978 resultados para ne bis in idem


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The U.S. hog industry, once primarily made up of small owner-operated crop-hog farms, has become dominated by large specialized operations characterized by low costs and improved technologies in livestock management. Such changes have triggered concerns over the dangers large Hog Feeding Operations (HFOs) are likely to pose to the environment. In 2007, the top ten states accounted for more than 85 percent of total U.S. hog production (Iowa (IA), North Carolina (NC), Minnesota (MN), Illinois (IL), Nebraska (NE), Indiana (IN), Missouri (MO), Oklahoma (OK), Ohio (OH), and Kansas (KS)). With such domination on production, these states are often the subject of environmental debate relating to hog production. When farmers are required to incorporate environmental measures in hog production, their costs of production increase. Metcalfe (2001) found that small HFOs have found it difficult to cope with such costs and many have exited the industry, while large operations have not been affected at the same level. Due to the variation of environmental regulations among states, other operations moved to states with lax regulations (e.g. NC prior to the late 1990s). Such regulations appear to have played a major role in shaping the structure of the hog industry.

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Oltre un miliardo di persone non ha oggi accesso all’acqua potabile; più di due miliardi è il numero di coloro che vivono in condizioni igienico-sanitarie realmente proibitive. Sono 80 i paesi nel mondo (con il 40% della popolazione totale) in cui si riscontra difficoltà di approvvigionamento e presenza di risorse idriche che mancano dei requisiti che dovrebbero essere assicurati per la tutela della salute: quotidianamente e sistematicamente il diritto di accesso all’acqua, che nessun individuo dovrebbe vedersi negato, viene violato. Scarsità di acqua e non omogenea distribuzione sulla superficie terrestre sono fattori che concorrono alla crisi della risorsa, cui contribuiscono processsi di natura ambientale (cambiamenti climatici, desertificazione), di natura economica (le sorti dell’industria agroalimentare, la globalizzazione degli scambi, il bisogno crescente di energia), di natura sociale (migrazioni, urbanizzazione, crescita demografica, epidemie), di natura culturale (passaggio dal rurale all’urbano, dall’agricoltura di sussistenza a quella di profitto). Nell’ottica di uno sviluppo sostenibile un aumento indiscriminato dell’offerta non può costituire soluzione al continuo incremento della domanda di acqua. Si rende pertanto necessaria la definizione di politiche e strumenti di cambiamento nei modelli di consumo e nella pianificazione che consentano una riduzione degli squilibri nella distribuzione e nella gestione della risorsa a livello domestico e civile, industriale, agricolo. L’uso efficiente, e quindi sostenibile, dell’acqua è da perseguirsi secondo le modalità: • Risparmio, inteso come minore consumo di acqua all’inizio del ciclo. • Riciclo dell’acqua in circuito chiuso, inteso come riuso dell’acqua di scarico, o uso multiplo dell’acqua. Una idonea utilizzazione dipende da una idonea progettazione, che abbia come finalità: • La destinazione in via prioritaria delle fonti e delle risorse di più elevata qualità agli usi idropotabili, con una graduale sostituzione del consumo per altri usi con risorse di minore pregio. • La regolamentazione dell’uso delle acque sotterranee, mediante la limitazione del ricorso all’impiego di pozzi solo in mancanza di forniture alternative per uso civile, industriale, agricolo. • L’incentivazione ad un uso razionale della risorsa, anche mediante l’attuazione di idonee politiche tariffarie. • L’aumento dell’efficienza delle reti di adduzione e distribuzione, sia civili che irrigue. • La promozione di uso efficiente, riciclo e recupero di acqua nell’industria. • Il miglioramento dell’efficienza ed efficacia delle tecniche di irrigazione. • La promozione del riutilizzo delle acque nei vari settori. • La diffusione nella pratica domestica di apparati e tecnologie progettati per la riduzione degli sprechi e dei consumi di acqua. In ambito agricolo la necessità di un uso parsimonioso della risorsa impone il miglioramento dell’efficienza irrigua, pari appena al 40%. La regione Emilia Romagna a livello locale, Israele a livello internazionale, forniscono ottimi esempi in termini di efficacia dei sistemi di trasporto e di distribuzione, di buona manutenzione delle strutture. Possibili soluzioni verso le quali orientare la ricerca a livello mondiale per arginare la progressiva riduzione delle riserve idriche sono: • Revisione dei costi idrici. • Recupero delle riserve idriche. • Raccolta dell’acqua piovana. • Miglioramento degli impianti di distribuzione idrica. • Scelta di metodi di coltivazione idonei alle caratteristiche locali. • Scelta di colture a basso fabbisogno idrico. • Conservazione della risorsa attraverso un sistema di irrigazione efficiente. • Opere di desalinizzazione. • Trasferimento idrico su vasta scala da un’area all’altra. Si tratta di tecniche la cui attuazione può incrementare la disponibilità media pro capite di acqua, in particolare di coloro i quali non ne posseggono in quantità sufficiente per bere o sono privi di sistemi igienico-sanitari sufficienti.

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Il presente contributo prende le mosse dalla consapevolezza che i modelli lineari tradizionali sulle carriere (Super, 1980) hanno lasciato il passo a concettualizzazioni più complesse e non lineari (Cohen, Duberley & Mallon, 2004; Pryor & Bright, 2007; Richardson, 2002), argomento tra l’altro approfondito operando una disanima delle principali transizioni di carriera e dei fenomeni psicosociali ad esse correlate (Schlossberg, Waters & Goodman, 1995). Vengono affrontati temi attuali quali quelli della Globalizzazione riflessiva (Beck, 1999), della complessità e delle Flessibilità (Sennett, 1998) e se ne mette in luce le interrelazioni con il fenomeno delle carriere, ed in particolare delle dinamiche che ne hanno modificato progressivamente e radicalmente la natura nel corso degli ultimi trent’anni (Hall, 1976, 1996). È stato approfondito il tema dei nuovi percorsi di carriera, con particolare attenzione ai costrutti teorici della Protean Career (Carriera Versatile) e della Boundaryless Career (Carriera senza confini). Sono stati condotti due studi, mediante il metodo dell’inchiesta, proponendo dei questionari autosomministrabili a due gruppi di lavoratori dipendenti. La selezione degli strumenti da inserire nel protocollo, e quindi delle ipotesi da verificare è stata operata in funzione delle caratteristiche intrinseche dei due gruppi coinvolti, cercando comunque di valorizzare sempre il ruolo dei nuovi orientamenti di carriera all’interno del disegno di ricerca. Lo studio 1 è stato condotto su un gruppo di 540 lavoratori dipendenti provenienti da Sardegna e Sicilia. Facendo riferimento agli studi tradizionali sull’insicurezza lavorativa (Sverke & Hellgren, 2002), si è cercato di valutare l’eventuale effetto moderante dei nuovi orientamenti di carriera (Briscoe, Hall & Frautschy De Muth, 2006) circa gli effetti dell’insicurezza su benessere psicofisico (Goldberg, 1972) e coinvolgimento lavorativo (Schaufeli, Bakker & Salanova, 2006; Scaufeli, Salanova, Gonzalez-Romá & Bakker, 2002). I risultati hanno mostrato alcuni effetti parziali, ma d’altro canto è emerso che i medesimi orientamenti di carriera risultano significativamente e direttamente associati a variabili quali l’Autoefficacia, la Proattività, il benessere e il Coinvolgimento. Lo studio 2, riguardante un gruppo di 79 neolaureati di Palermo e provincia al primo inserimento lavorativo, è stato condotto nell’arco di 8 mesi con tre rilevazioni dati. In questo caso si è cercato di evidenziare eventuali effetti causali longitudinali degli orientamenti di carriera sulle variabili dipendenti già incluse nello studio 2. Le ipotesi espresse hanno trovato soltanto parziale conferma nei risultati.

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La tesi affronta le problematiche relative ai nuovi scenari educativi nella cosiddetta Società della Conoscenza e alle sfide che essa richiede alla didattica nei nuovi “ambienti” formativi. Partendo dall’analisi della definizione della stessa come Società della Conoscenza si cerca di darne una lettura che ne metta in luce gli elementi principali che la caratterizzano aprendo alla riflessione sullo sguardo che essa dà al suo futuro e agli scenari verso i quali si orientano le sue sfide cognitive ed educative. In tale analisi non può mancare una riflessione sul legame tra la società contemporanea e le cosiddette nuove tecnologie (ICT: Information and Comunication Technologies). Le ICT, infatti, in misura sempre maggiore, hanno invaso la società e influenzato l’evoluzione della stessa assumendo un ruolo significativo nella vita quotidiana e nell’affermarsi della società della conoscenza. Il percorso di ricerca prende il via da questi interrogativi per ampliare la riflessione sulle nuove frontiere dell’educazione nella società della conoscenza. Quest’ultima, infatti, così come si caratterizza e come si evolve, identificando la sua priorità non solo nella diffusione dell’informazione, ma anche e soprattutto nella “costruzione” di conoscenza, impone un nuovo modo di pensare e approcciarsi all’educazione e alla formazione. Il longlife learning diventa l’elemento centrale ma non va inteso solo come possibilità date all’individuo adulto di riprendere percorsi formativi lasciati o intraprenderne di nuovi. Quello che cambia è la finalità stessa della formazione: è il concetto dell’apprendimento come potenzialità individuale (empowerment). Non basta avere accesso e acquisire un numero sempre maggiore di informazioni ma occorre sviluppare la capacità di acquisire strategicamente le informazioni per essere capaci di affrontare i continui cambiamenti e costruire nuove forme di sapere condiviso. Sul piano operativo le ICT permettono numerose nuove possibilità per la formazione, sia come strumenti a supporto della didattica, sia come mezzi di trasmissione delle informazioni e costruzione di conoscenza. L’e-learning si afferma con una sua impostazione e una sua metodologia, nonché con i suoi “oggetti” e i suoi “ambienti”. Nella tesi vengono illustrate le principali problematiche da considerare per la costruzione di percorsi formativi in rete (strumenti, contenuti, ruoli, comunicazione, valutazione) per presentare, infine, i materiali prodotti dall’autrice per l’erogazione on line di moduli didattici in due Unità Formative.

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Zusammenfassung Mittels Fluoreszenzfarbstoffen können Strukturen sichtbar gemacht werden, die auf kon-ventionellem Weg nicht, oder nur schwer darzustellen sind. Besonders in Kombination mit der Konfokalen Laser Scanning Mikroskopie eröffnen sich neue Wege zum spezifischen Nachweis unterschiedlichster Komponenten biologischer Proben und gegebenenfalls deren dreidimensionale Widergabe.Die Visualisierung des Proteinanteils des Zahnhartgewebes kann mit Hilfe chemisch kopplungsfähiger Fluorochrome durchgeführt werden. Um zu zeigen, daß es sich bei dieser Markierung nicht um unspezifische Adsorption des Farbstoffes handelt, wurde zur Kontrolle die Proteinkomponente der Zahnproben durch enzymatischen Verdau beseitigt. Derartig behandelte Präparate wiesen eine sehr geringe Anfärbbarkeit auf.Weiterführend diente diese enzymatische Methode als Negativkontrolle zum Nachweis der Odontoblastenfortsätze im Dentin bzw. im Bereich der Schmelz-Dentin-Grenze. Hiermit konnte differenziert werden zwischen reinen Reflexionsbildern der Dentinkanäle und den Zellausläufern deren Membranen gezielt durch lipophile Fluoreszenzfarbstoffe markiert wurden.In einem weiteren Ansatz konnte gezeigt werden, daß reduzierte und daher nichtfluoreszente Fluoresceinabkömmlinge geeignet sind, die Penetration von Oxidationsmitteln (hier H2O2) in den Zahn nachzuweisen. Durch Oxidation dieser Verbindungen werden fluoreszierende Produkte generiert, die den Nachweis lieferten, daß die als Zahnbleichmittel eingesetzten Mittel rasch durch Schmelz und Dentin bis in die Pulpahöhle gelangen können.Die Abhängigkeit der Fluoreszenz bestimmter Fluorochrome von deren chemischer Um-gebung, im vorliegenden Fall dem pH-Wert, sollte eingesetzt werden, um den Säuregrad im Zahninneren fluoreszenzmikroskopisch darzustellen. Hierbei wurde versucht, ein ratio-metrisches Verfahren zu entwickeln, mit dem die pH-Bestimmung unter Verwendung eines pH-abhängigen und eines pH-unabhängigen Fluorochroms erfolgt. Diese Methode konnte nicht für diese spezielle Anwendung verifiziert werden, da Neutralisationseffekte der mineralischen Zahnsubstanz (Hydroxylapatit) die pH-Verteilung innerhalb der Probe beeinflußen. Fluoreszenztechniken wurden ebenfalls ergänzend eingesetzt zur Charakterisierung von kovalent modifizierten Implantatoberflächen. Die, durch Silanisierung von Titantestkörpern mit Triethoxyaminopropylsilan eingeführten freien Aminogruppen konnten qualitativ durch den Einsatz eines aminspezifischen Farbstoffes identifiziert werden. Diese Art der Funktionalisierung dient dem Zweck, Implantatoberflächen durch chemische Kopplung adhäsionsvermittelnder Proteine bzw. Peptide dem Einheilungsprozeß von Implantaten in den Knochen zugänglicher zu machen, indem knochenbildende Zellen zu verbessertem Anwachsverhalten stimuliert werden. Die Zellzahlbestimmung im Adhäsionstest wurde ebenfalls mittels Fluoreszenzfarbstoffen durchgeführt und lieferte Ergebnisse, die belegen, daß die durchgeführte Modifizierung einen günstigen Einfluß auf die Zelladhäsion besitzt.

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Einfluß der internen Architektur von Polymermikronetzwerken auf Struktur und Dynamik konzentrierter Kolloid-Dispersionen Kugelförmige Polymermikronetzwerk-Kolloide gehören zur Klasse der sogenannten Mikrogele. Dabei handelt es sich um kolloidale Modellsysteme, die durch ihre interne Vernetzungsdichte charakterisiert werden.In dieser Arbeit sollte untersucht werden, ob sich die Wechselwirkungen zwischen den Mikrogel-Kolloiden über ein repulsives Potential der Form U(r) = 1/rn beschreiben lassen und ob der Poten-tialexponent n von der Vernetzungsdichte abhängt. Dazu wurden vor allem die innere Architektur, das Phasenverhalten und der statische Strukturfaktor 1:10, 1:50, 1:72 und 1:100 vernetzter Polymer-Mikronetzwerk-Kolloide bis in den Bereich hochkonzentrierter Dispersionen mit den Mitteln der Kleinwinkelneutronenstreuung, der Digitalphotographie und der statischen Lichtstreuung untersucht. Polymeranalytische Untersuchungen ergaben einen bei der Synthese anfallenden Anteil von unver-netztem, freiem Polymer innerhalb der Mikronetzwerke, welcher sich beim Lösen aus den Netzwerken herausbewegte. Das freie Polymer spielte vor allem beim Phasenverhalten der untersuchten Teilchen eine große Rolle und verursachte bei den Untersuchungen der statischen Strukturfaktoren Abweichun-gen vom 'harte Kugel'-Verhalten. Als Ergebnis der Kleinwinkel-Neutronenstreuung konnte eine ab-nehmende Verteilungsdichte der Vernetzer innerhalb der Polymermikronetzwerke in Richtung der -Teilchenoberfläche nachgewiesen werden. Die damit verbundene Konformationsfreiheit der Polymer-segmente auf der Teilchenoberfläche (bis hin zu 'mushroom'-Strukturen) wurde als Grund dafür an-gesehen, daß sich die Resultate der untersuchten Mikrogele aller Vernetzungsdichten im wesentlichen auf 'harte Kugeln' skalieren lassen.

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Il presente lavoro di tesi si inserisce nel Progetto “Monitoraggio dei sedimenti del litorale” dell’ARPA-Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente, e ne prende in considerazione parte dei risultati. Il progetto è nato con l’obiettivo di fornire una caratterizzazione dei sedimenti della costa emiliano-romagnola sommersa. Nello specifico questa tesi ha riguardato l’apprendimento e l’esecuzione delle analisi ecotossicologiche dei sedimenti compiute su due specie, l’Ampelisca diadema (Costa, 1853) e il Paracentrotus lividus (Lamarck, 1816), allo scopo di determinare lo stato di contaminazione dei sedimenti considerati e classificarli secondo classi di giudizio di tossicità predefinite. A tali test ecotossicologici sono stati sottoposti campioni di sedimenti campionati nel 2010 in 104 siti e 4 diverse batimetrie posti lungo tutto il litorale emiliano-romagnolo. I risultati ottenuti nell’ambito dei due test ecotossicologici sono stati analizzati separatamente e confrontati con dati riguardanti la batimetria e le caratteristiche chimico-fisiche dei sedimenti raccolti (granulometria, contenuto di contaminanti) al fine di poter spiegare il ruolo delle componenti abiotiche nella definizione della tossicità. A tale scopo sono state eseguite delle analisi univariate e multivariate (PCA) dei dati. In seguito si sono stati comparati i risultati ottenuti nei due test. Il presente lavoro ha permesso di avere un quadro preliminare dello stato di contaminazione dei sedimenti della costa sommersa dell’Emilia-Romagna

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Flugzeuggestützte Messungen des atmosphärischen Aerosols: Saharastaub, stratosphärisches Hintergrundaerosol und nichtsichtbare Wolken in den Tropen Im Rahmen der vorliegenden Arbeit wurden flugzeuggestütze Messungen des atmosphärischen Aerosols durchgeführt. Das hierfür eingesetzten Meßinstrument (FSSP-300) mißt die Intensität des von einzelnen Aerosolpartikeln in Vorwärtsrichtung gestreuten Lichts. Der Meßbereich umfaßt Partikeldurchmesser von ca. 0,4 µm bis 20 µm. Das FSSP-300 wurde auf mehreren Flugzeugen eingesetzt, u. a. auch erstmals auf dem russischen Höhenforschungsflugzeug Geophysika. Bei der Meßkampagen ACE-2 wurden im Juli 1997 von Teneriffa aus zwei Schichten windgetragenen Sahara-Staubes beobachtet. Die tiefere Schicht reichte bis in 1500 m Höhe, die höhere Schicht bis in 6000 m bei einer Schichtdicke von über 3000 m. In einer Analyse der Wetterlage und von Rückwärtstrajektorien wird der Ursprung des Staubes dargestellt. Die mit dem FSSP-300 gemessenen Größenverteilungen werden durch Messungen anderer Partikel-Meßinstrumente ergänzt und mit Literaturdaten verglichen. Im Rahmen der Untersuchung des stratosphärischen Aerosols wurden Messungen aus zwei Perioden ohne vulkanischen Einfluß und aus der Zeit nach dem Ausbruch des Vulkans Pinatubo verglichen. Die beiden Perioden reinen Hintergrundaerosols lagen mit über fünf Jahren eine vergleichbare Zeitspanne nach großen Vulkanausbrüchen. Die Analyse der Aerosolmessungen umfaßt den zeitlichen Verlauf der Gesamtkonzentration als auch den Vergleich von Größenverteilungen aus den verschiedenen Perioden. Bei den Flügen über dem Indischen Ozean während der Meßkampagne APE-THESEO auf den Seychellen wurden verschiedene Schichten von Cirren im Bereich des Ausläufers eines Cumulonimbus und direkt an der Tropopause beobachtet. Letztere und auch einige Bereiche der ersteren waren nichtsichtbar, d. h. hatten eine optische Dicke von weniger als 0,03 im sichtbaren Licht. Die Partikelmessungen werden auch im Kontext der Ergebnisse anderer Meßinstrumente und einer meteorologischen Analyse der Wettersituation betrachtet. Die gemessenen Größenverteilungen sind eine wichtige Ergänzung der wenigen früheren Veröffentlichungen zu diesem Thema.

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Gegenstand dieser Arbeit ist die Untersuchung der smektischen Phasen von Polysiloxanen mit flüssigkristallinen Seitengruppen (LC-Polysiloxane). Der erste Teil der vorliegenden Arbeit befasste sich mit der Herstellung verschiedener flüssigkristalliner ferroelektrischer Polysiloxane. Die Polymere wurden in Bezug auf das verwendete Polymerrückgrat (Homo- und Copolysiloxan) sowie durch den zusätzlichen Einbau von vernetzbaren Seitengruppen variiert. Im zweiten Teil der Arbeit wurden die Eigenschaften der smektischen Phasen der hergestellten Substanzen näher untersucht. Ein erster Untersuchungsgegenstand war das Dehnungsverhalten von freistehenden flüssigkristallinen Elastomerfilmen (LCE). Bei der Verwendung eines Polymers, in dem nur ein Teil des Polysiloxanrückgrats mit Seitengruppen substituiert ist, wird die uniaxiale Dehnung des Films parallel zu den smektischen Schichten durch eine gleichmäßige Kontraktion in der Filmebene und parallel zur Schichtnormalen ausgeglichen, was auf einen außergewöhnlich niedrigen smektischen Schichtkompressionsmodul zurückzuführen ist. Im Gegensatz dazu ist dieser Modul bei den Homopolymersystemen so groß, dass praktisch senkrecht zu den smektischen Schichten keine Kontraktion stattfindet. Ein zweiter Untersuchungsgegenstand der Netzwerkbildung bestand in der Bestimmung der dynamisch-mechanischen Eigenschaften der LC-Polysiloxane mittels eines Oszillationsrheometers. Hier erfolgten die Messungen von Speicher- und Verlustmodul in Abhängigkeit vom Polymerrückgrat und von der Vernetzung. Die unvernetzten Systeme zeigten in den smektischen Phasen (oberhalb Tg) noch – im wesentlichen – Festkörpereigenschaften (physikalische Vernetzung) mit einem dominierenden Speichermodul beim LC-Homopolysiloxan. Beim LC-Copolysiloxan haben beide Module eine gleiche Größenordnung. Am Phasenübergang in die isotrope Phase wurden beide Module absolut kleiner, der Verlustmodul aber relativ größer. In der isotropen Phase verhalten sich die LC-Polymere damit überwiegend wie viskose Schmelzen. Außerdem korrelierten die mittels DSC bestimmten Phasenübergangstemperaturen mit einer Änderung der dynamisch-mechanischen Eigenschaften. Nach der Vernetzung dominierte der Speichermodul sowohl beim LC-Homo- als auch beim LC-Copolysiloxan bis in die isotrope Phase, und es war aufgrund der Bildung einer festen Netzwerkstruktur keine Abhängigkeit der Module von Phasenübergängen mehr erkennbar. Als dritter Untersuchungsgegenstand wurde der Phasenübergang zwischen den beiden smektischen Phasen (SmC* nach SmA*) der flüssigkristallinen Polysiloxane näher behandelt. Als wichtigstes Ergebnis ist festzuhalten, dass die verdünnten LC-Polysiloxane an diesem Übergang fast keine Schichtdickenänderung aufweisen. Dazu wurde jeweils die röntgenographisch ermittelte Schichtdicke mit der aus den optischen Tiltwinkeln theoretisch berechneten Schichtdicke verglichen. Dadurch konnte gezeigt werden, dass sich die Phasenübergänge nach dem de Vries-Modell verhalten. Damit konnte zum ersten Mal an Polymersystemen ein de Vries-Verhalten nachgewiesen werden. Im Gegensatz dazu zeigte das Homopolysiloxan mit dem Dreiringmesogen beim Übergang von SmC* nach SmA* einen ausgeprägten Sprung in der Schichtdicke. Wie auch durch DSC-Messungen nachweisbar, lag ein Phasenübergang 1. Ordnung vor. Bei den LC-Copolysiloxanen liegt dagegen ein Phasenübergang 2. Ordnung vor. Schließlich wurde die Schichtdicke unter dem Einfluss der Vernetzung untersucht. Beim LC-Copolysiloxan mit dem Dreiringmesogen und einem Anteil an vernetzbaren Gruppen von 15 % wurde eine Stabilisierung der smektischen Phasen erreicht. Zum einen war die Änderung der Schichtdicke am SmC*-SmA*-Phasenübergang geringer im Vergleich zum unvernetzten System und zum anderen war noch 50 °C über der ursprünglichen Klärtemperatur eine smektische Schichtstruktur röntgenographisch nachzuweisen. Insgesamt ist es mit den verschiedenen Untersuchungsmethoden gelungen, einen systematischen Unterschied zwischen smektischen Homo- und Copolysiloxanen aufzuzeigen, der seinen Ursprung – aller Wahrscheinlichkeit nach – in der Mikrophasenseparation von Mesogenen und Polysiloxanketten findet.

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In der vorliegenden Arbeit wurde die Fluoreszenzdynamik einzelner CdSe-Halbleiternanokristalle und isolierter Nanokristall/Farbstoff-Komplexe untersucht. Dazu wurde ein konfokales Mikros­kop aufgebaut, mit dem Spektren und Zerfallskurven einzelner Fluorophore bei Raumtemperatur und tiefen Temperaturen bis zu 1.4 Kelvin gemessen werden konnten. Mit diesem Aufbau konnten erstmals Fluoreszenz­lebenszeiten einzelner Nanokristalle mit der Methode des zeit­korre­lierten Einze­lphotonen­zählens (timecorrelated single photon counting, TCSPC) bei Raumtemperatur und später auch bei tiefen Temperaturen bestimmt werden. Zur Auswertung der Daten wurden verschiedene Methoden entwickelt, um die Fluoreszenzdynamik aus den exponentiellen oder nicht-exponentiellen Zerfallskurven zu extrahieren. Die Interpretation der berechneten Ratenverteilung lässt auf eine Korrelation zwischen der Fluoreszenzintensität und der Fluoreszenzlebensdauer schließen, deren Ursache auf Quenchermoleküle zurückgeführt wird. Mit geringer werdender Fluoreszenzintensität zerfallen die Abkling­kurven schneller und die Lebensdauern sind breiter verteilt. Messungen bei tiefen Temperaturen ermöglichte es zusätzlich die exzitonische Feinstruktur des Nanokristalls genauer zu Untersuchen. Hier zeigt sich eine deutliche Unterscheidung zwischen einer langsamen, temperaturabhängigen Zerfallskomponente (mit Zerfalssraten bis in den Mikrosekundenbereich) und einer schnellen, temperaturunabhängigen Zerfallsrate. Die gemessenen Ratenverteilungen bestätigten die berechneten theoretischen Zerfallsraten, jedoch auch weitere, mit bisherigen theoretischen Modellen nicht vereinbare, Raten. Schließlich wurden noch der Energietransfer zwischen Nanokristall-Farbstoffmolekül-Komplexen untersucht. Gemessene Abklingkurven der Nano­kristall-Komponente bei 2 Kelvin wiesen gegenüber dem isolierten Nanokristall keine entsprechenden langsamen Zerfallsraten auf.

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The Pelagonian Zone and the Vardar Zone in Greece represent the western part of the Hellenide hinterland (Internal Hellenides). While the Pelagonian Zone comprises predominantly crystalline basement and sedimentary cover rocks, the Vardar Zone has long been regarded as an ophiolite-decorated suture zone separating the Pelagonian Zone from the Serbo-Macedonian Massif to the east. Felsic basement rocks from both areas, with the main focus put on the Pelagonian Zone, were dated in order to identify the major crust-forming episodes and to improve the understanding of the evolutionary history of the region. The interpretation of the single-zircon geochronology results was aided by geochemical investigations. The majority of the basement rocks from the Pelagonian Zone yielded Permo-Carboniferous intrusion ages around 300 Ma, underlining the importance of this crust-forming event for the Internal Hellenides of Greece. Geochemically these basement rocks are classified as subduction-related granitoids, which formed in an active continental margin setting. An important result was the identification of a Precambrian crustal unit within the crystalline basement of the Pelagonian Zone. Orthogneisses from the NW Pelagonian Zone yielded Neoproterozoic ages of c. 700 Ma and are so far the oldest known rocks in Greece. These basement rocks, which are also similar to active margin granitoids, were interpreted as remnants of a terrane, the Florina Terrane, which can be correlated to a Pan-African or Cadomian arc. Since the gneisses contain inherited zircons of Middle to Late Proterozoic ages, the original location of the Florina Terrane was probably at the northwestern margin of Gondwana. In the Vardar Zone an important phase of Upper Jurassic felsic magmatism is documented by igneous formation ages ranging from 155 to 164 Ma. The chemical and isotopic composition of these rocks is also in accord with their formation in a volcanic-arc setting at an active continental margin. Older continental material incorporated in the Vardar Zone is documented by 319-Ma-old gneisses and by inherited zircons of mainly Middle Palaeozoic ages. The prevalence of subduction-related igneous rocks indicates that arc formation and accretion orogeny were the most important processes during the evolution of this part of the Internal Hellenides. The geochronological results demonstrate that most of the Pelagonian Zone and the Vardar Zone crystalline basement formed during distinct pre-Alpine episodes at c. 700, 300 and 160 Ma with a predominance of the Permo-Carboniferous magmatic phase.

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Die Elemente Uran und Plutonium besitzen seit Entdeckung der Kernspaltung und der technischen Nutzung der Kernenergie eine globale Bedeutung. So trägt Pu hauptsächlich zur Radiotoxizität von abgebrannten Brennelementen bei und erfordert im Falle einer Endlagerung in einer tiefen geologischen Formation einen sicheren Verschluss für bis zu einer Million Jahre. Das Wissen über die vorliegenden chemischen Spezies ist dabei entscheidend für das Verständnis der chemisch-physikalischen Wechselwirkungen im jeweiligen geochemischen System, insbesondere mit dem Wirtsgestein (hier Ton) und den allgegenwärtigen Huminstoffen (hier Fulvinsäure). Längerfristig sind so Vorhersagen über einen Transport des hochradioaktiven Abfalls nach Auslaugung und Austritt aus einem Endlager bis in die Biosphäre möglich. Gerade der Ultraspurenbereich, im Fernfeld eines Endlagers zu erwarten, ist dabei von besonderem Interesse. Darüber hinaus machen nuklearforensische Untersuchungen – in Hinblick auf illegal benutztes Nuklearmaterial, Schmuggel oder Nuklearterrorismus – zur Bestimmung der Herkunft, des Alters oder der Radiotoxizität isotopenselektive Nachweismethoden im Ultraspurenbereich notwendig. Im Rahmen dieser Arbeit wurden hierfür die Resonanzionisationsmassenspektrometrie (RIMS) zur isotopenselektiven Spuren- und Ultraspurenanalyse von U und Pu sowie die Kapillarelektrophorese (CE) gekoppelt an die induktiv gekoppelte Plasma (ICP)-Massenspektrometrie (CE-ICP-MS) zur Speziation von Pu eingesetzt. Für den isotopenselektiven Nachweis von Ultraspurenmengen von Uran mittels RIMS wurden vorbereitende Studien durchgeführt und mehrere zweifach resonante Anregungsleitern mit nicht-resonanter Ionisation untersucht. Eine Effizienz von ca. 10^-10 bei einer Nachweisgrenze von 10^12 Atomen U-238 konnte erzielt werden. In Zusammenarbeit mit dem Institut für Radiochemie, TU München, wurde mittels RIMS die Isotopenzusammensetzung von Plutonium, abgetrennt aus einem panzerbrechenden Urangeschoss aus dem Kosovokonflikt, bestimmt und dieses als Waffenplutonium mit einem Gehalt von 15 pg Pu-239/g Uran identifiziert. Rückschlüsse über Herkunft und Alter des Plutoniums konnten daraus gewonnen werden. Für Studien zur Umweltüberwachung von Plutonium in Rheinland-Pfalz wurden Grund-, Oberflächen- und Klärwasserproben mittels RIMS untersucht. Oberhalb der Nachweisgrenze von ca. 10^7 Atomen Pu-239/500 mL konnte kein signifikanter Gehalt bestimmt werden. Zusätzlich wurden Klärschlammproben untersucht, wobei in einer Probe 5,1*10^7 Atome Pu-239/g gemessen wurde, was auf eine Anreicherung von Pu im Klärschlamm aus großen Wasservolumina hindeuten könnte. Speziationsuntersuchungen von Plutonium in Kontakt mit Fulvinsäure und dem Tonmineral Kaolinit wurden in Hinblick auf die Wechselwirkungen im Umfeld eines nuklearen Endlagers durchgeführt. Die Redoxkinetik von Pu(VI) in Kontakt mit Gorleben-Fulvinsäure zeigt eine mit steigendem pH zunehmend schnellere und vollständige Reduktion und ein vergleichbares Verhalten zur Huminsäure. Für ein Plutoniumgemisch aus allen vier umweltrelevanten Oxidationsstufen in Kontakt mit Gorleben-Fulvinsäure konnte nach ca. 1 Monat Kontaktzeit eine fasst vollständige Reduktion zum tri- und tetravalenten Pu beobachtet werden. Sorptionsuntersuchungen der stabilsten Oxidationsstufe, Pu(IV), in Kontakt mit Kaolinit bei pH = 0 bis 13 im Konzentrationsbereich 10^-7 bis 10^-9 mol/L verdeutlichen das ausgeprägte Sorptionsverhalten von Pu(IV) (ca. 60% bis 90% Sorption) im umweltrelevanten pH-Bereich bei einem Einsetzen der Sorption bei pH = 0 bis 2. Im Rahmen des "Colloid and Radionuclide Retardation" (CRR) Experiments im Felslabor Grimsel, Schweizer Alpen, wurde in Zusammenarbeit mit dem Institut für Nukleare Entsorgung, Karlsruhe, die kolloidgetragene Migration von Pu(IV) in einem Grundwasserstrom durch Scherzonen im Granitgestein unter umweltrelevanten Bedingungen untersucht. Bei Zugabe von im Grundwasser stabilen Bentonitkolloiden – Bentonit wird als ein geeignetes Verschlussmaterial für nukleare Abfälle erforscht – konnte ein erhöhter Transport des Pu(IV) beobachtet werden, der durch Sorption des Pu an die mobilen Kolloide hervorgerufen wird. Zur Speziation von Plutonium im Ultraspurenbereich wurde im Rahmen dieser Arbeit an der Entwicklung der Kopplung der CE mit der sehr sensitiven RIMS gearbeitet. Das Prinzip der offline-Kopplung basiert auf dem Sammeln der zu unterschiedlichen Zeiten am Ende der Kapillare eluierten Oxidationsstufen in einzelnen Fraktionen. Aus jeder Fraktion wird ein eigenes Filament hergestellt und mit RIMS auf seinen Plutoniumgehalt untersucht. Eine erste Validierung der Methode konnte durch Bestimmung der Oxidationsstufenzusammensetzung eines bekannten Gemischs erfolgreich für einen Gehalt von ca. 6*10^9 Atome Pu-239 durchgeführt werden. Dies stellt einen möglichen Zugang zu dem erwarteten Konzentrationsbereich im Fernfeld eines Endlagers dar.

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An accurate and sensitive species-specific GC-ICP-IDMS (gas chromatography inductively coupled plasma isotope dilution mass spectrometry) method for the determination of trimethyllead and a multi-species-specific GC-ICP-IDMS method for the simultaneous determination of trimethyllead, methylmercury, and butyltins in biological and environmental samples were developed. They allow the determination of corresponding elemental species down to the low ng g-1 range. The developed synthesis scheme for the formation of isotopically labeled Me3206Pb+ can be used for future production of this spike. The novel extraction technique, stir bar sorptive extraction (SBSE), was applied for the first time in connection with species-specific isotope dilution GC-ICP-MS for the determination of trimethyllead, methylmercury and butyltins. The results were compared with liquid-liquid extraction. The developed methods were validated by the analysis of certified reference materials. The liquid-liquid extraction GC-ICP-IDMS method was applied to seafood samples purchased from a supermarket. The methylated lead fraction in these samples, correlated to total lead, varied in a broad range of 0.01-7.6 %. On the contrary, the fraction of methylmercury is much higher, normally in the range of 80-98 %. The highest methylmercury content of up to 12 µg g-1 has been determined in shark samples, an animal which is at the end of the marine food chain, whereas in other seafood samples a MeHg+ content of less than 0.2 µg g-1 was found. Butyltin species could only be determined in samples, where anthropogenic contaminations must be assumed. This explains the observed broad variation of the butylated tin fraction in the range of <0.3-49 % in different seafood samples. Because all isotope-labelled spike compounds, except trimethyllead, are commercially available, the developed multi-species-specific GC-ICP-IDMS method has a high potential in future for routine analysis.

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I sistemi di drenaggio urbano meritano particolare attenzione per l’importante compito che devono garantire all’interno della società. L’allontanamento delle acque reflue dalle zone urbanizzate infatti è indispensabile per non creare problemi ed interferenze con attività sociali ed economiche che in esse si svolgono; inoltre un corretto funzionamento del sistema di drenaggio assicura anche un basso impatto ambientale in termini di qualità e quantità. La disponibilità di nuove tecnologie costruttive e materiali in continua evoluzione devono fare fronte alla crescente complessità idraulica, geotecnica e urbanistica delle strutture componenti i sistemi di drenaggio; in tale elaborato si vuole porre l’accento sul problema dello smaltimento delle acque meteoriche nelle zone densamente urbanizzate, la cui soluzione è costituita dall'adozione delle cosiddette BMP (Best Management Practices). Le BMP sono definite come strategie, pratiche o metodi per la rimozione, la riduzione, il ritardo o la prevenzione della quantità di costituenti inquinanti e contaminanti delle acque di pioggia, prima che giungano nei corpi idrici ricettori. Tra esse ricordiamo le cisterne o rain barrels, i pozzi asciutti, i sistemi drywell, le vasche verdi filtranti, i tetti verdi, i canali infiltranti, i fossi di infiltrazione, i pozzi perdenti, i planting container, i canali inerbiti, i bacini di infiltrazione, le gross pullutant traps (gpts), gli stagni, i sistemi di fitodepurazione estensiva (sfe), le pavimentazioni drenanti. In Italia esse risultano ancora scarsamente studiate ed applicate, mentre trovano più ampio sviluppo in realtà estere come in Inghilterra ed in Australia. Per comprendere la efficacia di tali tecniche BMP è necessario analizzarle e, soprattutto, analizzare il loro effetto sul territorio in cui esse vengono inserite e sul regime idrogeologico dell’ambiente. Questa analisi può essere svolta con prove sperimentali su aree di controllo (soluzione economicamente gravosa) o attraverso modelli matematici tramite l’utilizzo di software di calcolo che simulino il comportamento delle portate, dei tiranti idrici e degli inquinanti nei canali e nelle strutture accessorie costituenti la rete fognaria, in conseguenza ad eventi di pioggia dei quali sia nota la distribuzione spaziale e temporale. In questo elaborato si modellizza attraverso il programma Matlab un unico elemento BMP e si osservano i suoi effetti; si procede cioè alla analisi del funzionamento di un ipotetico brown roof installato nella zona di Rimini e si osservano i benefici effetti che ne derivano in termini di volumi di pioggia trattenuti dal sistema considerando diverse tipologie di pioggia e diversi parametri progettuali per il tetto (i fori dello strato inferiore del tetto, la altezza dello strato di terreno, la sua permeabilità e la sua porosità). Si procede poi con la analisi di una ipotetica zona commerciale che sorge sulle sponde di un fiume. Tali analisi vengono svolte con il software HEC-RAS per quanto riguarda la analisi dei livelli del fiume e delle zone a rischio di inondazione. I risultati forniti da questo studio preliminare vengono poi utilizzati come condizioni al contorno per una successiva analisi effettuata con il software InfoWorks in cui si valutano i benefici che derivano dalla installazione di diverse BMP nella zona commerciale oggetto di studio. Tale modello esamina un verosimile scenario inglese, la cittadina infatti si ipotizza situata in Inghilterra e anche gli eventi pluviometrici a cui ci si riferisce sono tipici eventi di pioggia inglesi. Tutti i dati di input elaborati nelle simulazioni sono stati forniti all’interno di un progetto universitario svolto presso l’università di Bradford con la supervisione dei professori Simon Tait ed Alma Schellart. Infine la parte conclusiva dell’elaborato è stata sviluppata in collaborazione con Hera S.p.a. di Rimini all’interno di un percorso di tirocinio curriculare che ha previsto la analisi delle tecnologie BMP adatte per l’ambiente cittadino di Rimini e la osservazione delle performance garantite da tecnologie esistenti sul territorio: i parcheggi permeabili. La realtà riminese infatti deve far fronte a diversi problemi che si innescano durante i periodi di pioggia ed una mitigazione dei volumi di acqua in arrivo alla fognatura grazie a questo tipo di tecnologie, senza quindi ricorrere agli usuali sistemi puntuali, porterebbe sicuramente a notevoli vantaggi. Tali tecnologie però non devono solo essere progettate e costruite in modo corretto, ma devono essere sottoposte a periodici controlli ed adeguate operazioni di manutenzione per non perdere la loro efficacia. Per studiare tale aspetto si procede quindi alla misura della permeabilità di parcheggi drenanti presenti all’interno dei comuni di Cattolica e Rimini ricercando i fattori che influenzano tale caratteristica fondamentale dei parcheggi.

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Diese Studie befasst sich mit der Phylogenie und Biogeographie der australischen Camphorosmeae, die ein wichtiges Element der Flora arider Gebiete Australiens sind. Die molekularen Phylogenien wurden mit Hilfe Bayes’scher Statistik und „maximum likelihood”berechnet. Um das Alter der Gruppe und interner Linien abzuschätzen, wurden die Methoden „Nonparametric rate smoothing” und “penalized likelihood” benutzt. Morphologische Merkmale wurden nach Kriterien der Parsimonie auf den molekularen Baum aufgetragen. „Brooks parsimony analysis”, „cladistic analysis of distributions and endemism”, „dispersal-vicariance analysis”,„ancestral area analysis” und „weighted ancestral area analysis” wurden angewandt, um Abfolge und Richtungen der Ausbreitung der Gruppe in Australien zu analysieren.Von sieben getesteten Markern hatten nur die nukleären ETS und ITS genügend Variation für die phylogenetische Analyse der Camphorosmeae. Die plastidären Marker trnL-trnF spacer,trnP-psaJ spacer, rpS16 intron, rpL16 intron und trnS-trnG spacer zeigten kein ausreichendes phylogenetisches Signal. Die gefundenen phylogenetischen Hypothesen widersprechen der jetzigen Taxonomie der Gruppe. Neobassia, Threlkeldia, Osteocarpum und Enchylaena sollten den Gattungen Sclerolaena bzw. Maireana zugeordnet werden. Die kladistische Analyse der Fruchtanhängsel unterstützt die taxonomischen Ergebnisse der auf DNA basierenden Phylogenie. Allerdings hat die Behaarung, die bei anderen Gruppen der Chenopodiaceae als wichtiges taxonomisches Merkmal herangezogen wird, die Phylogenie nicht unterstützt. Vorfahren der heutigen Camphorosmeen sind im Miozän, vor ca. 8-14 Millionen Jahren, durch Fernausbreitung vermutlich aus Asien in Australien eingewandert. Anfängliche Diversifizierung fand während des späten Miozäns bis in das frühe Pliozän vor ca. 4-7 Millionen Jahren statt. Am Ende des Pliozäns existierten schon 45% - 72% der Abstammungslinien der jetzigen Camphorosmeen. Dies weist auf eine schnelle Ausbreitung hin. Das Alter stimmt mit dem Einsetzen der Aridisierung Australiens überein, und deutet darauf hin, dass die Ausbreitung der ariden Gebiete eine große Rolle bei der Diversifizierung der Gruppe spielte. Die Vorfahren der australischen Camphorosmeae scheinen die Südküste Australiens zuerst besiedeln zu haben. Dies geschah vor dem Einsetzen der Aridisierung des Kontinents. Die anschließende Ausbreitung erfolgte in verschiedene Richtungen und folgte der fortschreitenden Austrocknung im späten Tertiär und im ganzen Quartär. Durch ihre Anpassung an Trockenheit ist der Erfolg der Camphorosmeae in den ariden Gebieten zu erklären.Die Abwesenheit von klaren phylogenetischen und artspezifischen Signalen zwischen Arten der australischen Camphorosmeae ist auf das junge Alter und die schnelle Diversifizierung der Gruppe zurückzuführen, welche die Häufung von Mutationen und eine starke morphologische Differenzierung nicht zugelassen haben.