323 resultados para Compattazione intelligente modulo vibratorio sito Altopascio, Bomag


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Obiettivo di questa tesi è estendere la piattaforma sperimentale Home Manager e sviluppare il supporto alla schedulazione degli elettrodomestici. L’utente Home Manager notificherà al sistema la propria volontà di accendere un determinato dispositivo, delegando a quest’ultimo la scelta sul quando dovrà essere eseguito il compito corrispondente, sulla base delle politiche generali della Smart Home.

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In questa tesi è stato affrontato lo studio della valutazione delle proprietà meccaniche del calcestruzzo negli edifici esistenti, ponendo attenzione alle normative che regolano questa procedura, alle prove distruttive e non, che vengono eseguite in sito e in laboratorio, fino all'elaborazione dei risultati al fine di ottenere il valore desiderato della resistenza a compressione del cls. In particolare sono state affrontate le prove a compressione, trazione indiretta e di determinazione del modulo elastico che si eseguono in laboratorio, i carotaggi, la carbonatazione, la prova sclerometrica, ultrasonica, di aderenza, di estrazione e penetrazione eseguite in sito. Per la valutazione del calcestruzzo è stato introdotto il funzionamento delle curve di correlazione, la loro costruzione e valutazione, e le varie definizioni del calcestruzzo definite dalla NTC del 2008, dalle Linee Guida C.S. LL.PP. e dal metodo Holos.

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L’utilizzo degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) nel campo dell’ingegneria civile riguarda essenzialmente il settore del restauro delle strutture degradate o danneggiate e quello dell’adeguamento statico delle strutture edificate in zona sismica; in questi settori è evidente la difficoltà operativa alla quale si va in contro se si volessero utilizzare tecniche di intervento che sfruttano materiali tradizionali. I motivi per cui è opportuno intervenire con sistemi compositi fibrosi sono: • l’estrema leggerezza del rinforzo, da cui ne deriva un incremento pressoché nullo delle masse sismiche ed allo stesso tempo un considerevole aumento della duttilità strutturale; • messa in opera senza l’ausilio di particolari attrezzature da un numero limitato di operatori, da cui un minore costo della mano d’opera; • posizionamento in tempi brevi e spesso senza interrompere l’esercizio della struttura. Il parametro principale che definisce le caratteristiche di un rinforzo fibroso non è la resistenza a trazione, che risulta essere ben al di sopra dei tassi di lavoro cui sono soggette le fibre, bensì il modulo elastico, di fatti, più tale valore è elevato maggiore sarà il contributo irrigidente che il rinforzo potrà fornire all’elemento strutturale sul quale è applicato. Generalmente per il rinforzo di strutture in c.a. si preferiscono fibre sia con resistenza a trazione medio-alta (>2000 MPa) che con modulo elastico medio-alto (E=170-250 GPa), mentre per il recupero degli edifici in muratura o con struttura in legno si scelgono fibre con modulo di elasticità più basso (E≤80 GPa) tipo quelle aramidiche che meglio si accordano con la rigidezza propria del supporto rinforzato. In questo contesto, ormai ampliamente ben disposto nei confronti dei compositi, si affacciano ora nuove generazioni di rinforzi. A gli ormai “classici” FRP, realizzati con fibre di carbonio o fibre di vetro accoppiate a matrici organiche (resine epossidiche), si affiancano gli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix), i TRM (Textile Reinforced Mortars) e gli SRG (Steel Reinforced Grout) che sfruttano sia le eccezionali proprietà di fibre di nuova concezione come quelle in PBO (Poliparafenilenbenzobisoxazolo), sia un materiale come l’acciaio, che, per quanto comune nel campo dell’edilizia, viene caratterizzato da lavorazioni innovative che ne migliorano le prestazioni meccaniche. Tutte queste nuove tipologie di compositi, nonostante siano state annoverate con nomenclature così differenti, sono però accomunate dell’elemento che ne permette il funzionamento e l’adesione al supporto: la matrice cementizia

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La tecnica di ozonolisi viene applicata ai fanghi biologici derivanti da impianti di depurazione acque reflue urbane, e consiste nell'ottenere, grazie all'ozono, una minor massa fangosa da smaltire e una miglior trattabilità del fango residue. In questo elaborato si prendono in esame le sperimentazioni effettuate a Marina di Ravenna e si estraggono le prime conclusioni gestionali, economiche e ambientali sull'applicabilità del metodo a questo tipo di fango.

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La Tesi tratta della modellazione e dell'analisi di ponti ad arco in muratura. In particolare è stato studiato il caso del vecchio ponte di Bagno di Piano, sito al km 14 della S.P. 18 "Palludese" in comune di Sala Bolognese in Provincia di Bologna. L’obiettivo della Tesi di Laurea è duplice, nel senso che da un lato si cerca di risalire alle probabili cause del crollo e, dall’altra si intende mettere a punto un quadro operativo per l’analisi strutturale di ponti ad arco in muratura.

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Confronto tra due software specifici per l'analisi di rischio nel trasporto stradale di merci pericolose (TRAT GIS 4.1 e QRAM 3.6) mediante applicazione a un caso di studio semplice e al caso reale di Casalecchio di Reno, comune della provincia di Bologna.

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In questa tesi si è voluta porre l’attenzione sulla suscettibilità alle alte temperature delle resine che li compongono. Lo studio del comportamento alle alte temperature delle resine utilizzate per l’applicazione dei materiali compositi è risultato un campo di studio ancora non completamente sviluppato, nel quale c’è ancora necessità di ricerche per meglio chiarire alcuni aspetti del comportamento. L’analisi di questi materiali si sviluppa partendo dal contesto storico, e procedendo successivamente ad una accurata classificazione delle varie tipologie di materiali compositi soffermandosi sull’ utilizzo nel campo civile degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e mettendone in risalto le proprietà meccaniche. Considerata l’influenza che il comportamento delle resine riveste nel comportamento alle alte temperature dei materiali compositi si è, per questi elementi, eseguita una classificazione in base alle loro proprietà fisico-chimiche e ne sono state esaminate le principali proprietà meccaniche e termiche quali il modulo elastico, la tensione di rottura, la temperatura di transizione vetrosa e il fenomeno del creep. Sono state successivamente eseguite delle prove sperimentali, effettuate presso il Laboratorio Resistenza Materiali e presso il Laboratorio del Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali, su dei provini confezionati con otto differenti resine epossidiche. Per valutarne il comportamento alle alte temperature, le indagini sperimentali hanno valutato dapprima le temperature di transizione vetrosa delle resine in questione e, in seguito, le loro caratteristiche meccaniche. Dalla correlazione dei dati rilevati si sono cercati possibili legami tra le caratteristiche meccaniche e le proprietà termiche delle resine. Si sono infine valutati gli aspetti dell’applicazione degli FRP che possano influire sul comportamento del materiale composito soggetto alle alte temperature valutando delle possibili precauzioni che possano essere considerate in fase progettuale.

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La tesi verte sulle procedure di verifica delle prestazioni di potenza degli aerogeneratori. Si è realizzato un test di verifica su una centrale eolica in esercizio, sito nella provincia di Salerno, utilizzando diverse metodologie di verifica, delineate dai più importanti centri di ricerca internazionali, al fine di valutare l'affidabilità di ognuna di esse.

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L’idea di base della seguente tesi, finora mai applicata o descritta in letteratura scientifica in base alle ricerche effettuate, è stata quella di creare un sistema di monitoraggio strutturale intelligente (Structural Health Monitoring, SHM) mediante dei sensori di deformazione a reticolo di Bragg (Fiber Bragg Grating, FBG), incollati su fili a memoria di forma inseriti a loro volta, bloccati con opportuni ancoraggi esterni, in sei travi di betoncino cementizio armato. L’obbiettivo della sperimentazione è stato quindi quello di creare delle travi intelligenti che, in condizioni di carico eccezionali e critiche (monitorate dal sensore a fibra ottica), sapessero “autoripararsi” mediante gli attuatori a memoria di forma con un processo di riscaldamento appositamente progettato.

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Il presente elaborato è stato finalizzato allo sviluppo di un processo di digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU oppure, in lingua inglese OFMSW, Organic Fraction of Municipal Solid Waste) provenienti da raccolta indifferenziata e conseguente produzione di biogas da impiegarsi per il recupero energetico. Questo lavoro rientra nell’ambito di un progetto, cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna attraverso il Programma Regionale per la Ricerca Industriale, l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT), sviluppato dal Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali (DICASM) dell’Università di Bologna in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Ferrara e con la società Recupera s.r.l. che applicherà il processo nell’impianto pilota realizzato presso il proprio sito di biostabilizzazione e compostaggio ad Ostellato (FE). L’obiettivo è stato la verifica della possibilità di impiegare la frazione organica dei rifiuti indifferenziati per la produzione di biogas, e in particolare di metano, attraverso un processo di digestione anaerobica previo trattamento chimico oppure in codigestione con altri substrati organici facilmente fermentabili. E’ stata inoltre studiata la possibilità di impiego di reattori con biomassa adesa per migliorare la produzione specifica di metano e diminuire la lag phase. Dalla sperimentazione si può concludere che è possibile giungere allo sviluppo di metano dalla purea codigerendola assieme a refluo zootecnico. Per ottenere però produzioni significative la quantità di solidi volatili apportati dal rifiuto non deve superare il 50% dei solidi volatili complessivi. Viceversa, l’addizione di solfuri alla sola purea si è dimostrata ininfluente nel tentativo di sottrarre gli agenti inibitori della metanogenesi. Inoltre, l’impiego di supporti di riempimento lavorando attraverso processi batch sequenziali permette di eliminare, nei cicli successivi al primo, la lag phase dei batteri metanogeni ed incrementare la produzione specifica di metano.

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I policlorobifenili (PCB) sono un gruppo di 209 congeneri di bifenili policlorurati altamente tossici e persistenti che, a causa della loro elevata lipofilia, tendono ad accumularsi in sedimenti anaerobici marini, tramite i quali possono entrare nella catena alimentare. I PCB possono essere degradati mediante processi di declorurazione riduttiva mediati da popolazioni microbiche anaerobiche in grado di utilizzarli fortuitamente come accettori finali della catena respiratoria. Il processo consiste quindi nella bioconversione di congeneri ad alto grado di clorurazione in PCB basso clorurati, meno tossici, meno bioaccumulabili e più facilmente biodegradabili in condizioni aerobiche. Nel presente elaborato è stata investigata la capacità di una popolazione microbica arricchita su congeneri coplanari di PCB da un sedimento contaminato del Canale Brentella (Prima Zona Industriale di Porto Marghera, laguna di Venezia), di declorurare miscele commerciali di PCB (Aroclor 1254) in condizioni geobiochimiche di laboratorio che riproducono quelle presenti in sito. Il processo è quindi stato studiato in microcosmi anaerobici slurry di sedimento sospeso nella stessa acqua del sito e monitorato con un approccio chimico e microbiologico integrato. Ai fini di caratterizzare e stimolare i microganismi responsabili del processo degradativo sono state utilizzate tecniche convenzionali basate sull’inibizione selettiva di diversi gruppi microbici. Dopo una fase di latenza di 7 settimane, la coltura microbica ha declorurato velocemente ed estesamente la miscela commerciale di PCB saggiata, bioconvertendo il 70% dei congeneri ad alto grado di clorurazione (da penta- a octa- clorurati) in PCB di- e tri-clorurati. Il processo ha esibito selettività nei confronti delle posizioni meta dei gruppi 2,3- e 2,3,4-clorofenile e para dei gruppi 3,4- e 3,4,5-clorofenile, secondo il modello di declorurazione H’. Il monitoraggio delle attività microbiche in presenza dei diversi inibitori saggiati ha permesso inoltre di concludere che i batteri metanogeni e i batteri solfato-riduttori non sono direttamente coinvolti nel processo degradativo, suggerendo invece che le specie decloruranti siano appartenenti o strettamente correlate al genere Dehalococcoides. Poiché lo studio è stato eseguito in condizioni geobiochimiche di laboratorio che mimano quelle presenti in sito, i risultati ottenuti indicano che la popolazione microbica dei sedimenti del canale Brentella, se opportunamente stimolata, è potenzialmente in grado di mediare in situ la declorurazione riduttiva dei PCB preesistenti nel sedimento, contribuendo alla natural attenuation dei sedimenti contaminati.

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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.

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Il sistema viabile rappresenta una parte fondamentale nella dinamica dei trasporti al servizio della mobilità di trasporti e merci. La mobilità, ha fatto registrare ritmi di crescita sostenuti nel corso degli anni. Le trasformazioni sociali, del mercato del lavoro, lo sviluppo produttivo e commerciale, la posizione baricentrica tra le province jonca salentina e brindisina fanno di Manduria, una realtà dove è necessario prestare attenzione al sistema dei trasporti. Tuttavia la rete statale di vecchio stampo che risulta utilizzata, soprattutto da quote di mobilità interprovinciale per questioni di economicità del percorso e dal momento che manca una rete viaria ordinaria funzionale e scorrevole che colleghi in modo capillare il territorio fanno si che la Strada Statale 7ter risulti congestionata in maniera diffusa. La Superstrada di nuova costruzione sarebbe potuta essere un importante arteria stradale allacciandosi alla SS Taranto Brindisi Lecce collegando il sud della provincia Jonica in modo capillare ai comuni della provincia Taranto e Lecce, la quale non è stata ultimata ed avrebbe rappresentato una valida alternativa alla statale esistenti. Oltre a favorire i collegamenti tra il territorio jonico, brindisino e quello salentino, tale intervento sarebbe stato necessario per ridurre la componente di traffico di attraversamento di una serie di centri urbani, tra cui il Comune di Manduria. In questa tesi, sulla base dei dati raccolti dall’ultimo censimento nell’ambito provinciale e del Comune di Manduria, verrà implementato il funzionamento del Piano del Traffico stradale del Comune di Manduria e verranno condotte delle simulazioni, con l’ausilio del software di pianificazione di sistemi di trasporto stradale Omnitrans, versione demo, scaricabile gratuitamente dal sito www.omnitrans-international.com. Si ricercheranno stime sul funzionamento della rete, valutando la congestione del traffico ed eventualmente in termini di aumento della sicurezza e riduzione dell’inquinamento atmosferico.