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Resumo:
Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
Resumo:
PRESUPPOSTI: Le tachicardie atriali sono comuni nei GUCH sia dopo intervento correttivo o palliativo che in storia naturale, ma l’incidenza è significativamente più elevata nei pazienti sottoposti ad interventi che prevedono un’estesa manipolazione atriale (Mustard, Senning, Fontan). Il meccanismo più frequente delle tachicardie atriali nel paziente congenito adulto è il macrorientro atriale destro. L’ECG è poco utile nella previsione della localizzazione del circuito di rientro. Nei pazienti con cardiopatia congenita sottoposta a correzione biventricolare o in storia naturale il rientro peritricuspidale costituisce il circuito più frequente, invece nei pazienti con esiti di intervento di Fontan la sede più comune di macrorientro è la parete laterale dell’atrio destro. I farmaci antiaritmici sono poco efficaci nel trattamento di tali aritmie e comportano un’elevata incidenza di effetti avversi, soprattutto l’aggravamento della disfunzione sinusale preesistente ed il peggioramento della disfunzione ventricolare, e di effetti proaritmici. Vari studi hanno dimostrato la possibilità di trattare efficacemente le IART mediante l’ablazione transcatetere. I primi studi in cui le procedure venivano realizzate mediante fluoroscopia tradizionale, la documentazione di blocco di conduzione translesionale bidirezionale non era routinariamente eseguita e non tutti i circuiti di rientro venivano sottoposti ad ablazione, riportano un successo in acuto del 70% e una libertà da recidiva a 3 anni del 40%. I lavori più recenti riportano un successo in acuto del 94% ed un tasso di recidiva a 13 mesi del 6%. Questi ottimi risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo delle moderne tecniche di mappaggio elettroanatomico e di cateteri muniti di sistemi di irrigazione per il raffreddamento della punta, inoltre la dimostrazione della presenza di blocco di conduzione translesionale bidirezionale, l’ablazione di tutti i circuiti indotti mediante stimolazione atriale programmata, nonché delle sedi potenziali di rientro identificate alla mappa di voltaggio sono stati considerati requisiti indispensabili per la definizione del successo della procedura. OBIETTIVI: riportare il tasso di efficia, le complicanze, ed il tasso di recidiva delle procedure di ablazione transcatetere eseguite con le moderne tecnologie e con una rigorosa strategia di programmazione degli obiettivi della procedura. Risultati: Questo studio riporta una buona percentuale di efficacia dell’ablazione transcatetere delle tachicardie atriali in una popolazione varia di pazienti con cardiopatia congenita operata ed in storia naturale: la percentuale di successo completo della procedura in acuto è del 71%, il tasso di recidiva ad un follow-up medio di 13 mesi è pari al 28%. Tuttavia se l’analisi viene limitata esclusivamente alle IART il successo della procedura è pari al 100%, i restanti casi in cui la procedura è stata definita inefficace o parzialmente efficace l’aritmia non eliminata ma cardiovertita elettricamente non è un’aritmia da rientro ma la fibrillazione atriale. Inoltre, sempre limitando l’analisi alle IART, anche il tasso di recidiva a 13 mesi si abbassa dal 28% al 3%. In un solo paziente è stato possibile documentare un episodio asintomatico e non sostenuto di IART al follow-up: in questo caso l’aspetto ECG era diverso dalla tachicardia clinica che aveva motivato la prima procedura. Sebbene la diversa morfologia dell’attivazione atriale all’ECG non escluda che si tratti di una recidiva, data la possibilità di un diverso exit point del medesimo circuito o di un diverso senso di rotazione dello stesso, è tuttavia più probabile l’emergenza di un nuovo circuito di macrorientro. CONCLUSIONI: L'ablazione trancatetere, pur non potendo essere considerata una procedura curativa, in quanto non in grado di modificare il substrato atriale che predispone all’insorgenza e mantenimento della fibrillazione atriale (ossia la fibrosi, l’ipertrofia, e la dilatazione atriale conseguenti alla patologia e condizione anatomica di base)è in grado di assicurare a tutti i pazienti un sostanziale beneficio clinico. È sempre stato possibile sospendere l’antiaritmico, tranne 2 casi, ed anche nei pazienti in cui è stata documentata una recidiva al follow-up la qualità di vita ed i sintomi sono decisamente migliorati ed è stato ottenuto un buon controllo della tachiaritmia con una bassa dose di beta-bloccante. Inoltre tutti i pazienti che avevano sviluppato disfunzione ventricolare secondaria alla tachiaritmia hanno presentato un miglioramento della funzione sistolica fino alla normalizzazione o al ritorno a valori precedenti la documentazione dell’aritmia. Alla base dei buoni risultati sia in acuto che al follow-up c’è una meticolosa programmazione della procedura e una rigorosa definizione degli endpoint. La dimostrazione del blocco di conduzione translesionale bidirezionale, requisito indispensabile per affermare di aver creato una linea continua e transmurale, l’ablazione di tutti i circuiti di rientro inducibili mediante stimolazione atriale programmata e sostenuti, e l’ablazione di alcune sedi critiche, in quanto corridoi protetti coinvolti nelle IART di più comune osservazione clinica, pur in assenza di una effettiva inducibilità periprocedurale, sono obiettivi necessari per una procedura efficace in acuto e a distanza. Anche la disponibilità di moderne tecnologie come i sistemi di irrigazione dei cateteri ablatori e le metodiche di mappaggio elettroanantomico sono requisiti tecnici molto importanti per il successo della procedura.
Resumo:
Questa tesi affronta lo studio di una tipologia di vibrazione autoeccitata, nota come chatter, che si manifesta nei processi di lavorazione ad asportazione di truciolo ed in particolare nelle lavorazioni di fresatura. La tesi discute inoltre lo sviluppo di una tecnica di monitoraggio e diagnostica del chatter basato sul rilievo di vibrazioni. Il fenomeno del chatter è caratterizzato da violente oscillazioni tra utensile e pezzo in lavorazione ed elevate emissioni acustiche. Il chatter, se non controllato, causa uno scadimento qualitativo della finitura superficiale e delle tolleranze dimensionali del lavorato, una riduzione della vita degli utensili e dei componenti della macchina. Questa vibrazione affligge negativamente la produttività e la qualità del processo di lavorazione e pregiudica l’interazione uomo-macchina-ambiente. Per una data combinazione di macchina, utensile e pezzo lavorato, i fattori che controllano la velocità di asportazione del materiale sono gli stessi che controllano l’insorgenza del chatter: la velocità di rotazione del mandrino, la profondità assiale di passata e la velocità di avanzamento dell’utensile. Per studiare il fenomeno di chatter, con l’obbiettivo di individuare possibili soluzioni per limitarne o controllarne l’insorgenza, vengono proposti in questa tesi alcuni modelli del processo di fresatura. Tali modelli comprendono il modello viscoelastico della macchina fresatrice e il modello delle azioni di taglio. Per le azioni di taglio è stato utilizzato un modello presente in letteratura, mentre per la macchina fresatrice sono stati utilizzato modelli a parametri concentrati e modelli modali analitico-sperimentali. Questi ultimi sono stati ottenuti accoppiando un modello modale sperimentale del telaio, completo di mandrino, della macchina fresatrice con un modello analitico, basato sulla teoria delle travi, dell’utensile. Le equazioni del moto, associate al processo di fresatura, risultano essere equazioni differenziali con ritardo a coefficienti periodici o PDDE (Periodic Delay Diefferential Equations). È stata implementata una procedura numerica per mappare, nello spazio dei parametri di taglio, la stabilità e le caratteristiche spettrali (frequenze caratteristiche della vibrazione di chatter) delle equazioni del moto associate ai modelli del processo di fresatura proposti. Per testare i modelli e le procedure numeriche proposte, una macchina fresatrice CNC 4 assi, di proprietà del Dipartimento di Ingegneria delle Costruzioni Meccaniche Nucleari e Metallurgiche (DIEM) dell’Università di Bologna, è stata strumentata con accelerometri, con una tavola dinamometrica per la misura delle forze di taglio e con un adeguato sistema di acquisizione. Eseguendo varie prove di lavorazione sono stati identificati i coefficienti di pressione di taglio contenuti nel modello delle forze di taglio. Sono stati condotti, a macchina ferma, rilievi di FRFs (Funzioni Risposta in Frequenza) per identificare, tramite tecniche di analisi modale sperimentale, i modelli del solo telaio e della macchina fresatrice completa di utensile. I segnali acquisiti durante le numerose prove di lavorazione eseguite, al variare dei parametri di taglio, sono stati analizzati per valutare la stabilità di ciascun punto di lavoro e le caratteristiche spettrali della vibrazione associata. Questi risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti applicando la procedura numerica proposta ai diversi modelli di macchina fresatrice implementati. Sono state individuate le criticità della procedura di modellazione delle macchine fresatrici a parametri concentrati, proposta in letteratura, che portano a previsioni erronee sulla stabilità delle lavorazioni. È stato mostrato come tali criticità vengano solo in parte superate con l’utilizzo dei modelli modali analitico-sperimentali proposti. Sulla base dei risultati ottenuti, è stato proposto un sistema automatico, basato su misure accelerometriche, per diagnosticare, in tempo reale, l’insorgenza del chatter durante una lavorazione. È stato realizzato un prototipo di tale sistema di diagnostica il cui funzionamento è stato provato mediante prove di lavorazione eseguite su due diverse macchine fresatrici CNC.
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Poco più di dieci anni fa, nel 1998, è stata scoperta l’ipocretina (ovvero orexina), un neuropeptide ipotalamico fondamentale nella regolazione del ciclo sonno-veglia, dell’appetito e della locomozione (de Lecea 1998; Sakurai, 1998; Willie, 2001). La dimostrazione, pochi mesi dopo, di bassi livelli di ipocretina circolanti nel liquido cefalo-rachidiano di pazienti affetti da narcolessia con cataplessia (Mignot 2002) ha definitivamente rilanciato lo studio di questa rara malattia del Sistema Nervoso Centrale, e le pubblicazioni a riguardo si sono moltiplicate. In realtà le prime descrizioni della narcolessia risalgono alla fine del XIX secolo (Westphal 1877; Gélineau 1880) e da allora la ricerca clinica è stata volta soprattutto a cercare di definire il più accuratamente possibile il fenotipo del paziente narcolettico. Accanto all’alterazione del meccanismo di sonno e di veglia, e dell’alternanza tra le fasi di sonno REM (Rapid Eye Movement) e di sonno non REM, sui quali l’ipocretina agisce come un interruttore che stimola la veglia e inibisce la fase REM, sono apparse evidenti anche alterazioni del peso e del metabolismo glucidico, dello sviluppo sessuale e del metabolismo energetico (Willie 2001). I pazienti narcolettici presentano infatti, in media, un indice di massa corporea aumentato (Dauvilliers 2007), la tendenza a sviluppare diabete mellito di tipo II (Honda 1986), un’aumentata prevalenza di pubertà precoce (Plazzi 2006) e alterazioni del metabolismo energetico, rispetto alla popolazione generale (Dauvilliers 2007). L’idea che, quindi, la narcolessia abbia delle caratteristiche fenotipiche intrinseche altre, rispetto a quelle più eclatanti che riguardano il sonno, si è fatta strada nel corso del tempo; la scoperta della ipocretina, e della fitta rete di proiezioni dei neuroni ipocretinergici, diffuse in tutto l’encefalo fino al ponte e al bulbo, ha offerto poi il substrato neuro-anatomico a questa idea. Tuttavia molta strada separa l’intuizione di un possibile legame dall’individuazione dei reali meccanismi patogenetici che rendano conto dell’ampio spettro di manifestazioni cliniche che si osserva associato alla narcolessia. Lo studio svolto in questi tre anni si colloca in questa scia, e si è proposto di esplorare il fenotipo narcolettico rispetto alle funzioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-periferia, attraverso un protocollo pensato in stretta collaborazione fra il Dipartimento di Scienze Neurologiche di Bologna e l’Unità Operativa di Endocrinologia e di Malattie del Metabolismo dell’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. L’ipotalamo è infatti una ghiandola complessa e l’approccio multidisciplinare è sembrato essere quello più adatto. I risultati ottenuti, e che qui vengono presentati, hanno confermato le aspettative di poter dare ulteriori contributi alla caratterizzazione della malattia; un altro aspetto non trascurabile, e che però verrà qui omesso, sono le ricadute cliniche in termini di inquadramento e di terapia precoce di quelle alterazioni, non strettamente ipnologiche, e però associate alla narcolessia.
Resumo:
Lo scopo della presente tesi di dottorato è di illustrare il lavoro svolto nella progettazione del circuito a metallo liquido del Test Blanket System (TBS) Helium Cooled Lithium Lead (HCLL), uno dei sistemi fondamentali del reattore sperimentale ITER che dovrà dimostrare la fattibilità di produrre industrialmente energia elettrica da processi di fusione nucleare. Il blanket HCLL costituisce una delle sei configurazioni che verranno testate in ITER, sulla base degli esperimenti condotti nei 10 dieci anni di vita del reattore verrà selezionata la configurazione che determinerà la costituzione del primo reattore dimostrativo per la produzione di un surplus di energia elettrica venti volte superiore all’energia consumata, DEMO. Il circuito ausiliario del blanket HCLL è finalizzato, in DEMO all’estrazione del trizio generato mediante il TES; ed in ITER alla dimostrazione della fattibilità di estrarre il trizio generato e di poter gestire il ciclo del trizio. Lo sviluppo dei componenti, svolto in questa tesi, è accentrato su tale dispositivo, il TES. In tale ambito si inseriscono le attività che sono descritte nei capitoli della seguente tesi di dottorato: selezione e progettazione preliminare del sistema di estrazione del trizio dalla lega eutettica Pb15.7Li del circuito a metallo liquido del TBM HCLL; la progettazione, realizzazione e qualifica dei sensori a permeazione per la misura della concentrazione di trizio nella lega eutettica Pb15.7Li; la qualificazione sperimentale all’interno dell’impianto TRIEX (TRItium EXtarction) della tecnologia selezionata per l’estrazione del trizio dalla lega; la progettazione della diagnostica di misura e controllo del circuito ausiliario del TBM HCLL.
Resumo:
Le encefalopatie spongiformi trasmissibili (EST), o malattie da prioni, sono malattie neurodegenerative che colpiscono l'uomo e gli animali. Le più note tra le EST animali sono la scrapie della pecora e della capra, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), la Sindrome del dimagrimento cronico (CWD) dei cervidi. Negli uomini ricordiamo la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nelle sue diverse forme (sporadica, genetica, iatrogenica e variante). La dimostrazione che la variante della CJD (vCJD) sia causata dallo stesso agente eziologico della BSE, ha evidenziato il potenziale zoonotico di queste malattie. Le EST sono caratterizzate da tempi di incubazione estremamente lunghi ed esito invariabilmente fatale. Il momento patogenetico centrale comune a tutte queste malattie è rappresentato dalla modificazione conformazionale di una proteina cellulare denominata PrPC (proteina prionica cellulare) in una isoforma patologica denominata PrPSc, insolubile e caratterizzata da una parziale resistenza alle proteasi, che tende a depositarsi sotto forma di fibrille amiloidee nel SNC dei soggetti colpiti. La suscettibilità degli ovini alla scrapie è largamente influenzata dal genotipo del gene dell’ospite che codifica per la PrP (PRNP), e più precisamente da tre polimorfismi presenti ai codoni 136, 154 e 171. Questi si combinano in cinque principali alleli, ARQ, VRQ, AHQ, ARH e ARR, correlati a differenti gradi di suscettibilità alla malattia. Risultati ottenuti da un precedente studio d’infezione sperimentale di ovini di razza Sarda con scrapie classica (Vaccari G et al 2007), hanno suggeriscono l’ordine di suscettibilità ARQ>AHQ>ARH. L’allele ARR, è risultato invece associato ai più alti livelli di protezione dalla malattia. Dallo stesso studio di trasmissione sperimentale e da uno studio epidemiologico di tipo caso-controllo, è inoltre emerso che nella razza Sarda, ovini con l’allele ARQ, con sostituzione amminoacidica al codone 137 Metionina (M)/Treonina (T) (AT137RQ) o al 176 Asparagina (N)/Lisina (K) (ARQK176) in eterozigosi sono protetti dalla scrapie. Inoltre studi di trasmissione sperimentale della BSE in ovini della stessa razza con tre differenti genotipi (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR), hanno dimostrato come la BSE abbia un targeting genetico molto simile a quello della scrapie, evidenziando il genotipo ARQ/ARQ come il più suscettibile. L’obbiettivo della seguente tesi è stato quello di verificare se fosse possibile riprodurre in vitro la differente suscettibilità genetica degli ovini alle EST evidenziata in vivo, utilizzando il PMCA (Protein Misfolding Cyclic Amplification), la metodica ad oggi più promettente e di cui è stata dimostrata la capacità di riprodurre in vitro diverse proprietà biologiche dei prioni. La tecnica, attraverso cicli ripetuti di sonicazione/incubazione, permette la conversione in vitro della PrPC presente in un omogenato cerebrale (substrato), da parte di una quantità minima di PrPSc (inoculo) che funge da “innesco” della reazione. Si è voluto inoltre utilizzare il PMCA per indagare il livello di protezione in omozigosi di alleli rari per i quali, in vivo, si avevano evidenze di protezione dalla scrapie solo in eterozigosi, e per studiare la suscettibilità degli ovini alla BSE adattata in questa specie. È stata quindi testata in PMCA la capacità diversi substrati ovini recanti differenti genotipi, di amplificare la PrPSc dello stesso isolato di scrapie classica impiegato nel precedente studio in vivo o di un inoculo di BSE bovina. Inoltre sono stati saggiati in vitro due inoculi di BSE costituiti da omogenato cerebrale di due ovini sperimentalmente infettati con BSE (BSE ovina) e recanti due differenti genotipi (ARQ/ARQ e ARR/ARR). Per poter descrivere quantitativamente il grado di correlazione osservato i risultati ottenuti in vitro e i quelli riscontrati dallo studio di sperimentazione con scrapie, espressi rispettivamente come fattori di amplificazione e tempi d’incubazione registrati in vivo, sono stati analizzati con un modello di regressione lineare. Per quanto riguarda la scrapie, i risultati ottenuti hanno evidenziato come i genotipi associati in vivo a suscettibilità (ARQ/ARQ, ARQ/AHQ and AHQ/ARH) siano anche quelli in grado di sostenere in PMCA l’amplificazione della PrPSc, e come quelli associati a resistenza (ARQ/ARR and ARR/ARR) non mostrino invece nessuna capacità di conversione. Dall’analisi di regressione lineare è inoltre emerso come l’efficienza di amplificazione in vitro dei differenti genotipi testati sia inversamente proporzionale ai tempi d’incubazione registrati in vivo. Inoltre nessuna amplificazione è stata riscontrata utilizzando il substrato con genotipo raro ARQK176/ARQK176 suggerendo come anche questo possa essere associato a resistenza, almeno nei confronti dell’isolato di scrapie classica utilizzato. Utilizzando come inoculo in PMCA l’isolato di BSE bovina, è stato possibile riscontrare, nei tre genotipi analizzati (ARQ/ARQ, ARQ/ARR e ARR/ARR) un evidente amplificazione per il solo genotipo ARQ/ARQ, sottolineando anche in questo caso l’esistenza di una correlazione tra suscettibilità riscontrata in vivo e capacità di conversione in PMCA. I tre i substrati analizzati mostrano inoltre una buona efficienza di amplificazione, per altro simile, se si utilizza la PrPSc dell’inoculo di BSE sperimentalemente trasmessa agli ovini. Questi genotipi sembrerebbero dunque ugualmente suscettibili se esposti a BSE adattata alla specie ovina. I risultati di questa tesi indicano dunque una correlazione diretta tra la capacità di conversione della PrPC con il PMCA e la suscettibilità osservata in vivo per i differenti genotipi analizzati. Mostrano inoltre come il PMCA possa essere una valida alternativa agli studi di trasmissione in vivo e un rapido strumento utile non soltanto per testare, ma anche per predire la suscettibilità genetica degli ovini a diversi ceppi di EST, rappresentando un valido aiuto per l’individuazione di ulteriori genotipi resistenti, così da incrementare la variabilità genetica dei piani di selezione attuati per gli ovini per il controllo di queste malattie.
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Il lavoro svolto nel corso del mio dottorato ha avuto per oggetto lo studio dell’ inibizione della glicolisi aerobia (il principale processo metabolico utilizzato dalle cellule neoplastiche per produrre energia) ottenuta mediante il blocco dell’enzima lattato deidrogenasi (LDH). La mia attività si è concentrata sulla possibilità di utilizzare questo approccio allo scopo di migliorare l’efficacia della terapia antitumorale, valutandone gli effetti su colture di carcinoma epatocellulare umano Inizialmente, per valutare gli effetti della inibizione della LDH, è stato usato l’acido ossamico ( OXA). Questo composto è l’unico inibitore noto specifico per LDH ; è una molecola non tossica in vivo, ma attiva a concentrazioni troppo elevate per consentirne un uso terapeutico. Un importante risultato ottenuto è stata la dimostrazione che l’ inibizione della LDH ottenuta con OXA non è solo in grado di innescare una risposta di morte nelle cellule trattate, ma, associata alla somministrazione di sorafenib, aumenta fortemente l’efficacia di questo farmaco, determinando un effetto di sinergismo. Questo forte effetto di potenziamento dell’azione del farmaco è stato spiegato con la dimostrazione che il sorafenib ha la capacità di inibire il consumo di ossigeno delle cellule trattate, rendendole più dipendenti dalla glicolisi. Grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche il nostro gruppo di ricerca è arrivato alla identificazione di un composto (galloflavina) che inibisce la LDH con una efficienza molto maggiore di OXA. I risultati preliminari ottenuti sulle cellule di epatocarcinoma suggeriscono che la galloflavina potrebbe essere un composto promettente nel campo degli inibitori metabolici tumorali e inducono a una sua valutazione più approfondita come potenziale farmaco antineoplastico.
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L’utilizzo del reservoir geotermico superficiale a scopi termici / frigoriferi è una tecnica consolidata che permette di sfruttare, tramite appositi “geoscambiatori”, un’energia presente ovunque ed inesauribile, ad un ridotto prezzo in termini di emissioni climalteranti. Pertanto, il pieno sfruttamento di questa risorsa è in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto ed è descritto nella Direttiva Europea 2009/28/CE (Comunemente detta: Direttiva Rinnovabili). Considerato il notevole potenziale a fronte di costi sostenibili di installazione ed esercizio, la geotermia superficiale è stata sfruttata già dalla metà del ventesimo secolo in diversi contesti (geografici, geologici e climatici) e per diverse applicazioni (residenziali, commerciali, industriali, infrastrutturali). Ciononostante, solo a partire dagli anni 2000 la comunità scientifica e il mercato si sono realmente interessati ed affacciati all’argomento, a seguito di sopraggiunte condizioni economiche e tecniche. Una semplice ed immediata dimostrazione di ciò si ritrova nel fatto che al 2012 non esiste ancora un chiaro riferimento tecnico condiviso a livello internazionale, né per la progettazione, né per l’installazione, né per il testing delle diverse applicazioni della geotermia superficiale, questo a fronte di una moltitudine di articoli scientifici pubblicati, impianti realizzati ed associazioni di categoria coinvolte nel primo decennio del ventunesimo secolo. Il presente lavoro di ricerca si colloca all’interno di questo quadro. In particolare verranno mostrati i progressi della ricerca svolta all’interno del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e dei Materiali nei settori della progettazione e del testing dei sistemi geotermici, nonché verranno descritte alcune tipologie di geoscambiatori innovative studiate, analizzate e testate nel periodo di ricerca.
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Questa ricerca presenta i risultati di una indagine volta a verificare la reale efficacia di rinforzo corticale su rocce carbonatiche di differenti caratteristiche mineralogiche, utilizzando consolidanti inorganici in soluzione acquosa quali l’Ossalato Ammonico (AmOX) e il Diammonio Fosfato Acido (DAHP). Le matrici carbonatiche scelte sono quelle del marmo invecchiato e una biomicrite. Sui campioni sono state effettuate indagini (SEM,MIP,XRD,MO,TG-DTA) di caratterizzazione prima e dopo i trattamenti volte a valutare eventuali effetti di rinforzo e misure fisiche di suscettività all’acqua. L’efficacia dei consolidanti inorganici è stata comparata con diversi consolidanti organici e ibridi presenti in commercio ed utilizzati in ambito conservativo. L'efficacia si è mostrata fortemente legata al fabric del materiale e alle modalità di strutturazione del prodotto di neomineralizzazione all’interno della compagine deteriorata. Nel caso del trattamento con AmOx il soluzione acquosa al 4%, la whewellite è l’unica fase di neoformazione riscontrata; la sua crescita avviene con un meccanismo essenzialmente topochimico. Nei materiali carbonatici compatti si possono ottenere solo modesti spessori di coating di neoformazione; per le rocce porose, contenenti difetti come lesioni, pori o micro-fratture, l’efficacia del trattamento può risultare più incisiva. Questo trattamento presenta lo svantaggio legato alla rapidissima formazione dei cristalli di whewellite che tendono a passivare le superfici impedendo la progressione della reazione; il vantaggio è connesso alla facile applicazione in cantiere. Nel caso del DAHP sulla matrice carbonatica trattata, si formano cluster cristallini contenenti specie più o meno stabili alcune riconducibili all’idrossiapatite. La quantità e qualità delle fasi, varia fortemente in funzione della temperatura, pH, pressione con conseguenze interferenza nelle modalità di accrescimento dei cristalli. Il trattamento alla stato attuale appare comunque di notevole interesse ma allo stesso tempo difficilmente applicabile e controllabile nelle reali condizioni operative di un cantiere di restauro.
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La tesi sviluppa le proposte teoriche della Linguistica Cognitiva a proposito della metafora e propone una loro possibile applicazione in ambito didattico. La linguistica cognitiva costituisce la cornice interpretativa della ricerca, a partire dai suoi concetti principali: la prospettiva integrata, l’embodiment, la centralità della semantica, l’attenzione per la psicolinguistica e le neuroscienze. All’interno di questo panorama, prende vigore un’idea di metafora come punto d’incontro tra lingua e pensiero, come criterio organizzatore delle conoscenze, strumento conoscitivo fondamentale nei processi di apprendimento. A livello didattico, la metafora si rivela imprescindibile sia come strumento operativo che come oggetto di riflessione. L’approccio cognitivista può fornire utili indicazioni su come impostare un percorso didattico sulla metafora. Nel presente lavoro, si indaga in particolare l’uso didattico di stimoli non verbali nel rafforzamento delle competenze metaforiche di studenti di scuola media. Si è scelto come materiale di partenza la pubblicità, per due motivi: il diffuso impiego di strategie retoriche in ambito pubblicitario e la specificità comunicativa del genere, che permette una chiara disambiguazione di fenomeni che, in altri contesti, non potrebbero essere analizzati con la stessa univocità. Si presenta dunque un laboratorio finalizzato al miglioramento della competenza metaforica degli studenti che si avvale di due strategie complementari: da una parte, una spiegazione ispirata ai modelli cognitivisti, sia nella terminologia impiegata che nella modalità di analisi (di tipo usage-based); dall’altra un training con metafore visive in pubblicità, che comprende una fase di analisi e una fase di produzione. È stato usato un test, suddiviso in compiti specifici, per oggettivare il più possibile i progressi degli studenti alla fine del training, ma anche per rilevare le difficoltà e i punti di forza nell’analisi rispetto sia ai contesti d’uso (letterario e convenzionale) sia alle forme linguistiche assunte dalla metafora (nominale, verbale, aggettivale).
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The aim of this thesis was to investigate the respective contribution of prior information and sensorimotor constraints to action understanding, and to estimate their consequences on the evolution of human social learning. Even though a huge amount of literature is dedicated to the study of action understanding and its role in social learning, these issues are still largely debated. Here, I critically describe two main perspectives. The first perspective interprets faithful social learning as an outcome of a fine-grained representation of others’ actions and intentions that requires sophisticated socio-cognitive skills. In contrast, the second perspective highlights the role of simpler decision heuristics, the recruitment of which is determined by individual and ecological constraints. The present thesis aims to show, through four experimental works, that these two contributions are not mutually exclusive. A first study investigates the role of the inferior frontal cortex (IFC), the anterior intraparietal area (AIP) and the primary somatosensory cortex (S1) in the recognition of other people’s actions, using a transcranial magnetic stimulation adaptation paradigm (TMSA). The second work studies whether, and how, higher-order and lower-order prior information (acquired from the probabilistic sampling of past events vs. derived from an estimation of biomechanical constraints of observed actions) interacts during the prediction of other people’s intentions. Using a single-pulse TMS procedure, the third study investigates whether the interaction between these two classes of priors modulates the motor system activity. The fourth study tests the extent to which behavioral and ecological constraints influence the emergence of faithful social learning strategies at a population level. The collected data contribute to elucidate how higher-order and lower-order prior expectations interact during action prediction, and clarify the neural mechanisms underlying such interaction. Finally, these works provide/open promising perspectives for a better understanding of social learning, with possible extensions to animal models.
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Il processo di riforma a carattere europeo che ha condotto alla nascita di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore ha conosciuto diverse tappe fondamentali, fra cui, per esempio, la ripartizione in cicli e l’adozione dei crediti ECTS. Una di queste tappe, ossia il passaggio da una pianificazione della didattica basata sui contenuti ad una basata sui risultati dell’apprendimento, ricopre un ruolo di primo piano nel presente progetto di dottorato. Lo studio qui descritto ha esaminato, da un punto di vista sintattico e semantico, un campione di obiettivi e risultati dell’apprendimento di insegnamenti di alcuni corsi di laurea di primo e secondo ciclo, delle scienze umanistiche, in Austria, Germania, Italia e Regno Unito. L’obiettivo del progetto è proporre uno schema per una classificazione a faccette di obiettivi dell’apprendimento denominato FLOC. Tale schema è adottato per classificare gli obiettivi dell’apprendimento di quattro contesti linguistico-culturali (nei paesi summenzionati), dando vita a FLOC-AT, FLOC-DE, FLOC-IT e FLOC-EN. Queste quattro classificazioni forniscono inoltre il contesto per un’analisi contrastiva multilingue fra unità di obiettivi di apprendimento.
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Negli ultimi vent’anni sono state proposte al livello internazionale alcune analisi dei problemi per le scienze nella scuola e diverse strategie per l’innovazione didattica. Molte ricerche hanno fatto riferimento a una nuova nozione di literacy scientifica, quale sapere fondamentale dell’educazione, indipendente dalle scelte professionali successive alla scuola. L’ipotesi di partenza di questa ricerca sostiene che alcune di queste analisi e l’idea di una nuova literacy scientifica di tipo non-vocazionale mostrino notevoli limiti quando rapportate al contesto italiano. Le specificità di quest’ultimo sono state affrontate, innanzitutto, da un punto di vista comparativo, discutendo alcuni documenti internazionali sull’insegnamento delle scienze. Questo confronto ha messo in luce la difficoltà di ottenere un insieme di evidenze chiare e definitive sui problemi dell’educazione scientifica discussi da questi documenti, in particolare per quanto riguarda i dati sulla crisi delle vocazioni scientifiche e sull’attitudine degli studenti verso le scienze. Le raccomandazioni educative e alcuni progetti curricolari internazionali trovano degli ostacoli decisivi nella scuola superiore italiana anche a causa di specificità istituzionali, come particolari principi di selezione e l’articolazione dei vari indirizzi formativi. Il presente lavoro si è basato soprattutto su una ricostruzione storico-pedagogica del curricolo di fisica, attraverso l’analisi delle linee guida nazionali, dei programmi di studio e di alcuni rappresentativi manuali degli ultimi decenni. Questo esame del curricolo “programmato” ha messo in luce, primo, il carattere accademico della fisica liceale e la sua debole rielaborazione culturale e didattica, secondo, l’impatto di temi e problemi internazionali sui materiali didattici. Tale impatto ha prodotto dei cambiamenti sul piano delle finalità educative e degli strumenti di apprendimento incorporati nei manuali. Nonostante l’evoluzione di queste caratteristiche del curricolo, tuttavia, l’analisi delle conoscenze storico-filosofiche utilizzate dai manuali ha messo in luce la scarsa contestualizzazione culturale della fisica quale uno degli ostacoli principali per l’insegnamento di una scienza più rilevante e formativa.
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Le cellule staminali/stromali mesenchimali umane (hMSC) sono attualmente applicate in diversi studi clinici e la loro efficacia è spesso legata alla loro capacità di raggiungere il sito d’interesse. Poco si sa sul loro comportamento migratorio e i meccanismi che ne sono alla base. Perciò, questo studio è stato progettato per comprendere il comportamento migratorio delle hMSC e il coinvolgimento di Akt, nota anche come proteina chinasi B. L’espressione e la fosforilazione della proteinchinasi Akt è stata studiata mediante Western blotting. Oltre al time-lapse in vivo imaging, il movimento cellulare è stato monitorato sia mediante saggi tridimensionali, con l’uso di transwell, che mediante saggi bidimensionali, attraverso la tecnica del wound healing. Le prove effettuate hanno rivelato che le hMSC hanno una buona capacità migratoria. E’ stato osservato che la proteinchinasi B/Akt ha elevati livelli basali di fosforilazione in queste cellule. Inoltre, la caratterizzazione delle principali proteine di regolazione ed effettrici, a monte e a valle di Akt, ha permesso di concludere che la cascata di reazioni della via di segnale anche nelle hMSC segue un andamento canonico. Specifici inibitori farmacologici sono stati utilizzati per determinare il potenziale meccanismo coinvolto nella migrazione cellulare e nell'invasione. L’inibizione della via PI3K/Akt determina una significativa riduzione della migrazione. L’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le singole isoforme di Akt ha permesso di discriminare il ruolo diverso di Akt1 e Akt2 nella migrazione delle hMSC. E’ stato infatti dimostrato che l'inattivazione di Akt2, ma non quella di Akt1, diminuisce significativamente la migrazione cellulare. Nel complesso i risultati ottenuti indicano che l'attivazione di Akt2 svolge un ruolo critico nella migrazione della hMSC; ulteriori studi sono necessari per approfondire la comprensione del fenomeno. La dimostrazione che l’isoforma Akt2 è necessaria per la chemiotassi diretta delle hMSC, rende questa chinasi un potenziale bersaglio farmacologico per modulare la loro migrazione.
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Obbiettivo. Analizzare la funzionalità polmonare e diaframmatica dopo interventi di plicatura del diaframma con rete di rinforzo peri-costale eseguiti per relaxatio e riparazione di ernia transdiaframmatica cronica mediante riduzione e sutura diretta. Metodi. Dal 1996 al 2010, 10 pazienti con relaxatio unilaterale del diaframma e 6 pazienti con ernia transdiaframmatica cronica misconosciuta sono stati sottoposti a chirurgia elettiva. Gli accertamenti preoperatori e al follow-up di 12 mesi includevano prove di funzionalità respiratoria, misura della pressione massimale inspiratoria alla bocca in clino e ortostatismo, emogasanlisi, TC del torace e dispnea score. Risultati. I pazienti dei due gruppi non differivano in termini di funzionalità respiratoria preoperatoria nè di complicanze postoperatorie; al follow-up a 12 mesi il gruppo Eventrazione mostrava un significativo aumento del FEV1% (+18,2 – p<0.001), FVC% (+12,8 – p<0.001), DLCO% (+6,84 – p=0,04) e pO2 (+9,8 mmHg – p<0.001). Al contrario nrl gruppo Ernia solo il miglioramento della pO2 era significativo (+8.3 – p=0.04). Sebbene la massima pressione inspiratoria (PImax) fosse aumentata in entrambi i gruppi al follow-up, i pazienti operati per ernia mostravano un miglioramento limitato con persistente caduta significativa della PImax dall’ortostatismo al clinostatismo (p<0.001). Il Transitional dyspnoea score è stato concordante con tali miglioramenti pur senza differenze significative tra i due gruppi. La TC del torace ha evidenziato una sopraelevazione dell’emidiaframma suturato, senza recidiva di ernia, mentre i pazienti sottoposti a plicatura hanno mantenuto l’ipercorrezione. Conclusioni. L’utilizzo di un rinforzo protesico è sicuro e sembra assicurare risultati funzionali migliori a distanza in termini di flussi respiratori e di movimento paradosso del diaframma (valutato mediante PImax). Lacerazioni estese del diaframma coinvolgenti le branche principali di suddivisione del nervo frenico si associano verosimilmente a una relaxatio che può quindi ridurre il guadagno funzionale a lungo termine se non adeguatamente trattata mediante l’utilizzo di un rinforzo protesico.