981 resultados para Systemic Disease


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Los inmunomoduladores tópicos han demostrado utilidad en las enfermedades orales inflamatorias resistentes a corticoesteroides tópicos, en enfermedades sistémicas con mucosa oral primeramente comprometida y en lesiones severas que involucren la mucosa oral. La queilitis actínica es una lesión potencialmente maligna, con riesgo de progresar a Carcinoma espinocelular, por ello es necesario su tratamiento temprano.

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We have studied the use of adenovirus-mediated gene transfer to reverse the pathologic changes of lysosomal storage disease caused by beta-glucuronidase deficiency in the eyes of mice with mucopolysaccharidosis VII. A recombinant adenovirus carrying the human beta-glucuronidase cDNA coding region under the control of a non-tissue-specific promoter was injected intravitreally or subretinally into the eyes of mice with mucopolysaccharidosis VII. At 1-3 weeks after injection, the treated and control eyes were examined histochemically for beta-glucuronidase expression and histologically for phenotypic correction of the lysosomal storage defect. Enzymatic expression was detected 1-3 weeks after injection. Storage vacuoles in the retinal pigment epithelium (RPE) were still present 1 week after gene transfer but were reduced to undetectable levels by 3 weeks in both intravitreally and subretinally injected eyes. There was minimal evidence of ocular pathology associated with the viral injection. These data indicate that adenovirus-mediated gene transfer to the eye may provide for adjunctive therapy for lysosomal storage diseases affecting the RPE in conjunction with enzyme replacement and/or gene therapies for correction of systemic disease manifestations. The data also support the view that recombinant adenovirus may be useful as a gene therapy vector for retinal degenerations that result from a primary genetic defect in the RPE cells.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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Trabalho Final do Curso de Mestrado Integrado em Medicina, Faculdade de Medicina, Universidade de Lisboa, 2014

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OBJECTIVE This study is a prospective, controlled clinical and electrophysiologic trial examining the chronic course of posttraumatic sleep-wake disturbances (SWD). METHODS We screened 140 patients with acute, first-ever traumatic brain injury of any severity and included 60 patients for prospective follow-up examinations. Patients with prior brain trauma, other neurologic or systemic disease, drug abuse, or psychiatric comorbidities were excluded. Eighteen months after trauma, we performed detailed sleep assessment in 31 participants. As a control group, we enrolled healthy individuals without prior brain trauma matched for age, sex, and sleep satiation. RESULTS In the chronic state after traumatic brain injury, sleep need per 24 hours was persistently increased in trauma patients (8.1 ± 0.5 hours) as compared to healthy controls (7.1 ± 0.7 hours). The prevalence of chronic objective excessive daytime sleepiness was 67% in patients with brain trauma compared to 19% in controls. Patients significantly underestimated excessive daytime sleepiness and sleep need, emphasizing the unreliability of self-assessments on SWD in trauma patients. CONCLUSIONS This study provides prospective, controlled, and objective evidence for chronic persistence of posttraumatic SWD, which remain underestimated by patients. These results have clinical and medicolegal implications given that SWD can exacerbate other outcomes of traumatic brain injury, impair quality of life, and are associated with public safety hazards.

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Immune-mediated myositis and other forms of inflammatory myopathy are well recognised in dogs and man (Griffiths 1991). In equine medicine, inflammatory muscle disease is less well documented. Only a single report could be found in the literature containing mention of immune-mediated myositis in a horse unassociated with systemic disease, in which case the condition was multifocal (Beech 2000). We report a case of localised muscle atrophy and weakness in a pony. A diagnosis of chronic myositis was made after histological examination of biopsies of affected muscles. The histological appearance, elimination of other causes and response to treatment suggested an immune-mediated aetiology.

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Purpose: To report the clinical features of a series of patients with lacrimal drainage apparatus tumors and present guidelines for management based on histopathology. Methods: A noncomparative retrospective chart review of the clinical, imaging, and pathologic findings of 37 patients presenting to four regional orbital Surgery departments with tumors affecting the lacrimal drainage apparatus between 1990 and 2004. Results: There were 37 patients, of whom 62% were male. The mean age at referral was 54 years. Epiphora, a palpable mass, and dacryocystitis were the most common presentations. Two thirds of the tumors were epithelial. with carcinomas being the most frequent (38%). followed by papillomas (27%). Lymphomas were the most common nonepithelial malignancy (30%). Epithelial tumors were more common in men (87%), whereas lymphomas were more common in women (57%). Treatment modalities included surgery, in addition to radiotherapy and/or chemotherapy and immunotherapy. Mean follow-up was 38 months. Thirty-three patients (89%) remain alive without evidence of disease and 4 patients died of recurrence and/or metastases. Conclusions: Lacrimal drainage apparatus tumors require careful initial management to ensure adequate local and systemic disease control. Atypical mucosa encountered during dacryocystorhinostomy should be biopsied and small papillomas or pedunculated tumors excised and analyzed with frozen sections. If a diffuse or infiltrative mass is encountered, it should be biopsied and managed on the basis of histopathology and extent of disease. Lymphomas should be treated according to protocols. whereas noninvasive carcinoma and extensive papillomas require complete excision of the system. Invasive disease requires en bloc excision. Long-term follow-up is essential for early detection of recurrence.

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Infection of the external structures of the eye is one of the commonest types of eye disease worldwide. In addition, although relatively impermeable to microorganisms, infection within the eye can result from trauma, surgery or systemic disease. This article reviews the general biology of viruses, bacteria, fungi and protozoa and the major ocular infections that they cause. In addition, the effectiveness of the various antimicrobial agents in controlling ocular disease is discussed. Because of changes in the normal ocular flora, continuous monitoring of the microbiology of the eye will continue to be important in predicting future types of eye infection. Basic research is also needed into the interactions of microbes at the ocular surface. There is increasing microbial resistance to the antimicrobial agents used to treat ocular infections and hence, new antimicrobial agents will continue to be needed together with new methods of drug delivery to increase the effectiveness of existing antimicrobial agents.

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In recent years, much interest has focused on the beneficial effects of administering potentially harmful therapeutic agents in drug carriers so as to reduce their toxic side effects. Rheumatoid arthritis is a chronic systemic disease with progressive destruction of the Joints and long term patient disability, Corticosteroids have been shown to retard the progression of Joint destruction but are limited in their use due to adverse side effects,This project, following the line of investigation started by other workers, was designed to study the use of microspheres to deliver corticosteroids to inflamed tissues by both the oral and intravenous routes. Hydrocortisone (HC)-loaded albumin microspheres were prepared by three different methods, by direct incorporation of HC within the particles, by indirect incorporation of HC by the enzymatic conversion of hydrocortisone-21-phosphate (H-21-P) to HC within the particles, and by the adsorption of HC onto the surface. HC was also loaded with PLA microspheres. The level of corticosteriod loading and in vitro release from microspheres was determined by HPLC analysis. A reversed-phase, ion-pairing HPLC method was developed to simultaneously measure both HC and H-21-P. The highest level of corticosteroid loading was achieved using the incorporation of H-21-P with enzymatic conversion to HC method. However, HPLC analysis showed only 5% of the incorporated steroid was HC. In vitro release rates of steroid from albumin microspheres showed >95% of incorporated steroid was released within 2 hours of dissolution. Increasing the protein:steroid ratio, and the temperature and duration of microsphere stabilization, had little effect on prolonging drug release. In vivo studies, using the carrageenan-induced rat hind-paw model of inflammation, indicated steroid-incorporated microspheres administered both orally and intraperitoneally were not therapeutically advantageous when compared to equivalent free steroid doses. The ability of orally and intravenously dosed [125I]~albumin microspheres (2.67 μm mean diameter) to accumulate in acutely and chronically inflamed tissues was investigated, The subcutaneous air-pouch was the model of inflammation used, with carrageenan as the inflammatory stimulus. Acute and chronic inflammation was shown to be consistently formed  in pouch tissues in terms of cell infiltration and fluid exudate formation in the pouch cavity. Albumin microspheres were shown to accumulate in the inflamed tissues and pouch fluids after both oral and intravenous administration. Preliminary, confirmatory studies using latex microspheres and quantitation by GPC analysis, also indicated microsphere accumulation in both acutely and chronically inflamed air-pouch tissues. tntl lUr"'poucbtis,sues; The results indicate the uptake and transfer of microspheres across the gastrointestinal tract into the circulation and their migration through disrupted endothelium and basement membranes at the inflamed sites. , .

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Mestrado em Tecnologias de Diagnóstico e Intervenção Cardiovascular - Área de especialização: Ultrassonografia Cardiovascular.

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La piscirickettsiosis es una enfermedad contagiosa sistémica de los peces teleósteos cuyo agente causal es Piscirickettsia salmonis, una bacteria gram negativa intracelular facultativa. Esta enfermedad se ha descrito esporádicamente en distintas áreas geográficas y especies de peces en el mundo, pero es endémica y particularmente severa en salmónidos criados en agua de mar en Chile. En esta tesis se investigaron algunos aspectos de la patogénesis de esta enfermedad, estudiándose la infectividad de P. salmonis, tanto in vitro como in vivo, y buscándose además evidencias de la capacidad de secretar exotoxinas por parte de esta bacteria. Los ensayos de infectividad en células CHSE-214, procedentes de embrión de salmón chinook (Oncorhynchus tshawytscha), mostraron que existe una rápida adherencia de la bacteria a la superficie de la membrana plasmática (≤ 5 min posinoculación) seguida de su incorporación al citoplasma de estas células, proceso que ocurre entre las 3 y las 6 h posinoculación. Por su parte, el estudio de infectividad in vivo, que se realizó en trucha arcoiris (O. mykiss), reveló que este proceso comprende tres etapas principales: (i) una fase de rápida adhesión a células epiteliales principalmente de piel y branquias, pero también del canal alimentario; (ii) una invasión progresiva desde los sitios de entrada hacia tejidos más profundos hasta alcanzar el torrente sanguíneo y; (iii) una rápida diseminación vía hematógena para alcanzar virtualmente todos los tejidos corporales. Finalmente, se demostró que P. salmonis puede secretar exotoxinas termolábiles que tienen un efecto citotóxico selectivo según la célula blanco expuesta y que, probablemente, son parte de los factores de virulencia involucrados en la patogénesis de la piscirickettsiosis.

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Introduction: Amyloidosis is used to describe a range of disorders deined by extracellular deposition of abnormal protein ibrils. The larynx is the most common site of localized amyloidosis in the head and neck region and constitutes less than 1% of benign laryngeal lesions. Hoarseness is the most common symptom. Objective: Prospective clinical evaluation of patients with localized laryngeal amyloidosis. Clinical cases: Presented are 4 cases of patients with localized laryngeal amyloidosis who were treated at the Otolaryngology and Head and Neck Surgery Department at the “Dr. José Eleuterio González” University Hospital in Monterrey, Mexico. Three patients underwent phonomicrosurgery by direct microlaryngoscopy with the removal of the amyloid implantation using a cold knife excision with great results. In each patient the major site of involvement was the supraglottis with a small focus on the false vocal cord. A medical work-up, including a complete blood count (CBC), a basic metabolic panel, urinalysis, liver function test, chest X-ray and physical examination were performed to rule out the presence of systemic disease; no amyloidosis or signs of systemic disease were found. Congo red staining conirms the diagnosis of amyloidosis in all surgical specimens. Conclusions: In laryngeal amyloidosis, the treatment should be directed toward the improvement of the voice and the maintenance of the airway.

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RESUMEN Objetivo: Estimar la prevalencia de las diferentes enfermedades oftalmológicas que aparecen en el contexto de una enfermedad autoinmune (EAI) en pacientes de un centro de referencia reumatológica en Colombia, según características clínicas y sociodemográficas durante un período de 15 años, comprendido entre los años 2000 a 2015. Métodos: Se realizó un estudio descriptivo, observacional de prevalencia. El tipo de muestreo fue aleatorio estratificado con asignación proporcional en el programa Epidat 3.4. Los datos se analizaron en el programa SPSS v22.0 y se realizó análisis univariado de las variables categóricas, para las variables cuantitativas se realizaron medidas de tendencia central. Resultados: De 1640 historias clínicas revisadas, se encontraron 634 pacientes (38,65%) con compromiso ocular. Si excluimos los pacientes con SS, que por definición presentan ojo seco, 222 pacientes (13,53%) presentaron compromiso oftalmológico. Del total de pacientes, el 83,3% fueron mujeres. La AR fue la enfermedad autoinmune con mayor compromiso oftalmológico con 138 pacientes (62,2%), y en último lugar la sarcoidosis con 1 solo paciente afectado. La QCS fue la manifestación más común en todos los grupos diagnósticos de EAI, con 146 pacientes (63,5%). De 414 pacientes con Síndrome de Sjögren (SS) y QCS 8 presentaron compromiso ocular adicional, siendo la uveítis la segunda patología ocular asociada en pacientes con SS y la primera causa en las espondiloartropatias (71,4 %). Los pacientes con catarata (4,1%) presentaron la mayor prevalencia de uso de corticoide (88.8%). De 222 pacientes, 28 (12,6%) presentaron uveítis. Del total de pacientes, 16 (7,2%) presentaron maculopatía por antimalaráricos y 6 (18,75%) de los pacientes con LES. Los ANAS se presentaron en el 100% los pacientes con trastorno vascular de la retina. Los pacientes con epiescleritis presentaron la mayor proporción de positivización de anticuerpos anti-DNA. La EAI que más presentó epiescleritis fue LES con 4 pacientes (12,5%) El 22% de paciente con anticuerpos anti-RNP presentaron escleritis y 32,1% de los pacientes con uveítis presentaron HLA-B27 positivo. Las manifestaciones oftalmológicas precedieron a las sistémicas entre un 11,1% y un 33,3% de los pacientes. Conclusión: Las enfermedades oculares se presentan con frecuencia en los pacientes colombianos con EAI (38.65%), siendo la AR la enfermedad con mayor compromiso ocular (62,2%) y la QCS la enfermedad ocular con mayor prevalencia en todas las EAI (63,5%). La uveítis se presentó en 28 pacientes (12,6%). Las manifestaciones oftalmológicas pueden preceder a las sistémicas. El examen oftalmológico debe ser incluido en los pacientes con EAI, por ser la enfermedad ocular una comorbilidad frecuente. Adicionalmente, los efectos oftalmológicos de las medicaciones sistémicas utilizadas en EAI deben ser estrechamente monitorizados, durante el curso del tratamiento.