70 resultados para terapia, antalgica, oncologia, stimolazione, elettrica
Resumo:
Lo studio ha posto l'attenzione sul rapporto costo-efficacia tra le metodiche più utilizzate per la rimozione di carcinomi basocellulari: l'asportazione chirurgica e la terapia fotodinamica. Dai dati si evince che la rimozione chirurgica è la metodica più efficace per la minore frequenza di recidive (4.7%) rispetto alla terapia fotodinamica (6%). Questo dato è valido unicamente per i carcinomi superficiali; per i carcinomi nodulari la frequenza di recidiva con la terapia fotodinamica risulta essere più elevata (35%). La chirurgia è una metodica più costosa rispetto alla fotodinamica. La variabile dolore risulta essere minore per la chirurgia rispetto alla fotodinamica. Il risultato estetico invece è migliore per la fotodinamica rispetto alla terapia chirurgica. I costi invece sono più elevati per la terapia chirurgica. Rimane un'ultima considerazione: la terapia fotodinamica richiede talvolta un nuovo intervento a distanza di mesi o anni e pertanto questa scelta comporta costi aggiuntivi.
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Nel presente progetto di ricerca, da novembre 2011 a novembre 2013 , sono stati trattati chirurgicamente, con l’assistenza del navigatore , pazienti con tumori ossei primitivi degli arti, del bacino e del sacro, analizzando i risultati degli esami istologici dei margini di resezione del tumore e i risultati clinici e radiografici. Materiali e metodi : Abbiamo analizzato 16 pazienti 9 maschi e 7 femmine , con un'età media di 31 anni (range 12-55 ). Di tutti i pazienti valutati 8 avevano una localizzazione agli arti inferiori , 4 al bacino e 4 all'osso sacro . Solo quelli con osteosarcoma parostale , Cordoma e Condrosarcoma non sono stati sottoposti a terapia antiblastica . Solo un paziente è stato sottoposto a radioterapia postoperatoria per una recidiva locale . Tutti gli altri pazienti non sono stati trattati con la radioterapia per l’ adeguatezza dei margini di resezione . Non ci sono state complicanze intraoperatorie . Nel periodo postoperatorio abbiamo osservato una vescica neurologica , una paresi sciatica, due casi di infezione di cui una superficiale e una profonda, tutti e quattro i pazienti con sarcoma sacrale sviluppati hanno avuto ritardato della guarigione della ferita e di questi tre hanno avuto incontinenza sfinterica. In tutti i casi si è ottenuta una eccellente risultato clinico e radiografico , con soddisfazione del paziente , corretto contatto tra l'osteotomia e l'impianto che apparivano stabili ai primi controlli ambulatoriali ( FU 19 mesi). Risultati: La chirurgia assistita da calcolatore ha permesso di migliorare l’esecuzione delle resezioni ossee prevista dal navigatore. Questa tecnologia è valida e utile per la cure dei tumori dell’apparato scheletrico, soprattutto nelle sedi anatomiche più complesse da trattare come la pelvi, il sacro e nelle resezioni intercalari difficoltose nell’ottenere un margine di resezione ampio e quindi di salvare l’articolazione e l’arto stesso.
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Il trattamento dell’osteoartrosi (OA) del cane è una sfida nella pratica clinica veterinaria. Molti trattamenti sono stati proposti, tuttavia la risposta clinica agli stessi non è sempre soddisfacente. Molti farmaci sono utilizzati per il trattamento dell’OA, tra cui farmaci anti-infiammatori non steroidei, corticosteroidi, ed inibitori della produzione dell’ossido nitrico. Lo stanozololo è un derivato sintetico del testosterone; oltre alle sue proprietà anaboliche/androgeniche , a basse dosi lo stanozololo ha un affinità per i recettori glucocorticoidi. Per questa attività antinfiammatoria e rigenerativa sui tessuti articolari danneggiati viene utilizzato nella degenerative joint desease del cavallo. Lo scopo di questo studio è stato di valutare l’efficacia clinica dello stanozololo intra-articolare a 15, 30, 45 e 60 giorni dal trattamento di gomiti con OA di cane. E’ stato eseguito uno studio cieco, multicentrico e randomizzato. Previo consenso informato, sono stati arruolati 48 cani, suddivisi in 3 gruppi e trattati con stanozololo, mavacoxib e con entrambi i farmaci. Sono state valutate zoppia, tollerabilità del trattamento, range of motion, e punteggio radiografico. Inoltre sono state stabilite e annoverate quantità e qualità del liquido sinoviale. Ai dati ottenuti sono stati applicati i test di Kruskal-Wallis, Chi-quadro e Fischer, i quali hanno dimostrato l’efficacia della terapia nei singoli gruppi e tra i diversi gruppi di studio. I risultati ottenuti hanno mostrato la riduzione di almeno un grado di zoppia e la riduzione della progressione dell’OA nei casi trattati con stanozololo. Si può quindi affermare che tale molecola per via intra-articolare può essere una valida alternativa per il trattamento dell’OA di gomito nel cane.
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Nella presente tesi indaghiamo la potenzialità di LCM e Reverse Phase Protein microarray negli studi clinici. Si analizza la possibilità di creare una bio banca con line cellular primarie, al fine di conseguire drug test di sensibilità prima di decidere il trattamento da somministrare ai singoli pazienti. Sono stati ottenuti profili proteomici da biopsie pre e post terapia. I risultati dimostrano che questa piattaforma mostra il meccanismo di resistenza acquisito durante la terapia biologica. Questo ci ha portato ad analizzare una possibile stratificazione per pazienti con mCRC . I dati hanno rivelato distinti pathway di attivazione tra metastasi resecabile e non resecabili. I risultati mostrano inoltre due potenziali bersagli farmacologici. Ma la valutazione dell'intero tumore tramite singole biopsie sembra essere un problema a causa dell’eterogeneità intratumorale a livello genomico. Abbiamo indagato questo problema a livello dell'architettura del segnale in campioni di mCRC e ccRCC . I risultati indicano una somiglianza complessiva nei profili proteomici all'interno dello stesso tumore. Considerando che una singola biopsia è rappresentativa di un intera lesione , abbiamo studiato la possibilità di creare linee di cellule primarie, per valutare il profilo molecolare di ogni paziente. Fino ad oggi non c'era un protocollo per creare linee cellulari immortalizzate senza alcuna variazione genetica . abbiamo cosiderato, però, l'approccio innovativo delle CRCs. Ad oggi , non è ancora chiaro se tali cellule mimino il profilo dei tessuti oppure I passaggi in vitro modifichino i loro pathways . Sulla base di un modello di topo , i nostri dati mostrano un profilo di proteomica simile tra le linee di cellule e tessuti di topo LCM. In conclusione, i nostri dati dimostrano l'utilità della piattaforma LCM / RPPA nella sperimentazione clinica e la possibilità di creare una bio - banca di linee cellulari primarie, per migliorare la decisione del trattamento.
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Introduzione:l’interferone (IFN) usato per l’eradicazione del virus dell’Epatite C, induce effetti collaterali anche riferibili alla sfera psichica. I dati sugli eventi avversi di tipo psichiatrico dei nuovi farmaci antivirali (DAA) sono limitati. Lo scopo di questo studio è di valutare lo sviluppo di effetti collaterali di tipo psichiatrico in corso di due distinti schemi di trattamento: IFN-peghilato e ribavirina [terapia duplice (standard o SOC)]; DAA in associazione a IFN-peghilato e ribavirina (terapia triplice). Metodi: pazienti HCV+ consecutivi seguiti presso l’Ambulatorio delle Epatiti Croniche della Semeiotica Medica del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna in procinto di intraprendere un trattamento antivirale a base di IFN, sottoposti ad esame psicodiagnostico composto da intervista clinica semistrutturata e test autosomministrati: BDI, STAXI-2, Hamilton Anxiety Scale, MMPI – 2. Risultati: Sono stati arruolati 84 pazienti, 57/84 (67.9%) nel gruppo in triplice e 27/84 nel gruppo SOC. Quasi tutti i pazienti arruolati hanno eseguito l’intervista clinica iniziale (82/84; 97.6%), mentre scarsa è stata l’aderenza ai test (valori missing>50%). Ad eccezione dell’ansia, la prevalenza di tutti gli altri disturbi (irritabilità, astenia, disfunzioni neurocognitive, dissonnia) aumentava in corso di trattamento. In corso di terapia antivirale 43/84 (51.2%) hanno avuto bisogno di usufruire del servizio di consulenza psichiatrica e 48/84 (57.1%) hanno ricevuto una psicofarmacoterapia di supporto, senza differenze significative fra i due gruppi di trattamento. Conclusioni : uno degli elementi più salienti dello studio è stata la scarsa aderenza ai test psicodiagnostici, nonostante l’elevata prevalenza di sintomi psichiatrici. I risultati di questo studio oltre ad evidenziare l’importanza dei sintomi psichiatrici in corso di trattamento e la rilevanza della consulenza psicologica e psichiatrica per consentire di portare a termine il ciclo terapeutico previsto (migliorandone l’efficacia), ha anche dimostrato che occorre ripensare gli strumenti diagnostici adattandoli probabilmente a questo specifico target.
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L’osso è un tessuto target per estrogeni ed androgeni ma l’azione singola e la sinergia tra i due non sono compresi interamente. Le donne affette da Sindrome da Insensititvità Completa agli Androgeni (CAIS) hanno un cariotipo 46XY ma presentano una completa inattività del recettore degli androgeni. Nello studio abbiamo valutato la densità minerale ossea (BMD) in un gruppo di donne adulte CAIS sottoposte a gonadectomia al momento della prima visita e dopo almeno 12 mesi di terapia estrogenica. Il principale obiettivo è stato di valutare se, nelle donne CAIS, una ottimale estrogenizzazione fosse sufficiente a mantenere/ripristinare una adeguata BMD. 24 donne CAIS sono state sottoposte a DXA lombare e femorale all'arruolamento nello studio (t1), dopo terapia estrogenica di 12mesi(t2) e oltre (t>2). Sono state valutate: BMD(g/cm2) e Zscore lombare e femorale (a t1,t2 e t>2) E’ stato considerato se fossero rilevanti l’essere (gruppo1) o meno (gruppo 2) in terapia ormonale al t1 e l’età della gonadectomia. Risultati: Al t1 BMD e Zscore lombari e femorale erano significativamente ridotti rispetto alla popolazione controllo nel campione totale (lombare 0,900+0,12; -1,976+0,07, femorale 0,831 + 0,14; -1,385+0,98), nel gruppo 1 (lombare 0,918+0,116;-1,924+0,79, femorale 0,824+0,13;-1,40+1,00) e nel gruppo 2 (lombare 0.845+0,11 -2,13+1,15, femorale 0,857+0,17;-1,348+1,05) Al t2 e t>2 la BMD lombare è risultata significativamente aumentata (p=0,05 e p=0,02). Zscore lombare, BMD e Zscore femorale non hanno dimostrato variazioni significative. L’aver effettuato la gonadectomia in età post puberale è associato a Zscore lombare e femorale più elevati al t1. Nelle donne CAIS la terapia estrogenica è indispensabile per prevenire un'ulteriore perdita di BMD ma, da sola, non sembra in grado di ripristinare normali valori di BMD.I risultati del nostro studio supportano la tesi che gli androgeni, mediante l’azione recettoriale, abbiano un' azione diretta nel raggiungere e mantenere la BMD.
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L’osteomielite associata all’impianto è un processo infettivo a carico del tessuto osseo spesso accompagnato dalla distruzione dell’osso stesso. La patogenesi delle osteomieliti associate all’impianto si basa su due concetti fondamentali: l’internalizzazione del patogeno all’interno degli osteoblasti e la capacità dei batteri di formare il biofilm. Entrambi i meccanismi consentono infatti di prevenire l’eliminazione del batterio da parte delle difese immunitarie dell’ospite e di ostacolare l’azione della maggior parte degli antibiotici (che non penetrano e non agiscono pertanto su microrganismi intracellulari), così sostenendo ed alimentando l’infezione. Il saggio di invasione messo a punto su micropiastra ha consentito di investigare in modo approfondito e dettagliato il ruolo ed il peso dell’internalizzazione nella patogenesi delle infezioni ortopediche peri-protesiche causate da S. aureus, S. epidermidis, S. lugdunensis ed E. faecalis. Lo studio ha evidenziato che l’invasione delle cellule MG-63 non rappresenta un meccanismo patogenetico delle infezioni ortopediche associate all’impianto causate da S. epidermidis, S. lugdunensis ed E. faecalis; al contrario, in S. aureus la spiccata capacità invasiva rappresenta un’abile strategia patogenetica che consente al patogeno di sfuggire alla terapia sistemica e alla risposta immunitaria dell’ospite. È stato studiato inoltre il ruolo dell’immunità innata nella difesa contro il biofilm batterico. In seguito all’incubazione del biofilm opsonizzato di S. epidermidis con i PMN è stato possibile osservare la formazione delle NETs. Le NETs rappresentano ottime armi nella difesa contro il biofilm batterico, infatti le trappole sono in grado di limitare la diffusione batterica e quindi di confinare l’infezione. La comprensione del ruolo dell’internalizzazione nella patogenesi delle osteomieliti associate all’impianto e lo studio della risposta immunitaria innata a questo tipo di infezioni, spesso caratterizzate dalla presenza di biofilm, sono presupposti per identificare e affinare le migliori strategie terapeutiche necessarie ad eradicare l'infezione.
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I sarcomi dei tessuti molli sono un gruppo eterogeneo di tumori maligni di origine mesenchimale che si sviluppa nel tessuto connettivo. Il controllo locale mediante escissione chirurgica con margini ampi associato alla radioterapia e chemioterapia è il trattamento di scelta. Negli ultimi anni le nuove scoperte in campo biologico e clinico hanno sottolineato che i diversi istotipi posso essere considerati come entità distinte con differente sensibilità alla chemioterapia pertanto questa deve essere somministrata come trattamento specifico basato sull’istologia. Tra Ottobre 2011 e Settembre 2014 sono stati inclusi nel protocollo di studio 49 pazienti con sarcomi dei tessuti molli di età media alla diagnosi 48 anni (range: 20 - 68 anni). I tumori primitivi più frequenti sono: liposarcoma mixoide, sarcoma pleomorfo indifferenziato, sarcoma sinoviale. Le sedi di insorgenza del tumore erano più frequentemente la coscia, il braccio e la gamba. 35 pazienti sono stati arruolati nel Braccio A e trattati con chemioterapia standard con epirubicina+ifosfamide, 14 sono stati arruolati nel Braccio B e trattati con chemioterapia basata sull’istotipo. I dati emersi da questo studio suggeriscono che le recidive locali sembrano essere correlate favorevolmente alla radioterapia ed ai margini chirurgici adeguati mentre la chemioterapia non sembra avere un ruolo sul controllo locale della malattia. Anche se l'uso di terapie mirate, che hanno profili di tossicità più favorevoli e sono quindi meglio tollerate rispetto ai farmaci citotossici è promettente, tali farmaci hanno prodotto finora risultati limitati. Apparentemente l’insieme delle terapie mirate non sembra funzionare meglio delle terapie standard, tuttavia esse devono essere esaminate per singolo istotipo e confrontate con il braccio di controllo. Sono necessari studi randomizzati controllati su ampie casistiche per valutare l’efficacia delle terapie mirate sui differenti istotipi di sarcomi dei tessuti molli. Inoltre, nuovi farmaci, nuove combinazioni e nuovi schemi posologici dovranno essere esaminati per ottimizzare la terapia.
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Lo studio è stato condotto su pazienti affetti da carcinoma nasale trattati con radioterapia presso il Centro Oncologico Veterinario (Sasso Marconi, BO). Lo studio, prospettico, randomizzato e in doppio cieco, ha valutato l’efficacia del trattamento radioterapico in combinazione o meno con firocoxib, un inibitore selettivo dell’enzima ciclossigenasi 2 (COX-2). Sono stati inclusi pazienti con diagnosi istologica di carcinoma nasale sottoposti a stadiazione completa. I pazienti sono stati successivamente suddivisi in due gruppi in base alla tipologia di trattamento: radioterapia associata a firocoxib (Gruppo 1) o solo radioterapia (Gruppo 2). Dopo il trattamento, i pazienti sono stati monitorati a intervalli di 3 mesi sia clinicamente che mediante esami collaterali, al fine di valutare condizioni generali del paziente, un’eventuale tossicità dovuta alla somministrazione di firocoxib e la risposta oggettiva al trattamento. Per valutare la qualità di vita dei pazienti durante la terapia, è stato richiesto ai proprietari la compilazione mensile di un questionario. La mediana del tempo libero da progressione (PFI) è stata di 228 giorni (range 73-525) nel gruppo dei pazienti trattati con radioterapia e firocoxib e di 234 giorni (range 50-475) nei pazienti trattati solo con radioterapia. La sopravvivenza mediana (OS) nel Gruppo 1 è stata di 335 giorni (range 74-620) e di 244 giorni (range 85-505) nel Gruppo 2. Non si sono riscontrate differenze significative di PFI e OS tra i due gruppi. La presenza di metastasi ai linfonodi regionali condizionava negativamente PFI e sopravvivenza (P = 0.004). I pazienti trattati con firocoxib hanno mostrato un significativo beneficio in termini di qualità di vita rispetto ai pazienti trattati con sola radioterapia (P=0.008). La radioterapia può essere considerata un’efficace opzione terapeutica per i cani affetti da neoplasie nasali. Firocoxib non sembra migliorare significativamente i tempi di sopravvivenza, ma risulta utile al fine di garantire una migliore qualità di vita.
Resumo:
Il Sorafenib è l’unica terapia sistemica approvata per l’epatocarcinoma (HCC) avanzato. Tuttavia, molti tumori sviluppano resistenze. La chemioterapia metronomica sembrerebbe avere un effetto antiangiogenetico. La Capecitabina metronomica è potenzialmente efficace nell’HCC avanzato. Lo scopo dello studio è stato valutare il comportamento di un modello murino di HCC sottoposto a Sorafenib, Capecitabina e terapia combinata, per dimostrarne un eventuale effetto sinergico. Il modello è stato creato in topi scid mediante inoculazione sottocutanea di 5 milioni di cellule HuH7. I topi sono stati suddivisi in 4 gruppi: gruppo 1 sottoposto a terapia con placebo (9 topi), gruppo 2 a Sorafenib (7 topi), gruppo 3 a Capecitabina (7 topi) e gruppo 4 a terapia combinata Sorafenib+Capecitabina (10 topi). I topi sono stati studiati al giorno 0 e 14 con ecografia B-mode e con mezzo di contrasto (CEUS). Al giorno 14 sono stati sacrificati e i pezzi tumorali sono stati conservati per l’analisi Western Blot. Un topo del gruppo 1 e 4 topi del gruppo 4 sono morti precocemente e quindi sono stati esclusi. Il delta di crescita tumorale al giorno 14 rispetto al giorno 0 è risultato di +503 %, +158 %, +462 % e +176 % rispettivamente nei 4 gruppi (p<0.05 tra i 4 gruppi, tra il gruppo 1 e 2, tra il gruppo 1 e 4, tra il gruppo 2 e 3, tra il gruppo 3 e 4). Alla CEUS non si sono evidenziate differenze statisticamente significative nei cambiamenti di perfusione tumorale al giorno 14 nei 4 gruppi. L’analisi Western Blot ha mostrato livelli di VEGFR-2 inferiori nel gruppo dei topi trattati con Sorafenib. La terapia di associazione di Sorafenib e Capecitabina non comporta un beneficio, in termini di riduzione della crescita tumorale, in un modello murino di HCC rispetto al solo Sorafenib. Inoltre, può essere sospettato un incremento di tossicità.