505 resultados para Varietà, curve algebriche, curve ellittiche, gruppo dei punti a coordinate razionali, teorema di Mordell-Weil.


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Il fitoplancton è costituito da organismi molto importanti per l'ambiente marino e molto diversificati sia dal punto di vista morfologico che fisiologico.Questi organismi sono normalmente soggetti ai cambiamenti stagionali e alle variazioni dell'ambiente dovute sia a fenomeni naturali che all'impatto antropico, sempre più rilevante. Con questa tesi si è voluto approfondire l'effetto di erbicidi comunemente usati dall'uomo in agricoltura su delle microalghe flagellate rappresentative del Mar Adriatico. L'inquinante scelto è la Terbutilazina, sostanza utilizzata per il diserbo del mais e diffusa in tutta l'area padano-venera, come dimostrano i dati dei campionamenti ARPA, che riportano la presenza di Terbutilazina e del suo prodotto di degradazione Desetil-Terbutilazina a concentrazioni superiori al limite fissato sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee. Anche in mare come riportato in letteratura (Carafa et. al 2009)è stato riscontrato a concentrazioni superiori al limite previsto dalla normativa vigente in Italia. In particolare il meccanismo d'azione di questo erbicida interferisce con la fotosintesi, agendo sulle proteine di membrana dei cloroplasti, rimpiazzando il chinone accettore di elettroni QB della proteina D1 del fotosistema II. Più specie di microalghe fatte crescere in colture 'batch' sono state testate a diverse concentrazioni di erbicida in condizione di luce nutrienti costanti. Questi esperimenti sono stati inoltre condotti a due diverse temperature (20 e 25°C) per studiare l'effetto di questo inquinante in correlazione con l'attuale aumento di temperatura in atto nel pianeta. In una prima fase di screening è stato valutato l'effetto della Terbutilazina su 9 specie di flagellate rappresentative dell'Adriatico, tramite misure dell'efficienza fotosintetica. Grazie a questa prima fase sono state individuate le microalghe e le relative concentrazioni di Terbutilazina da utilizzare negli esperimenti. Per gli esperimenti, sono state scelte le due specie algali Gonyaulax spinifera e Prorocentrum minimum sulle quali si è approfondito lo studio dell'effetto dell'inquinante alle due temperature, attraverso una serie di analisi volte ad individuare le risposte in termini di crescita e di fisiologia delle alghe quali: conteggio delle cellule, torbidità, efficienza fotosintetica, consumo di nutrienti, quantità di clorofilla e di polisaccaridi extracellulari prodotti. La scelta di queste microalghe è stata dettata dal fatto che Gonyaulax spinifera si è rivelata la microalga più sensibile a concentrazioni di erbicida più vicine a quelle ambientali fra tutte le alghe valutate, mentre Prorocentrum minimum è fra le dinoflagellate più frequenti e rappresentative del Mar Adriatico (Aubry et al. 2004), anche se non particolarmente sensibile; infatti P. minimum è stato testato ad una concentrazione di erbicida maggiore rispetto a quelle normalmente ritrovate in ambiente marino. Dai risultati riportati nella tesi si è visto come l'erbicida Terbutilazina sia in grado di influenzare la crescita e la fotosintesi di microalghe flagellate dell'Adriatico anche a concentrazioni pari a quelle rilevate in ambiente, e si è evidenziato che gli effetti sono maggiori alle temperature in cui le microalghe hanno una crescita meno efficiente. Questi studi hanno messo in evidenza anche l'utilità delle misure di fotosintesi tramite fluorimetro PAM nel valutare le risposte delle microalghe agli erbicidi triazinici. Inoltre la diversa risposta delle microalghe osservata, potrebbe avere conseguenze rilevanti sulle fioriture estive di fitoplancton in caso di presenza in mare di Terbutilazina, anche a concentrazioni non particolarmente elevate. Questo lavoro si inserisce in un contesto più ampio di ricerca volto alla modellizzazione della crescita algale in presenza di inquinanti ed in concomitanza con le variazioni di temperatura. Infatti i dati ottenuti insieme a misure di carbonio cellulare, non ancora effettuate, saranno utili per la messa a punto di nuove parametrizzazioni che si avvicinino maggiormente ai dati reali, per poi simulare i possibili scenari futuri variando le condizioni ambientali e le concentrazioni dell'inquinante studiato.

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L’H2 è attualmente un elemento di elevato interesse economico, con notevoli prospettive di sviluppo delle sue applicazioni. La sua produzione industriale supera attualmente i 55 ∙ 1010 m3/anno, avendo come maggiori utilizzatori (95% circa) i processi di produzione dell’ammoniaca e quelli di raffineria (in funzione delle sempre più stringenti normative ambientali). Inoltre, sono sempre più importanti le sue applicazioni come vettore energetico, in particolare nel settore dell’autotrazione, sia dirette (termochimiche) che indirette, come alimentazione delle fuel cells per la produzione di energia elettrica. L’importanza economica degli utilizzi dell’ H2 ha portato alla costruzione di una rete per la sua distribuzione di oltre 1050 km, che collega i siti di produzione ai principali utilizzatori (in Francia, Belgio, Olanda e Germania). Attualmente l’ H2 è prodotto in impianti di larga scala (circa 1000 m3/h) da combustibili fossili, in particolare metano, attraverso i processi di steam reforming ed ossidazione parziale catalitica, mentre su scala inferiore (circa 150 m3/h) trovano applicazione anche i processi di elettrolisi dell’acqua. Oltre a quella relativa allo sviluppo di processi per la produzione di H2 da fonti rinnovabili, una tematica grande interesse è quella relativa al suo stoccaggio, con una particolare attenzione ai sistemi destinati alle applicazioni nel settore automotivo o dei trasposti in generale. In questo lavoro di tesi, svolto nell’ambito del progetto europeo “Green Air” (7FP – Transport) in collaborazione (in particolare) con EADS (D), CNRS (F), Jonhson-Matthey (UK), EFCECO (D), CESA (E) e HyGEAR (NL), è stato affrontato uno studio preliminare della reazione di deidrogenazione di miscele di idrocarburi e di differenti kerosene per utilizzo aereonautico, finalizzato allo sviluppo di nuovi catalizzatori e dei relativi processi per la produzione di H2 “on board” utilizzando il kerosene avio per ottenere, utilizzando fuel cells, l’energia elettrica necessaria a far funzionare tutta la strumentazione ed i sistemi di comando di aeroplani della serie Airbus, con evidenti vantaggi dal punto di vista ponderale e delle emissioni.

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In questa tesi ci focalizzeremo sul connubio TV ed internet che rivoluzionerà l’erogazione dei servizi verso i telespettatori e di conseguenza il marketing pubblicitario in questo contesto. Partiremo dalla storia della televisione in Italia e dei dispositivi TV per poi analizzare i primi fenomeni di utilizzo televisivo del canale web e la conseguente nascita dei primi social media e servizi di video on demand. La seconda parte di questa tesi farà una larga panoramica sul marketing televisivo ed il web marketing, fino ad arrivare al punto di massima prossimità tra i due canali, ovvero l’advertising correlato ai contenuti video presenti sul web. Nella terza ed ultima parte analizzeremo le prime piattaforme di WebTV e servizi di internet television, per poi focalizzarci sui probabili risvolti e prospettive future sia a livello di fruizione dei contenuti che pubblicitario. Questo fenomeno avrà una netta influenza nel Marketing considerando che dal 1984 la TV è il mezzo che raccoglie la maggior parte degli investimenti pubblicitari ed il web è il media in maggiore ascesa a livello di penetrazione e popolarità negli ultimi anni.

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Per dare supporto al traffico multimediale in una rete totalmente distribuita come le reti ad-hoc, il protocollo MAC deve fornire garanzie di QoS. L'IEEE ha sviluppato un standard per supportare le QoS chiamato 802.11e, facente parte della famiglia 802.11. Per dare supporto al QoS viene proposto un nuovo protocollo chiamato PAB che consiste in un accesso al canale preceduto da una serie di invii di burst, inviati alla stessa frequenza dei dati, che inibiscono la trasmissione di stazioni avente minore priorità. Lo scopo di questo protocollo è fornire servizi QoS, evitare starvation e fornire un accesso equo tra le stazioni.

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Lo studio effettuato verte sulla ricerca delle cave storiche di pietra da taglio in provincia di Bologna, facendo partire la ricerca al 1870 circa, data in cui si hanno le prime notizie cartacee di cave bolognesi. Nella ricerca si è potuto contare sull’aiuto dei Dott. Stefano Segadelli e Maria Tersa De Nardo, geologi della regione Emilia-Romagna, che hanno messo a disposizione la propria conoscenza e le pubblicazioni della regione a questo scopo. Si è scoperto quindi che non esiste in bibliografia la localizzazione di tali cave e si è cercato tramite l’utilizzo del software ArcGIS , di georeferenziarle, correlandole di informazioni raccolte durante la ricerca. A Bologna al momento attuale non esistono cave di pietra da taglio attive, così tutte le fonti che si sono incontrate hanno fornito dati parziali, che uniti hanno permesso di ottenere una panoramica soddisfacente della situazione a inizio secolo scorso. Le fonti studiate sono state, in breve: il catasto cave della regione Emilia-Romagna, gli shape preesistenti della localizzazione delle cave, le pubblicazioni “Uso del Suolo”, oltre ai dati forniti dai vari Uffici Tecnici dei comuni nei quali erano attive le cave. I litotipi cavati in provincia sono quattro: arenaria, calcare, gesso e ofiolite. Per l’ofiolite si tratta di coltivazioni sporadiche e difficilmente ripetibili dato il rischio che può esserci di incontrare l’amianto in queste formazioni; è quindi probabile che non verranno più aperte. Il gesso era una grande risorsa a fine ‘800, con molte cave aperte nella Vena del Gesso. Questa zona è diventata il Parco dei Gessi Bolognesi, lasciando alla cava di Borgo Rivola il compito di provvedere al fabbisogno regionale. Il calcare viene per lo più usato come inerte, ma non mancano esempi di formazioni adatte a essere usate come blocchi. La vera protagonista del panorama bolognese rimane l’arenaria, che venne usata da sempre per costruire paesi e città in provincia. Le cave, molte e di ridotte dimensioni, sono molto spesso difficili da trovare a causa della conseguente rinaturalizzazione. Ci sono possibilità però di vedere riaprire cave di questo materiale a Monte Finocchia, tramite la messa in sicurezza di una frana, e forse anche tramite la volontà di sindaci di comunità montane, sensibili a questo argomento. Per avere una descrizione “viva” della situazione attuale, sono stati intervistati il Dott. Maurizio Aiuola, geologo della Provincia di Bologna, e il Geom. Massimo Romagnoli della Regione Emilia-Romagna, che hanno fornito una panoramica esauriente dei problemi che hanno portato ad avere in regione dei poli unici estrattivi anziché più cave di modeste dimensioni, e delle possibilità future. Le grandi cave sono, da parte della regione, più facilmente controllabili, essendo poche, e più facilmente ripristinabili data la disponibilità economica di chi la gestisce. Uno dei problemi emersi che contrastano l’apertura di aree estrattive minori, inoltre, è la spietata concorrenza dei materiali esteri, che costano, a parità di qualità, circa la metà del materiale italiano. Un esempio di ciò lo si è potuto esaminare nel comune di Sestola (MO), dove, grazie all’aiuto e alle spiegazioni del Geom. Edo Giacomelli si è documentato come il granito e la pietra di Luserna esteri utilizzati rispondano ai requisiti di resistenza e non gelività che un paese sottoposto ai rigori dell’inverno richiede ai lapidei, al contrario di alcune arenarie già in opera provenienti dal comune di Bagno di Romagna. Alla luce di questo esempio si è proceduto a calcolare brevemente l’ LCA di questo commercio, utilizzando con l’aiuto dell’ Ing. Cristian Chiavetta il software SimaPRO, in cui si è ipotizzato il trasporto di 1000 m3 di arenaria da Shanghai (Cina) a Bologna e da Karachi (Pakistan) a Bologna, comparandolo con le emissioni che possono esserci nel trasporto della stessa quantità di materiale dal comune di Monghidoro (BO) al centro di Bologna. Come previsto, il trasporto da paesi lontani comporta un impatto ambientale quasi non comparabile con quello locale, in termini di consumo di risorse organiche e inorganiche e la conseguente emissione di gas serra. Si è ipotizzato allora una riapertura di cave locali a fini non edilizi ma di restauro; esistono infatti molti edifici e monumenti vincolati in provincia, e quando questi devono essere restaurati, dove si sceglie di cavare il materiale necessario e rispondente a quello già in opera? Al riguardo, si è passati attraverso altre due interviste ai Professori Francesco Eleuteri, architetto presso la Soprintendenza dei Beni Culturali a Bologna e Gian Carlo Grillini, geologo-petrografo e esperto di restauro. Ciò che è emerso è che effettivamente non esiste attualmente una panoramica soddisfacente di quello che è il patrimonio lapideo della provincia, mancando, oltre alla georeferenziazione, una caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica adeguata a poter descrivere ciò che veniva anticamente cavato; l’ipotesi di riapertura a fini restaurativi potrebbe esserci, ma non sembra essere la maggiore necessità attualmente, in quanto il restauro viene per lo più fatto senza sostituzioni o integrazioni, tranne rari casi; è pur sempre utile avere una carta alla mano che possa correlare l’edificio storico con la zona di estrazione del materiale, quindi entrambi i professori hanno auspicato una prosecuzione della ricerca. Si può concludere dicendo che la ricerca può proseguire con una migliore e più efficace localizzazione delle cave sul terreno, usando anche come fonte il sapere della popolazione locale, e di procedere con una parte pratica che riguardi la caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica. L’utilità di questi dati può esserci nel momento in cui si facciano ricerche storiche sui beni artistici presenti a Bologna, e qualora si ipotizzi una riapertura di una zona estrattiva.

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L’alta risoluzione nel telerilevamento termico (Thermal Remote Sensing) da aereo o satellitare si rivela molto importante nell’analisi del comportamento termico delle superfici, in particolare per lo studio dei fenomeni climatici locali dello spazio urbano. La stato termico dell'ambiente urbano è oggi motivo di grande interesse per ricercatori, organi istituzionali e cittadini. Uno dei maggiori campi di studio del comportamento termico urbano interessa il problema energetico: la riduzione dei consumi e delle emissioni di CO2 è un obiettivo primario da perseguire per uno sviluppo sostenibile, spesso supportato da criteri legislativi e progetti comunitari. Su scala differente e con caratteristiche differenti, un altro degli argomenti che scuote da anni e con notevole interesse la ricerca scientifica, è il fenomeno termico urbano che prende il nome di isola di calore; questa si sviluppa non solo in conseguenza al calore sensibile rilasciato da attività antropiche, ma anche a causa della sempre maggiore conversione del territorio rurale in urbanizzato (inurbamento), con conseguente riduzione del fenomeno dell’evapotraspirazione. Oggetto di questa dissertazione è lo studio del comportamento termico delle superfici in ambito urbano, sperimentato sulla città di Bologna. Il primo capitolo si interessa dei principi e delle leggi fisiche sui quali è basato il telerilevamento effettuato nelle bende spettrali dell’infrarosso termico. Viene data una definizione di temperatura radiometrica e cinematica, tra loro legate dall’emissività. Vengono esposti i concetti di risoluzione (geometrica, radiometrica, temporale e spettrale) dell’immagine termica e viene data descrizione dei principali sensori su piattaforma spaziale per l’alta risoluzione nel TIR (ASTER e Landsat). Il secondo capitolo si apre con la definizione di LST (Land Surface Temperature), parametro del terreno misurato col telerilevamento, e ne viene descritta la dipendenza dal flusso della radiazione in atmosfera e dalle condizioni di bilancio termico della superficie investigata. Per la sua determinazione vengono proposti metodi diversi in funzione del numero di osservazioni disponibili nelle diverse bande spettrali dell’IR termico. In chiusura sono discussi i parametri che ne caratterizzano la variabilità. Il capitolo terzo entra nel dettaglio del telerilevamento termico in ambito urbano, definendo il fenomeno dell’Urban Heat Island su tutti i livelli atmosferici interessati, fornendo un quadro di operabilità con gli strumenti moderni di rilievo alle differenti scale (analisi multiscala). Un esempio concreto di studio multiscala dei fenomeni termici urbani è il progetto europeo EnergyCity, volto a ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra di alcune città del centro Europa. Il capitolo quarto riporta la sperimentazione condotta sull’isola di calore urbana della città di Bologna tramite immagini ASTER con risoluzione spaziale 90 m nel TIR e ricampionate a 15 m dal VIS. Lo studio dell’isola di calore si è effettuata a partire dal calcolo della Land Surface Temperature utilizzando valori di emissività derivati da classificazione delle superfici al suolo. Per la validazione dei dati, in alternativa alle stazioni di monitoraggio fisse dell’ARPA, presenti nell’area metropolitana della città, si è sperimentato l’utilizzo di data-loggers per il rilievo di temperatura con possibilità di campionamento a 2 sec. installati su veicoli mobili, strumentati con ricevitori GPS, per la misura dei profili di temperatura atmosferica near-ground lungo transetti di attraversamento della città in direzione est-ovest.

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Questa tesi ha come oggetto la riqualificazione energetica e funzionale della scuola media statale “P. Amaducci” di Bertinoro e la realizzazione, all’interno della stessa area, di una scuola elementare che condivida, con la struttura esistente, spazi per attività parascolastiche e sportive. Il lotto di intervento è situato ai margini del centro urbano, circondato da un’area identificata dalla pubblica amministrazione come di possibile espansione residenziale; esso presenta diverse criticità, tra cui la poca sicurezza dei percorsi pedonali, la frammentarietà del sistema degli spazi aperti, la mancanza di adeguate aree di sosta e di parcheggio. Grazie alla sua posizione elevata e alla collocazione all’interno di un ambito di interesse paesaggistico, dall’area si gode di un’ampia visuale sul territorio circostante, caratterizzato dalla coltivazione della vite. L’attuale scuola media statale “P. Amaducci”, realizzata nel 1990, è un edificio di circa 17800 mc con disposizione planimetrica a corte aperta, sviluppato su tre piani, ad est del quale nel 2000 è stato collocato un edificio a blocco di 12000 mc, che ospita un palazzetto dello sport di rilevanza provinciale. Nonostante la sua recente costruzione, la struttura presenta diverse carenze progettali, tra cui lo sfavorevole orientamento delle aule per la didattica, che determina un elevato livello di discomfort, la scarsa prestazione energetica che colloca l’edificio in classe energetica E, e il generale sovradimensionamento del complesso e dei singoli spazi interni (circa 180% di spazio in più rispetto a quanto previsto dal D.M.del 1975 sull’edilizia scolastica. La scuola era originariamente progettata per ospitare tre sezioni, per un totale di 225 alunni; attualmente è frequentata da solo 132 studenti, con conseguente mancata utilizzazione di una parte consistente dell’edificio. Gli obiettivi dell’intervento sono quelli fissati dall’Amministrazione comunale e consistono essenzialmente in: - Riunificazione della scuola media con la scuola elementare in un unico polo scolastico, mettendo in comune una serie di ambienti quali l'auditorium, la mensa, le aule speciali, l’adiacente palazzetto dello sport. - Realizzazione di un ampliamento per la nuova scuola elementare, con capacità di 10 aule. Esso andrebbe realizzato a monte dell'attuale scuola media favorendo un ingresso separato dei due ordini di scuola. - Revisione di alcune soluzioni progettuali ed energetiche errate o non funzionali presenti nell'attuale struttura. A seguito di alcune analisi effettuate sulla popolazione di Bertinoro e sull’accesso ai plessi scolastici dalle frazioni vicine (Fratta Terme, Capocolle, Panighina) è emersa la scarsa dinamica demografica del comune, la quale ha suggerito di prevedere la riduzione degli spazi destinati alla scuola media e l’utilizzo dei locali eccedenti per ospitare aule per la didattica ad uso della nuova scuola elementare, prevedendo inoltre l’uso congiunto degli spazi per attività parascolastiche tra le due scuole (mensa, biblioteca, auditorium e palestra) e progettando un ampliamento per ospitare le altre attività necessarie al funzionamento della nuova scuola elementare. Il progetto ha assunto la sostenibilità e il minimo impatto sull’ambiente come principi generatori gli elementi del contesto naturale come risorse: mantiene l’edificio adagiato sul declivio del terreno e valorizza la vista verso la vallata circostante, in modo da aprirlo sul paesaggio. Per limitare una delle criticità funzionali rilevate, il progetto si è proposto di separare i percorsi pedonali da quelli carrabili inserendo zone filtro con la funzione di proteggere l’accesso al polo scolastico e al palazzetto dello sport e, al fine di evitare la promiscuità delle utenze, di differenziare altimetricamente gli ingressi dei diversi edifici e di prevedere due parcheggi, uno a monte dell’area (di pertinenza della nuova scuola primaria), e uno a valle (ad uso degli utenti della scuola secondaria di primo grado e della palestra). Nella nuova configurazione spaziale dell’edificio esistente, le aule per la didattica sono collocate sul fronte principale orientato a sud-est e dotate di ampie aperture provviste di schermature studiate sulla radiazione solare locale. Per raggiungere un ottimo livello di illuminamento si è “scavato” un canale di luce all’interno dell’edificio, che fornisce alle aule un apporto di luce naturale aggiuntivo rispetto a quello che entra dalle facciate. Sul fronte nord-ovest si localizzano invece le aule speciali e i servizi, affacciati sulla corte. L’ingresso e il vano scala esistenti, in rapporto al volume ridimensionato della scuola media, risultano così in posizione baricentrica. La tesi presenta due diverse ipotesi di ampliamento, che prevedono entrambe la collocazione dei nuovi volumi a monte dell’edificio esistente, connessi ad esso tramite lo spazio dell’ingresso e la localizzazione di quattro aule per la didattica in una parte dell’edificio esistente. Il primo progetto di ampliamento si propone di ridefinire e valorizzare la corte interna attraverso l’inserimento a monte dell’edificio esistente di un volume su un solo piano, che si va ad inserire nel profilo della collina, secondo il principio del minimo impatto sul paesaggio circostante. Il secondo progetto di ampliamento punta invece sulla continuità visiva tra gli spazi aperti e il paesaggio: per questo si è collocato il nuovo volume, che si sviluppa su due piani (nella ricerca di un ottimale rapporto di forma) in adiacenza all’edificio esistente,dando luogo ad un ampio spazio verde su cui si affacciano le aule esposte a sud-est.

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“Tecnologie sostenibili per il social housing”: la mia tesi affronta il tema dell’edilizia sociale cercando di capire se può ancora diventare un campo di ricerca e sperimentazione architettonica come lo è stato in più occasioni nell’ultimo secolo. La ricerca si è sviluppata in due fasi: una prima attività di studio della vicenda storica dell’abitazione sociale in Italia, con alcuni confronti europei, fino ad analizzare il nuovo quadro che si è andato delineando dalla fine degli anni ’90 e che caratterizza la situazione attuale. Successivamente, la progettazione di un piccolo intervento di edilizia abitativa che si propone di rispondere agli attuali profili della domanda, puntando a scelte tipologiche e costruttive coerenti. Nel trentennio 1950-’80, nell’Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale, e in Italia in particolare, l’edilizia popolare ha vissuto un periodo dinamico, ricco di interventi normativi da parte dello Stato, (su tutte la legge Fanfani, e le norme Gescal) che hanno permesso di realizzare molti degli edifici ancora oggi utilizzati, accelerando la ripresa economica e sociale. Dopo gli anni ’80, le ricerche e le sperimentazioni in campo architettonico si spostano verso altri temi; superata la necessità di fornire una casa a milioni di persone, il tema dell’alloggio sembra perdere il forte rilievo sociale che aveva avuto nei decenni precedenti. Fino a ritenere che il tema dell’alloggio e in particolare dell’alloggio sociale, non avesse più la necessità di essere sperimentato e approfondito. Oggi la situazione riguardante la sperimentazione non è molto diversa: sono ancora molto limitati, infatti, gli studi e le ricerche sul tema dell’alloggio sociale. Ciò che è nuovamente mutata, invece, è l’emergenza di una nuova domanda di casa e la drammatica esigenza sociale di fornire un alloggio a milioni di famiglie che non se lo possono permettere. Le dinamiche che guidano questa nuova ondata di richiesta di alloggi sono molteplici, sia di natura sociale che economica. Sul piano sociale: - l’aumento del numero delle famiglie, passate da 22.226.000 nel 200o a 24.642.000 nel 2010, con un aumento del 9,8% in un solo decennio; - la “nuclearizzazione” delle famiglie e la loro contrazione dimensionale, fino agli attuali 2,4 componenti per nucleo; - l’invecchiamento della popolazione; - l’aumento della popolazione straniera, con oltre 3.900.000 di immigrati regolari. Su quello economico: - l’aumento della povertà assoluta: in Italia 1.162.000 famiglie (4,7%) corrispondenti a 3.074.000 individui vivono sotto la soglia di povertà; - l’aumento della povertà relativa, che investe oggi 2.657.000 famiglie (9,3%) e l’aumento delle famiglie a rischio di povertà (920.000 famiglie, pari al 3,7% dei nuclei). Questi dati evidenziano la dimensione del problema abitativo e smentiscono l’opinione che si tratti di una questione marginale: nel 2010 in Italia almeno 1.162.000 non hanno le risorse per pagare un affitto, nemmeno a canone agevolato, e 4.739.000 famiglie non riescono a pagare un affitto ai prezzi del libero mercato, ma non hanno la possibilità di entrare nelle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio sociale. Da questa panoramica sulle dimensioni del disagio abitativo, prende spunto la progettazione del mio sistema costruttivo, che si pone come obiettivo quello di ridurre i costi di costruzione tramite la standardizzazione dei componenti, consentendo di conseguenza, un minor costo di costruzione e quindi la possibilità di canoni di affitto ridotti, mantenendo buoni standard di qualità degli alloggi, sostenibilità ambientale e risparmio energetico. Le linee guida che hanno portato alla progettazione del sistema sono: - modularità degli spazi abitativi - zonizzazione funzionale - razionalizzazione impiantistica - illuminazione naturale - industrializzazione dei sistema costruttivo - standardizzazione dei componenti. Il risultato è un catalogo di alloggi di diverse metrature, aggregabili secondo tre tipologie residenziali. - a ballatoio - in linea - a torre Messo a punto questo sistema costruttivo, è stato progettato un intervento in un contesto specifico, per verificare l’applicabilità delle soluzioni sviluppate ed esplorarne alcune possibilità.

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Oggigiorno si osserva a livello mondiale un continuo aumento dei consumi di acqua per uso domestico, agricolo ed industriale che dopo l’impiego viene scaricata nei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti, bacini, ecc) con caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche completamente alterate, necessitando così di specifici trattamenti di depurazione. Ricerche relative a metodi di controllo della qualità dell’acqua e, soprattutto, a sistemi di purificazione rappresentano pertanto un problema di enorme importanza. I trattamenti tradizionali si sono dimostrati efficienti, ma sono metodi che operano normalmente trasferendo l’inquinante dalla fase acquosa contaminata ad un’altra fase, richiedendo perciò ulteriori processi di depurazione. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di sistemi nano strutturati come TiO2-Fe3O4 ottenuto via sol-gel, nella foto-catalisi di alcuni sistemi organici. Questo lavoro di tesi è rivolto alla sintesi e caratterizzazione di un catalizzatore nanostrutturato composito costituito da un core di Fe3O4 rivestito da un guscio di TiO2 separate da un interstrato inerte di SiO2, da utilizzare nella foto-catalisi di sistemi organici per la depurazione delle acque utilizzando un metodo di sintesi alternativo che prevede un “approccio” di tipo colloidale. Partendo da sospensioni colloidali dei diversi ossidi, presenti in commercio, si è condotta la fase di deposizione layer by layer via spray drying, sfruttando le diverse cariche superficiali dei reagenti. Questo nuovo procedimento permette di abbattere i costi, diminuire i tempi di lavoro ed evitare possibili alterazioni delle proprietà catalitiche della titania, risultando pertanto adatto ad una possibile applicazione su scala industriale. Tale sistema composito consente di coniugare le proprietà foto-catalitiche dell’ossido di titanio con le proprietà magnetiche degli ossidi di ferro permettendo il recupero del catalizzatore a fine processo. Il foto-catalizzatore è stato caratterizzato durante tutte la fasi di preparazione tramite microscopia SEM e TEM, XRF, Acusizer, spettroscopia Raman e misure magnetiche. L’attività foto-calitica è stata valutata con test preliminari utilizzando una molecola target tipo il rosso di metile in fase acquosa. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il sistema core-shell presenta inalterate sia le proprietà magnetiche che quelle foto-catalitiche tipiche dei reagenti.

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Il presente studio ha come obiettivi l’analisi, la modellazione numerica e la caratterizzazione del rischio idrogeologico di due siti dell’Appennino bolognese interessati negli ultimi due anni da colate detritiche, Serraglio (Comune di Castiglione dei Pepoli) e Chiapporato (Comune di Camugnano). Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Servizio Tecnico di Bacino Reno della Regione Emilia-Romagna, che ha reso disponibile la documentazione relativa ai due eventi analizzati. I predetti eventi possono esser definiti “anomali” in relazione sia alla loro collocazione – essendo il fenomeno delle colate detritiche diffuso principalmente in aree montuose caratterizzate da un’altitudine media rilevante, come l’arco alpino – sia al fatto che non sono né catalogati né ricordati a memoria d’uomo eventi, in tali località, precedenti a quelli in esame. Il rischio idrogeologico, indotto dalla possibilità non remota di nuovi eventi, è dato non dal volume o dall’area interessata dai fenomeni, ma piuttosto dall’estrema velocità caratterizzante le colate detritiche, appunto definite come manifestazioni parossistiche lungo la rete idrografica secondaria con trasporto in massa di sedimenti. L’analisi effettuata ha anche fornito l’occasione per effettuare un confronto tra due realtà, quella di Serraglio e quella di Chiapporato, accomunate dalla stessa tipologia di evento, ma differenti in relazione all’uso del suolo, alle caratteristiche geomorfologiche e alle modalità di propagazione nel corso dell’evento. L’abitato di Serraglio, sito nella frazione di Baragazza, è stato colpito da una colata detritica il 20 gennaio 2009. Da un punto di vista geologico e geomorfologico la località è sovrastata da un versante boscato notevolmente acclive, caratterizzato dall’affioramento della cosiddetta Formazione di Cervarola: tali rocce, appartenenti alla categoria delle arenarie e solitamente presenti in strati compatti, in seguito alla naturale degradazione dovuta agli agenti atmosferici hanno dato luogo ad un detrito composto da blocchi e ciottoli di varia dimensione immersi in una matrice sabbiosa. Il distacco è avvenuto proprio in questo materiale detritico, reso instabile dal notevole apporto pluviometrico verificatosi nei giorni precedenti. La colata, sviluppatasi in seguito alla fluidificazione del materiale coinvolto in uno scivolamento di detrito di ridotta volumetria, si è incanalata in uno dei rii effimeri che drenano il versante con traiettorie tra loro pseudo parallele. Il debris flow, accelerato da un dislivello complessivo di 125 m, ha poi raggiunto due abitazioni, fortunatamente non abitate al momento dell’evento, depositando uno spessore detritico di oltre 1,5 m nella zona di transito prima di proseguire verso valle nella sua frazione più fine, incanalandosi di fatto lungo lo stradello asfaltato di accesso alle abitazioni e interessando la strada provinciale che collega Castiglione dei Pepoli all’uscita autostradale di Roncobilaccio. Da un punto di vista meteo-climatico il mese di gennaio 2009 è stato caratterizzato da precipitazioni fortemente superiori alla media, accompagnate da una ridotta insolazione. La continua oscillazione dello zero termico tra 0 e 900 m ha dato luogo alla formazione di uno spessore nivale al suolo di circa 20 cm tre giorni prima dell’evento e poi al suo rapido scioglimento contestualmente all’aumento termico, dato dalla risalita di aria calda umida di origine africana, accompagnata da quella perturbazione che ha poi di fatto innescato il fenomeno. Nelle 48 ore precedenti l’evento sono stati registrati apporti nivo-pluviometrici corrispondenti ad oltre 130 mm, che hanno causato la completa saturazione del detrito superficiale, l’innesco dello scivolamento di detrito e la sua successiva fluidificazione. Il distacco del materiale detritico, la sua movimentazione e la notevole erosione che ha caratterizzato l’alveo del rio durante il fenomeno – quantificata mediamente in 20 cm – sono state favorite dalle mediocri condizioni di salute del castagneto che copre il versante interessato dall’evento: la totale assenza di manutenzione e l’abbandono della coltivazione “a pali” del bosco hanno inibito la naturale funzione stabilizzante del boscato, trasformatosi da fattore inibente a fattore predisponente il fenomeno. La seconda colata detritica analizzata ha invece interessato la strada comunale che collega la frazione di Stagno all’abitato di Chiapporato, splendida borgata cinquecentesca, frequentata soprattutto da turisti ed escursionisti durante la stagione estiva. Il versante sede della colata, occorsa in data 8 novembre 2010, è caratterizzato da numerosi affioramenti della cosiddetta Formazione di Stagno, arenarie intervallate da strati marnoso-pelitici. Tale litotipo, soggetto alla naturale degradazione indotta dagli agenti atmosferici, origina un detrito composto da massi e ciottoli, raccoltisi, nell’area in esame, in un canalone posto ai piedi di una scarpata pseudo verticale delimitante il pianoro di “Val di Sasso”. Tale materiale detritico è stato poi fluidificato dalle abbondanti piogge, depositando, dopo oltre 320 metri di dislivello, circa un metro di detrito sul piano stradale per poi proseguire la sua corsa verso il Torrente Limentra e il Bacino di Suviana. L’evento è stato innescato da precipitazioni intense e persistenti che hanno depositato al suolo oltre 69 mm di pioggia in 25 ore. Nel mese precedente il fenomeno sono stati misurati oltre 530 mm di pioggia, quantitativi superiori alla media climatologica, che hanno sicuramente accelerato anche la degradazione della scarpata e l’accumulo di detriti nell’area sorgente. Le colate sopra descritte sono state poi simulate utilizzando il modello DAN-W (Dynamic ANalysis) del prof. Oldrich Hungr della University of British Columbia (Canada). Tale modello si basa su una discretizzazione della massa movimentata tramite il metodo degli “elementi di contorno” e sulla soluzione alle differenze finite di tipo Lagrangiano dell’equazione di De Saint Venant. L’equazione del moto, integrata verticalmente, è applicata a colonne strette di flusso (elementi di contorno). L’equazione di continuità è invece risolta riferendosi agli elementi di massa delimitati dai predetti elementi di contorno. Il numero di incognite principali eguaglia il numero di equazioni disponibili ed il problema è quindi completamente determinato. Gli altri parametri caratterizzanti la colata sono determinati tramite interpolazioni basate sull’ipotesi che sia la superficie del flusso sia quella della traiettoria siano ragionevolmente lisce. La soluzione è esplicita ed avviene per step temporali successivi. Al fine della determinazione dei parametri l’utilizzatore ha la possibilità di scegliere tra vari modelli reologici, quantificanti il termine di resistenza caratterizzante il moto. Su indicazione dell’autore del modello sono stati utilizzati il modello frizionale e quello di Voellmy, che, in casi simili, forniscono risultati più realistici (in relazione alla modellizzazione di colate di detrito). I parametri utilizzati per la calibrazione sono lo spessore di detrito depositato sul piano stradale, nel caso di Chiapporato, e a tergo della prima abitazione investita dalla colata nel caso di Serraglio, unitamente alla massima distanza raggiunta dai detriti. I risultati ottenuti utilizzando il modello reologico frizionale mostrano profili di velocità scarsamente rappresentativi, con una costante sovrastima della stessa, a fronte di una migliore capacità descrittiva degli spessori accumulatisi. Il modello di Voellmy ha invece prodotto andamenti di velocità più realistici, confrontabili con i valori forniti dalla letteratura internazionale, riuscendo al contempo a quantificare con precisione l’accumulo di detrito rilevato a seguito degli eventi. I valori dei parametri utilizzati nella modellazione sono stati ricavati dalle indicazioni dell’autore del modello affiancate dai range resi disponibili dalla letteratura. Entrambe le caratterizzazioni reologiche sono poi state oggetto di un’analisi di sensitività ai fini di quantificare il peso dei parametri utilizzati. Il modello frizionale si è rivelato particolarmente sensibile all’andamento del coefficiente di attrito basale e al coefficiente di pressione dei pori, con un lieve preponderanza del primo, mentre il modello reologico di Voellmy si è mostrato fortemente influenzato dal coefficiente di turbolenza e dal coefficiente di attrito, pressoché paritari nell’effettivo condizionamento dei risultati. Gli output ottenuti simulando l’evento di Serraglio sono risultati generalmente meno realistici di quelli ricavati nel caso di Chiapporato: ciò è probabilmente dovuto alle caratteristiche reologiche proprie del fenomeno occorso a Serraglio, classificabile come un ibrido tra un mud flow e un debris flow. Sono state infine avanzate proposte di intervento e di monitoraggio dei siti indagati, al fine di una mitigazione del rischio idrogeologico gravante sulle aree esaminate. Il caso di Serraglio presenta, a parere dello scrivente, un rischio idrogeologico più elevato, se paragonato a quello presente a Chiapporato, dati la vicinanza ad un centro abitato e lo status quo caratterizzante il versante sede del dissesto. Nei circa 18 mesi trascorsi dopo l’evento è stato possibile rilevare un progressivo ampliamento della nicchia di distacco dello scivolamento, poi evolutosi in colata con andamento tipicamente retrogressivo. Lo stato della vegetazione permane in condizioni problematiche, con frequenti ribaltamenti e sradicamenti (processi noti in letteratura come chablis) dei castagni presenti, con un conseguente aumento dell’erosione superficiale del versante e l’apporto detritico all’interno del rio. Tale detrito è poi trattenuto all’interno dell’alveo da una serie di briglie naturali formatesi a seguito della caduta di varie piante all’interno del canale stesso a causa del passaggio del debris flow o a fenomeni di chablis. La forte sovraescavazione occorsa in occasione della colata ha poi favorito l’innesco di una serie di piccoli scivolamenti superficiali confluenti nel rio stesso, anch’essi apportatori di detrito, ingrediente principale per un nuovo debris flow. È inoltre da notare come la zona di runout è tuttora parzialmente occupata dal detrito depositatosi a seguito dell’evento: tale configurazione, causando di fatto una riduzione della potenziale area di “sfogo” di un nuovo debris flow, acuisce il rischio di un’estensione areale verso valle degli effetti di un nuovo fenomeno, con un conseguente possibile maggior coinvolgimento dell’abitato di Serraglio. È stato quindi proposto di attuare un’adeguata regimazione dell’area boschiva caratterizzante il versante, unitamente ad una regimazione fluviale del rio, tramite la realizzazione di briglie in legno e pietrame – essendo l’area non cantierabile – e la rimozione degli accumuli detritici in seno all’alveo stesso. La nicchia di distacco principale e le nicchie secondarie dovranno poi essere oggetto di opportuna stabilizzazione. Più a valle è stata suggerita la rimozione dell’accumulo detritico presente nell’area di runout e la realizzazione di un’adeguata opera di ricezione delle acque del rio e di eventuali nuove colate: a tal fine si è ipotizzato il ripristino dell’antico alveo, successivamente deviato e tombato per permettere l’edificazione dell’abitazione poi investita dalla colata. È stato inoltre proposto un monitoraggio attraverso l’installazione di un pluviometro, tarato con opportune soglie di allarme, dotato di datalogger e modem GPRS al fine di comunicare in tempo reale, ai tecnici incaricati e agli abitanti, un eventuale superamento della soglia di allarme. Il caso di Chiapporato è invece caratterizzato da problematiche connesse al rischio idrogeologico meno rilevanti di quelle presenti a Serraglio. Ciò è dovuto allo scarso traffico caratterizzante la strada comunale e all’assenza di altri edifici o infrastrutture potenzialmente coinvolgibili da un nuovo evento. La probabilità del verificarsi di una nuova colata è però concreta, considerata la forte erosione caratterizzante il versante: trascorsi sei mesi dall’evento, è stato possibile rilevare nell’area sorgente un accumulo medio di detrito di circa mezzo metro di spessore. Le cause del dissesto, a differenza di Serraglio, non sono in alcun modo imputabili all’azione antropica: si tratta infatti della naturale evoluzione del versante sovrastante il piano stradale. Si propone quindi la collocazione di cartelli stradali indicanti il pericolo di caduta massi e colate detritiche agli automobilisti e ai pedoni, unitamente all’installazione di un cavo a strappo posto lungo l’alveo torrentizio collegato ad un semaforo dislocato nei pressi del guado della strada comunale sul rio Casale. L’eventuale verificarsi di un nuovo evento comporterebbe la lacerazione del cavo installato e l’attivazione del semaforo – e di un eventuale allarme acustico – con conseguente inibizione del traffico stradale in occasione del transito del debris flow. Nel contesto geologico e geomorfologico dell’Appennino tosco-emiliano i debris flow rappresentano una tipologia di dissesto da frana poco diffusa, ma comunque potenzialmente presente nelle aree dove i processi di alterazione e degradazione degli ammassi rocciosi affioranti generino accumuli di detrito e in condizioni morfologiche caratterizzate da elevate pendenze dei versanti. Questo studio ha permesso di approfondire la conoscenza di questi fenomeni, che presentano una magnitudo notevolmente inferiore rispetto al contesto alpino, ma la cui interferenza con l’attività antropica acuisce notevolmente il rischio idrogeologico nelle zone interessate. Si sottolinea, inoltre, che nell’attuale contesto climatico caratterizzato da sempre più frequenti piogge brevi ed intense ed eventi cosiddetti di rain on snow, la frequenza sia temporale che spaziale di tali fenomeni di dissesto appare destinata ad aumentare, anche in aree in precedenza non interessate.

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Il cervello è una rete di cellule nervose connesse da assoni e le cellule stesse sono reti di molecole connesse da reazioni biochimiche. Anche le società sono reti di persone collegate da rapporti di amicizia, parentela e legami professionali. Su più larga scala, catene alimentari ed ecosistemi possono essere rappresentati come reti di specie viventi. E le reti pervadono la tecnologia: Internet, reti elettriche e sistemi di trasporto non sono che pochi degli esempi possibili. Anche il linguaggio che si sta usando in questo momento per veicolare questi ragionamenti a chi legge è una rete, fatta di parole connesse da relazioni sintattiche. A dispetto dell'importanza e della pervasività delle reti, gli scienziati hanno sempre avuto poca comprensione delle loro strutture e proprietà. In che modo le interazioni di alcuni nodi non funzionanti in una complessa rete genetica possono generare il cancro? Come può avvenire così rapidamente la diffusione in taluni sistemi sociali e di comunicazioni, portando ad epidemie di malattie e a virus informatici? Come possono alcune reti continuare a funzionare anche dopo che la maggioranza dei loro nodi ha, invece, smesso di farlo? [...] Le reti reali sono realmente casuali?

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Un livello di sicurezza che prevede l’autenticazione e autorizzazione di un utente e che permette di tenere traccia di tutte le operazioni effettuate, non esclude una rete dall’essere soggetta a incidenti informatici, che possono derivare da tentativi di accesso agli host tramite innalzamento illecito di privilegi o dai classici programmi malevoli come virus, trojan e worm. Un rimedio per identificare eventuali minacce prevede l’utilizzo di un dispositivo IDS (Intrusion Detection System) con il compito di analizzare il traffico e confrontarlo con una serie d’impronte che fanno riferimento a scenari d’intrusioni conosciute. Anche con elevate capacità di elaborazione dell’hardware, le risorse potrebbero non essere sufficienti a garantire un corretto funzionamento del servizio sull’intero traffico che attraversa una rete. L'obiettivo di questa tesi consiste nella creazione di un’applicazione con lo scopo di eseguire un’analisi preventiva, in modo da alleggerire la mole di dati da sottoporre all’IDS nella fase di scansione vera e propria del traffico. Per fare questo vengono sfruttate le statistiche calcolate su dei dati forniti direttamente dagli apparati di rete, cercando di identificare del traffico che utilizza dei protocolli noti e quindi giudicabile non pericoloso con una buona probabilità.

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Gli smartphone, sono dispositivi per la telefonia mobile che oramai includono una serie di funzionalità a supporto della multimedialità e non solo. Divenuti quasi dei notebook in miniatura, ne esistono di vari tipi e dimensioni e anche se la loro potenza di calcolo rimane di gran lunga inferiore a quella di un PC, riescono comunque a effettuare operazioni abbastanza evolute e con prestazioni accettabili. Quello che si vuole realizzare con questo lavoro non è uno studio su questi dispositivi (anche se in parte sarà affrontato), ma un approfondimento sulla possibilità di utilizzare una buona fetta di essi, a supporto dello sviluppo turistico nel nostro paese. In particolare si vuole realizzare una piattaforma mobile che metta in comunicazione individui che vogliono fornire informazione di tipo turistico (beni culturali, eventi, attività commerciali, ecc.) con individui che vogliono fruire di tali contenuti (un qualsiasi turista che sia in grado di utilizzare uno smartphone). Tale applicazione dovrà raccogliere informazioni su una determinata città e riuscire in maniera chiara e intuitiva a dare risposte alle principali domande che un turista si pone: • dove sono? • Cosa c’è d’interessante da visitare nei dintorni? • Interessante questa statua! Di cosa si tratta? • Quali sono gli eventi più interessanti ai quali potrei partecipare? • Ho un leggero appetito dove posso andare a mangiare? • Dove posso fare un po’ di shopping?

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Con il termine Smart Grid si intende una rete urbana capillare che trasporta energia, informazione e controllo, composta da dispositivi e sistemi altamente distribuiti e cooperanti. Essa deve essere in grado di orchestrare in modo intelligente le azioni di tutti gli utenti e dispositivi connessi al fine di distribuire energia in modo sicuro, efficiente e sostenibile. Questo connubio fra ICT ed Energia viene comunemente identificato anche con il termine Smart Metering, o Internet of Energy. La crescente domanda di energia e l’assoluta necessità di ridurre gli impatti ambientali (pacchetto clima energia 20-20-20 [9]), ha creato una convergenza di interessi scientifici, industriali e politici sul tema di come le tecnologie ICT possano abilitare un processo di trasformazione strutturale di ogni fase del ciclo energetico: dalla generazione fino all’accumulo, al trasporto, alla distribuzione, alla vendita e, non ultimo, il consumo intelligente di energia. Tutti i dispositivi connessi, diventeranno parte attiva di un ciclo di controllo esteso alle grandi centrali di generazione così come ai comportamenti dei singoli utenti, agli elettrodomestici di casa, alle auto elettriche e ai sistemi di micro-generazione diffusa. La Smart Grid dovrà quindi appoggiarsi su una rete capillare di comunicazione che fornisca non solo la connettività fra i dispositivi, ma anche l’abilitazione di nuovi servizi energetici a valore aggiunto. In questo scenario, la strategia di comunicazione sviluppata per lo Smart Metering dell’energia elettrica, può essere estesa anche a tutte le applicazioni di telerilevamento e gestione, come nuovi contatori dell’acqua e del gas intelligenti, gestione dei rifiuti, monitoraggio dell’inquinamento dell’aria, monitoraggio del rumore acustico stradale, controllo continuo del sistema di illuminazione pubblico, sistemi di gestione dei parcheggi cittadini, monitoraggio del servizio di noleggio delle biciclette, ecc. Tutto ciò si prevede possa contribuire alla progettazione di un unico sistema connesso, dove differenti dispositivi eterogenei saranno collegati per mettere a disposizione un’adeguata struttura a basso costo e bassa potenza, chiamata Metropolitan Mesh Machine Network (M3N) o ancora meglio Smart City. Le Smart Cities dovranno a loro volta diventare reti attive, in grado di reagire agli eventi esterni e perseguire obiettivi di efficienza in modo autonomo e in tempo reale. Anche per esse è richiesta l’introduzione di smart meter, connessi ad una rete di comunicazione broadband e in grado di gestire un flusso di monitoraggio e controllo bi-direzionale esteso a tutti gli apparati connessi alla rete elettrica (ma anche del gas, acqua, ecc). La M3N, è un’estensione delle wireless mesh network (WMN). Esse rappresentano una tecnologia fortemente attesa che giocherà un ruolo molto importante nelle futura generazione di reti wireless. Una WMN è una rete di telecomunicazione basata su nodi radio in cui ci sono minimo due percorsi che mettono in comunicazione due nodi. E’ un tipo di rete robusta e che offre ridondanza. Quando un nodo non è più attivo, tutti i rimanenti possono ancora comunicare tra di loro, direttamente o passando da uno o più nodi intermedi. Le WMN rappresentano una tipologia di rete fondamentale nel continuo sviluppo delle reti radio che denota la divergenza dalle tradizionali reti wireless basate su un sistema centralizzato come le reti cellulari e le WLAN (Wireless Local Area Network). Analogamente a quanto successo per le reti di telecomunicazione fisse, in cui si è passati, dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’70, ad introdurre schemi di rete distribuite che si sono evolute e man mano preso campo come Internet, le M3N promettono di essere il futuro delle reti wireless “smart”. Il primo vantaggio che una WMN presenta è inerente alla tolleranza alla caduta di nodi della rete stessa. Diversamente da quanto accade per una rete cellulare, in cui la caduta di una Base Station significa la perdita di servizio per una vasta area geografica, le WMN sono provviste di un’alta tolleranza alle cadute, anche quando i nodi a cadere sono più di uno. L'obbiettivo di questa tesi è quello di valutare le prestazioni, in termini di connettività e throughput, di una M3N al variare di alcuni parametri, quali l’architettura di rete, le tecnologie utilizzabili (quindi al variare della potenza, frequenza, Building Penetration Loss…ecc) e per diverse condizioni di connettività (cioè per diversi casi di propagazione e densità abitativa). Attraverso l’uso di Matlab, è stato quindi progettato e sviluppato un simulatore, che riproduce le caratteristiche di una generica M3N e funge da strumento di valutazione delle performance della stessa. Il lavoro è stato svolto presso i laboratori del DEIS di Villa Grifone in collaborazione con la FUB (Fondazione Ugo Bordoni).

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I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) costituiscono un problema prioritario a livello europeo per quanto riguarda la loro raccolta, stoccaggio, trattamento, recupero e smaltimento, essenzialmente per i seguenti tre motivi: Il primo riguarda le sostanze pericolose contenute nei RAEE. Tali sostanze, nel caso non siano trattate in modo opportuno, possono provocare danni alla salute dell’uomo e all’ambiente. Il secondo è relativo alla vertiginosa crescita relativa al volume di RAEE prodotti annualmente. La crescita è dovuta alla continua e inesorabile commercializzazione di prodotti elettronici nuovi (è sufficiente pensare alle televisioni, ai cellulari, ai computer, …) e con caratteristiche performanti sempre migliori oltre all’accorciamento del ciclo di vita di queste apparecchiature elettriche ed elettroniche (che sempre più spesso vengono sostituiti non a causa del loro malfunzionamento, ma per il limitato livello di performance garantito). Il terzo (ed ultimo) motivo è legato all’ambito economico in quanto, un corretto trattamento dei RAEE, può portare al recupero di materie prime secondarie (alluminio, ferro, acciaio, plastiche, …) da utilizzare per la realizzazione di nuove apparecchiature. Queste materie prime secondarie possono anche essere vendute generando profitti considerevoli in ragione del valore di mercato di esse che risulta essere in costante crescita. Questo meccanismo ha portato a sviluppare un vasto quadro normativo che regolamenta tutto l’ambito dei RAEE dalla raccolta fino al recupero di materiali o al loro smaltimento in discarica. È importante inoltre sottolineare come lo smaltimento in discarica sia da considerarsi come una sorta di ‘ultima spiaggia’, in quanto è una pratica piuttosto inquinante. Per soddisfare le richieste della direttiva l’obiettivo dev’essere quello di commercializzare prodotti che garantiscano un minor impatto ambientale concentrandosi sul processo produttivo, sull’utilizzo di materiali ‘environmentally friendly’ e sulla gestione consona del fine vita. La Direttiva a livello europeo (emanata nel 2002) ha imposto ai Paesi la raccolta differenziata dei RAEE e ha definito anche un obiettivo di raccolta per tutti i suoi Stati Membri, ovvero 4 kg di RAEE raccolti annualmente da ogni abitante. Come riportato di seguito diversi paesi hanno raggiunto l’obiettivo sopra menzionato (l’Italia vi è riuscita nel 2010), ma esistono anche casi di paesi che devono necessariamente migliorare il proprio sistema di raccolta e gestione dei RAEE. Più precisamente in Italia la gestione dei RAEE è regolamentata dal Decreto Legislativo 151/2005 discusso approfonditamente in seguito ed entrato in funzione a partire dal 1° Gennaio 2008. Il sistema italiano è basato sulla ‘multi consortilità’, ovvero esistono diversi Sistemi Collettivi che sono responsabili della gestione dei RAEE per conto dei produttori che aderiscono ad essi. Un altro punto chiave è la responsabilità dei produttori, che si devono impegnare a realizzare prodotti durevoli e che possano essere recuperati o riciclati facilmente. I produttori sono coordinati dal Centro di Coordinamento RAEE (CDC RAEE) che applica e fa rispettare le regole in modo da rendere uniforme la gestione dei RAEE su tutto il territorio italiano. Il documento che segue sarà strutturato in quattro parti. La prima parte è relativa all’inquadramento normativo della tematica dei RAEE sia a livello europeo (con l’analisi della direttiva ROHS 2 sulle sostanze pericolose contenute nei RAEE e la Direttiva RAEE), sia a livello italiano (con un’ampia discussione sul Decreto Legislativo 151/2005 e Accordi di Programma realizzati fra i soggetti coinvolti). La seconda parte tratta invece il sistema di gestione dei RAEE descrivendo tutte le fasi principali come la raccolta, il trasporto e raggruppamento, il trattamento preliminare, lo smontaggio, il riciclaggio e il recupero, il ricondizionamento, il reimpiego e la riparazione. La terza definisce una panoramica delle principali metodologie di smaltimento dei 5 raggruppamenti di RAEE (R1, R2, R3, R4, R5). La quarta ed ultima parte riporta i risultati a livello italiano, europeo ed extra-europeo nella raccolta dei RAEE, avvalendosi dei report annuali redatti dai principali sistemi di gestione dei vari paesi considerati.