli ultimi anni, oggetto di una crescente preoccupazione nel contesto clinico. Lo scopo di questo lavoro è di valutare quantitativamente la dose addizionale somministrata da CBCT a kilovoltaggio, con riferimento a tre tipici protocolli di scansione per Varian OnBoard Imaging Systems (OBI, Palo Alto, California). A questo scopo sono state condotte simulazioni con codici Monte Carlo per il calcolo della dose, utilizzando il pacchetto gCTD, sviluppato sull’architettura della scheda grafica. L’utilizzo della GPU per sistemi server di calcolo ha permesso di raggiungere alte efficienze computazionali, accelerando le simulazioni Monte Carlo fino a raggiungere tempi di calcolo di ~1 min per un caso tipico. Inizialmente sono state condotte misure sperimentali di dose su un fantoccio d’acqua. I parametri necessari per la modellazione della sorgente di raggi X nel codice gCTD sono stati ottenuti attraverso un processo di validazione del codice al fine di accordare i valori di dose simulati in acqua con le misure nel fantoccio. Lo studio si concentra su cinquanta pazienti sottoposti a cicli di radioterapia a intensità modulata (IMRT). Venticinque pazienti con tumore al cervello sono utilizzati per studiare la dose nel protocollo standard-dose head e venticinque pazienti con tumore alla prostata sono selezionati per studiare la dose nei protocolli pelvis e pelvis spotlight. La dose media a ogni organo è calcolata. La dose media al 2% dei voxels con i valori più alti di dose è inoltre computata per ogni organo, al fine di caratterizzare l’omogeneità spaziale della distribuzione.

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La tesi parla della storia dei grattacieli, in particolare le principali scuole di pensiero che hanno permesso lo sviluppo del grattacielo e le innovazioni con le quali hanno raggiunto quote sempre più alte.

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L'alluminio e le sue leghe sono fra i materiali più importanti nell’ambito dell'ingegneria meccanica e trovano spazio in tutti i principali settori dell’industria aerospaziale e motoristica. La loro versatilità è legata principalmente all’elevata resistenza specifica indotta dal trattamento termico, all’ottima resistenza alla corrosione e all’elevata conducibilità elettrica e termica. Purtroppo l’effetto di rinforzo indotto del trattamento termico viene ad essere compromesso nel caso di applicazioni delle leghe a temperature superiori ai 200°C. Negli ultimi anni, al fine di aumentare l’efficienza e la potenza dei motori endotermici, le temperature a cui questi sono sottoposti si sono innalzate. Per tale ragione si stanno sviluppando e studiando leghe che, attraverso l’aggiunta di opportuni elementi, possano mantenere alte proprietà meccaniche anche a temperature superiori ai 200°C. L’obiettivo della presente ricerca è valutare l’influenza della microstruttura sulle proprietà meccaniche in temperatura di due leghe di alluminio per applicazioni in fonderia, C355 e A354, aventi come elementi principali di lega Si, Cu e Mg.

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La tesi analizza, nel quadro del secondo dopoguerra, quattro casi studio scelti tra le opere di ricostruzione dell’architetto Josef Wiedemann (1910-2001) nel centro di Monaco di Baviera: Odeon (1951-1952), Alte Akademie (1951-1955), Siegestor (1956-1958) e Glyptothek (1961-1972). L’architetto si occupa di opere simbolo della città di Monaco, affrontando la loro ricostruzione come un tema fondante per la storia e l’identità del popolo bavarese, ma soprattutto come un’occasione per definire un metodo d’intervento sulle rovine della guerra. Il suo lavoro è caratterizzato infatti per la ricerca costante di una sintesi tra interesse per la conservazione dell’antico e apertura al nuovo; ispirandosi all’insegnamento del maestro Hans Döllgast, Wiedemann traccia una nuova originale strada per l’intervento sull’antico, segnata da una profonda capacità tecnico-progettuale e dall'attenzione alle nuove esigenze a cui deve rispondere un’architettura contemporanea. Partendo dai suoi scritti e dalle sue opere, si può rilevare un percorso coerente che, partendo dalla conoscenza della storia dell'edificio, ripercorrendone l’evoluzione dallo stato che potremmo definire “originario” allo stato di rovina, giunge a produrre nel progetto realizzato una sintesi tra il passato e il futuro. L'architetto, nella visione di Wiedemann, è chiamato a un compito di grande responsabilità: conoscere per progettare (o ri-progettare) un edificio che porta impressi su di sé i segni della propria storia. Nel metodo che viene messo progressivamente a punto operando nel corpo vivo dei monumenti feriti dalla guerra, è percepibile fino a distinguerlo chiaramente l’interesse e l’influenza del dibattito italiano sul restauro. La conservazione “viva” dell'esistente, così come viene definita da Wiedemann stesso, si declina in modo diverso per ogni caso particolare, approdando a risultati differenti tra loro, ma che hanno in comune alcuni principi fondamentali: conoscere, ricordare, conservare e innovare.

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Le sostanze perfluoralchiliche (PFAS), composti fluorurati ampiamente utilizzati negli ultimi anni in diverse applicazioni industriali e commerciali, sono ritrovati diffusamente nell’ambiente e in diverse specie animali. Recentemente i PFAS hanno destato preoccupazione anche per la salute umana. Il rischio di esposizione è principalmente legato alla dieta (i prodotti ittici sembrano essere gli alimenti più contaminati). Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la presenza del perfluorottanosulfonato (PFOS) e dell’acido perfluorottanoico (PFOA), in diverse matrici alimentari: latte vaccino commercialmente disponibile in Italia, latte materno italiano, diverse specie di pesce commercialmente disponibili in Italia e 140 branzini di diverse aree (principalmente Mediterraneo). I campioni di latte sono stati trattati con estrazione liquido-liquido seguita da due fasi di purificazione mediante cartucce SPE prima dell’iniezione nell’UPLC-MS/MS. L’analisi del latte vaccino ha evidenziato una contaminazione diffusa di PFOS, ma a basse concentrazioni (fino a 97 ng/L), mentre il PFOA è stato ritrovato raramente. In questo studio, in grado di individuare anche i livelli delle ultra-tracce, sono state osservate nel latte materno concentrazioni di 15-288 ng/L per il PFOS e di 24-241 ng/LPFOA. Le concentrazioni e le frequenze più alte, per entrambi i PFAS, sono stati ritrovate in campioni di latte forniti da donne primipare, suggerendo un rischio di esposizione per i primogeniti. Il metodo utilizzato per i campioni di pesce era basato su un’estrazione con solvente organico seguita da due fasi di purificazione: una con i sali e una con fase solida dispersiva. L’estratto, analizzato in UPLC-MS/MS, ha confermato la contaminazione di questa matrice a livelli significativi, ma anche l’alta variabilità delle concentrazioni misurate. Il monitoraggio monospecie ha mostrato una contaminazione rilevante (PFOS 11,1- > 10000 ng/L; PFOA < 9-487 ng/L), soprattutto nei branzini pescati, rispetto a quelli allevati.

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La Sindrome da Asfissia Perinatale (PAS) è una delle più comuni patologie che colpiscono il puledro neonato nelle prime 72 h di vita. È una patologia difficile da diagnosticare in quanto non esistono parametri o segni clinici specifici, la sintomatologia è molto variabile in base alla durata e all’intensità dell’insulto ipossico ischemico e al tipo di organo maggiormente colpito. Lo scopo di questo studio è la ricerca e la valutazione di alcuni parametri biochimico-clinici e di alcuni biomarkers per la diagnosi precoce e il corretto trattamento dei puledri affetti da PAS. Nei puledri neonati che presentano questa patologia è stata riscontrata un’ipermagnesiemia al momento del ricovero associata a prognosi infausta, probabilmente causata da un grave danno cellulare con rilascio in circolo del magnesio intracellulare. La PAS potrebbe essere un’ulteriore causa di Euthyroid Sick Syndrome, in quanto abbiamo riscontrato una diminuzione delle concentrazioni di T3 e T4 nei puledri malati rispetto ai sani della stessa età, come avviene in altre malattie sistemiche. Lo studio del profilo proteomico ha permesso di separare le più importanti frazioni proteiche del liquido amniotico di cavalla, mettendo in evidenza similitudini e differenze qualitative e quantitative nei ferogrammi dei puledri sani e di quelli affetti da PAS ed una maggiore variabilità è stata riscontrata nei profili dei liquidi amniotici dei puledri malati. Il glutatione è risultato poco espresso nel puledro neonato, i puledri sani presentano concentrazioni più basse sia rispetto ai malati della stessa età sia agli adulti ma con una tendenza all’aumento nelle prime 24 ore di vita per i sani ed un calo nei malati. La somministrazione della terapia antiradicalica non influisce sulle concentrazioni di glutatione totale ed i puledri deceduti presentano concentrazioni più alte.

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Ziel der vorliegenden Arbeit war die vergleichende Sequenzierung und nachfolgende Analyse des syntänen chromosomalen Abschnitts auf dem kurzen Arm des humanen Chromosoms 11 in der Region 11p15.3 mit den Genen LMO1, TUB und dem orthologen Genomabschnitt der Maus auf Chromosom 7 F2. Die im Rahmen dieser Arbeit durchgeführte Kartierung dieser beiden chromosomalen Bereiche ermöglichte die Komplettierung einer genomischen Karte auf insgesamt über eine Megabase, die im Kooperationssequenzierprojekt der Universitäts-Kinderklinik und dem Institut für Molekulargenetik in Mainz erstellt wurde. Mit Hilfe von 28 PAC- und Cosmid-Klonen konnten in dieser Arbeit 383 kb an genomischer DNA des Menschen und mit sechs BAC- und PAC-Klonen 412 kb an genomischer DNA der Maus dargestellt werden. Dies ermöglichte erstmals die exakte Festlegung der Reihenfolge der in diesem chromosomalen Abschnitt enthaltenen Gene und die genaue Kartierung von acht STS-Markern des Menschen, bzw. vier STS-Sonden der Maus. Es zeigte sich dabei, dass die chromosomale Orientierung telomer-/centromerwärts des orthologen Bereichs in der Maus im Vergleich zum Menschen in invertierter Ausrichtung vorliegt. Die Sequenzierung von drei humanen Klonen ermöglichte die Bestimmung von 319.119 bp an zusammenhängender genomischer DNA. Dadurch konnte die genaue Lokalisation und Strukturaufklärung der Gene LMO1, ein putatives Tumorsuppressorgen, das mit der Entstehung von Leukämien assoziiert ist, und TUB, ein Transkriptionsmodulator, der in die Fettstoffwechselregulation involviert ist, vorgenommen werden. Für das murine Genom wurden 412.827 bp an neuer DNA-Sequenz durch Sequenzierung von ebenfalls drei Klonen generiert. Der im Vergleich zum Menschen ca. 100 kb größere Genombereich beinhaltete zudem die neuen Gene Stk33 und Eif3. Es handelte sich dabei um zwei Gene, die erst im Rahmen dieser Arbeit entdeckt und charakterisiert wurden. Die parallele Bearbeitung beider Genombereiche ermöglichte eine umfassende komparative Analyse nach kodierenden, funktionellen und strukturgebenden Sequenzabschnitten in beiden Spezies. Es konnten dabei für beide Organismen die Exon-Intron-Strukturen der Gene LMO1/Lmo1 und TUB/Tub geklärt. Zudem konnten vier neue Exons und zwei neue speziesspezifischer Spleißvarianten für TUB/Tub beschrieben werden. Die Identifizierung dieser neuen Spleißvarianten offenbart neue Möglichkeiten für alternative Regulation und Funktion, oder für eine veränderte Proteinstruktur, die weitere Erklärungsansätze für die Entstehung der mit diesen Genen assoziierten Erkrankungen zulässt. In der sequenzierten, größeren Genomsequenz der Maus konnte in den flankierenden, nicht mit der sequenzierten Humansequenz überlappenden Bereich das neue Gen Eif3 in seiner Exon-Intron-Struktur und die beiden letzten Exons 11 und 12 des Gens Stk33 kartiert und charakterisiert werden. Die umfangreiche Sequenzanalyse beider sequenzierter Genombereiche ergab für den Abschnitt des Menschen insgesamt 229 potentielle Exonsequenzen und für den Bereich der Maus 527 mögliche Exonbereiche. Davon konnten beim Menschen explizit 21 Exons und bei der Maus 31 Exons als exprimierte Bereiche identifiziert und experimentell mittels RT-PCR, bzw. durch cDNA-Sequenzierung verifiziert werden. Diese Abschnitte beschrieben nicht nur die Exonbereiche der oben genannten vier Gene, sondern konnten auch neuen nicht weiter definierten EST-Sequenzen zugeordnet werden. Mittels des Interspeziesvergleiches war darüber hinaus auch die Analyse der nichtkodierenden Intergen-Bereiche möglich. So konnten beispielsweise im ersten Intron des LMO1/Lmo1 sieben Sequenzbereiche mit Konservierungen von ca. 90% bestimmt werden. Auch die Charakterisierung von Promotor- und putativ regulatorischen Sequenzabschnitten konnte mit Hilfe unterschiedlicher bioinformatischer Analyse-Tools durchgeführt werden. Die konservierten Sequenzbereiche der DNA zeigen im Durchschnitt eine Homologie von mehr als 65% auf. Auch die Betrachtung der Genomorganisation zeigte Gemeinsamkeiten, die sich meist nur in ihrer graduellen Ausprägung unterschieden. So weist ein knapp 80 kb großer Bereich proximal zum humanen TUB-Gen einen deutlich erhöhten AT-Gehalt auf, der ebenso im murinen Genom nur in verkürzter Version und schwächer ausgeprägt in Erscheinung tritt. Die zusätzliche Vergleichsanalyse mit einer weiteren Spezies, den orthologen Genomabschnitten von Fugu, zeigte, dass es sich bei den untersuchten Genen LMO1 und TUB um sehr konservierte und evolutiv alte Gene handelt, deren genomisches Organisationsmuster sich auch bei den paralogen Genfamilienmitglieder innerhalb derselben Spezies wiederfindet. Insgesamt konnte durch die Kartierung, Sequenzierung und Analyse eine umfassende Datenbasis für die betrachtete Genomregion und die beschriebenen Gene generiert werden, die für zukünftige Untersuchungen und Fragestellungen wertvolle Informationen bereithält.

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Il presente lavoro di tesi affronta il problema della calibrazione dei modelli idrologici afflussi-deflussi tramite un nuovo approccio basato sull'utilizzo di funzioni di utilità. L'approccio classico nella calibrazione dei modelli idrologici prevede la definizione di una misura di discrepanza tra dato osservato e simulato (definizione della funzione obiettivo) per poi procedere ad una sua minimizzazione o massimizzazione. Tradizionalmente, questo processo viene eseguito considerando l'idrogramma nella sua globalità, senza concentrarsi su quegli intervalli dell'idrogramma più utili all'utilizzatore del modello idrologico. Ad esempio, se il modello idrologico viene impiegato in un'ottica di gestione delle risorse idriche, l'utilizzatore sarà interessato ad una “migliore” riproduzione dei deflussi medio/bassi piuttosto che una corretta riproduzione dei colmi di piena. D'altra parte, se l'obiettivo è la riproduzione dei colmi di piena, un modello con alte prestazioni nella riproduzione dei deflussi medi risulta essere di scarsa utilità all'utilizzatore. Calibrando il modello tramite la funzione di utilità più adatta al caso pratico in esame, si può pertanto consentire all'utilizzatore del modello di guidare il processo di calibrazione in modo da essere coerente con il proprio schema decisionale e con le proprie esigenze, e di migliorare le performances del modello (cioè la riproduzione delle portate osservate) negli intervalli di portata per lui di maggiore interesse.

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The distribution pattern of European arctic-alpine disjunct species is of growing interest among biogeographers due to the arising variety of inferred demographic histories. In this thesis I used the co-distributed mayfly Ameletus inopinatus and the stonefly Arcynopteryx compacta as model species to investigate the European Pleistocene and Holocene history of stream-inhabiting arctic-alpine aquatic insects. I used last glacial maximum (LGM) species distribution models (SDM) to derive hypotheses on the glacial survival during the LGM and the recolonization of Fennoscandia: 1) both species potentially survived glacial cycles in periglacial, extra Mediterranean refugia, and 2) postglacial recolonization of Fennoscandia originated from these refugia. I tested these hypotheses using mitochondrial sequence (mtCOI) and species specific microsatellite data. Additionally, I used future SDM to predict the impact of climate change induced range shifts and habitat loss on the overall genetic diversity of the endangered mayfly A. inopinatus.rnI observed old lineages, deep splits, and almost complete lineage sorting of mtCOI sequences between mountain ranges. These results support the hypothesis that both species persisted in multiple periglacial extra-Mediterranean refugia in Central Europe during the LGM. However, the recolonization of Fennoscandia was very different between the two study species. For the mayfly A. inopinatus I found strong differentiation between the Fennoscandian and all other populations in sequence and microsatellite data, indicating that Fennoscandia was recolonized from an extra European refugium. High mtCOI genetic structure within Fennoscandia supports a recolonization of multiple lineages from independent refugia. However, this structure was not apparent in the microsatellite data, consistent with secondary contact without sexual incompability. In contrast, the stonefly A. compacta exhibited low genetic structure and shared mtCOI haplotypes among Fennoscandia and the Black Forest, suggesting a shared Pleistocene refugium in the periglacial tundrabelt. Again, there is incongruence with the microsatellite data, which could be explained with ancestral polymorphism or female-biased dispersal. Future SDM projects major regional habitat loss for the mayfly A. inopinatus, particularly in Central European mountain ranges. By relating these range shifts to my population genetic results, I identified conservation units primarily in Eastern Europe, that if preserved would maintain high levels of the present-day genetic diversity of A. inopinatus and continue to provide long-term suitable habitat under future climate warming scenarios.rnIn this thesis I show that despite similar present day distributions the underlying demographic histories of the study species are vastly different, which might be due to differing dispersal capabilities and niche plasticity. I present genetic, climatic, and ecological data that can be used to prioritize conservation efforts for cold-adapted freshwater insects in light of future climate change. Overall, this thesis provides a next step in filling the knowledge gap regarding molecular studies of the arctic-alpine invertebrate fauna. However, there is continued need to explore the phenomenon of arctic-alpine disjunctions to help understand the processes of range expansion, regression, and lineage diversification in Europe’s high latitude and high altitude biota.

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Il presente lavoro di tesi si propone di confrontare la risposta delle comunità bentoniche associate a una macroalga “habitat-former”, Cystoseira crinita (Duby), sottoposte a diverse intensità e frequenze di calpestio, tramite un esperimento di manipolazione in campo. Tale simulazione si è svolta in un tratto di costa rocciosa nel SIC (Sito di Importanza Comunitaria) di “Berchida-Bidderosa”, Sardegna Nord-Orientale. I risultati di questo esperimento mostrano come, in conseguenza del calpestio, si possa osservare una significativa perdita di biomassa di Cystoseira crinita. La perdita di biomassa si registra principalmente nei campioni sottoposti a calpestio con frequenze/intensità maggiori di 50 passi per unità di area. Le aree sottoposte a medio-alta frequenza/intensità di calpestio non mostrano nel breve periodo un significativo recupero della biomassa algale. Nel presente studio il confronto tra intensità e frequenze di calpestio rivela che il calpestio ripetuto in più giornate non mostra differenze significative rispetto a quello effettuato in un unica giornata. Il fattore che sembra incidere maggiormente sulla perdita di biomassa di Cystoseira crinita è dunque l’intensità di calpestio. L’analisi dei campioni meiobentonici ha rivelato una ricca comunità animale associata a Cystoseira crinita, con 29 taxa identificati. Analizzando gli effetti del calpestio si osserva come la meiofauna risenta negativamente dell’effetto del calpestio in termini di perdita di densità totale e di riduzione del numero di taxa, anche a basse intensità. I campioni meiofaunali sottoposti a medio alte intensità di calpestio non mostrano un recupero nel breve periodo. I risultati ottenuti sull’insieme dei popolamenti, in termini multivariati mostrano un evoluzione della struttura di comunità nel tempo, indicando una variazione delle relazioni di dominanza fra i taxa, che si modificano fra i diversi trattamenti e tempi. Anche nel caso delle analisi condotte sulla meiofauna non si riscontrano differenze tra intensità di calpestio e frequenze. Per valutare quanto la risposta dei popolamenti meiobentonici sia correlata alle variazioni di biomassa di Cystoseira crinita rispetto che ad un effetto diretto del calpestio, tutte le analisi sono state condotte pesando le densità dei diversi taxa in funzione della biomassa algale. Le analisi multivariate mostrano una chiara correlazione tra la biomassa algale e struttura della comunità meiobentoniche. L’effetto del calpestio riduce le abbondanze di organismi meiobentonici in maniera diretta, mentre il successivo ripopolamento dei differenti taxa è legato al recupero o meno di biomassa di Cystoseira crinita. In conclusione, i risultati di questo studio confermano che il calpestio umano sulle coste rocciose possa danneggiare una specie considerata ad alto valore ecologico, come Cystoseira crinita, producendo inoltre effetti negativi diretti ed indiretti sui popolamenti meiobentonici ad essa associati.

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Die antioxidative Aktivität des Enzyms Glutathionperoxidase-1 (GPx-1) schützt vor Atherosklerose und ihren Folgeerkrankungen. In einer Vorstudie konnten wir zeigen, dass der Mangel an GPx-1 die Atheroskleroseentwicklung in Apolipoprotein E defizienten (ApoE-/-) Mäusen beschleunigt und modifiziert. Allerdings sind die Verteilung der GPx-1 in atherosklerotischen Läsionen und die Mechanismen für den erhöhten Makrophagengehalt in der Läsion noch nicht geklärt. Deshalb haben wir (1) die in-situ Expression der GPx-Isoformen in atherosklerotischen Läsionen von GPx-1-/-ApoE-/- und ApoE-/- Mäusen und (2) den Einfluss der GPx-1 Defizienz auf die Schaumzellbildung und Proliferation der Peritonealmakrophagen in ApoE-/- Mäusen untersucht. Die GPx-1-/-ApoE-/- und ApoE-/- Weibchen wurden für 6 und 12 Wochen auf einer atherogenen „Western-type“ Diät gehalten. Die in situ-Hybridisierung zeigte, dass die verschiedenen Isoformen der GPx (GPx-1, GPx-3, GPx-4) vorwiegend in Makrophagen, nicht jedoch in glatten Muskelzellen der atherosklerotischen Läsionen von ApoE-/- Mäusen exprimiert wurden. Für die in vitro Untersuchungen wurden 5 Monate alte, GPx-1 defiziente und Wildtyp-Mäuse, gehalten auf Normaldiät, verwendet. Die Öl-Rot-O Färbung zeigte, dass die GPx-1 Defizienz die OxLDL (oxidiertes LDL) - und E-LDL (enzymatisch modifiziertes LDL) - induzierte Schaumzellbildung förderte. Darüber hinaus war die OxLDL-induzierte Cholesterinakkumulation (zellulärer Cholesterinester/ Cholesterin-Gehalt) in GPx-1 defizienten Makrophagen verstärkt, sodass ein Mangel an GPx-1 die Aufnahme von OxLDL durch Monozyten und damit die Umwandlung in Schaumzellen beschleunigt. Hinsichtlich der Proliferation zeigte sich, dass MCSF (Macrophage Colony-Stimulating Facotr) ein stärkerer Stimulus als OxLDL ist. Ein Mangel an GPx-1 fördert die Proliferation zusätzlich. Daran ist die ERK1/2 (extracellular-signal regulated kinase 1/2) - Kaskade beteiligt, denn es wurde eine schnelle Phosphorylierung der ERK1/2-Kaskade durch MCSF und/oder OxLDL nachgewiesen. Entsprechend reduzieren ERK1/2-Inhibitoren die proliferative Aktivität der Makrophagen. Die Hemmung der p38-MAPK (p38 mitogen-activated protein kinase) führt zur vermehrten Proliferation und bei gleichzeitig verringerter Caspase-3/7 Aktivität der Makrophagen unabhängig von der Expression der GPx-1. Ein Mangel an GPx-1 hat auch keinen Einfluss auf die MCSF-vermittelte Aktivierung der p38-MAPK und JNK (c-Jun N-terminal kinase). Zusammenfassend läßt sich feststellen, dass die GPx-1-Defizienz einen signifikanten Einfluss auf die Schaumzellbildung und Proliferation von Makrophagen hat, was zur Beschleunigung der Atherosklerose und zu vermehrter Zellularität der entstehenden atherosklerotischen Läsionen führt. Die Proliferation wird über den ERK1/2 Signal-transduktionsweg positiv und über den p38-MAPK Weg negativ reguliert, wobei die ERK1/2-Kaskade empfindlich gegenüber oxidativem Stress bei GPx-1-Defizienz ist.

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B0218+357 è un blazar soggetto al lensing che si trova a z=0.944. Questo sistema consiste in due componenti compatte (A e B) e un anello di Einstein. Recentemente è stato associato ad una sorgente gamma soggetta a burst osservata con il satellite Fermi-LAT. Questo blazar ha mostrato una forte variabilità in banda γ da agosto a settembre del 2012. Gli episodi di variabilità osservati hanno consentito di misurare per la prima volta in banda gamma il ritardo temporale previsto dalla teoria del lensing gravitazionale. Le osservazioni in banda gamma sono state seguite da un programma di monitoring con il Very Long Baseline Array (VLBA) in banda radio con lo scopo di verificare l’esistenza di una correlazione tra l’emissione nelle due bande. In questa Tesi tali osservazioni radio sono state analizzate con lo scopo di studiare la variabilità di B0218+357 e, quindi, attestare la connessione tra l’emissione alle alte energie e quella in banda radio. L’obiettivo principale di questo lavoro di Tesi è quello di studiare l’evoluzione della densità di flusso, dell’indice spettrale e della morfologia delle immagini A e B e delle loro sottocomponenti. I dati analizzati sono stati ottenuti con l’interferometro VLBA a tre frequenze di osser- vazione: 2.3, 8.4 GHz (4 epoche con osservazioni simultanee alle due frequenze) e 22 GHz (16 epoche). Le osservazioni hanno coperto un periodo di circa due mesi, subito successivo al flare in banda gamma. La riduzione dei dati è stata effettuata con il pacchetto AIPS. Dall’analisi delle immagini, nella componente B è possibile riconoscere la tipica struttura nucleo-getto chiaramente a tutte e tre le frequenze, invece nella componente A questa struttura è identificabile solo a 22 GHz. A 2.3 e 8.4 GHz la risoluzione non è sufficiente a risolvere nucleo e getto della componente A e l’emissione diffusa risulta dominante. Utilizzando il metodo dello stacking sulle immagini a 2.3 GHz, è stato possibile rivelare le parti più brillanti dell’Einstein ring associato a questa sorgente. Questo è stato possibile poiché la sorgente non ha mostrato alcun segno di variabilità significativa né di struttura né di flusso nelle componenti. Quindi dall’analisi delle curve di luce delle due componenti A e B non è emersa una variabilità significativa chiaramente associabile al flare osservato in banda gamma. Per verificare questo risultato, le curve di luce ottenute sono state confrontate con le osservazioni del radio telescopio OVRO (15 GHz) nel periodo corrispondente alle nostre osservazioni. La curva di luce OVRO è risultata in pieno accordo con le curve di luce ottenute durante questo lavoro di tesi e ha confermato che B0218+257 non ha mostrato un’importante attività radio nel periodo delle osservazioni VLBA. In definitiva, la mancanza di variabilità radio associata a quella osservata nei raggi gamma può essere dovuta al fatto che la regione in cui si è originato il flare gamma è otticamente spessa alle lunghezze d’onda radio, oppure non esiste una precisa correlazione tra le due emissioni, rimanendo quindi un problema aperto da investigare.