338 resultados para RICICLAGGIO, RIFIUTI, PLASTICA, UBICAZIONE OTTIMALE


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La ricerca è dedicata a verificare se e come, a livello dell’Unione europea, la lotta alla criminalità (ed in particolare quella organizzata) venga condotta nel rispetto di diritti e libertà fondamentali, e se la cooperazione tra Stati membri su questo fronte possa giungere a promuovere standard omogenei ed elevati di tutela degli stessi. Gli ambiti di cooperazione interessati sono principalmente quello giudiziario in materia penale e quello di polizia, e la ritrosia degli Stati a cedere all’Unione competenze in materia si è accompagnata ad un ritardo ancora maggiore dell’emersione, nell’ambito degli stessi, della dimensione dei diritti. Ciò ha reso molto difficile lo sviluppo completo ed equilibrato di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 67 TFUE). L’assetto istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona e l’attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta hanno però posto le basi per il superamento della condizione precedente, anche grazie al fatto che, negli ambiti richiamati, la salvaguardia dei diritti è divenuta competenza ed obiettivo esplicito dell’Unione. Centrale è per la ricerca la cooperazione giudiziaria in materia penale, che ha visto la ricca produzione normativa di stampo repressivo recentemente bilanciata da interventi del legislatore europeo a finalità garantista e promozionale. L’analisi degli strumenti nella prospettiva indicata all’inizio dell’esposizione è quindi oggetto della prima parte dell’elaborato. La seconda parte affronta invece la cooperazione di polizia e quello degli interventi volti alla confisca dei beni e ad impedire il riciclaggio, misure – queste ultime - di particolare rilievo soprattutto per il contrasto al crimine organizzato. Sottesi all’azione dell’Unione in queste materie sono, in modo preponderante, due diritti: quello alla salvaguardia dei dati personali e quello al rispetto della proprietà privata. Questi, anche in ragione delle peculiarità che li caratterizzano e della loro natura di diritti non assoluti, sono analizzati con particolare attenzione.

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Lo studio CAVE PTX ha lo scopo di valutare la reale prevalenza della paratiroidectomia nei pazienti dializzati in Italia, verificare l’aderenza ai targets ematochimici proposti dalle linee guida internazionali K/DOQI e ricercare la presenza di fratture vertebrali e calcificazioni vascolari. Al momento attuale riportiamo i dati preliminari sulla prevalenza e le caratteristiche cliniche generali dei pazienti finora arruolati. Il nostro studio ha ricevuto contributi da 149 centri dialisi italiani, su un totale di 670, pari al 22%. La popolazione dialitica dalla quale sono stati ottenuti i casi di paratiroidectomia è risultata pari a 12515 pazienti;l’87,7% dei pazienti effettuava l’emodialisi mentre il 12,3% la dialisi peritoneale. Cinquecentoventotto, pari al 4,22%, avevano effettuato un intervento di paratiroidectomia (4,5%emodializzati, 1,9% in dialisi peritoneale;p<0.001). Abbiamo considerato tre gruppi differenti di PTH: basso (<150 pg/ml), ottimale (150 -300 pg/ml) ed elevato (>300 pg/ml). I valori medi di PTH e calcemia sono risultati significativamente diversi (più alti) tra casi e controlli nei due gruppi con PTH basso (PTX = 40±39 vs controllo = 92±42 pg/ml; p<.0001) e PTH alto (PTX= 630 ± 417 vs controllo 577 ±331; p<.05). La percentuale di pazienti con PTH troppo basso è risultata più elevata nei pazienti chirurgici rispetto al resto della popolazione (64vs23%; p<0.0001), mentre la percentuale dei casi con PTH troppo alto è risultata significativamente più alta nel gruppo di controllo (38%vs19%; p<0.003). Il 61% dei casi assumeva vitamina D rispetto al 64 % dei controlli; l’88% vs 75% un chelante del fosforo ed il 13%vs 35% il calciomimentico. In conclusione, la paratiroidectomia ha una bassa prevalenza in Italia, i pazienti sono più spesso di sesso femminile, in emodialisi e con età relativamente giovane ma da più tempo in dialisi.

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L'elaborato affronta le varie fasi progettuali relative alle opere di riqualifica delle infrastrutture di volo dell'aeroporto Marco Polo di venezia. Partendo da nozioni di carattere teorico, come i vari metodi di dimensionamento di una sovrastruttura aeroportuale, si è arrivati ad affrontare in modo pratico il calcolo di verifica delle pavimentazioni esistenti e quello di dimensionamento di due soluzioni progettuali ipotizzate. Infine è stato considerato anche l'aspetto ecosostenibile della progettazione, ipotizzando la possibilità di riutilizzare il materiale fresato dalla vecchia pavimentazione esistente.

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In molti sistemi di distribuzione idrici una percentuale significativa di acqua viene persa passando dagli impianti di trattamento alle utenze, a causa di danneggiamenti nei diversi componenti delle reti. Le perdite idriche sono un problema costoso, non solo in termini di spreco di una preziosa risorsa naturale, ma anche in termini economici. L’obiettivo principale di questo lavoro è stato quello di identificare possibili sviluppi per le attrezzature e metodi già esistenti al fine di rilevare in modo automatico perdite idriche in condotte in plastica. A questo proposito è stata studiata l’efficacia di metodi basati sull’analisi di vibrazioni e suoni. In particolare ci si è concentrati sull’uso di accelerometri e idrofoni e, successivamente, sull’uso di sensori di emissioni acustiche. Dopo una prima fase di ricerca approfondita sulla dinamica dei fenomeni vibro-acustici che si verificano nelle condotte, sulla teoria delle emissioni acustiche, sulla caratterizzazione di segnali di perdita in condotte in plastica e sulle principali attrezzature usate attualmente per l’individuazione delle perdite, si è passati alla fase sperimentale. La fase sperimentale può essere distinta in due parti. La prima ha avuto come obiettivo il confronto tra segnali acquisiti da accelerometro e idrofono relativamente all’efficacia nell’individuazione di perdite idriche mediante apposito algoritmo ed ha coinvolto numerosi test sul campo, eseguiti sotto condizioni controllate in un impianto di rilevamento perdite sperimentale, appositamente costruito, adiacente alla sede della Divisione Reti R & S di Hera a Forlì. La seconda fase, invece, ha avuto come obiettivo la determinazione dell’efficacia del metodo delle emissioni acustiche per l’individuazione di perdite idriche ed ha visto l’esecuzione di altrettanti test, eseguiti sotto condizioni controllate, in un impianto sperimentale più semplice del precedente.

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I Poliidrossialcanoati (PHA) sono poliesteri completamente biodegradabili, prodotti da microrganismi come fonte di energia e di carbonio per la sintesi di nuovo materiale cellulare, utilizzando come substrato materie prime rinnovabili. Questi poliesteri sono considerati potenziali candidati per la sostituzione delle materie plastiche convenzionali. Tuttavia, i più alti costi di produzione dei PHA in confronto a quelli delle materie plastiche derivanti dal petrolio, rappresentano il principale ostacolo per la parziale sostituzione di questi ultimi con i biopolimeri. Gli alti costi sono principalmente dovuti all'utilizzo di colture microbiche pure (in cui sia presente un solo ceppo batterico) e substrati puri e costosi. Nell'ultimo decennio è stato sviluppato un processo di produzione a tre stadi alternativo e potenzialmente a minor costo, basato sull'utilizzo di colture microbiche miste (Mixed Microbials Culture, MMC) e una varietà di substrati organici a costo contenuto o nullo, quali alcuni rifiuti dell’industria agro-alimentare. Il presente studio si è concentrato sulla prima fase del processo di produzione dei PHA da colture miste, la fermentazione acidogenica, utilizzando siero di latte come fonte di carbonio per produrre acidi organici. In particolare questo lavoro ha avuto come obiettivo quello di studiare come diverse condizioni operative utilizzate nella fase di fermentazione acidogenica possono influenzare la concentrazione e il profilo degli acidi organici prodotti. Sono stati valutati anche gli effetti dei diversi profili degli acidi organici sulla fase di selezione della coltura microbica, in termini di capacità di stoccaggio di PHA e composizione polimerica.

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Obiettivo della presente ricerca è stato la valutazione dell’utilizzo degli scarti derivanti dal processo di vinificazione come substrato per la digestione anerobica finalizzata alla produzione di VFA (“Volatile Fatty Acids”). I VFA sono acidi grassi a corta catena, convenzionalmente fino a 6 atomi di carbonio, che possono essere utilizzati industrialmente nell’ambito della “Carboxilation Platfrorm” per produrre energia, prodotti chimici, o biomateriali. La sperimentazione si è articolata in due fasi principali: 1) Produzione di VFA in processi batch alimentati con vinacce e fecce come substrato; 2) Recupero dei VFA prodotti dall’effluente anaerobico (digestato) mediante processi di adsorbimento con resine a scambio anionico. Nella prima fase sono stati studiati i profili di concentrazione dei principali VFA nel brodo di fermentazione al variare della tipologia di substrato (vinacce e fecce, bianche e rosse) e della temperatura di incubazione (35 °C e 55 °C). La condizione ottimale rilevata per la produzione di VFA è stata la digestione anaerobica di vinacce rosse disidratate e defenolizzate alla temperatura di 35 °C (mesofilia), che ha permesso di raggiungere una concentrazione di VFA totali nel digestato di circa 30 g/L in 16 giorni di monitoraggio. Nella seconda fase è stato analizzato il processo di estrazione in fase solida (Solid Phase Extraction, SPE) con resine a scambio anionico per il recupero dei VFA dal digestato di vinacce rosse. Sono state messe a confronto le prestazioni di quattro diverse resine a scambio anionico: Sepra SAX, Sepra SAX-ZT, Sepra NH2, Amberlyst A21. I parametri operativi ottimali per l’adsorbimento sono risultati essere condizioni di pH acido pari al valore naturale delle soluzioni indicate sopra (~2.5) e tempo di contatto di 2 ore. Tra le quattro resine quella che ha fornito i migliori risultati è stata la Amberlyst A21, una resina polimerica a scambio anionico debolmente basica il cui gruppo funzionale caratteristico è un’ammina terziaria. Infine è stato valutato il processo di desorbimento dei VFA adsorbiti dalla resina con tre diverse soluzioni desorbenti: acqua demineralizzata, etanolo (EtOH) ed acqua basificata con NaOH (1 mol/L). I risultati migliori sono stati conseguiti nel caso dell’EtOH, ottenendo un recupero finale del 9,1% dei VFA inizialmente presenti nel digestato di vinacce rosse incubate in termofilia.

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Questa tesi di laurea curriculare si propone come una lettura critica del percorso personale formativo universitario, attraverso l’analisi di tre specifiche e diverse esperienze progettuali, che hanno affrontato con varie accezioni il tema del “Riciclaggio” in architettura. Perché questa ricerca? Il riuso e la rivitalizzazione di materiali, edifici e intere parti di città si pone in stretta connessione con i principi di sviluppo sostenibile, perché concretizza un approccio conservativo di risorse, materiali o ambientali che hanno concluso un loro ciclo di vita; questi devono essere reinventati per essere re-immessei in un nuovo ciclo, producendo nuovo valore e vantaggi importanti in termini di risparmio e sostenibilità per la collettività. La notevole quantità di edifici e aree costruite non utilizzate presenti sul nostro territorio, insieme all’avanzamento della cultura del riciclo e delle tecnologie di recupero, impongono ad un architetto di ripensare un futuro per edifici e porzioni di città che hanno esaurito una fase del loro ciclo di vita, trovando un punto di equilibrio fra conservazione della memoria, adeguamento delle funzioni e innovazione delle tecniche. Oggi tutti i processi di produzione, tra cui quello dell’edilizia, sono tenuti al rispetto di norme e disposizioni per la riduzione dell’impatto ambientale, il risparmio e il recupero delle risorse: per questo i progettisti che nella scena mondiale hanno affrontato nelle loro opere la pratica del riciclo e del riuso si pongono come importanti riferimenti. La prima parte della tesi si compone di tre capitoli: nel primo viene introdotto il tema del consumo delle risorse. A questo proposito il riciclaggio di risorse, che in passato è stato considerato solo un modo per attenuare gli effetti negativi indotti dal nostro modello di sviluppo consumistico, oggi si presenta come un’opportunità di riflessione per molte attività di progettazione di oggetti, da quelli di consumo alle architetture, impegnate nella ricerca di soluzioni più sostenibili; nel secondo capitolo viene delineato il concetto di riciclo delle risorse come risposta allo sviluppo incontrollato e alla insostenibilità dello stile di vita indotto da un modello economico basato sulla pratica “usa e getta”. Nel terzo capitolo verrà esaminato il concetto di riciclo a varie scale d’intervento, dal riuso e riordino del territorio e della città, al riciclo degli edifici fino al riciclaggio di materiale. Saranno presentati alcuni casi studio significativi nel panorama mondiale. Nella seconda parte la tesi si propone una lettura critica di tre progetti realizzati durante la carriera universitaria, tutti caratterizzati dalla necessità di rapportarsi con importanti preesistenze, mediante strategie di rivitalizzazione dell’edificio o della porzione di città interessata dal progetto.

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La Tesi sviluppa alcune ipotesi di riqualificazione degli asentamientos informales di Buenos Aires, quartieri periferici della metropoli dove si insedia –abusivamente- la popolazione con minori risorse economiche. Adottando l’approccio delle “agopunture”, l’ipotesi progettuale investe diverse scale d’intervento che dialogano tra loro, cercando di valorizzarne gli effetti combinati e di favorirne la reciproca integrazione. Assunte le limitate risorse esistenti come condizioni date, l’approccio adottato identifica nel capitale sociale il fattore di rinnovamento: la cooperazione tra gli abitanti –uniti per la risoluzione di problematiche comuni- diventa lo strumento per la generazione di micro-comunità più efficienti e vivibili. La strategia di un’ibridazione tra tecnologie tradizionali con materiali poveri ed elementi industrializzati e standardizzati garantisce una soluzione low cost e di maggior consenso da parte dei vecinos. Pur rinunciando a conseguire gli standard normativi, il progetto punta a soddisfare alcune fondamentali esigenze degli abitanti, migliora le loro condizioni di vita ed innesca dinamiche relazionali positive tra i vecinos. Gli interventi proposti prevedono il miglioramento della tenuta all’acqua dell’alloggio, la realizzazione di servizi igienici domiciliari, un sistema di allontanamento e trattamento dei reflui che trasformato in biogas alimenta la rete di illuminazione stradale, una serie di punti di prelievo e distribuzione di acqua potabile, la raccolta e lo smistamento dei rifiuti, un nuovo luogo d’incontro per la comunità. La parte preliminare affronta lo studio del contesto storico, sociale, territoriale, economico e l’assetto del settore delle costruzioni dell’Argentina e di Buenos Aires. La seconda parte della ricerca si concentra sul conurbano bonoarense e sugli asentamientos informales, per i quali i numerosi Piani governativi e di ONG sono risultate inefficaci. Si evita così un’operazione ‘calata dall’alto’. Dopo aver identificato le sette principali criticità riscontrate negli insediamenti, la ricerca delinea per ognuna di esse una o più strategie di miglioramento, ipotizzando azioni e possibili alternative che, valutate secondo una metodica comparativa, consentono di definire la soluzione più adeguata. Tra le sette proposte, la comunità definirà le priorità di intervento, quindi le modalità di esecuzione e di gestione ritenute adeguate per la realizzazione delle singole azioni. La ricerca approfondisce la conoscenza e tenta di mitigare il disagio di vivere ai margini, un tema di estrema rilevanza sociale, a cui l’architettura può fornire qualche risposta.

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Questo elaborato presenta un metodo per lo sviluppo di correlazioni lineari con lo scopo di determinare le proprietà meccaniche di un acciaio laminato e zincato utilizzando un sensore che percepisce la magnetizzazione residua del materiale. Vengono utilizzati metodi statistici di analisi della varianza per lo studio delle funzioni di regressione lineari. Lo studio effettuato è stato sviluppato per la lavorazione di zincatura di coils presso Marcegaglia spa, stabilimento di Ravenna. È risultato evidente che la sola misurazione della magnetizzazione residua non fosse sufficiente per la determinazione delle proprietà meccaniche, a tale proposito sono stati sviluppati dei modelli di calcolo con funzioni multivariabili e, attraverso risolutori che minimizzano la differenza quadratica dell'errore, si sono determinati i coefficienti di regressione. Una delle principali problematiche riscontrate per la definizione delle correlazioni è stato il reperimento dei dati necessari per considerare affidabili i risultati ottenuti. Si sono infatti analizzate solamente le famiglie di materiale più numerose. Sono stati sviluppati tre modelli di calcolo differenti per parametri di processo di produzione utilizzati per la definizione delle correlazioni. Sono stati confrontati gli errori percentuali medi commessi dalle funzioni, gli indici di regressione che indicano la qualità della correlazione e i valori di significatività di ogni singolo coefficiente di regressione delle variabili. Si è dimostrato che la magnetizzazione residua influisce notevolmente, così come i parametri dei processo di ricottura del materiale, come le temperature in forno, lo spessore e le velocità. Questo modello di calcolo è stato utilizzato direttamente in linea per lo sviluppo di un ciclo ottimale per la produzione di un nuovo materiale bifasico. Utilizzando il modello per la predizione delle proprietà meccaniche si è concluso che per limiti impiantistici la chimica del materiale utilizzata non fosse idonea. Si è perciò utilizzato un acciaio con percentuali di carbonio, manganese e cromo differenti. In conclusione del progetto si sono formulate delle possibili alternative di funzioni di regressione che utilizzano il valore della durezza piuttosto che il valore di magnetizzazione residua. Si è appurato che l'utilizzo di un durometro, anziché il sensore studiato, potrebbe risultare una valida alternativa al sensore studiato.

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L’attività sperimentale presentata in questo elaborato riguarda lo studio di una particolare applicazione che impiega la tecnologia laser per la lavorazione di materiali compositi ed è stata interamente svolta, in particolar modo nella sua parte operativa, presso i laboratori della Facoltà di Ingegneria a Bologna. Il lavoro di tesi ha come obiettivo fondamentale la valutazione degli effetti che i parametri di processo possono avere sulla qualità risultante nel procedimento di ablazione per i materiali compositi. Per questa indagine sono stati utilizzati campioni piani (tutti identici tra loro) con rinforzo in fibra di carbonio e matrice in resina epossidica, i quali sono stati lavorati con un laser Nd:YAG (λ = 1064 nm) funzionante in regime continuo. L’idea alla base dell’intera attività sperimentale è stata quella di realizzare una ablazione ottimale, rimuovendo dai campioni esclusivamente la resina (in maniera locale) e tentando, allo stesso tempo, di ottenere il minimo danneggiamento possibile per le fibre. Le prove effettuate non costituiscono naturalmente un punto di arrivo, bensì rappresentano piuttosto un punto di partenza per acquisire informazioni preliminari che potranno consentire, nel prossimo futuro, di proseguire con il perfezionamento del processo e la messa a punto dei parametri, al fine di conseguire una lavorazione che dia risultati effettivamente ottimali ed interessanti per l’eventuale applicazione industriale.

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Lo stretch film è una diffusa applicazione per imballaggio dei film in polietilene (PE), utilizzato per proteggere diversi prodotti di vari dimensioni e pesi. Una caratteristica fondamentale del film è la sua proprietà adesiva in virtù della quale il film può essere facilmente chiuso su se stesso. Tipicamente vengono scelti gradi lineari a bassa densità (LLDPE) con valori relativamente bassi di densità a causa delle loro buone prestazioni. Il mercato basa la scelta del materiale adesivo per tentativi piuttosto che in base alla conoscenza delle caratteristiche strutturali ottimali per l’applicazione. Come per i pressure sensitive adhesives, le proprietà adesive di film stretch in PE possono essere misurati mediante "peel testing". Esistono molti metodi standard internazionali ma i risultati di tali prove sono fortemente dipendenti dalla geometria di prova, sulla possibile deformazione plastica che si verificano nel peel arm(s), e la velocità e temperatura. Lo scopo del presente lavoro è quello di misurare l'energia di adesione Gc di film stretch di PE, su se stessi e su substrati diversi, sfruttando l'interpretazione della meccanica della frattura per tener conto dell'elevata flessibilità e deformabilità di tali film. Quindi, la dipendenza velocità/temperatura di Gc sarà studiata con riferimento diretto al comportamento viscoelastico lineare dei materiali utilizzati negli strati adesivi, per esplorare le relazioni struttura-proprietà che possono mettere in luce i meccanismi molecolari coinvolti nei processi di adesione e distacco. Nella presente caso, l’adesivo non è direttamente disponibile come materiale separato che può essere messo tra due superfici di prova e misurato per la determinazione delle sue proprietà. Il presupposto principale è che una parte, o fase, della complessa struttura semi-cristallina del PE possa funzionare come adesivo, e un importante risultato di questo studio può essere una migliore identificazione e caratterizzazione di questo "fase adesiva".

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L’osso è un tessuto target per estrogeni ed androgeni ma l’azione singola e la sinergia tra i due non sono compresi interamente. Le donne affette da Sindrome da Insensititvità Completa agli Androgeni (CAIS) hanno un cariotipo 46XY ma presentano una completa inattività del recettore degli androgeni. Nello studio abbiamo valutato la densità minerale ossea (BMD) in un gruppo di donne adulte CAIS sottoposte a gonadectomia al momento della prima visita e dopo almeno 12 mesi di terapia estrogenica. Il principale obiettivo è stato di valutare se, nelle donne CAIS, una ottimale estrogenizzazione fosse sufficiente a mantenere/ripristinare una adeguata BMD. 24 donne CAIS sono state sottoposte a DXA lombare e femorale all'arruolamento nello studio (t1), dopo terapia estrogenica di 12mesi(t2) e oltre (t>2). Sono state valutate: BMD(g/cm2) e Zscore lombare e femorale (a t1,t2 e t>2) E’ stato considerato se fossero rilevanti l’essere (gruppo1) o meno (gruppo 2) in terapia ormonale al t1 e l’età della gonadectomia. Risultati: Al t1 BMD e Zscore lombari e femorale erano significativamente ridotti rispetto alla popolazione controllo nel campione totale (lombare 0,900+0,12; -1,976+0,07, femorale 0,831 + 0,14; -1,385+0,98), nel gruppo 1 (lombare 0,918+0,116;-1,924+0,79, femorale 0,824+0,13;-1,40+1,00) e nel gruppo 2 (lombare 0.845+0,11 -2,13+1,15, femorale 0,857+0,17;-1,348+1,05) Al t2 e t>2 la BMD lombare è risultata significativamente aumentata (p=0,05 e p=0,02). Zscore lombare, BMD e Zscore femorale non hanno dimostrato variazioni significative. L’aver effettuato la gonadectomia in età post puberale è associato a Zscore lombare e femorale più elevati al t1. Nelle donne CAIS la terapia estrogenica è indispensabile per prevenire un'ulteriore perdita di BMD ma, da sola, non sembra in grado di ripristinare normali valori di BMD.I risultati del nostro studio supportano la tesi che gli androgeni, mediante l’azione recettoriale, abbiano un' azione diretta nel raggiungere e mantenere la BMD.

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L'usura da fretting è un fenomeno che accompagna il comportamento a fatica dei componenti, in accoppiamenti per interferenza. Essa è dovuta allo slittamento relativo delle superfici accoppiate e comporta la riduzione della vita a fatica. In questo elaborato si parte da conoscenze pregresse riguardanti la morfologia delle superfici soggette a fretting e si cerca di individuare caratteristiche peculiari in provini albero-mozzo soggetti a flessione rotante, con prove di fatica a vita interrotta. Vengono utilizzati i fluidi penetranti per individuare cricche in fase di propagazione e per determinare un piano di sezione longitudinale ottimale dei provini, per poter osservare le superfici periferiche dei pezzi usurati. Infine vengono sfruttati i microscopi ottico e multifocale per osservare più approfonditamente il fenomeno.

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Capire come ottenere l'informazione accessibile, cioè quanta informazione classica si può estrarre da un processo quantistico, è una delle questioni più intricate e affascinanti nell'ambito della teoria dell'informazione quantistica. Nonostante l'importanza della nozione di informazione accessibile non esistono metodi generali per poterla calcolare, esistono soltanto dei limiti, i più famosi dei quali sono il limite superiore di Holevo e il limite inferiore di Josza-Robb-Wootters. La seguente tesi fa riferimento a un processo che coinvolge due parti, Alice e Bob, che condividono due qubits. Si considera il caso in cui Bob effettua misure binarie sul suo qubit e quindi indirizza lo stato del qubit di Alice in due possibili stati. L'obiettivo di Alice è effettuare la misura ottimale nell'ottica di decretare in quale dei due stati si trova il suo qubit. Lo strumento scelto per studiare questo processo va sotto il nome di 'quantum steering ellipsoids formalism'. Esso afferma che lo stato di un sistema di due qubit può essere descritto dai vettori di Bloch di Alice e Bob e da un ellissoide nella sfera di Bloch di Alice generato da tutte le possibili misure di Bob. Tra tutti gli stati descritti da ellissoidi ce ne sono alcuni che manifestano particolari proprietà, per esempio gli stati di massimo volume. Considerando stati di massimo volume e misure binarie si è riuscito a trovare un limite inferiore all'informazione accessibile per un sistema di due qubit migliore del limite inferiore di Josza-Robb-Wootters. Un altro risultato notevole e inaspettato è che l'intuitiva e giustificata relazione 'distanza tra i punti nell'ellissoide - mutua informazione' non vale quando si confrontano coppie di punti ''vicine'' tra loro e lontane dai più distanti.

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Il proposito principale di questo studio è valutare, attraverso un confronto tra tecnologia Nexfin e metodo invasivo, se l’attuazione di modelli fisiologici realizzata dal Monitor Nexfin, rende possibile un preciso e accurato monitoraggio dinamico della pressione arteriosa, garantendo in questo modo l’affidabilità della suddetta tecnologia in ambito clinico. È stato deciso di porre come termine di paragone il sistema invasivo in quanto rappresenta il gold standard per la rilevazione della pressione arteriosa. I capitoli sono stati disposti in modo da introdurre gradualmente il lettore all’interno del topic principale dell’elaborato, fornendo di volta in volta tutte le conoscenze essenziali per una comprensione ottimale degli argomenti trattati. Il primo capitolo fornisce inizialmente una breve visione d’insieme sull’apparato cardiocircolatorio, per poi concentrarsi sui fenomeni che concorrono alla definizione e alla caratterizzazione della pressione arteriosa. Il secondo capitolo presenta alcuni cenni storici sulle prime misurazioni di pressione effettuate, in seguito illustra i principali metodi di misurazione non invasivi, articolando il discorso anche attraverso l’analisi dei principali sfigmomanometri ad oggi disponibili. Il terzo capitolo guida il lettore attraverso la scoperta delle più recenti metodiche non invasive per la misurazione della pressione che consentono un monitoraggio dinamico, esponendo nel dettaglio i loro limiti e le loro peculiarità. Nella parte finale del capitolo si affronta anche l’evoluzione del “Volume Clamp Method” di Peñáz partendo dal progetto originale fino a giungere al notevole contributo di Wesseling e alla ricostruzione del segnale di pressione brachiale. Il quarto capitolo delinea brevemente le caratteristiche principali del metodo invasivo, ovvero il gold standard per quanto riguarda il monitoraggio della pressione sanguigna. Il quinto capitolo infine illustra in maniera completa le proprietà del Monitor Nexfin e analizza i risultati conseguiti, confrontando la tecnologia Nexfin con il sistema invasivo, durante lo studio condotto presso l’Ospedale Maurizio Bufalini dell’Azienda USL della Romagna – Sede operativa di Cesena. Lo studio è presentato seguendo una impostazione scientifica.