182 resultados para polinomi trasposizione didattica definizione schemi di definizione
Resumo:
La tesi intende offrire una panoramica approfondita dello strumento sommario, ed in particolare di come il legislatore ne abbia fatto uso nel nostro ordinamento, soprattutto nelle recenti riforme del codice di procedura civile. La candidata si sofferma, dapprima, in un’analisi generale circa la definizione del concetto stesso di sommarizzazione, anche attraverso la disamina delle varie posizioni dottrinali e giurisprudenziali emerse, sul punto, negli ultimi anni.
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La monografia propone un’analisi del periodo ca. 478-461 a.C. della storia ateniese e delle vicende di Cimone figlio di Milziade entro il contesto contemporaneo. Lo studio dell’Atene, e più in generale di varie realtà elleniche affacciate sull’Egeo, negli immediati anni ‘post-persiani’ si articola in due parti: la prima ripercorre in senso cronologico le notizie, essenzialmente letterarie, disponibili in merito alle attività politiche e militari di Atene, quale guida dell’alleanza greca; la seconda trae conclusioni di respiro più ampio, fondate sull’analisi precedente, e cerca una sintesi del periodo e del personaggio nel superamento di stereotipi e condizionamenti letterari. In tale ottica si esprime una riflessione, a partire dalla scarna trattazione tucididea, sui meccanismi attraverso i quali la tradizione ha deformato e sedimentato le informazioni disponibili generando un progressivo arricchimento che ha portato alla definizione, di fatto, di una ‘era cimoniana’ che è possibile mettere in discussione in alcuni tratti essenziali. Si mira dunque a proporre una valutazione del periodo priva di alcuni elementi, in ultimo evidenti soprattutto nell’approccio plutarcheo alla materia, che appaiono alieni al contesto di riferimento per la prima parte del V secolo: i temi principali ai quali si dedica la riflessione sono quelli dell’imperialismo ateniese, del filolaconismo, della bipolarità tra democrazia e oligarchia, della propaganda politico-mitologica. Il rapporto di Atene con Sparta, con gli Ioni e con le altre realtà del mondo egeo viene letto alla luce degli indizi disponibili sul clima di incertezza e di delicati equilibri creatosi all’indomani della ritirata delle forze persiane. Il ritratto di Cimone che si propone è quello di una figura indubbiamente significativa nella politica contemporanea ma, al contempo, fortemente condizionata e talora adombrata da dinamiche in qualche modo condivise all’interno dello scenario politico ateniese, improntato alla soddisfazione di necessità e volontà che la tradizione renderà archetipiche del paradigma democratico.
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La tesi affronta le problematiche fiscali della riorganizzazione societaria e la soluzione adoperata nell’Unione europea per le operazioni di carattere transfrontaliere. Si parte dalla definizione del termine “riorganizzazione societaria”, evidenziando le sue matici economiche e la varietà del suo contenuto secondo l’ordinamento giuridico e la branca del diritto di riferimento. Si prosegue sulla correlazione fra l’ampliazione del contenuto della libertà di stabilimento, dovuta maggiormente all’attività interpretativa della Corte di giustizia, e l’allargamento del concetto di riorganizzazione societaria nel quadro normativo dell’Unione. Si procede dunque all’analisi del regime fiscale comune della direttiva 2009/133/CE intravedendosi i suoi sviluppi successivi. In sede di conclusioni, si apporta un breve riassunto sullo stato della questione in Brasile e si riflette sull’attendibilità del modello impositivo dell’Unione quale parametro per una futura riforma fiscale in Brasile.
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OBIETTIVI: Per esplorare il contributo dei fattori di rischio biomeccanico, ripetitività (hand activity level – HAL) e forza manuale (peak force - PF), nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale (STC), abbiamo studiato un’ampia coorte di lavoratori dell’industria, utilizzando come riferimento il valore limite di soglia (TLV©) dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). METODI: La coorte è stata osservata dal 2000 al 2011. Abbiamo classificato l’esposizione professionale rispetto al limite di azione (AL) e al TLV dell’ACGIH in: “accettabile” (sotto AL), “intermedia” (tra AL e TLV) e “inaccettabile” (sopra TLV). Abbiamo considerato due definizioni di caso: 1) sintomi di STC; 2) sintomi e positività allo studio di conduzione nervosa (SCN). Abbiamo applicato modelli di regressione di Poisson aggiustati per sesso, età, indice di massa corporea e presenza di patologie predisponenti la malattia. RISULTATI: Nell’intera coorte (1710 lavoratori) abbiamo trovato un tasso di incidenza (IR) di sintomi di STC di 4.1 per 100 anni-persona; un IR di STC confermata dallo SCN di 1.3 per 100 anni-persona. Gli esposti “sopra TLV” presentano un rischio di sviluppare sintomi di STC di 1.76 rispetto agli esposti “sotto AL”. Un andamento simile è emerso per la seconda definizione di caso [incidence rate ratios (IRR) “sopra TLV”, 1.37 (intervallo di confidenza al 95% (IC95%) 0.84–2.23)]. Gli esposti a “carico intermedio” risultano a maggior rischio per la STC [IRR per i sintomi, 3.31 (IC95% 2.39–4.59); IRR per sintomi e SCN positivo, 2.56 (IC95% 1.47–4.43)]. Abbiamo osservato una maggior forza di associazione tra HAL e la STC. CONCLUSIONI: Abbiamo trovato un aumento di rischio di sviluppare la STC all’aumentare del carico biomeccanico: l’aumento di rischio osservato già per gli esposti a “carico intermedio” suggerisce che gli attuali valori limite potrebbero non essere sufficientemente protettivi per alcuni lavoratori. Interventi di prevenzione vanno orientati verso attività manuali ripetitive.
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Scopo dello studio: la cardiomiopatia aritmogena (CA) è conosciuta come causa di morte improvvisa, la sua relazione con lo scompenso cardiaco (SC) è stata scarsamente indagata. Scopo dello studio è la definizione della prevalenza e incidenza dello SC, nonché della fisiopatologia e delle basi morfologiche che conducono i pazienti con CA a SC e trapianto di cuore. Metodi: abbiamo analizzato retrospettivamente 64 pazienti con diagnosi di CA e confrontato i dati clinici e strumentali dei pazienti con e senza SC (NYHA III-IV). Abbiamo analizzato i cuori espiantati dei pazienti sottoposti a trapianto presso i centri di Bologna e Padova. Risultati: la prevalenza dello SC alla prima osservazione era del 14% e l’incidenza del 2,3% anno-persona. Sedici pazienti (23%) sono stati sottoposti a trapianto. I pazienti con SC erano più giovani all’esordio dei sintomi (46±16 versus 37±12 anni, p=0.04); il ventricolo destro (VD) era più dilatato e ipocinetico all’ecocardiogramma (RVOT 41±6 versus 37±7 mm, p=0.03; diametro telediastolico VD 38±11 versus 28±8 mm, p=0.0001; frazione di accorciamento 23%±7 versus 32%±11, p= 0.002). Il ventricolo sinistro (VS) era lievemente più dilatato (75±29 ml/m2 versus 60±19, p= 0.0017) e globalmente più ipocinetico (frazione di eiezione = 35%±14 versus 57%±12, p= 0.001). Il profilo emodinamico dei pazienti sottoposti a trapianto era caratterizzato da un basso indice cardiaco (1.8±0.2 l/min/m2) con pressione capillare e polmonare tendenzialmente normale (12±8 mmHg e 26±10 mmHg). L’analisi dettagliata dei 36 cuori dei pazienti trapiantati ha mostrato sostituzione fibro-adiposa transmurale nel VD e aree di fibrosi nel VS. Conclusioni: Nella CA lo SC può essere l’unico sintomo alla presentazione e condurre a trapianto un rilevante sottogruppo di pazienti. Chi sviluppa SC è più giovane, ha un interessamento del VD più severo accanto a un costante interessamento del VS, solo lievemente dilatato e ipocinetico, con sostituzione prevalentemente fibrosa.
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Entro l’approccio concettuale e metodologico transdisciplinare della Scienza della Sostenibilità, la presente tesi elabora un background teorico per concettualizzare una definizione di sostenibilità sulla cui base proporre un modello di sviluppo alternativo a quello dominante, declinato in termini di proposte concrete entro il caso-studio di regolazione europea in materia di risparmio energetico. La ricerca, attraverso un’analisi transdisciplinare, identifica una crisi strutturale del modello di sviluppo dominante basato sulla crescita economica quale (unico) indicatore di benessere e una crisi valoriale. L’attenzione si concentra quindi sull’individuazione di un paradigma idoneo a rispondere alle criticità emerse dall’analisi. A tal fine vengono esaminati i concetti di sviluppo sostenibile e di sostenibilità, arrivando a proporre un nuovo paradigma (la “sostenibilità ecosistemica”) che dia conto dell’impossibilità di una crescita infinita su un sistema caratterizzato da risorse limitate. Vengono poi presentate delle proposte per un modello di sviluppo sostenibile alternativo a quello dominante. Siffatta elaborazione teorica viene declinata in termini concreti mediante l’elaborazione di un caso-studio. A tal fine, viene innanzitutto analizzata la funzione della regolazione come strumento per garantire l’applicazione pratica del modello teorico. L’attenzione è concentrata sul caso-studio rappresentato dalla politica e regolazione dell’Unione Europea in materia di risparmio ed efficienza energetica. Dall’analisi emerge una progressiva commistione tra i due concetti di risparmio energetico ed efficienza energetica, per la quale vengono avanzate delle motivazioni e individuati dei rischi in termini di effetti rebound. Per rispondere alle incongruenze tra obiettivo proclamato dall’Unione Europea di riduzione dei consumi energetici e politica effettivamente perseguita, viene proposta una forma di “regolazione per la sostenibilità” in ambito abitativo residenziale che, promuovendo la condivisione dei servizi energetici, recuperi il significato proprio di risparmio energetico come riduzione del consumo mediante cambiamenti di comportamento, arricchendolo di una nuova connotazione come “bene relazionale” per la promozione del benessere relazionale ed individuale.
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A fronte dal recepimento del direttiva SHR nel nostro ordinamento, realizzato dal d.lgs. 27/2010, il presente lavoro si propone anzitutto di analizzare l'attuale ruolo della delega di voto - sollecitata e non - per poi verificare quale sia l'interesse concretamente sotteso a un voto così esercitato, con particolare attenzione alla sollecitazione di deleghe di voto, oggi destinata espressamente (per la prevalente dottrina) a consentire al promotore il perseguimento di interessi propri. Le considerazioni riguardo all'interesse concretamente sotteso al voto esercitato per delega portano a vagliarne la rilevanza ai fini della nozione di controllo, ex art. 2359 c.c., la quale esclude espressamente dai voti rilevanti esclusivamente quelli esercitati "per conto terzi", e non, dunque, anche quelli esercitati nell'interesse proprio da un soggetto non titolare della partecipazione. Viene quindi affrontata la principale critica ad un controllo raggiunto per tale via e, più in generale, attraverso una delle varie forme di dissociazione tra titolarità della partecipazione e legittimazione all'esercizio del voto ad essa relativo, ovvero la apparente mancanza di stabilità. Considerando tuttavia che ogni ipotesi di controllo c.d. di fatto per definizione non gode di stabilità se non si scelga di ammettere una valutazione di tale requisito necessariamente prognostica ed ex ante, si giunge alla conclusione che la fattispecie di un controllo acquisito tramite sollecitazione di deleghe si distingue da altre ipotesi di controllo di fatto esclusivamente per la maggiore difficoltà dell'accertamento in fatto del requisito della stabilità. Si affronta infine la possibilità di garantire il diritto di exit (ovvero una tutela risarcitoria) del socio di minoranza che veda modificate le condizioni di rischio del proprio investimento a causa di una modifica del soggetto controllante derivante da sollecitazione di deleghe, tramite applicazione diretta della disciplina OPA ovvero riconducendo la fattispecie all'art. 2497quater, lett. d, ove ne ricorrano i presupposti.
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La tesi di dottorato ha ad oggetto il principio di consensualità nell’agere amministrativo, inteso quale principio generale dell’ordinamento, che regola un’azione della Pubblica amministrazione di necessità funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico. E’ pertanto sull’oscillazione problematica tra un rapporto duale e dicotomico, che ricorre tra la dimensione bilaterale dell’uso di moduli negoziali pubblico-privati aventi ad oggetto l’esercizio del potere pubblico, e la prospettiva generale e collettiva che sottintende la cura dell’interesse pubblico, che si riflette nell’elaborato. Materia di studio prescelta è, poi, il governo del territorio, settore dell’ordinamento ove più diffusamente si concludono accordi amministrativi tra Pubblica amministrazione e privati. In particolare, l’analisi è rivolta allo studio delle tanto nuove quanto problematiche fattispecie denominate accordi “a monte” delle prescrizioni urbanistiche, che rappresentano l’espressione più alta, al momento, del principio di consensualità. I problemi di ammissibilità giuridica posti da una parte della dottrina hanno richiesto una ricerca di un possibile fondamento positivo espresso per gli accordi “a monte”, anche al fine di mettere al riparo le leggi regionali che li disciplinano, da eventuali dubbi di legittimità costituzionale. Tale ricerca è stata condotta anche attraverso l’ausilio del diritto comparato. E’ così, stato possibile riscontrare anzitutto l’esistenza del principio di consensualità in un numero considerevole di Paesi, salve alcune eccezioni, alla cui analisi è stato dedicato ampio spazio di trattazione (in particolare, la Francia). Per altro verso, le analoghe esperienze giuridiche provenienti da altri Stati europei (in particolare, la Spagna) sono state d’ausilio per la finale elaborazione di un possibile modello di procedimento per la conclusione degli accordi “a monte”; mentre la constatazione di comuni giustificazioni dottrinali ha permesso l’elaborazione di una nuova possibile natura giuridica da riconoscere agli accordi in parola (accordi normativi) e la definizione di precise ricadute pratiche e giuridiche quanto al rapporto.
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Il tema principale affrontato dalla presente ricerca è quello dell’architettura della città; attraverso lo studio dei progetti urbani redatti dall’architetto Willem Marinus Dudok per la città di Hilversum, la tesi vuole confermare l’ipotesi che la costruzione dei “luoghi urbani” collettivi è il fulcro dell’idea di architettura che porta alla costruzione della città. La ricerca si propone di studiare il contributo dato da Dudok al progetto dello sviluppo urbano della città olandese, considerando un arco temporale che va dal 1915, anno in cui l’architetto viene designato a ricoprire la carica di direttore del locale ufficio Lavori Pubblici, al 1954, anno simbolico della sua nomina a cittadino onorario di Hilversum. Il lavoro di ricerca vuole individuare quelle caratteristiche formali e tipologiche, insite nei quartieri progettati dall’architetto olandese, in grado di definire una struttura urbana capace di sostenere un ragionamento architettonico indipendente dal luogo e dal tempo, un ragionamento impostato sulla definizione della forma urbis. Non desidera certo delineare un modello, vista la consapevolezza che ogni progetto ha un proprio luogo e un proprio tempo, cerca di tratteggiare, piuttosto, uno scenario possibile per il progetto urbano, capace di assurgere ad exemplum per la costruzione della città. I progetti analizzati riguardano edifici residenziali e spazi urbani per la collettività; questi rappresentano veri e propri nuclei aggregativi per la costruzione dei complessi di alloggi popolari, dei quali definiscono la scena fissa delle vicende umane. Lo studio di questi quartieri rappresenta, pertanto, il tentativo di decodificare un “modo” di comporre la città dal quale sia possibile estrapolare temi validi e di carattere generale che permettano di formalizzare una serie di utili insegnamenti, tramite i quali poter pensare alla realizzazione della stessa, nella convinzione che “la qualità del progetto consiste nella qualità dei caratteri del tema e nel loro riconoscimento nelle forme dell’architettura”.
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Il progetto di ricerca è finalizzato allo sviluppo di una metodologia innovativa di supporto decisionale nel processo di selezione tra alternative progettuali, basata su indicatori di prestazione. In particolare il lavoro si è focalizzato sulla definizione d’indicatori atti a supportare la decisione negli interventi di sbottigliamento di un impianto di processo. Sono stati sviluppati due indicatori, “bottleneck indicators”, che permettono di valutare la reale necessità dello sbottigliamento, individuando le cause che impediscono la produzione e lo sfruttamento delle apparecchiature. Questi sono stati validati attraverso l’applicazione all’analisi di un intervento su un impianto esistente e verificando che lo sfruttamento delle apparecchiature fosse correttamente individuato. Definita la necessità dell’intervento di sbottigliamento, è stato affrontato il problema della selezione tra alternative di processo possibili per realizzarlo. È stato applicato alla scelta un metodo basato su indicatori di sostenibilità che consente di confrontare le alternative considerando non solo il ritorno economico degli investimenti ma anche gli impatti su ambiente e sicurezza, e che è stato ulteriormente sviluppato in questa tesi. Sono stati definiti due indicatori, “area hazard indicators”, relativi alle emissioni fuggitive, per integrare questi aspetti nell’analisi della sostenibilità delle alternative. Per migliorare l’accuratezza nella quantificazione degli impatti è stato sviluppato un nuovo modello previsionale atto alla stima delle emissioni fuggitive di un impianto, basato unicamente sui dati disponibili in fase progettuale, che tiene conto delle tipologie di sorgenti emettitrici, dei loro meccanismi di perdita e della manutenzione. Validato mediante il confronto con dati sperimentali di un impianto produttivo, si è dimostrato che tale metodo è indispensabile per un corretto confronto delle alternative poiché i modelli esistenti sovrastimano eccessivamente le emissioni reali. Infine applicando gli indicatori ad un impianto esistente si è dimostrato che sono fondamentali per semplificare il processo decisionale, fornendo chiare e precise indicazioni impiegando un numero limitato di informazioni per ricavarle.
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Oggetto del presente studio è il progetto di ricostruzione del centro urbano di Le Havre ad opera di Auguste Perret. Suo obiettivo è il riconoscimento di quell’idea di città posta a fondamento del progetto, per il quale ci si propone di indagare il senso e le grammatiche costitutive della sua forma. Quella di Le Havre costituisce una dimostrazione di come una forma urbana ancora compatta ed evocativa della città storica possa definirsi a partire dalle relazioni stabilite con gli elementi della geografia fisica. Nei suoi luoghi collettivi e monumentali, che rimandano chiaramente a una cultura dell’abitare che affonda le proprie radici nella più generale esperienza della costruzione della città francese, la città riconosce un valore formale e sceglie di rappresentare il proprio mondo civico dinanzi a quei grandi elementi della geografia fisica che costituiscono l’identità del luogo nel quale questa si colloca. Sembra infatti possibile affermare che gli spazi pubblici della città atlantica riconoscano e traducano nella forma della Place de l’Hôtel de Ville le ripide pendici della falesia del Bec-de-Caux, in quella della Porte Océane l’orizzonte lontano dell’Oceano, e nel Front-de-mer Sud l’altra riva dell’estuario della Senna. Questa relazione fondativa sembra essere conseguita anche attraverso la definizione di un’appropriata grammatica dello spazio urbano, la cui significatività è nel fondarsi sull’assunzione, allo stesso tempo, del valore dello spazio circoscritto e del valore dello spazio aperto. La riflessione sullo spazio urbano investe anche la costruzione dell’isolato, sottoposto a una necessaria rifondazione di forma e significato, allo scopo di rendere intellegibile le relazioni tra gli spazi finiti della città e quelli infiniti della natura. La definizione dell’identità dello spazio urbano, sembra fondarsi, in ultima analisi, sulle possibilità espressive delle forme della costruzione che, connotate come forme dell’architettura, definiscono il carattere dei tipi edilizi e dello spazio da questi costruito.
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La definizione di «scrittura dell’interpretazione» comprime in una sola locuzione la descrizione dell’oggetto principale del nostro studio, ovvero il problema della trascrizione musicale, descritta, non tanto come un determinato genere musicale, quanto come una ragione di osmosi e interferenze tra il fatto compositivo e quello interpretativo. Ad una traversata di quel territorio ci si appresta incentrando la trattazione intorno alla figura e all’opera del giovane compositore e direttore Bruno Maderna, autore di diverse trascrizioni della cosiddetta musica antica (dall’Odhecaton A, Monteverdi, Viadana, Frescobaldi, Legrenzi, ed altri ancora). Attraverso gli esempi presentati si intende mostrare come l’approccio maderniano alla trascrizione musicale si giustifichi a partire dalla sua stessa teoria e pratica dell’interpretazione musicale, più che in base a concetti forti definiti sul versante della scrittura, quali ad esempio quelli di analisi e parodia. Pari attenzione si offre al contesto storico degli anni in cui egli gravita, opera e si afferma come musicista (1946-1952 circa), dedicando ampio spazio alle figure di Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian e Luigi Nono, autori a loro volta di trascrizioni e revisioni di opere del Cinquecento, del Seicento e del Settecento. Intorno ai loro rapporti viene fornita una documentazione significativa, in buona parte inedita o poco conosciuta dagli studiosi, resa disponibile grazie alle ricerche d’archivio di cui si avvantaggia la nostra trattazione.
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La definizione dell’ordinamento dell’Unione come ordinamento costituzionale è centrale, ma resta frammentata. Per restituirle sistematicità è importante individuare un principio sul quale poggiarne il consolidamento. Per questo si è scelto di esaminare il principio di non discriminazione attraverso l’analisi della giurisprudenza, con l’obiettivo di verificare se questo principio è parte fondamentale dell’identità costituzionale dell’Unione Europea. Nella prima parte della tesi si analizza la struttura del giudizio sulla discriminazione davanti alla CGUE e davanti alla CEDU, mettendo in evidenza come la struttura ricordi sempre di più quella del giudizio di costituzionalità. Nella seconda parte ci si concentra sul contributo dato dal principio di non discriminazione all’identità costituzionale dell’Unione Europea attraverso la lotta contro specifiche tipologie di discriminazione. Poiché i motivi di discriminazione sono molto numerosi, si è stabilito di esaminare quei motivi che sono regolati dal diritto derivato. Per questo la seconda parte dell’analisi si è concentrata sulle discriminazioni a motivo della nazionalità (dir. 2004/38/CE), della razza (dir. 2000/43/CE), del genere (dir. 2006/54/CE, dir. 2004/113/CE) dell’età, disabilità, religione ed orientamento sessuale (dir. 2000/78/CE). Dall’analisi della giurisprudenza e del diritto derivato che ne dà attuazione è possibile comprendere che questo principio, oltre ad essere sostenuto da un vero e proprio giudizio di legittimità costituzionale (il rinvio pregiudiziale), ha gli strumenti necessari a permetterne lo sviluppo tenendo conto delle identità costituzionali degli stati membri e può aiutare ad offrire delle risposte rispetto a uno dei problemi fondamentali inerenti all’efficacia del diritto dell’Unione Europea: la tensione fra il principio di attribuzione e la dottrina degli effetti diretti. Le conclusioni di questo lavoro portano a sostenere che è possibile individuare una giurisprudenza della Corte che, attraverso alcuni passaggi fondamentali (le sentenze Mangold, Kucukdeveci, Hay, Deckmyn e Zambrano), definisce il principio di non discriminazione come principio fondamentale, e costituzionale, del diritto dell’Unione Europea.
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Negli ultimi anni lo spreco alimentare ha assunto un’importanza crescente nel dibattito internazionale, politico ed accademico, nel contesto delle tematiche sulla sostenibilità dei modelli di produzione e consumo, sull’uso efficiente delle risorse e la gestione dei rifiuti. Nei prossimi anni gli Stati Membri dell’Unione Europea saranno chiamati ad adottare specifiche strategie di prevenzione degli sprechi alimentari all’interno di una cornice di riferimento comune. Tale cornice è quella che si va delineando nel corso del progetto Europeo di ricerca “FUSIONS” (7FP) che, nel 2014, ha elaborato un framework di riferimento per la definizione di “food waste” allo scopo di armonizzare le diverse metodologie di quantificazione adottate dai paesi membri. In questo scenario, ai fini della predisposizione di un Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari per l’Italia, il presente lavoro applica per la prima volta il “definitional framework” FUSIONS per l’analisi dei dati e l’identificazione dei principali flussi nei diversi anelli della filiera e svolge un estesa consultazione degli stakeholder (e della letteratura) per identificare le possibili misure di prevenzione e le priorità di azione. I risultati ottenuti evedenziano (tra le altre cose) la necessità di predisporre e promuovere a livello nazionale l’adozione di misure uniformi di quantificazione e reporting; l’importanza del coinvolgimento degli stakeholder nel contesto di una campagna nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari; l’esigenza di garantire una adeguata copertura economica per le attività di pianificazione e implementazione delle misure di prevenzione da parte degli enti locali e di un coordinamento a livello nazionale della programmazione regionale; la necessità di una armonizzazione/semplificazione del quadro di riferimento normativo (fiscale, igienico-sanitario, procedurale) che disciplina la donazione delle eccedenze alimentari; l’urgenza di approfondire il fenomeno degli sprechi alimentari attraverso la realizzazione di studi di settore negli stadi a valle della filiera.
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Il telerilevamento rappresenta un efficace strumento per il monitoraggio dell’ambiente e del territorio, grazie alla disponibilità di sensori che riprendono con cadenza temporale fissa porzioni della superficie terrestre. Le immagini multi/iperspettrali acquisite sono in grado di fornire informazioni per differenti campi di applicazione. In questo studio è stato affrontato il tema del consumo di suolo che rappresenta un’importante sfida per una corretta gestione del territorio, poiché direttamente connesso con i fenomeni del runoff urbano, della frammentazione ecosistemica e con la sottrazione di importanti territori agricoli. Ancora non esiste una definizione unica, ed anche una metodologia di misura, del consumo di suolo; in questo studio è stato definito come tale quello che provoca impermeabilizzazione del terreno. L’area scelta è quella della Provincia di Bologna che si estende per 3.702 km2 ed è caratterizzata a nord dalla Pianura Padana e a sud dalla catena appenninica; secondo i dati forniti dall’ISTAT, nel periodo 2001-2011 è stata la quarta provincia in Italia con più consumo di suolo. Tramite classificazione pixel-based è stata fatta una mappatura del fenomeno per cinque immagini Landsat. Anche se a media risoluzione, e quindi non in grado di mappare tutti i dettagli, esse sono particolarmente idonee per aree estese come quella scelta ed inoltre garantiscono una più ampia copertura temporale. Il periodo considerato va dal 1987 al 2013 e, tramite procedure di change detection applicate alle mappe prodotte, si è cercato di quantificare il fenomeno, confrontarlo con i dati esistenti e analizzare la sua distribuzione spaziale.