731 resultados para Tecnopolimeri radiopachi, test di radiopacità, prove accelerate


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L’olio di oliva è tra i prodotti alimentari principali della dieta mediterranea e possiede delle caratteristiche salutistiche, compositive e sensoriali peculiari. La qualità e la genuinità dell’olio di oliva vergine sono valutate sia mediante determinazioni analitiche chimiche e strumentali, sia attraverso l’analisi sensoriale. Quest’ultima, realizzata con il metodo del panel test, è tra i metodi ufficiali per la classificazione degli oli di oliva vergini nelle tre categorie commerciali extra vergine, vergine e lampante. Tuttavia, l’analisi sensoriale presenta dei limiti legati, in particolare, al numero elevato di campioni di olio da analizzare rispetto alle capacità di lavoro dei panel. Negli ultimi anni è aumentata, così, la necessità di sviluppare e validare metodi analitici strumentali che, pre-classificando gli oli in esame, siano di supporto al panel test e possano ridurre il numero di campioni da sottoporre ad analisi sensoriale. In questo elaborato di tesi sono state prese in considerazione due diverse tecniche analitiche, la gas cromatografica accoppiata alla spettrometria a mobilità ionica (HS-GC-IMS) e la flash gas cromatografia (FGC E-nose), entrambe impiegate per la valutazione della frazione volatile dell’olio di oliva, responsabile degli attributi olfattivi del prodotto. Utilizzando i risultati ottenuti applicando queste due tecniche, mediante analisi multivariata, è stato possibile stimare la categoria merceologica di ogni campione appartenente ad un set di 52 oli di oliva vergini, classificandoli con un determinato livello di probabilità. Entrambe le metodiche analitiche sono già state utilizzate e valutate in precedenti studi; con la sperimentazione effettuata nell’ambito di questa tesi è stato possibile confermare l’efficacia dei modelli di stima che possono essere impiegati con finalità di screening in supporto al panel test, nell’ottica di renderli sempre più robusti ed affidabili per la classificazione degli oli di oliva vergini.

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Background:La letteratura dimostra che nei soggetti con insufficienza cardiaca grave l'impianto del Dispositivo di Assistenza Ventricolare (VAD) migliora la sopravvivenza in attesa del trapianto cardiaco. Nei soggetti portatori di VAD si rende sempre più indicato il trattamento fisioterapico, ma esistono ancora poche evidenze circa la sua efficacia. Obiettivo:Obiettivo primario di questa Revisione Sistematica è quello di valutare, nelle persone con VAD, le prove di efficacia della fisioterapia sulla funzionalità cardio-respiratoria, l’autonomia funzionale e la qualità della vita, ma anche l’incidenza di eventi avversi. Obiettivo secondario è la definizione di un possibile protocollo fisioterapico, accompagnato da appropriati strumenti di misura, indicato nei soggetti con VAD. Metodi:Sono stati ricercati dal 1/06 al 30/09/22 nei database PubMed, Cochrane Library, Scopus e PEDro, studi clinici randomizzati e controllati che valutassero l'impatto della fisioterapia dopo impianto di VAD rispetto all’usual care, in seguito stimati nel loro rischio di bias con il Cochrane RoB2tool. La sintesi dei dati è stata effettuata in forma qualitativa. Risultati:Sono stati inclusi 4 RCT per un totale di 82 partecipanti. Negli studi il trattamento è durato fino a 12 settimane ed è consistito in allenamento aerobico e/o esercizi di rinforzo e/o fisioterapia respiratoria, con una frequenza media di 3 vv/settimana. È stato registrato un solo evento avverso legato alla fisioterapia in uno studio. I risultati hanno mostrato miglioramenti nei valori di assorbimento del picco di ossigeno, nella distanza percorsa con il 6MWT e nei punteggi della QoL, senza tuttavia differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Conclusioni:La fisioterapia dopo l'impianto di VAD migliora la capacità funzionale e la QoL. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi, preferibilmente multicentrici e con follow-up più lunghi, per valutare i reali benefici clinici della fisioterapia in tale popolazione.

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Il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’Assunzione di Cibo (ARFID) è un Disturbo della Nutrizione e dell’Alimentazione con tre possibili sottotipi, accomunati dalla persistente insoddisfazione di fabbisogni nutrizionali e/o energetici. Crescenti sono le prove di sovrapposizione con il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), per comuni difficoltà alimentari e sottostanti fattori di sensorialità e rigidità. Lo studio ha caratterizzato un campione di affetti da ARFID e da ASD in età evolutiva; i due gruppi sono stati confrontati per storia clinico-terapeutica e profili indagati ai test: BAMBI-R (Brief Autism Mealtime Behavior Inventory-Revised) per i comportamenti disfunzionali al pasto, SSP-2 (Short Sensory Profile-2) per le alterazioni della sensorialità e RBS-R (Repetitive Behavior Scale-Revised) per i comportamenti stereotipati e ristretti. Il gruppo con ARFID è stato inoltre analizzato per variabili antropometrico-nutrizionali e sottotipi clinici. I soggetti con ARFID presentavano età superiore e più frequenti tratti ansioso-fobici in comorbilità. Ai test sopracitati, gli affetti da ARFID e da ASD convergevano per numerosi aspetti; tuttavia, le difficoltà alimentari (in particolare, la selettività) prevalevano tra i primi, mentre maggiori livelli di sensibilità sensoriale e di comportamenti ristretti, stereotipati e compulsivi caratterizzavano i secondi. Tra i sottotipi clinici di ARFID, spesso co-occorrenti, prevaleva quello selettivo; i tre quadri erano perlopiù comparabili per le variabili indagate e non differivano per aspetti alimentari, comportamentali o sensoriali. In conclusione, gli affetti da ARFID e da ASD si distinguono per alcune peculiari caratteristiche ma collidono per numerose altre. Approfondire lo studio dei fattori implicati nelle difficoltà alimentari condivise, oltre che caratterizzare i fenotipi del DNA in campioni più numerosi, saranno obiettivi da perseguire per un’implementazione di interventi medico-nutrizionali sempre più specifici.

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Nell’ambito di questa Tesi è stata svolta un’analisi sperimentale delle prestazioni di una pompa di calore dual-source (DSHP). Essa è una pompa di calore a doppia sorgente in grado di scambiare potenza termica con due diversi serbatoi termici esterni: aria e terreno. Il campo sonde è composto da quattro sonde geotermiche a doppio tubo ad U, due da 60m e due da 100m, disposte in linea ed accoppiate ad una camera climatica per test su pompe di calore elettriche. Sono stati eseguiti test sul prototipo DSHP in configurazione geotermica stabilendo dei criteri per lo svolgimento delle prove, che in corso d’opera sono stati perfezionati. è stata eseguita la calibrazione dei sensori di temperatura, le termocoppie e le termoresistenze, che sono state collocate lungo il circuito idronico e in camera climatica, dove è installata la DSHP. Invece, per monitorare la temperatura del terreno viene impiegato un filo in fibra ottica inserito rispettivamente nella mandata e nel ritorno di uno dei tubi ad U delle sonde da 60m e da 100m. Si è stabilito di affidarci esclusivamente ai valori di offset che la centralina DTS, alla quale sono collegati i quattro filamenti in fibra ottica, applica di volta in volta sulle misurazioni di temperatura. È stata curata nel dettaglio una prova condotta mantenendo attive tutte le sonde del campo geotermico. Al fine di definire le prestazioni della pompa di calore, è stato eseguito il calcolo del Coefficient of Performance (COP) della macchina lungo lo svolgimento della prova, in modo da poter confrontare questo risultato con quelli ottenuti nelle differenti configurazioni analizzate in questa Tesi. I risultati contenuti in questa tesi hanno permesso di stabilire i tempi di scarica e recupero del terreno, l’entità dell’interferenza che si genera tra sonde adiacenti sottoposte ad un carico termico e di studiare il comportamento del terreno nei suoi strati più superficiali in funzione delle condizioni metereologiche esterne.

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Il presente elaborato descrive il percorso effettuato sulla macchina XTREMA, prodotta dalla divisione Life del gruppo IMA. Il progetto ha come fine il miglioramento delle prestazioni della macchina, quantificate principalmente in termini di accuratezza del prodotto dosato e di prodotti processati in un arco di tempo. Il Capitolo 1 fornisce un iniziale studio delle caratteristiche e del funzionamento della macchina, con successiva focalizzazione sul sistema di controllo peso. Con l’obiettivo di definire le prestazioni del sistema di controllo peso, nel Capitolo 2 è impostata una campagna sperimentale di test che permette di studiare lo stato attuale del sistema, identificando l’influenza dei vari parametri di funzionamento sulle perfomances, portando alla luce le criticità della macchina. Viene quindi analizzato il gruppo, individuando le cause delle problematiche e identificando su quali campi agire per incrementare velocità di funzionamento e accuratezza del sistema. All’interno del Capitolo 3 entrambi i componenti del sistema di controllo peso, discensore e gruppo di bilance, sono quindi riprogettati per risolvere le criticità rilevate. Nel Capitolo 4 viene affrontato il montaggio del prototipo in una macchina dedicata alle prove, dove viene impostata una nuova campagna di test con l’obiettivo collaudare il sistema e validarne le prestazioni. Confrontando le prove si dimostrerà che il nuovo prototipo, oltre ad aumentare il numero di flaconi pesati al minuto, permette di risolvere le problematiche del precedente sistema, consentendo di ottenere un’accuratezza del controllo peso superiore a quanto riscontrato nella campagna iniziale di prove svolta inizialmente.

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Nella tesi si analizzano le principali fonti del rumore aeronautico, lo stato dell'arte dal punto di vista normativo, tecnologico e procedurale. Si analizza lo stato dell'arte anche riguardo alla classificazione degli aeromobili, proponendo un nuovo indice prestazionale in alternativa a quello indicato dalla metodologia di certificazione (AC36-ICAO) Allo scopo di diminuire l'impatto acustico degli aeromobili in fase di atterraggio, si analizzano col programma INM i benefici di procedure CDA a 3° rispetto alle procedure tradizionali e, di seguito di procedure CDA ad angoli maggiori in termini di riduzione di lunghezza e di area delle isofoniche SEL85, SEL80 e SEL75.

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Modellazione di pannelli in muratura mediante schemi semplificati; simulazioni numeriche relative a pannelli rinforzati tramite FRP

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Introduction 1.1 Occurrence of polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in the environment Worldwide industrial and agricultural developments have released a large number of natural and synthetic hazardous compounds into the environment due to careless waste disposal, illegal waste dumping and accidental spills. As a result, there are numerous sites in the world that require cleanup of soils and groundwater. Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are one of the major groups of these contaminants (Da Silva et al., 2003). PAHs constitute a diverse class of organic compounds consisting of two or more aromatic rings with various structural configurations (Prabhu and Phale, 2003). Being a derivative of benzene, PAHs are thermodynamically stable. In addition, these chemicals tend to adhere to particle surfaces, such as soils, because of their low water solubility and strong hydrophobicity, and this results in greater persistence under natural conditions. This persistence coupled with their potential carcinogenicity makes PAHs problematic environmental contaminants (Cerniglia, 1992; Sutherland, 1992). PAHs are widely found in high concentrations at many industrial sites, particularly those associated with petroleum, gas production and wood preserving industries (Wilson and Jones, 1993). 1.2 Remediation technologies Conventional techniques used for the remediation of soil polluted with organic contaminants include excavation of the contaminated soil and disposal to a landfill or capping - containment - of the contaminated areas of a site. These methods have some drawbacks. The first method simply moves the contamination elsewhere and may create significant risks in the excavation, handling and transport of hazardous material. Additionally, it is very difficult and increasingly expensive to find new landfill sites for the final disposal of the material. The cap and containment method is only an interim solution since the contamination remains on site, requiring monitoring and maintenance of the isolation barriers long into the future, with all the associated costs and potential liability. A better approach than these traditional methods is to completely destroy the pollutants, if possible, or transform them into harmless substances. Some technologies that have been used are high-temperature incineration and various types of chemical decomposition (for example, base-catalyzed dechlorination, UV oxidation). However, these methods have significant disadvantages, principally their technological complexity, high cost , and the lack of public acceptance. Bioremediation, on the contrast, is a promising option for the complete removal and destruction of contaminants. 1.3 Bioremediation of PAH contaminated soil & groundwater Bioremediation is the use of living organisms, primarily microorganisms, to degrade or detoxify hazardous wastes into harmless substances such as carbon dioxide, water and cell biomass Most PAHs are biodegradable unter natural conditions (Da Silva et al., 2003; Meysami and Baheri, 2003) and bioremediation for cleanup of PAH wastes has been extensively studied at both laboratory and commercial levels- It has been implemented at a number of contaminated sites, including the cleanup of the Exxon Valdez oil spill in Prince William Sound, Alaska in 1989, the Mega Borg spill off the Texas coast in 1990 and the Burgan Oil Field, Kuwait in 1994 (Purwaningsih, 2002). Different strategies for PAH bioremediation, such as in situ , ex situ or on site bioremediation were developed in recent years. In situ bioremediation is a technique that is applied to soil and groundwater at the site without removing the contaminated soil or groundwater, based on the provision of optimum conditions for microbiological contaminant breakdown.. Ex situ bioremediation of PAHs, on the other hand, is a technique applied to soil and groundwater which has been removed from the site via excavation (soil) or pumping (water). Hazardous contaminants are converted in controlled bioreactors into harmless compounds in an efficient manner. 1.4 Bioavailability of PAH in the subsurface Frequently, PAH contamination in the environment is occurs as contaminants that are sorbed onto soilparticles rather than in phase (NAPL, non aqueous phase liquids). It is known that the biodegradation rate of most PAHs sorbed onto soil is far lower than rates measured in solution cultures of microorganisms with pure solid pollutants (Alexander and Scow, 1989; Hamaker, 1972). It is generally believed that only that fraction of PAHs dissolved in the solution can be metabolized by microorganisms in soil. The amount of contaminant that can be readily taken up and degraded by microorganisms is defined as bioavailability (Bosma et al., 1997; Maier, 2000). Two phenomena have been suggested to cause the low bioavailability of PAHs in soil (Danielsson, 2000). The first one is strong adsorption of the contaminants to the soil constituents which then leads to very slow release rates of contaminants to the aqueous phase. Sorption is often well correlated with soil organic matter content (Means, 1980) and significantly reduces biodegradation (Manilal and Alexander, 1991). The second phenomenon is slow mass transfer of pollutants, such as pore diffusion in the soil aggregates or diffusion in the organic matter in the soil. The complex set of these physical, chemical and biological processes is schematically illustrated in Figure 1. As shown in Figure 1, biodegradation processes are taking place in the soil solution while diffusion processes occur in the narrow pores in and between soil aggregates (Danielsson, 2000). Seemingly contradictory studies can be found in the literature that indicate the rate and final extent of metabolism may be either lower or higher for sorbed PAHs by soil than those for pure PAHs (Van Loosdrecht et al., 1990). These contrasting results demonstrate that the bioavailability of organic contaminants sorbed onto soil is far from being well understood. Besides bioavailability, there are several other factors influencing the rate and extent of biodegradation of PAHs in soil including microbial population characteristics, physical and chemical properties of PAHs and environmental factors (temperature, moisture, pH, degree of contamination). Figure 1: Schematic diagram showing possible rate-limiting processes during bioremediation of hydrophobic organic contaminants in a contaminated soil-water system (not to scale) (Danielsson, 2000). 1.5 Increasing the bioavailability of PAH in soil Attempts to improve the biodegradation of PAHs in soil by increasing their bioavailability include the use of surfactants , solvents or solubility enhancers.. However, introduction of synthetic surfactant may result in the addition of one more pollutant. (Wang and Brusseau, 1993).A study conducted by Mulder et al. showed that the introduction of hydropropyl-ß-cyclodextrin (HPCD), a well-known PAH solubility enhancer, significantly increased the solubilization of PAHs although it did not improve the biodegradation rate of PAHs (Mulder et al., 1998), indicating that further research is required in order to develop a feasible and efficient remediation method. Enhancing the extent of PAHs mass transfer from the soil phase to the liquid might prove an efficient and environmentally low-risk alternative way of addressing the problem of slow PAH biodegradation in soil.

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La presente tesi analizza il comportamento differito in una prova di flessione su quattro punti su una trave prefabbricata con getto di soletta integrativa in opera. Sono riportati i risultati della prova di carico e di rottura sulla trave. Le prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Prove Strutture (DISTART) dell'Università di Bologna. La trave è composta di due tipi di calcestreuzzo, realizzati in tempi diversi e con proprietà meccaniche diverse. L'obiettivo della campagna sperimentale è studiare l'effetto delle fasi di costruzione sull'evoluzione delle tensioni e delle deformazioni nel tempo e sulla resistenza ultima della trave. Il comportamento sperimentale è stato confrontato con i risultati numerici ottenuti con un modello a fibre in grado di cogliere anche i fenomeni legati al creep.

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The effect of process parameters on the creep-fatigue behavior of a hot-work tool steel for aluminum extrusion die was investigated through a technological test in which the specimen geometry resembled the mandrel of a hollow extrusion die. Tests were performed on a Gleeble thermomechanical simulator by heating the specimen using joule’s effect and by applying cyclic loading up to 6.30 h or till specimen failure. Displacements during the tests at 380, 490, 540 and 580°C and under the average stresses of 400, 600 and 800 MPa were determined. In the first set of test a dwell time of 3 min was introduced during each of the tests to understand the creep behavior. The results showed that the test could indeed physically simulate the cyclic loading on the hollow die during extrusion and reveal all the mechanisms of creep-fatigue interaction. In the second set a pure fatigue laod were induced and in the third set a static creep load were induced in the specimens. Furher type of tests, finite element and microstructural analysis were presented.