838 resultados para Case Law


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This thesis is aimed at analysing EU external relations from the perspective of the promotion of the rule of law in order to evaluate the effectiveness and consistency of its action within the international community. The research starts with an examination of the notion of the rule of law from a theoretical point of view. The first chapter initially describes the historical-political evolution of the establishment of the notion of the rule of law. Some of the most significant national experiences (France, the UK, Germany and Austria) are discussed. Then, the focus is put on the need to propose interpretations which explain the grounds of the rule of law, by highlighting the different formal and substantive interpretations. This philosophical-historical analysis is complemented by a reconstruction of how the notion of the rule of law was developed by the international community, with a view to searching a common notion at the international level by comparing theory and practice within the main international organisations such as the UN, OECD and the Council of Europe. Specific mention is made of the EU experience, whose configuration as a Community based on the rule of law is often debated, starting from the case law of the European Court of Justice. The second chapter deals with the conditionality policy and focuses on the development and scope of democratic conditionality according to the dominant approach of the doctrine. First, the birth of conditionality is analysed from an economic point of view, especially within international financial organisations and the different types of conditionality recreated in the scientific sector. Then an analysis is provided about the birth of democratic conditionality in the EC – in relation to its external relations – firstly as a mere political exercise to be then turned into a standardised system of clauses. Specific reference is made to the main scope of conditionality, that is to say enlargement policy and the development of the Copenhagen criteria. The third chapter provides further details about the legal questions connected to the use of democratic clauses: on the one hand, the power of the EC to include human rights clauses in international agreements, on the other, the variety and overlapping in the use of the legal basis. The chapter ends with an analysis of the measures of suspension of agreements with third countries in those rare but significant cases in which the suspension clause, included in the Lomè Convention first and in the Cotonou Agreement then, is applied. The last chapter is devoted to the analysis of democratic clauses in unilateral acts adopted by the European Union which affect third countries. The examination of this practice and the comparison with the approach analysed in the previous chapter entails a major theoretical question. It is the clear-cut distinction between conditionality and international sanction. This distinction is to be taken into account when considering the premises and consequences, in terms of legal relations, which are generated when democratic clauses are not complied with. The chapter ends with a brief analysis of what, according to the reconstruction suggested, can be rightly labelled as real democratic conditionality, that is to say the system of incentives, positive measures developed within the community GSP. The dissertation ends with a few general considerations about the difficulties experienced by the EU in promoting the rule of law. The contradictory aspects of the EU external actions are manifold, as well as its difficulties in choosing the most appropriate measures to be taken which, however, reflect all the repercussions and tension resulting from the balance of power within the international community. The thesis argues that it is difficult to grant full credibility to an entity like the EU which, although it proclaims itself as the guardian and promoter of the rule of law, in practice, is too often biased in managing its relations with third countries. However, she adds, we must acknowledge that the EU is committed and constantly strives towards identifying new spaces and strategies of action.

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La tesi si occupa, con originalità e spunti di innovazione, del tema degli infortuni sul lavoro e tecnopatie, attraverso un'ottica del tutto nuova perchè attenta sia agli aspetti previdenziali (indennizzo Inail) e sia agli aspetti risarcitori (risarcimento dei danni differenziali e complementari). Lo studio, non scevro da analisi critiche, indaga in particolare sulla risarcibiità del danno c.d. differenziale e sperimenta le nuove poste risarcitorie applicabili, alla luce delle più recenti evoluzioni legislative e giurisprudenziali. L'Autore non trascura, infine, i complessi profili processuali a completamento delle tutele e le responsabilità sia del datore di lavoro (obbligato principale) e sia dei terzi.

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L'elaborato si pone l'obiettivo di indagare il complesso quadro delle molestie in famiglia e sul lavoro nell'ordinamento italiano e di effettuare una comparazione con un ordinamento appartenente alla stessa tradizione giuridica, l'ordinamento francese. Nel corso dell'esposizione saranno ricostruiti gli aspetti socio-criminologici e giuridici delle molestie in famiglia verso i soggetti deboli, donne, minori, anziani o portatori di handicap, le molestie sul luogo di lavoro quali molestie sessuali e mobbing, le molestie a distanza o stalking, che per molti aspetti rappresentano un fenomeno sommerso e poco conosciuto. La tesi intende analizzare soprattutto le forme di molestie psicologiche e meno conosciute. La ricostruzione teorico-normativa degli argomenti trattati è integrata con i risultati di una ricerca quantitativa e qualitativa tratta dalla giurisprudenza dei due paesi. Il lavoro, quindi, è organizzato in due parti: la prima è incentrata sugli aspetti teorici, socio-criminologici e giuridici e la seconda è dedicata alla ricerca empirica, che è stata condotta utilizzando quali fonti di dati le sentenze della Suprema Corte di Cassazione italiana e francese.

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La tesi affronta le questioni processuali connesse alla verifica dei reati di guida in stato di ebbrezza e di alterazione da droghe. La ricerca si sviluppa in tre direzioni. La prima parte studia la disciplina tedesca. L’analisi parte dalle norme sostanziali che definiscono le fattispecie incriminatrici contemplate dall’ordinamento osservato; s’interessa, poi, degli equilibri tra gli strumenti di captazione della prova utili ai reati in discorso ed il principio nemo tenetur se detegere (l’ estensione del diritto di difesa tedesco copre anche le prove reali e non prevede obblighi di collaborazione all’alcoltest). Prosegue, infine, con l’esame delle metodologie di acquisizione della prova, dall’etilometro agli screening per le droghe, sino al prelievo ematico coattivo, indispensabile per l’accertamento penale. La seconda sezione esamina gli artt. 186 e 187 del codice della strada italiano, alla luce del principio di libertà personale e del diritto a non autoincriminarsi. Particolarmente delicati gli equilibri rispetto a quest’ultimo: l’obbligatorietà di un atto potenzialmente autoaccusatorio è evitabile solo a pena di una severa sanzione. Occorre definire se il diritto di difesa copra anche il mero facere o garantisca il solo silenzio. Se si ammette, infatti, che il nemo tenetur sia applicabile anche alle prove reali, la collaborazione obbligatoria imposta al conducente è scelta incompatibile con il diritto di difesa: la disciplina italiana presenta, dunque, profili d’illegittimità costituzionale. La terza parte riguarda le problematiche processuali poste dai controlli stradali che emergono dall’analisi della giurisprudenza. Si affrontano, così, le diverse vicende della formazione della prova: ci si interroga sull’istituto processuale cui ricondurre gli accertamenti, sulle garanzie di cui goda il guidatore durante e dopo l’espletamento dell’atto, sulle eventuali sanzioni processuali derivanti da una violazione delle predette garanzie. Si esaminano, infine, le regole di apprezzamento della prova che guidano il giudice nella delicata fase valutativa.

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La tesi ha ad oggetto lo studio e l’approfondimento delle forme di promozione commerciale presenti in Rete caratterizzate, più che da una normale evoluzione, da continue metamorfosi che ridefiniscono ogni giorno il concetto di pubblicità. L’intento è quello di analizzare il quadro giuridico applicabile alla pubblicità via Web, a fronte della varità di forme e di modalità che essa può assumere. Nel lavoro vengono passate in rassegna le caratteristiche che differenziano la pubblicità commerciale on-line rispetto a quella tradizionale; tra le quali, particolare rilievo assume la capacità d’istaurare una relazione – diretta e non mediata – tra impresa e consumatore. Nel prosieguo viene affrontato il problema dell’individuazione, stante il carattere a-territoriale della Rete, della legge applicabile al web advertising, per poi passare ad una ricognizione delle norme europee ed italiane in materia, senza trascurare quelle emanate in sede di autodisciplina. Ampio spazio è dedicato, infine, all’esame delle diverse e più recenti tecniche di promozione pubblicitaria, di cui sono messi in evidenza gli aspetti tecnico-informatici, imprescindibili ai fini di una corretta valutazione del tema giuridico. In particolare, vengono approfonditi il servizio di posizionamento a pagamento offerto dai principali motori di ricerca (keywords advertising) e gli strumenti di tracciamento dei “comportamenti” on-line degli utenti, che consentono la realizzazione di campagne pubblicitarie mirate (on-line behavioural advertising). Il Web, infatti, non offre più soltanto la possibilità di superare barriere spaziali, linguistiche o temporali e di ampliare la propria sfera di notorietà, ma anche di raggiungere l’utente “interessato” e, pertanto, potenziale acquirente. Di queste nuove realtà pubblicitarie vengono vagliati gli aspetti più critici ed esaminata la disciplina giuridica eventualmente applicabile anche alla luce delle principali decisioni giurisprudenziali nazionali ed europee in materia, nonché delle esperienze giuridiche nord-americane e di tipo autoregolamentare.

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La tesi affronta il tema dei controlli avverso i provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi resi nell’ambito dei procedimenti di separazione e di divorzio, dapprima fornendo un inquadramento storico della problematica, attraverso la disamina delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali formatesi con riferimento alla natura ed al regime impugnatorio di tali provvedimenti dall’entrata in vigore del codice di rito del 1865 ad oggi, dopodiché analizzando le numerose questioni interpretative cui l’attuale quadro normativo, risultante dalla stratificazione legislativa operata dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 e dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, dà origine. In particolare la tesi, dopo aver delineato la struttura del reclamo di cui all’art. 708 c.p.c., cercando di fornire una soluzione ai dubbi che la scarna disciplina contenuta nella menzionata norma solleva, si occupa dei rapporti tra gli istituti del reclamo alla Corte d’appello e della revoca e modifica ad opera del giudice istruttore, riepilogando le varie teorie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul tema e cercando di individuare quale sia l’ambito di applicazione di ciascuno strumento di controllo. La tesi affronta poi, a fronte della mancata previsione di una forma di riesame avanti ad un organo superiore avverso i provvedimenti resi dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 709, ultimo comma, c.p.c., la questione della reclamabilità di tali provvedimenti, cercando di individuare quale sia lo strumento più idoneo cui fare ricorso per colmare la lacuna che si dovesse ritenere esistente nel dato normativo. Il lavoro si conclude con la disamina, in una prospettiva de iure condendo, dei progetti di riforma che sono stati elaborati con riferimento al tema dei controlli avverso i provvedimenti temporanei e urgenti.

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L’elaborato è strutturato in quattro parti: la prima è dedicata all’inquadramento del background normativo. L’autrice affronta, con un approccio ricostruttivo, i precedenti alla redazione del regolamento e le difficoltà incontrate a causa delle resistenze degli Stati membri. Si sofferma altresì sulle norme UNCITRAL, anch’esse oggetto nel recente periodo, di numerose implementazioni. La seconda parte fotografa il ruolo della Corte di Giustizia nell’interpretazione del regolamento n. 1346/2000 ed individua i concetti fondamentali del regolamento: l’universalità attenuata, il campo di applicazione soggettivo del regolamento, la legge applicabile, il principio dell’automatico riconoscimento delle decisioni e la correlata tematica dell’ordine pubblico, nonché la figura del curatore. Si approfondisce l’attività degli Stati membri nel dotarsi di norme di coordinamento ( esemplare il caso della Spagna e della Germania) sottolineando il silenzio del legislatore italiano che, nonostante le numerose riforme in materia, a tutt’oggi non ha ideato un sistema in grado di coordinare la normativa nazionale con la struttura del regolamento europeo. Nella terza parte l'autrice approfondisce la giurisdizione nel regolamento n. 1346/2000. Si individuano le parole chiave: Comi e dipendenza, i cui significati sono sfumati seguendo le posizioni della Corte di Giustizia, (Leading Case Eurofood sino a Interedil) e si mette in discussione, nel panorama attuale, la tenuta di tali criteri giurisdizionali. Sempre intorno al concetto di Comi, si analizzano: la giurisdizione verso gruppi di imprese disciplina assente nel regolamento, i rapporti tra procedura principale e secondaria , la giurisdizione in materia di azioni connesse e/o correlate (Gourdain vs Nadler/Seagon vs Deko Marty). Il capitolo conclusivo offre una panoramica delle proposte finalizzate ad un’implementazione della struttura del regolamento sull’insolvenza. Numerose, infatti, sono le proposte a livello dottrinale e da parte degli organi comunitari in vista della scadenza del Report della Commissione Europea sulla applicazione del regolamento 1346 del 2000 (art. 46).

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Il presente progetto di ricerca analizza quella particolare forma di affidamento diretto dei servizi pubblici denominata in house providing e si articola in tre sezioni. Nella prima sezione viene analizzata la disciplina dei servizi pubblici locali nell’ordinamento italiano mediante un excursus normativo dai primi del 900 ad oggi; la seconda sezione è dedicata alla disciplina dell’affidamento dei servizi pubblici locali di trasporto; la terza sezione, infine, descrive l’in house providing e l’elaborazione pretoria di tale istituto operata dalla giurisprudenza comunitaria. Come noto, la pubblica amministrazione può soddisfare le sue esigenze secondo due diverse modalità: ricorrendo al libero mercato come qualsiasi altro operatore economico oppure auto-producendo i beni e i servizi di cui necessita. Infatti, nonostante il diritto comunitario imponga il rispetto del principio di tutela della concorrenza, lascia impregiudicato il potere di auto-organizzazione in capo alle pubbliche amministrazioni negli Stati membri, le quali potranno scegliere di agire “in economia” o di ricorrere alle prestazioni di operatori terzi. Con la locuzione di derivazione comunitaria in house providing si definisce quel modello organizzativo mediante il quale le pubbliche amministrazioni realizzano le attività di loro competenza attraverso i propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato per procurarsi i lavori, i servizi e le forniture ad esse occorrenti o per erogare alla collettività prestazioni di pubblico servizio, in deroga ai principi comunitari sulla tutela della concorrenza stabiliti nel Trattato istitutivo della Comunità Europea, che invece imporrebbero lo svolgimento di gare ad evidenza pubblica per l'affidamento di tali servizi. Tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, affinché la procedura di gara non sia necessaria, occorre che tra l’amministrazione e il prestatore ci sia sostanziale identità, nonostante le distinte personalità giuridiche, in modo tale da configurare il contratto tra le stesse intercorso come un atto di organizzazione interna.

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Le ragioni della delocalizzazione sono molteplici e di differente natura. Si delocalizza, in primo luogo, per ragioni di stampo economico, finanziario eccetera, ma questa spinta naturale alla delocalizzazione è controbilanciata, sul piano strettamente tributario, dall’esigenza di preservare il gettito e da quella di controllare la genuinità della delocalizzazione medesima. E’ dunque sul rapporto tra “spinte delocalizzative” dell’impresa, da un lato, ed esigenze “conservative” del gettito pubblico, dall’altro, che si intende incentrare il presente lavoro. Ciò alla luce del fatto che gli strumenti messi in campo dallo Stato al fine di contrastare la delocalizzazione (più o meno) artificiosa delle attività economiche devono fare i conti con i principi comunitari introdotti con il Trattato di Roma e tratteggiati negli anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. In quest’ottica, la disciplina delle CFC costituisce un ottimo punto di partenza per guardare ai fenomeni di produzione transnazionale della ricchezza e agli schemi di ordine normativo preposti alla tassazione di codesta ricchezza. Ed infatti, le norme sulle CFC non fanno altro che omogeneizzare un sistema che, altrimenti, sarebbe lasciato alla libera iniziativa degli uffici fiscali. Tale “normalizzazione”, peraltro, giustifica le esigenze di apertura che sono incanalate nella disciplina degli interpelli disapplicativi. Con specifico riferimento alla normativa CFC, assumono particolare rilievo la libertà di stabilimento ed il principio di proporzionalità anche nella prospettiva del divieto di abuso del diritto. L’analisi dunque verterà sulla normativa CFC italiana con l’intento di comprendere se codesta normativa, nelle sue diverse sfaccettature, possa determinare situazioni di contrasto con i principi comunitari. Ciò anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal legislatore con il d.l. 78/2009 in un quadro normativo sempre più orientato a combattere le delocalizzazioni meramente fittizie.

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Il principale obiettivo della tesi è dimostrare come la connessione tra i differenti livelli giuridici che riguardano le relazioni tra Stati membri dell'UE richieda un'interpretazione sistematica delle convenzioni contro le doppie imposizioni intracomunitarie, ed in particolare richieda l'applicazione della clausola della nazione più favorita.

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La ricerca affronta in modo unitario e nell’ottica europea i multiformi fenomeni della doppia imposizione economica e giuridica, assumendo come paradigma iniziale la tassazione dei dividendi cross-border. Definito lo statuto giuridico della doppia imposizione, se ne motiva la contrarietà all’ordinamento europeo e si indagano gli strumenti comunitari per raggiungere l’obiettivo europeo della sua eliminazione. In assenza di un’armonizzazione positiva, il risultato sostanziale viene raggiunto grazie all’integrazione negativa. Si dimostra che il riserbo della Corte di Giustizia di fronte a opzioni di politica fiscale è soltanto un’impostazione di facciata, valorizzando le aperture giurisprudenziali per il suo superamento. Questi, in sintesi, i passaggi fondamentali. Si parte dall’evoluzione delle libertà fondamentali in diritti di rango costituzionale, che ne trasforma il contenuto economico e la portata giuridica, attribuendo portata costituzionale ai valori di neutralità e non restrizione. Si evidenzia quindi il passaggio dal divieto di discriminazioni al divieto di restrizioni, constatando il fallimento del tentativo di configurare il divieto di doppia imposizione come principio autonomo dell’ordinamento europeo. Contemporaneamente, però, diventa opportuno riesaminare la distinzione tra doppia imposizione economica e giuridica, e impostare un unico inquadramento teorico della doppia imposizione come ipotesi paradigmatica di restrizione alle libertà. Conseguentemente, viene razionalizzato l’impianto giurisprudenziale delle cause di giustificazione. Questo consente agevolmente di legittimare scelte comunitarie per la ripartizione dei poteri impositivi tra Stati Membri e l’attribuzione delle responsabilità per l’eliminazione degli effetti della doppia imposizione. In conclusione, dunque, emerge una formulazione europea dell’equilibrato riparto di poteri impositivi a favore dello Stato della fonte. E, accanto ad essa, una concezione comunitaria del principio di capacità contributiva, con implicazioni dirompenti ancora da verificare. Sul piano metodologico, l’analisi si concentra criticamente sull’operato della Corte di Giustizia, svelando punti di forza e di debolezza della sua azione, che ha posto le basi per la risposta europea al problema della doppia imposizione.

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Come si evince dal titolo della tesi, la ricerca effettuata dal presente candidato nel corso del dottorato di ricerca ha avuto ad oggetto l’analisi delle competenze che, a diverso livello, comunitario, nazionale e regionale, sono attribuite agli enti in materia di rilascio di concessioni di servizi in abito interportuale, portuale e demaniale marittimo. L’attenzione, pertanto, ha dovuto innanzitutto essere rivolta ai compiti ed alle facoltà che, in forza del trattato che istituisce la Comunità Europea, sono attribuite alla Comunità stessa. Si è provveduto, pertanto, ad analizzare l’evoluzione della normativa per giungere all’attuale sistema giuridico. Gli aspetti della disciplina delle concessioni, oggetto di ricerca, hanno dovuto ripercorrere i vari procedimenti di infrazione comminati dalla Corte Europea, per i quali il sistema giuridico nazionale si è dovuto adattare con non poche difficoltà, soprattutto per la presenza di posizioni e prassi, negli anni, divenute consolidate.

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La ricerca ha ad oggetto l’analisi della disciplina della responsabilità del vettore terrestre di merci per conto terzi ed i riflessi che detta disciplina ha avuto modo di svilupparsi nel mercato assicurativo. L’attenzione è stata rivolta al contratto di trasporto di cose in generale, seguendone la disciplina codicistica e le evoluzioni legislative intervenute. Particolare rilievo assume la novella apportata all’art. 1696 c.c., introdotta dall’art. 10 del Dlgs. 286/2005, grazie alla quale l’ordinamento italiano ha potuto codificare il limite di indennizzo dovuto dal vettore nell’ipotesi di colpa lieve, L’introduzione del limite legale di indennizzo per le ipotesi di responsabilità per perdita o avaria della merce trasportata ha generato nel mondo assicurativo interessanti reazioni. L’elaborato esamina anche l’evoluzione giurisprudenziale formatisi in tema di responsabilità vettoriale, evidenziando il crescente rigore imposto dalla giurisprudenza fondato sul principio del receptum. Tale fenomeno ha visto immediata reazione nel mercato assicurativo il quale, sulla base di testi contrattuali non dissimili tra le diverse compagnie di assicurazioni operanti sul mercato domestico e che traevano origine dai formulari approvati dall’ANIA, ha seguito l’evoluzione giurisprudenziale apportando significative restrizioni al rischio tipico previsto dalle coperture della responsabilità civile vettoriale. La ricerca si è poi focalizzata sull’esame delle più comuni clausole contemplate dalle polizze di assicurazioni di responsabilità civile e sul loro significato alla luce delle disposizioni di legge in materia. Tale analisi riveste preminente interesse poiché consente di verificare in concreto come l’assicurazione possa effettivamente costituire per l’impresa di trasporto non tanto un costo bensì una opportunità di risparmio da un lato ed un modello comportamentale, sebbene indotto, dall’altro lato per il raggiungimento di quei canoni di diligenza che qualsiasi operatore del settore dovrebbe tenere durante l’esecuzione del trasporto ed il cui venir meno determina, come detto, sensibili effetti pregiudizievoli di carattere economico.

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Nel presente lavoro viene trattato il delicato tema dell’autotutela collettiva, nell’intersezione tra ipotesi di revisione nazionale e prospettive europee. Dapprima viene ricostruita l’evoluzione della valutazione del conflitto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano ed effettuata una ricognizione delle diverse manifestazioni del conflitto collettivo ivi riscontrabili. Il tentativo è quello di superare i limiti di una trattazione ristretta allo sciopero e di verificare la perdurante validità della tradizionale nozione di sciopero, intesa esclusivamente come astensione collettiva dalle prestazioni di lavoro. In un secondo capitolo vengono esaminati i disegni di legge di riforma in materia di conflitto collettivo, presentati nel corso della XVI legislatura e le clausole, incidenti sulla medesima materia, rinvenibili nell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e negli accordi FIAT del 2010, relativi agli stabilimenti di Pomigliano D’Arco e Mirafiori. Alla luce di tali materiali, si riesaminano le tematiche della titolarità individuale del diritto di sciopero, delle clausole di tregua e delle procedure arbitrali e conciliative. Successivamente, viene esaminata la produzione legislativa e giurisprudenziale comunitaria in tema di conflitto collettivo. Il confronto con l’ordinamento nazionale consente di mettere criticamente in luce il diverso rapporto tra mercato e diritti d’azione collettiva e di rilevare che nell’ordinamento comunitario la giurisprudenza della Corte di giustizia abbia introdotto limiti eccessivi al dispiegarsi dei diritti sociali in esame. Da ultimo, vengono formulate alcune considerazioni conclusive. Criticamente viene rilevato come, in tempi di globalizzazione, non viene prestata sufficiente attenzione alla valorizzazione del conflitto collettivo, come motore dell’emancipazione e del progresso sociale.

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Il lavoro si propone di indagare, a livello europeo, il fenomeno della seconda vittimizzazione, attraverso l'analisi delle condizioni attuali dei sistemi giudiziari nei confronti delle vittime di reato, anche grazie allo spoglio della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo.