127 resultados para Berlino, Luisenstadt, Holzuferblock, vuoto, Eisfabrik temporaneo, residenza
Resumo:
Il territorio del comune di Jesolo si estende a nord della costa veneziana,affacciato sul Mare Adriatico e delimitato dalla Laguna e dai fiumi Sile e Piave. Come molte città costiere del Nord Italia, Jesolo si è sviluppata principalmente tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900. La rapida espansione del Lido ha provocato la saturazione disordinata della costa, dettata dalla necessità di rispondere in maniera rapida ad un aumento improvviso del turismo balneare. L’organizzazione in fasce parallele dell’edificato rispetto alla linea di costa e la sua compattezza non consente la relazione diretta tra il Mare Adriatico e il sistema formato dalla laguna e dal fiume Sile. Obiettivo della proposta progettuale è ristabilire il legame tra mare e fiume mediante un sistema di percorsi in grado di attraversare una parte consistente del territorio del Lido offrendo luoghi di aggregazione e opportunità di svago alternative alla stagionalità della spiaggia.
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Numerosi incidenti verificatisi negli ultimi dieci anni in campo chimico e petrolchimico sono dovuti all’innesco di sostanze infiammabili rilasciate accidentalmente: per questo motivo gli scenari incidentali legati ad incendi esterni rivestono oggigiorno un interesse crescente, in particolar modo nell’industria di processo, in quanto possono essere causa di ingenti danni sia ai lavoratori ed alla popolazione, sia alle strutture. Gli incendi, come mostrato da alcuni studi, sono uno dei più frequenti scenari incidentali nell’industria di processo, secondi solo alla perdita di contenimento di sostanze pericolose. Questi eventi primari possono, a loro volta, determinare eventi secondari, con conseguenze catastrofiche dovute alla propagazione delle fiamme ad apparecchiature e tubazioni non direttamente coinvolte nell’incidente primario; tale fenomeno prende il nome di effetto domino. La necessità di ridurre le probabilità di effetto domino rende la mitigazione delle conseguenze un aspetto fondamentale nella progettazione dell’impianto. A questo scopo si impiegano i materiali per la protezione passiva da fuoco (Passive Fire Protection o PFP); essi sono sistemi isolanti impiegati per proteggere efficacemente apparecchiature e tubazioni industriali da scenari di incendio esterno. L’applicazione dei materiali per PFP limita l’incremento di temperatura degli elementi protetti; questo scopo viene raggiunto tramite l’impiego di differenti tipologie di prodotti e materiali. Tuttavia l’applicazione dei suddetti materiali fireproofing non può prescindere da una caratterizzazione delle proprietà termiche, in particolar modo della conducibilità termica, in condizioni che simulino l’esposizione a fuoco. Nel presente elaborato di tesi si è scelto di analizzare tre materiali coibenti, tutti appartenenti, pur con diversità di composizione e struttura, alla classe dei materiali inorganici fibrosi: Fibercon Silica Needled Blanket 1200, Pyrogel®XT, Rockwool Marine Firebatt 100. I tre materiali sono costituiti da una fase solida inorganica, differente per ciascuno di essi e da una fase gassosa, preponderante come frazione volumetrica. I materiali inorganici fibrosi rivestono una notevole importanza rispetto ad altri materiali fireproofing in quanto possono resistere a temperature estremamente elevate, talvolta superiori a 1000 °C, senza particolari modifiche chimico-fisiche. Questo vantaggio, unito alla versatilità ed alla semplicità di applicazione, li rende leader a livello europeo nei materiali isolanti, con una fetta di mercato pari circa al 60%. Nonostante l’impiego dei suddetti materiali sia ormai una realtà consolidata nell’industria di processo, allo stato attuale sono disponibili pochi studi relativi alle loro proprietà termiche, in particolare in condizioni di fuoco. L’analisi sperimentale svolta ha consentito di identificare e modellare il comportamento termico di tali materiali in caso di esposizione a fuoco, impiegando nei test, a pressione atmosferica, un campo di temperatura compreso tra 20°C e 700°C, di interesse per applicazioni fireproofing. Per lo studio delle caratteristiche e la valutazione delle proprietà termiche dei tre materiali è stata impiegata principalmente la tecnica Transient Plane Source (TPS), che ha consentito la determinazione non solo della conducibilità termica, ma anche della diffusività termica e della capacità termica volumetrica, seppure con un grado di accuratezza inferiore. I test sono stati svolti su scala di laboratorio, creando un set-up sperimentale che integrasse opportunamente lo strumento Hot Disk Thermal Constants Analyzer TPS 1500 con una fornace a camera ed un sistema di acquisizione dati. Sono state realizzate alcune prove preliminari a temperatura ambiente sui tre materiali in esame, per individuare i parametri operativi (dimensione sensori, tempi di acquisizione, etc.) maggiormente idonei alla misura della conducibilità termica. Le informazioni acquisite sono state utilizzate per lo sviluppo di adeguati protocolli sperimentali e per effettuare prove ad alta temperatura. Ulteriori significative informazioni circa la morfologia, la porosità e la densità dei tre materiali sono state ottenute attraverso stereo-microscopia e picnometria a liquido. La porosità, o grado di vuoto, assume nei tre materiali un ruolo fondamentale, in quanto presenta valori compresi tra 85% e 95%, mentre la frazione solida ne costituisce la restante parte. Inoltre i risultati sperimentali hanno consentito di valutare, con prove a temperatura ambiente, l’isotropia rispetto alla trasmissione del calore per la classe di materiali coibenti analizzati, l’effetto della temperatura e della variazione del grado di vuoto (nel caso di materiali che durante l’applicazione possano essere soggetti a fenomeni di “schiacciamento”, ovvero riduzione del grado di vuoto) sulla conducibilità termica effettiva dei tre materiali analizzati. Analoghi risultati, seppure con grado di accuratezza lievemente inferiore, sono stati ottenuti per la diffusività termica e la capacità termica volumetrica. Poiché è nota la densità apparente di ciascun materiale si è scelto di calcolarne anche il calore specifico in funzione della temperatura, di cui si è proposto una correlazione empirica. I risultati sperimentali, concordi per i tre materiali in esame, hanno mostrato un incremento della conducibilità termica con la temperatura, da valori largamente inferiori a 0,1 W/(m∙K) a temperatura ambiente, fino a 0,3÷0,4 W/(m∙K) a 700°C. La sostanziale similitudine delle proprietà termiche tra i tre materiali, appartenenti alla medesima categoria di materiali isolanti, è stata riscontrata anche per la diffusività termica, la capacità termica volumetrica ed il calore specifico. Queste considerazioni hanno giustificato l’applicazione a tutti i tre materiali in esame dei medesimi modelli per descrivere la conducibilità termica effettiva, ritenuta, tra le proprietà fisiche determinate sperimentalmente, la più significativa nel caso di esposizione a fuoco. Lo sviluppo di un modello per la conducibilità termica effettiva si è reso necessario in quanto i risultati sperimentali ottenuti tramite la tecnica Transient Plane Source non forniscono alcuna informazione sui contributi offerti da ciascun meccanismo di scambio termico al termine complessivo e, pertanto, non consentono una facile generalizzazione della proprietà in funzione delle condizioni di impiego del materiale. La conducibilità termica dei materiali coibenti fibrosi e in generale dei materiali bi-fasici tiene infatti conto in un unico valore di vari contributi dipendenti dai diversi meccanismi di scambio termico presenti: conduzione nella fase gassosa e nel solido, irraggiamento nelle superfici delle cavità del solido e, talvolta, convezione; inoltre essa dipende fortemente dalla temperatura e dalla porosità. Pertanto, a partire dal confronto con i risultati sperimentali, tra cui densità e grado di vuoto, l’obiettivo centrale della seconda fase del progetto è stata la scelta, tra i numerosi modelli a disposizione in letteratura per materiali bi-fasici, di cui si è presentata una rassegna, dei più adatti a descrivere la conducibilità termica effettiva nei materiali in esame e nell’intervallo di temperatura di interesse, fornendo al contempo un significato fisico ai contributi apportati al termine complessivo. Inizialmente la scelta è ricaduta su cinque modelli, chiamati comunemente “modelli strutturali di base” (Serie, Parallelo, Maxwell-Eucken 1, Maxwell-Eucken 2, Effective Medium Theory) [1] per la loro semplicità e versatilità di applicazione. Tali modelli, puramente teorici, hanno mostrato al raffronto con i risultati sperimentali numerosi limiti, in particolar modo nella previsione del termine di irraggiamento, ovvero per temperature superiori a 400°C. Pertanto si è deciso di adottare un approccio semi-empirico: è stato applicato il modello di Krischer [2], ovvero una media pesata su un parametro empirico (f, da determinare) dei modelli Serie e Parallelo, precedentemente applicati. Anch’esso si è rivelato non idoneo alla descrizione dei materiali isolanti fibrosi in esame, per ragioni analoghe. Cercando di impiegare modelli caratterizzati da forte fondamento fisico e grado di complessità limitato, la scelta è caduta sui due recenti modelli, proposti rispettivamente da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos [3] e Daryabeigi, Cunnington, Knutson [4] [5]. Entrambi presentavano il vantaggio di essere stati utilizzati con successo per materiali isolanti fibrosi. Inizialmente i due modelli sono stati applicati con i valori dei parametri e le correlazioni proposte dagli Autori. Visti gli incoraggianti risultati, a questo primo approccio è seguita l’ottimizzazione dei parametri e l’applicazione di correlazioni maggiormente idonee ai materiali in esame, che ha mostrato l’efficacia dei modelli proposti da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos e Daryabeigi, Cunnington, Knutson per i tre materiali analizzati. Pertanto l’obiettivo finale del lavoro è stato raggiunto con successo in quanto sono stati applicati modelli di conducibilità termica con forte fondamento fisico e grado di complessità limitato che, con buon accordo ai risultati sperimentali ottenuti, consentono di ricavare equazioni predittive per la stima del comportamento, durante l’esposizione a fuoco, dei materiali fireproofing in esame. Bologna, Luglio 2013 Riferimenti bibliografici: [1] Wang J., Carson J.K., North M.F., Cleland D.J., A new approach to modelling the effective thermal conductivity of heterogeneous materials. International Journal of Heat and Mass Transfer 49 (2006) 3075-3083. [2] Krischer O., Die wissenschaftlichen Grundlagen der Trocknungstechnik (The Scientific Fundamentals of Drying Technology), Springer-Verlag, Berlino, 1963. [3] Karamanos A., Papadopoulos A., Anastasellos D., Heat Transfer phenomena in fibrous insulating materials. (2004) Geolan.gr http://www.geolan.gr/sappek/docs/publications/article_6.pdf Ultimo accesso: 1 Luglio 2013. [4] Daryabeigi K., Cunnington G. R., and Knutson J. R., Combined Heat Transfer in High-Porosity High-Temperature Fibrous Insulation: Theory and Experimental Validation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer 25 (2011) 536-546. [5] Daryabeigi K., Cunnington G.R., Knutson J.R., Heat Transfer Modeling for Rigid High-Temperature Fibrous Insulation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer. AIAA Early Edition/1 (2012).
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La Tesi affronta il tema della rigenerazione di un comparto urbano localizzato a ridosso del centro storico di Forlì. Coerentemente con le indicazioni dell’Amministrazione comunale, obiettivo dell’intervento è l’adeguamento degli edifici esistenti agli standard funzionali ed energetici e la rivitalizzazione dell’isolato, tramite nuove edificazioni e il riordino della viabilità, del verde e degli spazi pubblici. Della preesistenza più rilevante presente nel comparto, un edificio residenziale realizzato tra le due guerre è stata progettata la riqualificazione, preferendola alla ricostruzione per il valore testimoniale del manufatto e il più favorevole bilancio ambientale. Gli interventi di miglioramento si sono posti il limite di non snaturare i caratteri formali e la fisionomia strutturale dell’edificio, ma di aumentarne i livelli di comfort e l’efficienza energetica, puntando a rientrare in classe “A” secondo la classificazione dell’Emilia Romagna. A scala urbana il progetto propone la riqualificazione dell’intero isolato con l’obiettivo di rivitalizzarlo e di rivalutare la sua presenza all’interno del centro storico. Nonostante la sua favorevole collocazione, l’isolato vive una situazione di marginalizzazione, a causa dello scarso mix funzionale delle attività che ospita, della presenza di edifici incongrui e parzialmente abbandonati e della scarsa permeabilità verso l’esterno, che lo fanno percepire come una zona non sicura e ne abbattono i valori immobiliari. Per raggiungere l’obiettivo, il progetto è intervenuto sull’assetto della viabilità, dei parcheggi, degli spazi pubblici e del verde, puntando alla ricucitura del tessuto urbano con le preesistenze. Queste azioni hanno implicato la demolizione di manufatti di scarso pregio e la progettazione di nuovi edifici, condotta con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale. Il progetto approfondisce la riqualificazione di un edificio esistente e la definizione di un nuovo intervento residenziale, ma investe anche il contesto urbano, considerando contemporaneamente i diversi aspetti ambientali, sociali e architettonici in modo coordinato e coerente alle diverse scale progettuali.
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Il progetto si sviluppa a partire dalla lettura di Berlino come città costituita da parti, una serie di forme urbane, brani di città, ognuno con una propria identità, tuttora chiaramente leggibili. All’interno di questo sistema frammentario è stata effettuata un’analisi più approfondita degli spazi verdi, reinterpretando il Piano per Berlino del paesaggista Peter Joseph Lenné. Egli pone al centro della pianificazione urbana la struttura del verde pubblico, cogliendo il dato di Berlino come città fatta di frammenti. Il nostro progetto individua sul segno del boulevard a nord, disegnato da Lenné, una serie di spazi verdi di diversa natura e di poli aggregativi di rilevanza socio culturale. Il parco diventa un’estensione del polo culturale in cui poter realizzare attività all’aperto: un catalizzatore di vita urbana, luogo di aggregazione per la popolazione. Lo sviluppo di una parte della tesi a Berlino ci ha permesso di conoscere la città e di comprendere a pieno l’importanza che i luoghi di socializzazione, gli spazi condivisi hanno per i berlinesi. Il progetto di un polo culturale, comprendente biblioteca, atelier, laboratori e residenze per artisti, nel quartiere Friedrichshain, si inserisce all’interno del più ampio sistema di parchi e poli aggregativi.
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Il progetto rappresenta una proposta, di natura architettonico-urbana, per la città di Berlino, nel settore orientale. Questa proposta è il risultato di un percorso di studi che si è dapprima confrontato sul tema della città alla grande scala, per poi focalizzarsi sul distretto della Karl-Marx-Allee lo storico brano di città socialista in Berlino Est. L’obiettivo della ricerca si cristallizza in un programma architettonico di nuova costruzione per un isolato urbano del distretto sopracitato, disorganizzato ed informale, apparentemente emarginato dalla città per opera di una serie di ‘barriere urbane’. Queste barriere, il grande attraversamento sulla Holzmarkstraße, il viadotto della S-Bahn, il fiume Sprea, nel tempo intrecciati e sovrascritti, rappresentano i limiti e confini dell’isolato urbano. L’architettura proposta vuole confrontarsi, in questo contesto incerto, con la ricostruzione dell’isolato, in fede ai principi delle ‘ricostruzione critica’. Il disegno d’architettura rivede, per analogia, i contenuti della città storica, esprimendosi attraverso un linguaggio contemporaneo ma in continuità con la storia ed il contesto. Il tema della serialità, del ritmo, scandirà un percorso architettonico geometrico e modulare molto forte e rigoroso che risponderà al carattere ripetitivo e pre-costituito dei plattenbausiedlungen, gli insediamenti prefabbricati, patrimonio materiale dell’ex distretto socialista di Berlino. La forza ritmica del progetto verrà ribadita dal recupero architettonico del viadotto in muratura del trasporto metropolitano leggero della S-Bahn, una teoria di archivolti a botte in affaccio alla Sprea. Il nuovo scenario architettonico si può considerare come un unico grande elemento tematico, organizzato da una maglia rigorosa, argomentato da eccezioni e salienti che rispondono ad un’ampia domanda funzionale, tipologica ed architettonica.
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El campo profesional de la Odontología no es ajeno a los procesos de cambio y transformaciones que implican las nuevas tecnologías, los niveles de calidad de atención que exigen los pacientes y la constante revisión e incremento de conocimientos a nivel teórico y práctico. El desarrollo de las distintas especialidades y orientaciones en la salud dental impulsan una respuesta satisfactoria en los centros académicos. En respuesta a esta necesidad, nuestra Facultad ofrece la especialización en Odontología para Niños y Adolescentes. Dentro del reconocido equipo de docentes de este posgrado se encuentra la doctora Elena Vuoto, a quien realizamos una entrevista.
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Questo elaborato finale intende presentare una proposta di traduzione di una parte del sito internet del celebre Museo ebraico di Berlino progettato da Daniel Libeskind, architetto statunitense di origine polacca. Il presente elaborato si articola nelle seguenti sezioni: il primo capitolo si concentrerà sulla teoria dei siti internet e sulla loro organizzazione, focalizzando l’interesse sulle modalità di scrittura dei siti web, nel secondo capitolo, verranno presentate la vita e le opere di Daniel Libeskind con una breve introduzione al Museo Ebraico. Seguirà poi un'analisi testuale e nel quarto capitolo la proposta di traduzione. Nel quinto capitolo verranno analizzate le strategie adottate nella traduzione. L’elaborato si concluderà con alcune considerazioni finali, e con indicazioni sulla bibliografia e sitografia.
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La tesi ha come oggetto di studio la progettazione e realizzazione in autocostruzione del padiglione temporaneo dal nome Modulo Eco in Piazzale della Pace a Parma. Per “autocostruzione” si intende il processo in cui il committente di un immobile partecipa attivamente alla fase realizzativa dello stesso. È un percorso molto impegnativo, che richiede una forte motivazione ma allo stesso tempo molto appagante. Ad oggi in Italia non esiste una normativa nazionale che codifichi le modalità e le regole dell’edificare in autocostruzione. La partecipazione attiva nel processo realizzativo di personale non addetto ai lavori aumenta automaticamente i rischi legati all’inesperienza e alla mancanza di formazione in materia. L’attenzione quindi alla sicurezza e soprattutto all’iniziale formazione dei nuovi operai in cantiere permette di ridurre notevolmente tali pericoli. Il progetto è stato ideato dall’associazione culturale Manifattura Urbana in collaborazione con il Comune di Parma. Posizionato in Piazzale della Pace, in pieno centro, questo spazio ospiterà l’ufficio Sportello Energia del Comune stesso. È infatti interesse dell’amministrazione dare un’importanza significativa alle tematiche energetiche, non lasciando tutte le relative riflessioni solamente a tecnici ma rivolgendosi invece direttamente ai cittadini, per informarli e sensibilizzarli. È stato quindi deciso di progettare e realizzare un padiglione temporaneo, facilmente costruibile (con l’aiuto di studenti, volontari e interessati), con un minimo impatto ambientale e allo stesso tempo ad alta efficienza energetica, non solo rispettante ma superante tutti gli standard di bassi consumi energetici previsti dalla normativa per le nuove costruzioni. Il progetto è totalmente autofinanziato dalle aziende fornitrici partner, che sponsorizzano in forma gratuita il materiale da costruzione e formano direttamente in cantiere i volontari per imparare a gestirlo, in cambio di visibilità all’interno del progetto.
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Per il mio elaborato finale ho deciso di tradurre un estratto dell'opera Parzelle Paradies di Annette Gröschner dal tedesco all'italiano. Oltre alla proposta di traduzione con testo a fronte, ho inserito un breve biografia dell'autrice, l'analisi del testo selezionato e per concludere una analisi delle strategie traduttive.
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End-stage renal disease is an increasingly common pathologic condition, with a current incidence of 87 per million inhabitants in Finland. It is the end point of various nephropathies, most common of which is the diabetic nephropathy. This thesis focuses on exploring the role of nephrin in the pathogenesis of diabetic nephropathy. Nephrin is a protein of the glomerular epithelial cell, or podocyte, and it appears to have a crucial function as a component of the filtration slit diaphragm in the kidney glomeruli. Mutations in the nephrin gene NPHS1 lead to massive proteinuria. Along with the originally described location in the podocyte, nephrin has now been found to be expressed in the brain, testis, placenta and pancreatic beta cells. In type 1 diabetes, the fundamental pathologic event is the autoimmune destruction of the beta cells. Autoantibodies against various beta cell antigens are generated during this process. Due to the location of nephrin in the beta cell, we hypothesized that patients with type 1 diabetes may present with nephrin autoantibodies. We also wanted to test whether such autoantibodies could be involved in the pathogenesis of diabetic nephropathy. The puromycin aminonucleoside nephrosis model in the rat, the streptozotocin model in the rat, and the non-obese diabetic mice were studied by immunochemical techniques, in situ -hybridization and the polymerase chain reaction -based methods to resolve the expression of nephrin mRNA and protein in experimental nephropathies. To test the effect of antiproteinuric therapies, streptozotocin-treated rats were also treated with aminoguanidine or perindopril. To detect nephrin antibodies we developed a radioimmunoprecipitation assay and analyzed follow-up material of 66 patients with type 1 diabetes. In the puromycin aminonucleoside nephrosis model, the nephrin expression level was uniformly decreased together with the appearance of proteinuria. In the streptozotocin-treated rats and in non-obese diabetic mice, the nephrin mRNA and protein expression levels were seen to increase in the early stages of nephropathy. However, as observed in the streptozotocin rats, in prolonged diabetic nephropathy the expression level decreased. We also found out that treatment with perindopril could not only prevent proteinuria but also a decrease in nephrin expression in streptozotocin-treated rats. Aminoguanidine did not have an effect on nephrin expression, although it could attenuate the proteinuria. Circulating antibodies to nephrin in patients with type 1 diabetes were found, although there was no correlation with the development of diabetic nephropathy. At diagnosis, 24% of the patients had these antibodies, while at 2, 5 and 10 years of disease duration the respective proportions were 23%, 14% and 18%. During the total follow-up of 16 to 19 years after diagnosis of diabetes, 14 patients had signs of nephropathy and 29% of them tested positive for nephrin autoantibodies in at least one sample. In conclusion, this thesis work could show changes of nephrin expression along with the development of proteinuria. The autoantibodies against nephrin are likely generated in the autoimmune process leading to type 1 diabetes. However, according to the present work it is unlikely that these autoantibodies are contributing significantly to the development of diabetic nephropathy.
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Placental abruption, one of the most significant causes of perinatal mortality and maternal morbidity, occurs in 0.5-1% of pregnancies. Its etiology is unknown, but defective trophoblastic invasion of the spiral arteries and consequent poor vascularization may play a role. The aim of this study was to define the prepregnancy risk factors of placental abruption, to define the risk factors during the index pregnancy, and to describe the clinical presentation of placental abruption. We also wanted to find a biochemical marker for predicting placental abruption early in pregnancy. Among women delivering at the University Hospital of Helsinki in 1997-2001 (n=46,742), 198 women with placental abruption and 396 control women were identified. The overall incidence of placental abruption was 0.42%. The prepregnancy risk factors were smoking (OR 1.7; 95% CI 1.1, 2.7), uterine malformation (OR 8.1; 1.7, 40), previous cesarean section (OR 1.7; 1.1, 2.8), and history of placental abruption (OR 4.5; 1.1, 18). The risk factors during the index pregnancy were maternal (adjusted OR 1.8; 95% CI 1.1, 2.9) and paternal smoking (2.2; 1.3, 3.6), use of alcohol (2.2; 1.1, 4.4), placenta previa (5.7; 1.4, 23.1), preeclampsia (2.7; 1.3, 5.6) and chorioamnionitis (3.3; 1.0, 10.0). Vaginal bleeding (70%), abdominal pain (51%), bloody amniotic fluid (50%) and fetal heart rate abnormalities (69%) were the most common clinical manifestations of placental abruption. Retroplacental blood clot was seen by ultrasound in 15% of the cases. Neither bleeding nor pain was present in 19% of the cases. Overall, 59% went into preterm labor (OR 12.9; 95% CI 8.3, 19.8), and 91% were delivered by cesarean section (34.7; 20.0, 60.1). Of the newborns, 25% were growth restricted. The perinatal mortality rate was 9.2% (OR 10.1; 95% CI 3.4, 30.1). We then tested selected biochemical markers for prediction of placental abruption. The median of the maternal serum alpha-fetoprotein (MSAFP) multiples of median (MoM) (1.21) was significantly higher in the abruption group (n=57) than in the control group (n=108) (1.07) (p=0.004) at 15-16 gestational weeks. In multivariate analysis, elevated MSAFP remained as an independent risk factor for placental abruption, adjusting for parity ≥ 3, smoking, previous placental abruption, preeclampsia, bleeding in II or III trimester, and placenta previa. MSAFP ≥ 1.5 MoM had a sensitivity of 29% and a false positive rate of 10%. The levels of the maternal serum free beta human chorionic gonadotrophin MoM did not differ between the cases and the controls. None of the angiogenic factors (soluble endoglin, soluble fms-like tyrosine kinase 1, or placental growth factor) showed any difference between the cases (n=42) and the controls (n=50) in the second trimester. The levels of C-reactive protein (CRP) showed no difference between the cases (n=181) and the controls (n=261) (median 2.35 mg/l [interquartile range {IQR} 1.09-5.93] versus 2.28 mg/l [IQR 0.92-5.01], not significant) when tested in the first trimester (mean 10.4 gestational weeks). Chlamydia pneumoniae specific immunoglobulin G (IgG) and immunoglobulin A (IgA) as well as C. trachomatis specific IgG, IgA and chlamydial heat-shock protein 60 antibody rates were similar between the groups. In conclusion, although univariate analysis identified many prepregnancy risk factors for placental abruption, only smoking, uterine malformation, previous cesarean section and history of placental abruption remained significant by multivariate analysis. During the index pregnancy maternal alcohol consumption and smoking and smoking by the partner turned out to be the major independent risk factors for placental abruption. Smoking by both partners multiplied the risk. The liberal use of ultrasound examination contributed little to the management of women with placental abruption. Although second-trimester MSAFP levels were higher in women with subsequent placental abruption, clinical usefulness of this test is limited due to low sensitivity and high false positive rate. Similarly, angiogenic factors in early second trimester, or CRP levels, or chlamydial antibodies in the first trimester failed to predict placental abruption.
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Singleton pregnancies achieved by means of assisted reproductive treatment (ART) are associated with increased obstetric and neonatal risks in comparison with spontaneously conceived singleton pregnancies. The impact of infertility- and treatment-related factors on these risks is not properly understood. In addition, the psychological effects of infertility and its treatment on the experience of pregnancy have scarcely been studied. Thus, the aim of the present study was to evaluate the importance of infertility- and treatment-related factors on prediction of pregnancy outcome, obstetric and neonatal risks, fear-of-childbirth and pregnancy-related anxiety. The subjects consisted of infertile women who achieved a singleton pregnancy by means of in vitro fertilisation (IVF) or intracytoplasmic sperm injection (ICSI). The control groups comprised spontaneously conceiving women with singleton gestations. Early pregnancy outcome was assessed by means of assay of serum human chorionic gonadoptrophin (hCG) in single samples. Other outcome data were collected from patient records, national Health Registers and via prospective questionnaire surveys. Viable pregnancies were associated with significantly higher serum hCG levels 12 days after embryo transfer than non-viable pregnancies. Among singleton pregnancies, aetiological subgroup, treatment type or the number of transferred embryos did not impair the predictive value of single hCG assessment. According to the register-based data, age-, parity- and socioeconomic status- adjusted risks of gestational hypertension, preterm contractions and placenta praevia were more frequent in the ART pregnancies than in the control pregnancies. Significantly higher rates of induction of delivery and Caesarean section occurred in the ART group than in the control group. The risks of preterm birth and low birth weight (LBW) were increased after ART pregnancy. Duration or aetiology of infertility, treatment type (fresh or frozen IVF or ICSI) or rank of treatment did not contribute to the risks of preterm birth or LBW. In addition, the risks of preterm birth and LBW remained elevated in spite of of the number of transferred embryos. Although mean duration of pregnancy was shorter and mean birth weight lower in the ART pregnancies than in the control pregnancies, these differences were hardly of clinical significance. Fear-of-childbirth and pregnancy-related anxiety were equally common to women conceiving by means of ART, or spontaneously. Partnership of five to ten years appeared to be protective as regards severe fear-of-childbirth, whereas long preceding infertility (≥ seven years) had the opposite effect. In conclusion, an early hCG assessment maintained its good predictive value regardless of infertility- or patient-related factors. Further, we did not recognise any infertility- or patient-related factors that would expose infertile women to increased obstetric or neonatal risks. However, a long period of infertility was associated with severe fear-of-childbirth.
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Essential thrombocythaemia (ET) is a myeloproliferative disease (MPD) characterized by thrombocytosis, i.e. a constant elevation of platelet count. Thrombocytosis may appear in MPDs (ET, polycythaemia vera, chronic myeloid leukaemia, myelofibrosis) and as a reactive phenomenon. The differential diagnosis of thrombocytosis is important, because the clinical course, need of therapy, and prognosis are different in patients with MPDs and in those with reactive thrombocytosis. ET patients may remain asymptomatic for years, but serious thrombohaemorrhagic and pregnancy-related complications may occur. The complications are difficult to predict. The aims of the present study were to evaluate the diagnostic findings, clinical course, and prognostic factors of ET. The present retrospective study consists of 170 ET patients. Two thirds had a platelet count < 1000 x 109/l. The diagnosis was supported by an increased number of megakaryocytes with an abnormal morphology in a bone marrow aspirate, aggregation defects in platelet function studies, and the presence of spontaneous erythroid and/or megakaryocytic colony formation in in vitro cultures of haematopoietic progenitors. About 70 % of the patients had spontaneous colony formation, while about 30 % had a normal growth pattern. Only a fifth of the patients remained asymptomatic. Half had a major thrombohaemorrhagic complication. The proportion of the patients suffering from thrombosis was as high as 45 %. About a fifth had major bleedings. Half of the patients had microvascular symptoms. Age over 60 years increased the risk of major bleedings, but the occurrence of thrombotic complications was similar in all age groups. Male gender, smoking in female patients, the presence of any spontaneous colony formation, and the presence of spontaneous megakaryocytic colony formation in younger patients were identified as risk factors for thrombosis. Pregnant ET patients had an increased risk of complications. Forty-five per cent of the pregnancies were complicated and 38 % of them ended in stillbirth. Treatment with acetylsalicylic acid alone or in combination with platelet lowering drugs improved the outcome of the pregnancy. The present findings about risk factors in ET as well as treatment outcome in the pregnancies of ET patients should be taken into account when planning treatment strategies for Finnish patients.