999 resultados para La continuité


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Perché L’Aquila? A seguito del sisma del 2009, L’Aquila offre un’occasione per riflessioni su temi urbanistici e di composizione urbana, oltre che un reale campo di sperimentazione architettonica. Perché il centro storico? Come cuore culturale ed economico dell’intera vallata dell’Aterno, il centro storico rappresenta una priorità per la Ricostruzione; il suo valore storico è la sintesi consolidata nel tempo del rapporto di una società con i luoghi della propria residenza. Una memoria da difendere attraverso l’elaborazione di strategie di intervento e idee di progetto. Qual è l’obiettivo? Il lavoro di ricerca e di progettazione mira ad individuare degli scenari e proporre delle idee di ricostruzione per tornare ad abitare il centro storico. Qual è il metodo? Per affrontare una situazione così complessa è indispensabile una conoscenza storica della struttura urbana della città prima del sisma. Inoltre è necessario comprendere l’evoluzione degli eventi (da aprile del 2009 al luglio 2011) al fine di riconoscere quali direzioni possibili può prendere un progetto che si inserisce, oggi, in un sistema ancora in cerca di un equilibrio. La Ricostruzione, intesa come processo strategico e progettuale di ridefinizione degli equilibri e delle prospettive, consente, ma forse ancor meglio esige, un ripensamento complessivo ed organico dell’intera struttura urbana. Si tratta quindi di ridefinire le relazioni tra la città storica e la sua periferia comprendendo il rapporto che un progetto di Ricostruzione può avere nel medio e lungo termine, il tutto in un contesto economico e soprattutto sociale in forte trasformazione. Il progetto propone così un nuovo complesso di residenze universitarie che potrà accogliere settantadue studenti insieme a diversi servizi quali sale lettura, sale polivalenti e una mensa. Si prevede inoltre il potenziamento della struttura di accoglienza dei salesiani con 8 nuovi alloggi per professori e una nuova Biblioteca. Il progetto vuole ricreare una continuità nel sistema del verde urbano come mezzo più appropriato e idoneo per relazionare la prima periferia alla città murata.

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La presente ricerca, L’architettura religiosa di Luis Moya Blanco. La costruzione come principio compositivo, tratta i temi inerenti l’edificazione di spazi per il culto della religione cristiana che l’architetto spagnolo progetta e realizza a Madrid dal 1945 al 1970. La tesi è volta ad indagare quali siano i principi alla base della composizione architettonica che si possano considerare immutati, nel lungo arco temporale in cui l’autore si trova ad operare. Tale indagine, partendo da una prima analisi riguardante gli anni della formazione e gli scritti da lui prodotti, verte in particolare sullo studio dei progetti più recenti e ancora poco trattati dalla critica. L’obbiettivo della presente tesi è dunque quello di apportare un contributo originale sull’aspetto compositivo della sua architettura. Ma analizzare la composizione significa, in Moya, analizzare la costruzione che, a dispetto del susseguirsi dei linguaggi, rimarrà l’aspetto principale delle sue opere. Lo studio dei manufatti mediante categorie estrapolate dai suoi stessi scritti – la matematica, il numero, la geometria e i tracciati regolatori - permette di evidenziare punti di contatto e di continuità tra le prime chiese, fortemente caratterizzate da un impianto barocco, e gli ultimi progetti che sembrano cercare invece un confronto con forme decisamente moderne. Queste riflessioni, parallelamente contestualizzate nell’ambito della sua consistente produzione saggistica, andranno a confluire nell’idea finale per cui la costruzione diventi per Luis Moya Blanco il principio compositivo da cui non si può prescindere, la regola che sostanzia nella materia il numero e la geometria. Se la costruzione è dunque la pietrificazione di leggi geometrico-matematiche che sottendono schemi planimetrici; il ricorso allo spazio di origine centrale non risponde all’intenzione di migliorare la liturgia, ma a questioni di tipo filosofico-idealista, che fanno corrispondere alla somma naturalezza della perfezione divina, la somma perfezione della forma circolare o di uno dei suoi derivati come l’ellisse.

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Il presente lavoro si propone principalmente di fornire un’analisi delle declinazioni assunte dal principio di continuità nel diritto amministrativo, tentando di metterne in luce al contempo le basi fondanti che caratterizzano ogni principio generale e le sfumature più attuali emerse dall’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza più recenti. Partendo dal fondamentale presupposto secondo cui la maggior parte degli interpreti si è interessata al principio di continuità in campo amministrativo con prevalente riferimento all’ambito organizzativo-strutturale, si è tentato di estendere l’analisi sino a riconoscervi una manifestazione di principi chiave della funzione amministrativa complessivamente intesa quali efficienza, buon andamento, realizzazione di buoni risultati. La rilevanza centrale della continuità discende dalla sua infinita declinabilità, ma in questo lavoro si insiste particolarmente sul fatto che di essa possono darsi due fondamentali interpretazioni, tra loro fortemente connesse, che si influenzano reciprocamente: a quella che la intende come segno di stabilità perenne, capace di assicurare certezza sul modus operandi delle pubbliche amministrazioni e tutela degli affidamenti da esse ingenerati, si affianca una seconda visione che ne privilegia invece l’aspetto dinamico, interpretandola come il criterio che impone alla P.A. di assecondare la realtà che muta, evolvendo contestualmente ad essa, al fine di assicurare la permanenza del risultato utile per la collettività, in ossequio alla sua missione di cura. In questa prospettiva, il presente lavoro si propone di analizzare, nella sua prima parte, i risultati già raggiunti dall’elaborazione esegetica in materia di continuità amministrativa, con particolare riferimento alle sue manifestazioni nel campo dell’organizzazione e dell’attività amministrative, nonché ad alcune sue espressioni concrete nel settore degli appalti e dei servizi pubblici. La seconda parte è invece dedicata a fornire alcuni spunti ed ipotesi per nuove interpretazioni del principio in chiave sistematica, in relazione a concetti generali quali il tempo, lo spazio e il complessivo disegno progettuale della funzione amministrativa.

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Numerose ricerche indicano i modelli di cure integrate come la migliore soluzione per costruire un sistema più efficace ed efficiente nella risposta ai bisogni del paziente con tumore, spesso, però, l’integrazione è considerata da una prospettiva principalmente clinica, come l’adozione di linee guida nei percorsi della diagnosi e del trattamento assistenziale o la promozione di gruppi di lavoro per specifiche patologie, trascurando la prospettiva del paziente e la valutazione della sua esperienza nei servizi. Il presente lavoro si propone di esaminare la relazione tra l’integrazione delle cure oncologiche e l’esperienza del paziente; com'è rappresentato il suo coinvolgimento e quali siano i campi di partecipazione nel percorso oncologico, infine se sia possibile misurare l’esperienza vissuta. L’indagine è stata svolta sia attraverso la revisione e l’analisi della letteratura sia attraverso un caso di studio, condotto all'interno della Rete Oncologica di Area Vasta Romagna, tramite la somministrazione di un questionario a 310 pazienti con neoplasia al colon retto o alla mammella. Dai risultati, emerge un quadro generale positivo della relazione tra l’organizzazione a rete dei servizi oncologici e l’esperienza del paziente. In particolare, è stato possibile evidenziare quattro principali nodi organizzativi che introducono la prospettiva del paziente: “individual care provider”,“team care provider”,“mixed approach”,“continuity and quality of care”. Inoltre, è stato possibile delineare un campo semantico coerente del concetto di coinvolgimento del paziente in oncologia e individuare quattro campi di applicazione, lungo tutte le fasi del percorso: “prevenzione”, “trattamento”,“cura”,“ricerca”. Infine, è stato possibile identificare nel concetto di continuità di cura il modo in cui i singoli pazienti sperimentano l’integrazione o il coordinamento delle cure e analizzare differenti aspetti del vissuto della persona e dell’organizzazione.

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Il recente sviluppo commerciale di smartphone, tablet e simili dispositivi, ha portato alla ricerca di soluzioni hardware e software dotate di un alto livello di integrazione, in grado di supportare una potenza di calcolo e una versatilità di utilizzo sempre più crescenti, pur mantenendo bassi i consumi e le dimensioni dei dispositivi. Questo sviluppo ha consentito parallelamente a simili tecnologie di trovare applicazione in tanti altri settori, tra i quali quello biomedicale. Il lavoro esposto in questa tesi si inserisce nel contesto appena descritto e, in particolare, consiste nello sviluppo di un sistema WBAN ideato per garantire maggiore flessibilità, controllo e personalizzazione nella terapia riabilitativa dei pazienti affetti da Morbo di Parkinson. In questo campo è stata dimostrata l'efficacia, in termini di miglioramento delle condizioni di vita dell'individuo, dell'esercizio fisico e in particolare di una serie di fisioterapie riabilitative specifiche. Tuttavia manca ancora uno strumento in grado di garantire più indipendenza, continuità e controllo,per le persone affette da MP, durante l'esecuzione di questi esercizi; senza che sia strettamente necessario l'intervento di personale specializzato per ogni seduta fisioterapeutica. Inoltre manca un sistema che possa essere comodamente trasportato dal paziente nelle attività di tutti i giorni e che consenta di registrare e trasmettere eventi particolari legati alla patologia, come blocchi motori e cadute accidentali. Il presente lavoro di tesi tratta della realizzazione di un Firmware per la gestione di un Nodo Centrale che funge da master in una rete WBAN a tre nodi. L'obbiettivo è quello di integrare in tale firmware le funzioni di acquisizione dati dai sensori on-board, comunicazione tra i nodi della rete e gestione delle periferiche hardware secondarie; in particolare per lo sviluppo è stato usato un Sistema Operativo Real-Time (RTOS) del quale sono esposti vantaggi e svantaggi dell’utilizzo.

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Il progetto si sviluppa a partire dalla lettura di Berlino come città costituita da parti, una serie di forme urbane, brani di città, ognuno con una propria identità, tuttora chiaramente leggibili. All’interno di questo sistema frammentario è stata effettuata un’analisi più approfondita degli spazi verdi, reinterpretando il Piano per Berlino del paesaggista Peter Joseph Lenné. Egli pone al centro della pianificazione urbana la struttura del verde pubblico, cogliendo il dato di Berlino come città fatta di frammenti. Il nostro progetto individua sul segno del boulevard a nord, disegnato da Lenné, una serie di spazi verdi di diversa natura e di poli aggregativi di rilevanza socio culturale. Il parco diventa un’estensione del polo culturale in cui poter realizzare attività all’aperto: un catalizzatore di vita urbana, luogo di aggregazione per la popolazione. Lo sviluppo di una parte della tesi a Berlino ci ha permesso di conoscere la città e di comprendere a pieno l’importanza che i luoghi di socializzazione, gli spazi condivisi hanno per i berlinesi. Il progetto di un polo culturale, comprendente biblioteca, atelier, laboratori e residenze per artisti, nel quartiere Friedrichshain, si inserisce all’interno del più ampio sistema di parchi e poli aggregativi.

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L'utilizzo sempre crescente di dispositivi mobili, lo sviluppo di applicazioni mobile in continuo aumento, e la necessità di una sempre migliore qualità della comunicazione, ha portato grande interesse ad analizzare i protocolli di supporto alla mobilità dei terminali. Questi, tra i quali il più conosciuto è forse Mobile IP, vengono posti in esame utilizzando diverse metriche per valutarne le prestazioni. Si confrontano dunque due protocolli: LISP e ABPS; per ognuno dei quali ne viene presentata e descritta l'architettura e le principali funzionalità; entrambe queste architetture per il supporto alla mobilità, prevedono delle specifiche per fornire continuità nella comunicazione durante il roaming di un nodo multihomed. Vengono presentati poi gli strumenti con i quali verrà effettuata il l'analisi: il simulatore a eventi discreti OMNeT++ e il suo framework INET. Successivamente sono descritte le principali componenti dei simulatori per LISP e ABPS, che modellano le meccaniche dei due protocolli analizzati. Questi sono stati sottoposti a modifiche mirate a correggerne eventuali anomalie di comportamento, e ad introdurre nuove funzionalità, soprattutto per quanto riguarda ABPS, che era solo parzialmente implementato. Sono mostrati gli scenari in cui verranno effettuati i test per il confronto delle prestazioni: uno scenario semplice e uno che cerca di proporre una rete urbana verosimile; di seguito vengono elencati i parametri e le configurazioni utilizzate per ognuno dei due scenari. Infine vengono presentati i risultati mettendo a confronto due aspetti della mobilità dei terminali: durata dell'intervallo di indisponibilità e latenza dei pacchetti.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Thèse numérisée par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Taken as a policy framework, active aging ranks high on most supranational bodies’ agenda. The new political economy of aging portrays “active” citizenship amongst seniors as a key challenge for the years to come. Our research focuses on, first, elderly women’s everyday ‘active’ practices, their meaning and purpose, in the context of Quebec’s active aging policy framework; and second, their day-to-day practical citizenship experiences. Informed by discourse analysis and a narrative approach, the life stories of women 60 to 70 years of age allowed for the identification of a plethora of distinctive old age activity figures. More specifically, four activity figures were identified by which respondents materialize their routine active practices, namely: (1) paid work; (2) voluntary and civic engagement; (3) physical activity; and (4) caregiving. Set against Quebec’s active aging policy framework, these patterns and set of practices that underpin them are clearly in tune with government’s dominant perspectives. Respondents’ narratives also show that active aging connotes a range of ‘ordinary’ activities of daily living, accomplished within people’s private worlds and places of proximity. Despite nuances, tensions and opposition found in dominant public discourse, as well as in active aging practices, a form of counter-discourse does not emerge from respondents’ narratives. To be active is normally the antithesis of immobility and dependence. Thus, to see oneself as active in old age draws on normative, positive assumptions about old age quite difficult to refute; nevertheless, discourses also raise identity and relational issues. In this respect, social inclusion issues cut across all active aging practices described by respondents. Moreover, a range of individual aims and quests underpin activity pattern. Such quests express respondents’ subjective interactions with their social environment; including their actions’ meaning and sense of social inclusiveness in old age. A first quest relates to personal identity and social integration to the world; a second one concerns giving; a third centers on the search for authenticity; whereas the fourth one is connected to a desire for freedom. It is through the objectivising of active practices and related existential pursuits that elderly woman recognize themselves as active citizens, rooted in the community, and variously contributing to society. Accordingly, ‘active’ citizenship experiences are articulated in a dialogic manner between the dimensions of ‘doing’, ‘active’ social practices, and ‘being’ in relation to others, within a context of interdependence. A proposed typology allows for the modeling of four ‘active’ citizenship figures. Overall, despite the role played by power relations and social inequality in structuring aging experiences, in everyday life ‘old age citizenship’ appears as a relational process, embedded in a set of social relations and practices involving individuals, families and communities, whereby elderly women are able to express a sense of agency within their social world.

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Les technologies numériques changent-elles vraiment la littérature? Peut-on parler d'une littérature numérique? Y a-t-il opposition entre la littérature papier et la littérature numérique? D'une part, on pourrait dire qu'il n'existe aucune opposition entre ces deux formes de littérature car, dans les faits, il n'y a que des pratiques qui s'inscrivent toujours dans une continuité. D'autre part, on pourrait affirmer qu'au contraire il y a des différences fondamentales dans les pratiques d'écritures, dans les modèles de diffusion et de réception, dans les formats, dans les supports, etc. Cet article explore ces deux perspectives.

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Le rôle des parents dans l'éducation de leurs enfants fait partie d'un processus continu qui débute au moment même de la conception d'un individu. En effet, le parent servira de modèle et d'exemple à son enfant. L'éducation débute à la maison, elle est complétée par l'école, mais le foyer demeure le lieu privilégié de l'apprentissage du jeune. Le rôle du parent est donc central. Il constitue le piller autour duquel gravitent les expériences significatives du jeune avec son milieu. Lors de la consultation sur le Livre Vert (1977), le gouvernement du Québec proposait justement une plus grande participation des parents dans l'éducation de leurs enfants par le biais de comités d'écoles. On visait à ce que ces comités composés de parents prennent une plus grande part aux décisions en ce qui concerne l'orientation et l'avenir des écoles. À ce propos, l'article 101 de la loi 3 sur l'enseignement primaire et secondaire public décrit le rôle des comités d'écoles comme devant donner son avis au conseil d'école et promouvoir la participation des parents à la détermination, à la réalisation et à l'évaluation du projet éducatif. En élargissant la place des parents au sein même du système éducatif, on favoriserait davantage une continuité dans le processus éducatif de l'enfant car l'école a pour but de poursuivre l'éducation entreprise à la maison.

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La personne âgée est globale, comme tout enfant ou tout adulte, alors nos interventions se doivent d'être globales. Nous ne devons plus nous permettre de disséquer la personne. Il faut remplacer et de là éliminer les clichés sur les étapes de la vie: l'âge des acquisitions, l'âge de la production et l’âge de l'inaction. Nous devons faire place à la notion de continuité de l'être. Comme le soulignait Nicolas Zay (1981), il ne s'agit pas de créer la vie, parce que déjà existante, mais il faut plutôt la faire circuler, la magnifier, la vivifier. Il ne s'agit que de respecter l'être humain, si âgé soit-il. Nous devons assurer à la personne âgée un minimum satisfaisant de moyens pour maintenir ses capacités ou pour suppléer certaines déficiences. Il en va de la dignité de la personne. Il faut "traiter" la personne âgée dans un milieu ordinaire, institutionnel peut-être, mais où nous retrouvons une qualité de vie, où l'environnement fera la promotion de la vie. Dans les centres d'accueil d'hébergement, nous disons souvent à la personne âgée « vous êtes chez-vous, mais ne placez pas telle chose sur le mur, n'encombrez pas vos bureaux de photos ou de bibelots, l'heure du bain est à ... etc. » Petites insignifiances qui nuisent à la création d'un milieu de vie de qualité. Il est urgent de modifier nos rapports, notre approche face au vieillissement. Il faut mobiliser les énergies et les potentiels de la personne âgée. Nous nous devons d'améliorer la formation des personnels qui travaillent auprès de cette clientèle âgée, nos interventions sont trop parcellaires. La recherche n'a fait que confirmer, à mes yeux, la valeur et l'à-propos de l'approche psycho-sociale, qui a comme spécificité de répondre aux besoins de la personne dans sa globalité bio-psycho-sociale. Cette recherche s'adresse avant tout aux intervenants des organisations d'hébergement. Elle se veut pratico-pratique. Elle se veut un outil pour intervenir dans le milieu, pour améliorer le milieu. Mais, elle fait aussi ressortir l'indispensable cheminement qui doit s'inscrire tant au niveau organisationnel, qu'au niveau individuel. Les centres d'accueil d'hébergement sont composés de personnes qui y résident et de personnes qui y travaillent: les centres d'accueil se doivent d'être des milieux de vie chaleureux. Simple et bien compliqué à la fois.

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L'éducation morale peut-elle répondre au défi et au besoin d'une éthique personnelle et sociale? Comment l'école peut-elle mettre en branle un processus de socialisation chez les jeunes? Permet-elle d'éclairer, d'élargir et d'approfondir le contenu social des enjeux éthiques chez l'enfant quand celui-ci est aux prises constamment avec le devoir du rendement et des notes? La pédagogie de l'enseignement moral telle que vécue dans nos écoles ouvre-telle les portes à la socialisation ou au narcissisme et à l'individualisme? Y a-t-il, en fait, entre l'organisation scolaire et l'organisation sociale, une continuité grâce à laquelle la formation morale à l'école permet au jeune de s'engager dans le processus social tout en développant des connaissances et des aptitudes nécessaires pour comprendre les enjeux éthiques collectifs et proposer des pistes de solutions? Pour favoriser cette continuité, l'organisation scolaire ne devrait-elle pas être à l'image de l'organisation sociale? Ultimement, quel lien existe-t-il entre l'école québécoise et notre société? Ce rapide survol de la problématique de l'éducation morale nous permet de distinguer actuellement trois niveaux d'interrogation: la conception de l'être humain sous-jacente aux programmes, la finalité de l'enseignement dans les écoles du Québec, ainsi que son enjeu social. Soulever ainsi cette problématique nous aide à mieux réfléchir sur la situation et à proposer des pistes de solutions pour faire de l'éducation morale une théorie et une pratique toujours plus conformes aux expériences individuelles et sociales de chez nous. C'est à partir de ce questionnement global que le philosophe et pédagogue américain John Dewey (1859-1952) nous semble très pertinent. Face à la problématique de l'éducation morale au Québec, la référence spécifique à John Dewey nous semble crédible pour plusieurs raisons. […]