456 resultados para BREF, MiniBREF, Impianti termoelettrici, Indici di inquinamento, concentrazione inquinanti


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Al giorno d’oggi, l’inquinamento costituisce una delle principali problematiche che l’uomo e il pianeta si trovano ad affrontare. Questo progetto di tesi si pone come obiettivo quello di coinvolgere le persone nella raccolta di dati sull'inquinamento acustico e luminoso attraverso un'app Android, realizzata sfruttando strategie e metodologie quali crowdsourcing, crowdsensing, citizen science e gamification. Il volume di tesi descrive quindi il contesto in cui si è svolto questo progetto, le tecnologie utilizzate e l'implementazione finale. In particolare, nel primo capitolo viene descritto il contesto generale con un approfondimento sul fenomeno dell'inquinamento, trattando in dettaglio quello sonoro e luminoso. Inoltre, il capitolo approfondisce i concetti di crowdsourcing, crowdsensing, citizen science e gamification. Nel secondo capitolo, invece, vengono illustrate le tecnologie utilizzate sia nel client, cioè l'applicazione Android con le sue funzionalità, sia nel server, che comprende l'uso di Flask e di un database PostgreSQL, oltre a delle API di tipo REST. Il terzo e ultimo capitolo verte sull'implementazione dell'applicazione, con dei focus sulle principali scelte adottate.

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Nel presente elaborato è stata studiata la capacità biodegradativa di cinque differenti set di colture microbiche miste in anaerobiosi, rispetto all’acido perfluoroottanoico (PFOA). Quest’ultimo è un contaminante riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale come persistente, tossico, bioaccumulante e ubiquitario, tipicamente trasportato nell’ecosistema acquatico. Le colture studiate sono state realizzate in microcosmi di acqua di falda, a partire da colture ottenute in uno studio di biodegradazione precedente, condotto su acque di falda contaminate da sostanze perfluoroalchiliche (PFASs), arricchendole in PFOA a una concentrazione di 50 mg/L in presenza di diversi accettori finali di elettroni (Fe(III), NO3— e SO42-) e donatori di elettroni (H2, NH4+, CH3-CHOH-COO- e CH3COO-) La prova sperimentale ha evidenziato una crescita microbica in alcune delle condizioni realizzate (NO3—-riduzione con ossidazione di CH3COO-, Fe(III)-riduzione con ossidazione di NH4+, SO42—-riduzione con ossidazione di CH3-CHOH-COO-). Sebbene sia stato osservato un consumo di metaboliti talvolta notevole nelle suddette condizioni, non è stata riscontrata una rimozione significativa dell’acido perfluoroottanoico ad esso correlata.

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Il lavoro svolto, inizialmente, si proponeva di ricercare e approfondire gli strumenti fondamentali per il funzionamento di una sala prova, con l’obbiettivo di riunire in un unico elaborato informazioni sia sulla teoria che sul dimensionamento. A tal fine, sono stati presi in esame il ventilatore cella, l’aspiratore dei gas di scarico, l’unità di trattamento aria, la torre di raffreddamento e gli scambiatori di calore. Successivamente, l’attività di tesi si è focalizzata sulla creazione di un modello tramite Microsoft Excel che, in base ai dati di partenza selezionati, restituisse un dimensionamento delle componenti precedentemente analizzate. Questo modello è stato poi impiegato durante l’allestimento di una nuova sala di prova presso l’azienda AlmaAutomotive. La scelta delle condizioni di esercizio è stata fatta sulla base delle specifiche richieste dell’azienda. I risultati ottenuti dal modello sono stati quindi confrontati con i dati di dimensionamento presenti su preventivi richiesti ad aziende terze e con i dati di targa di apparecchiature montate su celle, analoghe a quella in realizzazione, presenti in azienda. Questo confronto, nei casi esaminati, ha evidenziato una buona correlazione. È stato inoltre creato un modello Simscape che rappresentasse il funzionamento dei due scambiatori (liquido motore e olio motore) in condizione stazionaria a regime. I risultati ottenuti dal modello sono stati paragonati con i dati ottenuti dalle formule teoriche (utilizzando Matlab): il confronto ha evidenziato che il modello Simscape è stato strutturato e definito correttamente.

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L’inquinamento olfattivo, negli ultimi anni, ha acquisito rilevanza a livello istituzionale e varie Regioni italiane hanno adottato Regolamenti e Linee Guida in materia. Queste, individuano gli studi di impatto olfattivo come strumenti per valutare la necessità di interventi correttivi, a seguito di simulazioni effettuate con modelli di dispersione atmosferica. In studi di primo livello uno dei modelli utilizzabili è quello gaussiano, con cui vengono ricercate le concentrazioni di inquinante massime possibili nelle situazioni di simulazione considerate, a scopo di screening. In questo elaborato gli output di queste simulazioni saranno confrontati e correlati con quelli ottenuti da un modello di dispersione non stazionario di tipo lagrangiano a particelle, utilizzato invece negli studi di impatto olfattivo di secondo livello. Le variabili studiate sono state la concentrazione odorigena di picco, confrontata con il 98° percentile delle concentrazioni di picco orario su base annua, e la relativa distanza dalla sorgente. Il setting sperimentale presume una singola sorgente puntiforme, di cui è stata variata l’altezza della ciminiera. Per tutte le altezze emissive considerate, ogni run di simulazione è stato effettuato con entrambi i modelli. Le operazioni di regressione eseguite sugli output così ottenuti, hanno evidenziato delle buone funzioni di correlazione per entrambe le variabili considerate, valutate attraverso il parametro R2. Questo permette un’analisi di impatto olfattivo di primo livello molto più accurata, poiché, utilizzando all’atto pratico un modello di tipo gaussiano, si possono stimare da esso i risultati che si sarebbero ottenuti con l’applicazione di quello lagrangiano, più complesso e in linea con quanto richiesto dalla normativa. Si ottengono, quindi, valutazioni di impatto più aderenti al territorio analizzato senza, tuttavia, la necessità di utenti con competenze tecniche specifiche e di strumenti informatici con potenze di calcolo molto elevate.

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La tesi si propone di fornire un’analisi degli impianti fotovoltaici in bassa tensione sia dal punto di vista progettuale che economico e analizzare il recente schema di autoconsumo collettivo. La tesi prevede l’analisi di tre progetti differenti. Il primo riguarda la progettazione di un impianto residenziale di piccola taglia che si trova ad affrontare le problematiche causate dagli ombreggiamenti generati dai camini, comportando l’utilizzo di ottimizzatori. Viene discussa la pratica di connessione in iter semplificato e viene effettuata un’analisi economica riguardante la convenienza dell’installazione dell’impianto, della convenienza del sistema di accumulo e degli ottimizzatori in tre scenari di costo dell’energia differenti. Il secondo riguarda la progettazione di un impianto residenziale di piccola taglia con ridotto ombreggiamento. Viene discussa la pratica di connessione in iter ordinario e viene effettuata un’analisi economica riguardante la convenienza dell’installazione dell’impianto e della convenienza del sistema di accumulo suddividendo i consumi dell’utente nelle fasce di consumo e considerando una tariffa bioraria. L’ultimo progetto riguarda un impianto condominiale nello schema di autoconsumo collettivo. Vengono discussi i risultati della progettazione eseguita con il software SOLergo e in particolare viene mostrato il calcolo del carico vento secondo la normativa NTC 2018 e viene effettuata la verifica a ribaltamento per controllare la stabilità del sistema. Successivamente viene effettuata un’analisi dettagliata degli ombreggiamenti su PVsyst attraverso la realizzazione tridimensionale del condominio. Viene poi analizzato lo schema dell’autoconsumo collettivo per poi effettuare un’analisi economica complessiva con l’obiettivo di analizzare l’influenza degli incentivi presenti, in particolare per l’autoconsumo collettivo e valutare se l’installazione del sistema di accumulo risulti conveniente per i condomini.

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Oggi si sta assistendo sempre più ad un consumo maggiore di energia, proveniente soprattutto da fonti fossili. Tuttavia, occorre evidenziare l’aspetto negativo correlato a tutto questo: l’incremento del rilascio di gas ad effetto serra, responsabili del fenomeno del surriscaldamento globale. La Carbon Capture, Utilisation and Storage (CCUS) è stata riconosciuta come tecnologia strategica per raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni entro il 2050. Lo scopo della tesi è effettuare la valutazione delle conseguenze dei rilasci accidentali di CO2 dagli impianti di cattura, esprimendole in termini di distanze di danno per l’uomo e per le apparecchiature. Dopo il Capitolo 1, dal carattere introduttivo e in cui si spiega il perché si renda necessaria la cattura della CO2, il Capitolo 2 fornisce i valori di pericolosità della CO2 relativi agli effetti tossici e termici, in termini di concentrazioni e temperature soglia; inoltre, illustra i codici DNV PHAST, NIST FDS e Ansys FLUENT, utilizzati per effettuare la valutazione delle conseguenze. A seguire, il Capitolo 3 presenta un impianto di cattura della CO2 assunto come caso di studio, fornendo la descrizione del funzionamento dell’impianto e riportandone i documenti principali, quali il PFD e la mappa del layout. Inoltre, vengono individuati gli scenari di rilascio e sono specificate le condizioni ambientali considerate ai fini della modellazione della dispersione. Il Capitolo 4 riporta i risultati ottenuti dalle simulazioni effettuate con i software di modellazione illustrati nel Capitolo 2, effettuando un’analisi comparativa delle distanze di danno, corredata di un’ampia discussione. Il Capitolo 5, infine, riporta le considerazioni conclusive del lavoro di tesi e delinea alcuni possibili sviluppi futuri delle indagini.

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La domanda energetica mondiale è cresciuta significativamente negli ultimi decenni e la maggior parte dell’energia attualmente prodotta deriva da combustibili fossili. Una delle sfide attuali è quella di ridurre le emissioni di gas serra generate dalla produzione di energia tramite risorse non rinnovabili. A tal riguardo, la ricerca di nuovi vettori energetici e lo sviluppo di nuovi processi per la produzione di energia da risorse rinnovabili costituiscono alcuni tra gli elementi necessari per raggiungere tale obiettivo. L’idrogeno, allo stato attuale, è considerato uno dei vettori energetici più promettenti; tuttavia presenta degli svantaggi a causa delle sue caratteristiche chimico-fisiche. Infatti esso presenta un ampio campo di infiammabilità, una bassa energia di ignizione, delle dimensioni molecolari piccole al punto da renderne complesso il contenimento; inoltre, la bassa densità del fluido causa dei problemi per quanto riguarda lo stoccaggio ed il trasporto. In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi, che è stato sviluppato durante un tirocinio svolto presso una società di ingegneria operante nel settore “Oil&gas”. Lo scopo di questo elaborato è quello di valutare la possibilità di convertire una condotta attualmente impiegata per il trasporto di gas naturale a idrogenodotto e studiare la fattibilità della produzione e dello stoccaggio di idrogeno ai fini dell’alimentazione a un turbogeneratore per la produzione di energia elettrica. Dopo il Capitolo 1 avente carattere introduttivo, nel Capitolo 2 viene analizzata la possibilità di convertire a idrogenodotto una condotta attualmente impiegata per il trasporto di gas naturale. Nel Capitolo 3 viene valutata la fattibilità dell’acquisto e stoccaggio o dell’autoproduzione e stoccaggio di idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua, ai fini dell’alimentazione a un turbogeneratore. Infine, nel Capitolo 4 vengono riportate le conclusioni delle analisi effettuate.

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Tra i temi di attualità, quello del risparmio energetico è tra i più dibattuti negli ultimi anni; tale tema è strettamente correlato al problema del riscaldamento globale, infatti, mentre sul prossimo esaurimento delle risorse energetiche tradizionali non vi sono ancora certezze assolute, per quanto riguarda l’azione nociva dei gas serra, la Comunità Scientifica Internazionale si ritrova d’accordo su una netta presa di posizione contro l’emissione di tali sostanze, provocata in larga parte dall’utilizzo dei combustibili fossili. In questo contesto, l’Unione Europea sta promuovendo la diffusione di tecnologie che non prevedano l’utilizzo di gas, petrolio o carbone, soprattutto per il settore dell’edilizia, ove una corretta progettazione e l’utilizzo di tecnologie non convenzionali può portare alla riduzione anche dell’80% dei consumi, con conseguente abbattimento delle emissioni. Tra questi interventi innovativi, il più comune e conosciuto è sicuramente quello del solare termico e fotovoltaico; ma ne esistono anche di altri, ancora non molto pubblicizzati in Italia, ma ampiamente conosciuti e utilizzati in altri paesi dell’Unione. Tra questi, vi è il sistema di riscaldamento analizzato in questa tesi: la pompa di calore geotermica. Tale sistema, come verrà spiegato nell’elaborato di laurea, ha indubbi vantaggi economici, energetici ed ambientali, a fronte di una non trascurabile spesa iniziale. Attualmente, nel Nord Italia, si incominciano a vedere impianti di questo tipo, sulla scia del successo riscontrato nei paesi confinanti (in particolare Austria e Svizzera). La progettazione si basa attualmente su modelli statici, sviluppati dall’Università Svizzera del Canton Ticino, per l’utilizzo della pompa di calore nel territorio alpino. Obiettivo della tesi, è la verifica di tali modelli, di cui si è venuto a conoscenza grazie alla collaborazione con l’Università SUPSI, sulle condizioni idrogeologiche della Pianura Padana, soffermandosi su alcuni parametri fondamentali della progettazione di una pompa di calore geotermica, quali la conduttività e la capacità termica volumetrica dei terreni incontrati, la presenza di falde, ed i parametri geometrici del pozzo, al fine di dare una valutazione tecnica ed economica dell’impianto. Tali analisi è stata infatti fino ad ora affrontata in maniera sommaria dai perforatori, che eseguono generalmente sempre lo stesso modello di pozzo geotermico, sulla base degli esempi consolidati di Svizzera e Germania. Alcune misure di temperatura in situ sono state rilevate in collaborazione con la società Geotermia SRL di Mantova, ditta specializzata nella perforazione di pozzi geotermici (tale esperienza è parte centrale dell’estratto “Laboratorio di Tesi Ls”), mentre la parte modellistica della tesi è stata sviluppata in collaborazione con lo studio di progettazione Studio Seta SRL di Faenza, il cui stabile è climatizzato in parte con una pompa di calore geotermica.

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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.

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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.

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Nella tesi si analizzano le principali fonti del rumore aeronautico, lo stato dell'arte dal punto di vista normativo, tecnologico e procedurale. Si analizza lo stato dell'arte anche riguardo alla classificazione degli aeromobili, proponendo un nuovo indice prestazionale in alternativa a quello indicato dalla metodologia di certificazione (AC36-ICAO) Allo scopo di diminuire l'impatto acustico degli aeromobili in fase di atterraggio, si analizzano col programma INM i benefici di procedure CDA a 3° rispetto alle procedure tradizionali e, di seguito di procedure CDA ad angoli maggiori in termini di riduzione di lunghezza e di area delle isofoniche SEL85, SEL80 e SEL75.

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Oltre un miliardo di persone non ha oggi accesso all’acqua potabile; più di due miliardi è il numero di coloro che vivono in condizioni igienico-sanitarie realmente proibitive. Sono 80 i paesi nel mondo (con il 40% della popolazione totale) in cui si riscontra difficoltà di approvvigionamento e presenza di risorse idriche che mancano dei requisiti che dovrebbero essere assicurati per la tutela della salute: quotidianamente e sistematicamente il diritto di accesso all’acqua, che nessun individuo dovrebbe vedersi negato, viene violato. Scarsità di acqua e non omogenea distribuzione sulla superficie terrestre sono fattori che concorrono alla crisi della risorsa, cui contribuiscono processsi di natura ambientale (cambiamenti climatici, desertificazione), di natura economica (le sorti dell’industria agroalimentare, la globalizzazione degli scambi, il bisogno crescente di energia), di natura sociale (migrazioni, urbanizzazione, crescita demografica, epidemie), di natura culturale (passaggio dal rurale all’urbano, dall’agricoltura di sussistenza a quella di profitto). Nell’ottica di uno sviluppo sostenibile un aumento indiscriminato dell’offerta non può costituire soluzione al continuo incremento della domanda di acqua. Si rende pertanto necessaria la definizione di politiche e strumenti di cambiamento nei modelli di consumo e nella pianificazione che consentano una riduzione degli squilibri nella distribuzione e nella gestione della risorsa a livello domestico e civile, industriale, agricolo. L’uso efficiente, e quindi sostenibile, dell’acqua è da perseguirsi secondo le modalità: • Risparmio, inteso come minore consumo di acqua all’inizio del ciclo. • Riciclo dell’acqua in circuito chiuso, inteso come riuso dell’acqua di scarico, o uso multiplo dell’acqua. Una idonea utilizzazione dipende da una idonea progettazione, che abbia come finalità: • La destinazione in via prioritaria delle fonti e delle risorse di più elevata qualità agli usi idropotabili, con una graduale sostituzione del consumo per altri usi con risorse di minore pregio. • La regolamentazione dell’uso delle acque sotterranee, mediante la limitazione del ricorso all’impiego di pozzi solo in mancanza di forniture alternative per uso civile, industriale, agricolo. • L’incentivazione ad un uso razionale della risorsa, anche mediante l’attuazione di idonee politiche tariffarie. • L’aumento dell’efficienza delle reti di adduzione e distribuzione, sia civili che irrigue. • La promozione di uso efficiente, riciclo e recupero di acqua nell’industria. • Il miglioramento dell’efficienza ed efficacia delle tecniche di irrigazione. • La promozione del riutilizzo delle acque nei vari settori. • La diffusione nella pratica domestica di apparati e tecnologie progettati per la riduzione degli sprechi e dei consumi di acqua. In ambito agricolo la necessità di un uso parsimonioso della risorsa impone il miglioramento dell’efficienza irrigua, pari appena al 40%. La regione Emilia Romagna a livello locale, Israele a livello internazionale, forniscono ottimi esempi in termini di efficacia dei sistemi di trasporto e di distribuzione, di buona manutenzione delle strutture. Possibili soluzioni verso le quali orientare la ricerca a livello mondiale per arginare la progressiva riduzione delle riserve idriche sono: • Revisione dei costi idrici. • Recupero delle riserve idriche. • Raccolta dell’acqua piovana. • Miglioramento degli impianti di distribuzione idrica. • Scelta di metodi di coltivazione idonei alle caratteristiche locali. • Scelta di colture a basso fabbisogno idrico. • Conservazione della risorsa attraverso un sistema di irrigazione efficiente. • Opere di desalinizzazione. • Trasferimento idrico su vasta scala da un’area all’altra. Si tratta di tecniche la cui attuazione può incrementare la disponibilità media pro capite di acqua, in particolare di coloro i quali non ne posseggono in quantità sufficiente per bere o sono privi di sistemi igienico-sanitari sufficienti.