202 resultados para Asterix Goscinny Uderzo Analisi Traduzione Avesini Chehayed Francese Italiano Arabo
Resumo:
Questo lavoro affronta la traduzione della letteratura per l'infanzia. La prima parte teorica si divide tra l'analisi di cosa si intenda per traduzione per l'infanzia, quali siano le problematiche e le particolarità che la caratterizzano, e un'analisi delle specificità della traduzione dal russo all'italiano, con un approfondimento della letteratura russa contemporanea per l’infanzia. La seconda parte, pratica, analizza le traduzioni della stessa dottoranda per calare in esempi pratici le possibilità teoriche analizzate nella prima parte. Vengono affrontati brani dei maggiori scrittori contemporanei, come G. Oster, M. Moskvina, M. Borodickaja, Ju. Nečiporenko e altri. Caratteristiche fondanti la letteratura per l’infanzia sono l’interazione tra parola e immagine, il ruolo della lettura a voce alta e l’importanza del suono, i nomi parlanti, il doppio destinatario, l’adattamento, il rispetto dei canoni morali e estetici imposti dalla società, il carattere pedagogico. Gli aspetti teorici esaminati sono il traduttore come lettore e la ricerca di un equivalente funzionale come strategia traduttiva. This thesis is about translation of children’s literature. In the first section, I explore the meanings of translating for children, and which are its issues and peculiarities; the specificities in translation from Russian into Italian; the background of contemporary Russian Children’s Literature (G. Oster, M. Moskvina, M. Boroditskaya, Yu. Nechiporenko). In the second part I analyze my translations, in order to give some practical examples of the theoretical strategies I explored in the first section. Relevant characteristic of children’s literature are: its pedagogical character, interaction between word and image, double addressee, the importance of reading aloud, adaptation, respect of moral and aesthetic canons imposed by the society. The theoretical aspects examined in this thesis involve the issue of the translator seen as reader, and the search of functional equivalents as dominant translation strategy.
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Il testo ripercorre le origini del romanzo poliziesco, la sua struttura, le tecniche narrative utilizzate e l’evoluzione del genere che ha condotto alla nascita del Noir francese e del Noir Mediterraneo. Arrivando ad osservare che per le sue caratteristiche, la letteratura noir in generale presenta specificità di tipo culturale, ambientale e linguistico, che risultano molto evidenti nell’opera di Izzo, si giunge a considerare come sia necessario per il traduttore porsi rispetto all’opera come un antropologo o un etnologo, di farsi cioè interprete di una “cultura”. Nella terza parte del lavoro vengono presentati la Trilogia di Izzo, la struttura narrativa e gli elementi socio-culturali presenti nell’opera. La quarta parte propone le teorie relative sia al problema della traduzione interlinguistica, sia a quello della traduzione intralinguistica e successivamente dopo una analisi della traduzione italiana dei testi, presenta, in appendice, una possibile traduzione del prologo di Total Khéops, inteso come sintesi delle caratteristiche narrative e culturali dell’autore. La parte conclusiva di questo lavoro riguarda la traduzione intercodica e, seguendo la linea di pensiero che ha governato l’analisi della Trilogia vengono presi in esame e messi a confronto col testo narrativo alcuni dialoghi significativi dell’adattamento per la televisione.
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Affrontare l’analisi critica delle traduzioni italiane di Un amour de Swann di Marcel Proust implica necessariamente un attento esame dello stile esemplare di un autore, che ha modificato, in larga misura, la concezione del romanzo e della scrittura stessa; in secondo luogo significa considerare l’altrettanto complesso lavorio intellettuale rappresentato dalla traduzione, in qualità di atto critico fondamentale. Prenderemo in esame nel capitolo primo la genesi del TP, le sue specificità narratologiche e la ricezione critica francese e italiana, per comprendere appieno l’originalità di Proust rispetto al panorama letterario dell’epoca. Nella seconda parte del primo capitolo delineeremo un excursus lungo la storia di tutte le traduzioni italiane del romanzo, accordando particolare attenzione alla figura di ogni traduttore: Natalia Ginzburg (1946), Bruno Schacherl (1946), Armando Landini (1946), Oreste Del Buono (1965), Giovanni Raboni (1978), Maria Teresa Nessi Somaini (1981), Gianna Tornabuoni (1988), Eurialo De Michelis (1990) e il traduttore, rimasto anonimo, della casa editrice La Spiga Languages (1995). Nel secondo capitolo analizzeremo la peculiarità stilistica più nota dell’autore, la sintassi. I lunghi periodi complicati da un intreccio di subordinate e sciolti solo con il ricorso a vari nessi sintattici contribuiscono a rendere la sintassi proustiana una delle sfide maggiori in sede traduttiva. Nel capitolo successivo accorderemo attenzione all’eteroglossia enunciativa, espressa nei diversi idioletti del romanzo. In sede contrastiva affronteremo la questione della trasposizione dei niveaux de langue, per poter valutare le scelte intraprese dai traduttori in un ambito altamente complesso, a causa della diversità diafasica intrinseca dei due codici. All’interno del medesimo capitolo apriremo una parentesi sulla specificità di una traduzione, quella di Giacomo Debenedetti, effettuata seguendo una personale esegesi dello stile musicale e armonico di Proust. Riserveremo al capitolo quarto lo studio del linguaggio figurato, soffermandoci sull’analisi delle espressioni idiomatiche, che vengono impiegate frequentemente da alcuni personaggi. Rivolgeremo uno sguardo d’insieme alle strategie messe in atto dai traduttori, per cercare un equivalente idiomatico o per ricreare il medesimo impatto nel lettore, qualora vi siano casi di anisomorfismo. Analizzeremo nel quinto capitolo la terminologia della moda, confrontando il lessico impiegato nel TP con le soluzioni adottate nei TA, e aprendo, inevitabilmente, una parentesi sulla terminologia storica del settore. A compimento del lavoro presenteremo la nostra proposta traduttiva di un capitolo tratto dal saggio Proust et le style di Jean Milly, per mettere in luce, tramite la sua parola autorevole, la genialità e la complessità della scrittura proustiana e, conseguentemente, il compito ardimentoso e ammirevole che è stato richiesto ai traduttori italiani.
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Les théories du post-industrialisation utilisent comme une preuve empirique du changement du processus historique l’entrée dans une nouvelle structure sociale que, par ailleurs, se distingue par le déplacement des biens et des services et par la formation de nouvelles structures professionnelles et de la gestion. Dans ce contexte, en premier lieu, c’est très intéressant à comprendre comme les nouvelles formes de l’organisation économique et sociale ont reussies à influer sur les systèmes de la fiscalité directe de l’État italien et de l’État français à la formation et au perfectionnement de la notion de revenu du travail indépendant et aussi à la formation et au perfectionnement des modèles de la taxation directe des revenus du travail indépendant. Par conséquent, la recherche, dans le principe, se concentre sur le processus de la construction et de l’évolution de la notion de revenu du travail indépendant et aussi de la construction et de l’évolution des formes nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant; un processus dévelopé au cours de l’Époque Moderne et de l’Époque Contemporaine que, du point de vue historique-fiscale, s’encadre comme l’époque des grands changements en ce qui concerne aussi à la fiscalité directe des revenus de la richesse mobilière. En second lieu, c’est très important à préciser si existe la possibilité de reconstruire les notions actuelles des revenus du travail indépendant en vue de l’aproximation des modalitès de la taxation directe de cette catégorie de revenus de la richesse mobilière avec les modalitès de la taxation directe des revenus de l’entreprise adoptées dans les systèmes italien et français de la fiscalitè directe; par conséquent, la recherche s’oriente vers la déscrition et l’analyse des questions en ce qui concerne à la définition fiscale objective et subjective des revenus du travail indépendant, à la direction vers laquelle on doit s’adresser actuellement les modèles nationaux de la taxation directe des revenus du travail indépendant et les raisons que la justifient. En autre, la recherche s’étendre vers une analyse comparative laquelle évidence les éléments de la convergence et de la divergence nécessaires pour tirer avec exactitude des conclusions sur l’approximation au niveau national et européen des notions des revenus du travail indépendant et des principes et modalités de la taxation directe des revenus du travail indépendant à fin de garantir les libertés de l’établissement et de la prestation des services et les principes de non-dicrimination et de la non-différenciation fiscale des travailleurs indépendants transfrontières dans le marché intérieur. En troisième lieu, c’est très intéressant à préciser avec cette recherche si dans le cadre conventionnel et européen existe une notion de revenu du travail indépendant ou non et si existe un modèle européen unifié ou, au contraire, il s’agit d’une approximation des modèles nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant. Par conséquent, un’autre argument de la recherce est l’analyse de la normative conventionnelle et de la législation européenne et aussi de la jurisprudence de la Cour de la Justice de l’Union Européenne relatives à la construction d’une notion conventionnelle et aussi européenne du travail indépendant au matiere de la fiscalité directe et l’incidence de principes conventionnels et aussi de libertés européenne de l’établissement et de la prestation des services à la taxation directe des revenus des travailleurs indépendants par rapport aux principes de non-discrimination et de la non-différenciation fiscale; une analyse laquelle évidence l’absence d’un modèle conventionnel et d’un modèle européen harmonisé relativement à la taxation directe des revenus du travail indépendant à raison de la prévalence du principe de la souveranité fiscale au domaine de la fiscalitè directe et pour cette raison en peut parler seulement d’une approximation des modèles nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant à fin de garantir les libertés européenne de l’établissement et de la prestation des services des travailleurs indépendants et les principes conventionnels de non-discrimination et de la non-différenciation fiscale. À la fin, c’est très intéressant à préciser si existe une corrélation entre les Traités fiscales et le Droit fiscal européen en ce qui concerne à la notion de revenus du travail indépendant et les principes fiscales. Par conséquent, la recherche se compléte avec l’analyse du régime fiscale des revenus du travail indépendant évidencé dans le Modèle de la Convention de l’OCDE et dans la Convention Italie-France concernant à l’élimination de la double imposition; une analyse laquelle, en analogie avec le droit fiscal européen, précise l’approximation des revenus du travail indépendant avec les revenus de l’entreprise en se référant le Modèle de la Convention de l’OCDE et l’absence d’un modèle conventionel de la taxation directe des revenus du travail indépendant, mais, à différence du droit fiscal européen, évidence la présence des certains critéres adoptés par la normative conventionnelle à fin de garantir l’arrêt de la double imposition et le principe de la non-discrimination que, en substance, sont points de convérgence avec le droit fiscal européen. En autre, l’analyse de la normative conventionnelle de l’OCDE, à différence de la normative conventionnelle relative à la Convention de l’élimination de la double imposition finalisée par l’Italie et la France, évidence une évolution de la fiscalitè directe en ce qui concerne aux travailleurs indépendants laquelle se vérifie à l’adoption des critéres de la fiscalitè directe des revenus des sociétés et de la quelle en se dérive l’approximation de la notion des revenus du travail indépendant avec la notion des revenus de l’entreprise, en substance, revenus provenant par les activités économiques. Compte tenu de ce qui précède, c’est clair la convérgence parmis les législations nationales de la taxation directe des revenus du travail indépendant et la normative conventionnelle du Modèle de la Convention de l’OCDE et la normative europénne; une convérgence que confirme la nouvelle diréction vers la quelle s’adressent les notions et les modèles de la taxation directe des revenus du travail indépendant dans les systèmes nationals de la taxation directe: l’approximation avec les modèles nationales de la taxation directe des revenus des sociétés en vue de l’approximation des notions des revenus dérives par les activités économiques.
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Riconoscendo l’importanza delle traduzioni all’interno della cosiddetta repubblica democratica dell’infanzia, il lavoro analizza le prime traduzioni tedesche e italiane del classico della letteratura per l’infanzia I ragazzi della Via Pál di Ferenc Molnár, al fine di metterne in luce i processi non solo prettamente traduttivi, ma anche più ampiamente culturali, che hanno influenzato la prima ricezione del romanzo in due contesti linguistici spesso legati per tradizione storico-letteraria alla letteratura ungherese. Rispettando la descrizione ormai comunemente accettata della letteratura per ragazzi come luogo di interazione tra più sistemi – principalmente quello letterario, quello pedagogico e quello sociale –, il lavoro ricostruisce innanzitutto le dinamiche proprie dei periodi storici di interesse, focalizzando l’attenzione sulla discussione circa l’educazione patriottica e militare del bambino. In relazione a questa tematica si approfondisce l’aspetto della “leggerezza” nell’opera di Molnár, ricostruendo attraverso le recensioni del tempo la prima ricezione del romanzo in Ungheria e presentando i temi del patriottismo e del gioco alla guerra in dialogo con le caratteristiche linguistico-formali del romanzo. I risultati raggiunti – una relativizzazione dell’intento prettamente pedagogico a vantaggio di una visione critica della società e del militarismo a tutti i costi – vengono messi alla prova delle traduzioni. L’analisi critica si basa su un esame degli elementi paratestuali, sull’individuazione di processi di neutralizzazione dell’alterità culturale e infine sull’esame delle isotopie del “gioco alla guerra” e dei “simboli della patria”. Si mostra come, pur senza un intervento censorio o manipolazioni sensibili al testo, molte traduzioni italiane accentuano l’aspetto patriottico e militaresco in chiave pedagogica. Soprattutto in Italia, il romanzo viene uniformato così al contesto letterario ed educativo dell’epoca, mentre in area tedesca la ricezione nell’ambito della letteratura per ragazzi sembra aprire al genere del romanzo delle bande.
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Confrontarsi con lo stile di un autore e riuscire a trasferirlo con tutte le sue sfumature in un’altra lingua rappresenta da sempre per il traduttore una sfida di non poco conto, soprattutto se le peculiarità stilistiche da riprodurre sono quelle di un autore come Flaubert. È nell’incredibile universo racchiuso negli studi e nelle ricerche relative alla traduzione, nel quale, timidamente, ci proponiamo di inoltrarci, attraverso uno dei capolavori della letteratura mondiale, Madame Bovary, e in particolare attraverso un’indagine critica di alcune traduzioni italiane realizzate da scrittori in proprio: Diego Valeri (1936), Oreste del Buono (1965), Natalia Ginzburg (1983) e Maria Luisa Spaziani (1997). Focalizzeremo la nostra attenzione innanzitutto sulla traduzione d’autore, nella quale, più che in ogni altra tipologia di atto traspositivo, si intersecano fedeltà e tradimento, creatività e interventismo, letteralità e rielaborazione. Proseguiremo con un’ampia e articolata analisi del testo di partenza, in cui verranno messe in luce le principali peculiarità del romanzo e dello stile autoriale. Entrando poi nella specificità delle diverse traduzioni, procederemo a un esame comparativo della resa di alcuni tratti caratteristici del romanzo da parte dei vari traduttori, in particolare circa le metafore e le similitudini; la terminologia specialistica, che denota il realismo flaubertiano; i vocaboli appartenenti a diversi livelli linguistici, attinti sia dalle varietà diacroniche sia da quelle sincroniche del francese e infine, alcune configurazioni frastiche particolari del testo, quelle che, anziché improntarsi alla varietas grammaticale, mostrano una monotonia grammaticale voluta, con la funzione di riprodurre a livello sintattico quanto espresso semanticamente. Seguirà l’analisi del contesto socio-letterario in cui si collocano le traduzioni oggetto di studio, articolata in un’indagine comparativa sullo stadio della lingua italiana, sullo statuto della traduzione e sulle attitudini traspositive riguardo a certi elementi del discorso. La determinazione del quadro d’insieme, unitamente agli aspetti estrapolati nel corso della trattazione, consentirà la definizione di ogni sujet traduisant e della sua position traductive circa il significato, le finalità, le forme e i modi del tradurre, nel tentativo di ricondurre le variazioni apportate al testo originale allo stile di ogni singolo scrittore in proprio. A completamento del lavoro inseriremo in appendice la nostra proposta traduttiva degli atti del processo a Madame Bovary.
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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
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The construction and use of multimedia corpora has been advocated for a while in the literature as one of the expected future application fields of Corpus Linguistics. This research project represents a pioneering experience aimed at applying a data-driven methodology to the study of the field of AVT, similarly to what has been done in the last few decades in the macro-field of Translation Studies. This research was based on the experience of Forlixt 1, the Forlì Corpus of Screen Translation, developed at the University of Bologna’s Department of Interdisciplinary Studies in Translation, Languages and Culture. As a matter of fact, in order to quantify strategies of linguistic transfer of an AV product, we need to take into consideration not only the linguistic aspect of such a product but all the meaning-making resources deployed in the filmic text. Provided that one major benefit of Forlixt 1 is the combination of audiovisual and textual data, this corpus allows the user to access primary data for scientific investigation, and thus no longer rely on pre-processed material such as traditional annotated transcriptions. Based on this rationale, the first chapter of the thesis sets out to illustrate the state of the art of research in the disciplinary fields involved. The primary objective was to underline the main repercussions on multimedia texts resulting from the interaction of a double support, audio and video, and, accordingly, on procedures, means, and methods adopted in their translation. By drawing on previous research in semiotics and film studies, the relevant codes at work in visual and acoustic channels were outlined. Subsequently, we concentrated on the analysis of the verbal component and on the peculiar characteristics of filmic orality as opposed to spontaneous dialogic production. In the second part, an overview of the main AVT modalities was presented (dubbing, voice-over, interlinguistic and intra-linguistic subtitling, audio-description, etc.) in order to define the different technologies, processes and professional qualifications that this umbrella term presently includes. The second chapter focuses diachronically on various theories’ contribution to the application of Corpus Linguistics’ methods and tools to the field of Translation Studies (i.e. Descriptive Translation Studies, Polysystem Theory). In particular, we discussed how the use of corpora can favourably help reduce the gap existing between qualitative and quantitative approaches. Subsequently, we reviewed the tools traditionally employed by Corpus Linguistics in regard to the construction of traditional “written language” corpora, to assess whether and how they can be adapted to meet the needs of multimedia corpora. In particular, we reviewed existing speech and spoken corpora, as well as multimedia corpora specifically designed to investigate Translation. The third chapter reviews Forlixt 1's main developing steps, from a technical (IT design principles, data query functions) and methodological point of view, by laying down extensive scientific foundations for the annotation methods adopted, which presently encompass categories of pragmatic, sociolinguistic, linguacultural and semiotic nature. Finally, we described the main query tools (free search, guided search, advanced search and combined search) and the main intended uses of the database in a pedagogical perspective. The fourth chapter lists specific compilation criteria retained, as well as statistics of the two sub-corpora, by presenting data broken down by language pair (French-Italian and German-Italian) and genre (cinema’s comedies, television’s soapoperas and crime series). Next, we concentrated on the discussion of the results obtained from the analysis of summary tables reporting the frequency of categories applied to the French-Italian sub-corpus. The detailed observation of the distribution of categories identified in the original and dubbed corpus allowed us to empirically confirm some of the theories put forward in the literature and notably concerning the nature of the filmic text, the dubbing process and Italian dubbed language’s features. This was possible by looking into some of the most problematic aspects, like the rendering of socio-linguistic variation. The corpus equally allowed us to consider so far neglected aspects, such as pragmatic, prosodic, kinetic, facial, and semiotic elements, and their combination. At the end of this first exploration, some specific observations concerning possible macrotranslation trends were made for each type of sub-genre considered (cinematic and TV genre). On the grounds of this first quantitative investigation, the fifth chapter intended to further examine data, by applying ad hoc models of analysis. Given the virtually infinite number of combinations of categories adopted, and of the latter with searchable textual units, three possible qualitative and quantitative methods were designed, each of which was to concentrate on a particular translation dimension of the filmic text. The first one was the cultural dimension, which specifically focused on the rendering of selected cultural references and on the investigation of recurrent translation choices and strategies justified on the basis of the occurrence of specific clusters of categories. The second analysis was conducted on the linguistic dimension by exploring the occurrence of phrasal verbs in the Italian dubbed corpus and by ascertaining the influence on the adoption of related translation strategies of possible semiotic traits, such as gestures and facial expressions. Finally, the main aim of the third study was to verify whether, under which circumstances, and through which modality, graphic and iconic elements were translated into Italian from an original corpus of both German and French films. After having reviewed the main translation techniques at work, an exhaustive account of possible causes for their non-translation was equally provided. By way of conclusion, the discussion of results obtained from the distribution of annotation categories on the French-Italian corpus, as well as the application of specific models of analysis allowed us to underline possible advantages and drawbacks related to the adoption of a corpus-based approach to AVT studies. Even though possible updating and improvement were proposed in order to help solve some of the problems identified, it is argued that the added value of Forlixt 1 lies ultimately in having created a valuable instrument, allowing to carry out empirically-sound contrastive studies that may be usefully replicated on different language pairs and several types of multimedia texts. Furthermore, multimedia corpora can also play a crucial role in L2 and translation teaching, two disciplines in which their use still lacks systematic investigation.
Resumo:
La ricerca si propone come studio teorico e analitico basato sulla traduzione letteraria e audiovisiva del genere diasporico, esemplificato nel romanzo The Namesake – L’omonimo di J. Lahiri e nel film The Namesake – Il destino nel nome di M. Nair. Si sviluppa, quindi, un doppio percorso di analisi, concentrandosi sulla traduzione interlinguistica di due modalità testuali differenti, quella letteraria (il testo narrativo) e quella audiovisiva (in particolare, il doppiaggio). L’approccio teorico è di stampo interdisciplinare, come risulta sempre più imprescindibile nel campo dei Translation Studies: infatti, si cerca di coniugare prospettive di natura più linguistica, quali i Descriptive Translation Studies (in particolare, Toury 1995) e lo sviluppo degli studi sui cosiddetti ‘universali traduttivi’, con approcci di stampo più culturalista, in particolare gli studi sulla traduzione post-coloniali, con le loro riflessioni sui concetti di ‘alterità’ e ‘ibridismo’. Completa il quadro teorico di riferimento una necessaria definizione e descrizione del genere diasporico relativo alla cultura indiana, in rapporto sia al contesto di partenza (statunitense) sia al contesto di arrivo (italiano) per entrambi i testi presi in considerazione. La metodologia scelta per l’indagine è principalmente di natura linguistica, con l’adozione del modello elaborato dallo studioso J. Malone (1988). L’analisi empirica, accompagnata da una serie di riflessioni teoriche e linguistiche specifiche, si concentra su tre aspetti cruciali per entrambe le tipologie testuali, quali: la resa della naturalezza dei dialoghi nel discorso letterario e in quello filmico, la rappresentazione del multiculturalismo e delle varietà linguistiche caratterizzanti i due testi di partenza e i numerosi riferimenti culturo-specifici delle due opere e la loro traduzione in italiano. Si propongono, infine, alcune considerazioni in ottica intersemiotica in relazione alle tre aree individuate, a integrazione dell’indagine in chiave interlinguistica.
Resumo:
Le traduzioni di Luis Cernuda, poeta spagnolo della Generazione del '27, da testi poetici di autori francesi, tedeschi ed inglesi, la cui scelta è dettata da ragioni di coerenza artistica, non hanno valore secondario rispetto alla produzione poetica autoriale. Nel presente studio si delinea l'uniformità del percorso creativo di Luis Cernuda nel ruolo duplice ed apparentemente contraddittorio di poeta-traduttore, attraverso un tracciato spazio-temporale, al contempo realistico e metaforico, che si svolge lungo gran parte della vita del misconosciuto poeta sivigliano. Ad una preliminare presentazione analitica del concetto di traduzione, della funzione che la stessa riveste nel genere letterario specifico della poesia e nell'attività creativa di Cernuda, segue l'analisi comparativa delle traduzioni cernudiane con le rispettive fonti straniere. L'argomento si svolge in tre capitoli successivi, organizzati rispettando lo svolgimento cronologico del percorso traduttorio cernudiano, svolto in parallelo alla produzione poetica personale. Il secondo capitolo verte sulla traduzione da testi poetici in francese. Il terzo capitolo, sul periodo immediatamente successivo agli anni della sperimentazione francese, analizza lo studio della poesia tedesca e della sperimentazione in traduzione. Tale incontro si propone anche come momento di scissione definitiva dalla lirica romanza, piuttosto esornativa, e di accostamento alla più essenziale lirica germanica. Il quarto capitolo raccoglie le versioni poetiche da autori inglesi, che si contraddistinguono per la grande somiglianza alla poesia di Cernuda nelle scelte contenutistico-formali. Le conclusioni vertono sulla coesione perseguita nel tradurre, per cui contenuto e forma acquisiscono pari importanza nella “ricreazione poetica” realizzata da Cernuda.