14 resultados para resilienza


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La produzione di sedili auto rappresenta una delle principali applicazioni delle schiume poliuretaniche flessibili a bassa densità. La forte necessità di riduzione del peso totale del veicolo si traduce in una richiesta di significative riduzioni di densità dei materiali utilizzati per l’interno vettura. Tale riduzione deve tuttavia essere associata a migliorate proprietà, nel senso del mantenimento delle performance nel tempo, della sicurezza e del comfort. Ricerche di mercato hanno evidenziato la necessità di sviluppare schiume poliuretaniche con elevate performance in termini di comfort, associate a significative riduzioni di densità e significative riduzioni di spessori applicati, nell’ottica di produrre sedili sempre più sottili consentendo la massima flessibilità di design dell’interno del veicolo. Scopo del presente progetto è lo sviluppo di una nuova chimica associata a quella del poliuretano che permetta di ottenere un elevato comfort. Il corpo umano e maggiormente sensibile a vibrazioni con frequenza tra i 4 e gli 8 Hz. In questo intervallo di frequenze le vibrazioni trasmesse sono correlate con l’isteresi del materiale stesso. Solitamente basse isteresi sono associate a bassa trasmissività delle vibrazioni. I produttori di auto hanno quindi cominciato a valutare il comfort di un sedile in termini di isteresi del materiale stesso. Nel caso specifico è considerato un sedile confortevole se possiede una isteresi inferiore al 18%. Le performance in termini di comfort devono essere associate anche ad una bassa emissione di composti organici volatili, con particolare attenzione ad ammine e aldeidi, ad un 15% di riduzione di densità (l’obiettivo è raggiungere una densità di 60 g/L a fronte di una densità attuale che si colloca nel range 75-80 g/L), con proprietà fisico meccaniche e resistenza all’invecchiamento in grado di soddisfare i capitolati delle case automobilistiche. Recentemente la produzione di SMPs (silane-modified polymers) ricopre un ruolo fondamentale nel mercato dei sigillanti e degli adesivi. L’idea di utilizzare questa famiglia di silani nella produzione di schiume poliuretaniche flessibili risiede nel fatto che, esattamente come in sigillanti e adesivi, ci possa essere una reazione successiva a quella di formazione del PU che possa dare ulteriore reticolazione della frazione morbida. La reazione di post-curing del silano ha incontrato diverse problematiche relative alla scarsa reattività del silano stesso. Per attivare la reazione di idrolisi e oligomerizzazione si è utilizzato un acido di Brønsted (DBSA) ma l’interazione con le ammine presenti nel poliolo formulato, necessarie alla reazione di formazione del legame uretanico, ne hanno inibito l’attività.

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Lo scopo dello studio è comprendere i fenomeni alla base della fiducia degli utenti verso l'enciclopedia online Wikipedia. Per farlo è necessario prima di tutto comprendere e modellizzare l'organizzazione della struttura dei processi socio-produttivi sottostanti alla produzione del contenuto di Wikipedia, procedendo quindi nel verificare empiricamente e descrivere le capacità di autocorrezione della stessa. Oltre a quelli utilizzati in questo studio, saranno anche descritti gli approcci e i risultati trattati in letteratura, riportando i principali studi che nel corso degli anni hanno affrontato questi argomenti, sebbene mantenendoli indipendenti. Per comprendere la struttura della community degli editor di Wikipedia, si è ipotizzata l'esistenza di un modello di tipo Core-Periphery. Per studiare il modello sono state eseguite delle analisi su dati derivanti da un campione di pagine della versione italiana di Wikipedia. I risultati ottenuti dall'analisi di queste informazioni rappresentano le basi utilizzate per la selezione delle pagine oggetto dell'iniezione degli errori, costituendo un metodo per stimare le diverse probabilità di autocorrezione per ciascuna pagina. Per quanto riguarda le capacità di resilienza di Wikipedia, i risultati sono ricavati utilizzando un approccio empirico. Questo consiste nell'inserimento di errori all'interno del campione di pagine sotto specifici vincoli metodologici per poi valutare in quanto tempo e con quali modalità questi errori vengono corretti. E' stata effettuata un'analisi specifica per la scelta delle tipologie di errore e delle variabili da considerare nell'inserimento di questi. Questa analisi ha portato alla definizione di 2 esperimenti tra loro distinti, i cui risultati portano ad interessanti conclusioni sia visti separatamente che combinati tra loro. Sulla base dei risultati di questi esperimenti è stato possibile discutere sulle capacità di autocorrezione del sistema, elemento chiave nello studio delle dinamiche della fiducia verso Wikipedia.

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“La resilienza è intesa come la capacità di un'impresa di ripristinare le normali attività a seguito di un evento imprevisto in grado di generare un'interruzione delle stesse, la cui durata e ampiezza dipende dalla gravità dell'evento. E' dunque la capacità di reagire con rapidità a fronte di instabilità della rete.” Negli ultimi decenni, cambiamenti economici e sociali, hanno contribuito alla formazione di reti produttive più estese, articolate e complesse. Tuttavia,a causa della maggiore complessità, le reti sono oggi più vulnerabili e maggiormente esposte a rischi (interni ed esterni) e situazioni impreviste. Le moderne supply chain hanno cercato di sperimentare e sviluppare nuove soluzioni organizzativeper ottenere una maggiore flessibilità, agilità e resilienza

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Cambiamenti di habitat in ambienti marini: uno studio sperimentale sulla perdita di foreste a Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh e sui popolamenti che le sostituiscono La presente tesi affronta il tema scientifico generale di come prevedere e mitigare la perdita di habitat marini naturali causata dalle attività umane. La tesi si è focalizzata sugli habitat subtidali a “canopy” formati da macroalghe brune a tallo eretto dell’ordine Fucales, che per morfologia, ruolo ed importanza ecologica possono essere paragonate alle “foreste” in ambienti terrestri temperati. Questi sistemi sono tra i più produttivi in ambienti marini, e sono coinvolti in importanti processi ecologici, offrendo cibo, protezione, riparo ed ancoraggio a diverse altre specie animali e vegetali, modificando i gradienti naturali di luce, sedimentazione e idrodinamismo, e partecipando al ciclo dei nutrienti. Sulle coste temperate di tutto il mondo, le foreste di macroalghe a canopy sono in forte regressione su scala locale, regionale e globale. Questo fenomeno, che sta accelerando a un ritmo sempre più allarmante, sta sollevando interesse e preoccupazione. Infatti, data la loro importanza, la perdita di questi habitat può avere importanti conseguenze ecologiche ed economiche, tra cui anche il possibile declino della pesca che è stato osservato in alcune aree in seguito alla conseguente riduzione della produttività complessiva dei sistemi marini costieri. Nel Mar Mediterraneo questi tipi di habitat sono originati prevalentemente da alghe appartenenti al genere Cystoseira, che sono segnalate in forte regressione in molte regioni. Gli habitat a Cystoseira che ancora persistono continuano ad essere minacciati da una sineregia di impatti antropici, ed i benefici complessivi delle misure di protezione fin ora attuate sono relativamente scarsi. Scopo della presente tesi era quello di documentare la perdita di habitat a Cystoseira (prevalentemente Cystoseira barbata (Stackhouse) C. Agardh) lungo le coste del Monte Conero (Mar Adriatico centrale, Italia), e chiarire alcuni dei possibili meccanismi alla base di tale perdita. Studi precedentemente condotti nell’area di studio avevano evidenziato importanti cambiamenti nella composizione floristica e della distribuzione di habitat a Cystoseira in quest’area, e avevano suggerito che la scarsa capacità di recupero di questi sistemi potesse essere regolata da interazioni tra Cystoseira e le nuove specie dominanti sui substrati lasciati liberi dalla perdita di Cystoseira. Attraverso ripetute mappature dell’habitat condotte a partire da Luglio 2008 fino a Giugno 2010, ho documentato la perdita progressiva delle poche, e sempre più frammentate, patch di habitat originate da questa specie in due siti chiamati La Vela e Due Sorelle. Attraverso successivi esperimenti, ho poi evidenziato le interazioni ecologiche tra le specie dominanti coinvolte in questi cambiamenti di habitat, al fine di identificare possibili meccanismi di feedback che possano facilitare la persistenza di ciascun habitat o, viceversa, l’insediamento di habitat alternativi. La mappatura dell’habitat ha mostrato un chiaro declino della copertura, della densità e della dimensione degli habitat a Cystoseira (rappresentati soprattutto dalla specie C. barbata e occasionalmente C. compressa che però non è stata inclusa nei successivi esperimenti, d’ora in avanti per semplicità verrà utilizzato unicamente il termine Cystoseira per indicare questo habitat) durante il periodo di studio. Nel sito Due Sorelle le canopy a Cystoseira sono virtualmente scomparse, mentre a La Vela sono rimaste poche, sporadiche ed isolate chiazze di Cystoseira. Questi habitat a canopy sono stati sostituiti da nuovi habitat più semplici, tra cui soprattutto letti di mitili, feltri algali e stand monospecifici di Gracilaira spp.. La mappatura dell’habitat ha inoltre sottolineato una diminuzione del potenziale di recupero del sistema con un chiaro declino del reclutamento di Cystoseira durante tutto il periodo di studio. Successivamente ho testato se: 1) una volta perse, il recupero di Cystoseira (reclutamento) possa essere influenzato dalle interazioni con le nuove specie dominanti, quali mitili e feltri algali; 2) il reclutamento di mitili direttamente sulle fronde di Cystoseira (sia talli allo stadio adulto che giovanili) possa influenzare la sopravvivenza e la crescita della macroalga; 3) la sopravvivenza e la crescita delle nuove specie dominanti, in particolare mitili, possa essere rallentata dalla presenza di canopy di Cystoseira. I risultati dimostrano che le nuove specie dominanti insediatesi (feltri algali e mitili), possono inibire il reclutamento di Cystoseira, accelerandone il conseguente declino. L’effetto diretto dei mitili sulle fronde non è risultato particolarmente significativo né per la sopravvivenza di Cystoseira che finora non è risultata preclusa in nessun stadio di sviluppo, né per la crescita, che nel caso di individui adulti è risultata leggermente, ma non significativamente, più elevata per le fronde pulite dai mitili, mentre è stato osservato il contrario per i giovanili. La presenza di canopy a Cystoseira, anche se di piccole dimensioni, ha limitato la sopravvivenza di mitili. Questi risultati complessivamente suggeriscono che una foresta di macroalghe in buone condizioni può avere un meccanismo di autoregolazione in grado di facilitare la propria persistenza. Quando però il sistema inizia a degradarsi e a frammentarsi progressivamente, i cambiamenti delle condizioni biotiche determinati dall’aumento di nuove specie dominanti contribuiscono alla mancanza di capacità di recupero del sistema. Pertanto le strategie per una gestione sostenibile di questi sistemi dovrebbero focalizzarsi sui primi segnali di cambiamenti in questo habitat e sui possibili fattori che ne mantengono la resilienza.

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In questo lavoro di ricerca viene indagato il rapporto tra politiche pubbliche e gentrification attraverso la presa in esame della trasformazione fisica, sociale ed economica delle aree centrali di due importanti realtà urbane dell’Europa mediterranea: il Raval di Barcellona e il Centro Storico di Genova. Ciò che è avvenuto nelle due aree di studio è riconducile a quanto viene indicato in letteratura come policy-led gentrification o positive gentrification in quanto è a seguito dell’azione pubblica che si avvia il processo di ricambio sociale. Le autorità locali, con la trasformazione fisica e simbolica dello spazio, hanno perseguito l’inserimento di nuove funzioni e nuovi utenti al fine di superare le problematicità ivi presenti attraverso il conseguimento del social-balance. Pertanto, sia nel Raval che nel Centro Storico genovese, la gentrification è stata utilizzata come uno strumento per la rivitalizzazione sociale ed economica di due aree dall’importanza strategica per il successo dell’intera realtà urbana. La ricerca è suddivisa in tre parti. La prima è dedicata all’esposizione della letteratura sul tema al fine di dotare la ricerca di una solida base teorica. Seguono la seconda e terza parte nelle quali vengono affrontati i due casi di studio. Innanzitutto è verificata l’esistenza delle precondizioni necessarie all’avvio della gentrification a cui segue l’analisi e la descrizione della trasformazione dello spazio fisico. Il conseguente ricambio sociale viene indagato con la presa in esame dell’evoluzione delle caratteristiche della popolazione e attraverso l’interpretazione delle motivazioni alla base della strategia residenziale attuata dai gentrifier. L’analisi degli effetti del dispiegarsi del fenomeno mina la possibilità di etichettare come gentrification in senso strictu il processo di trasformazione che ha investito il Raval e il Centro Storico genovese. Dalla ricerca condotta si esclude, in entrambe le aree, la presenza di una gentrification che rispetti l’idealtipo individuato per le grandi città globali e si ritiene necessario ricorrere ad una disaggregazione concettuale. Ai fini dell’interpretazione di quanto avvenuto nel Raval e nel Centro Storico genovese sembra più utile ricorrere al concetto di marginal gentrification il quale prevede che in un’area degradata si verifichi un miglioramento delle condizioni strutturali ed estetiche degli edifici e un ricambio sociale ma senza che questo comporti un’elevazione al rango di quartiere esclusivo o elitario. La resilienza dimostrata dalle due aree ad un pieno processo di gentrification è imputabile tanto a specificità locali quanto riconducibile alla posizione occupata sulla gerarchia urbana internazionale dalla città di Barcellona e da quella di Genova

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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Il presente studio si colloca nell’ambito del progetto europeo (FP7) THESEUS, fra i cui scopi c’è quello di fornire informazioni su vulnerabilità e resilienza degli habitat costieri in seguito all’aumento di frequenza delle inondazioni dovuto al sea level rise. E’ stata indagata la zona intertidale di spiagge sabbiose, come recettore di cambiamenti climatici. All’interno dell’habitat intertidale le comunità macrobentoniche sono di solito individuate come indicatori delle variazioni dei parametri fisico-chimici e morfodinamici. Lo scopo di questo lavoro è consistito nell’analisi delle comunità macrobentoniche e della loro interazioni con le variabili ambientali lungo tre spiagge del Nord Adriatico sottoposte a fenomeni di erosione e differenti fra di loro per caratteristiche morfodinamiche: Lido di Spina, Bellocchio e la zona della Bassona di Lido di Dante. La risposta delle comunità bentoniche è stata indagata utilizzando i dati tassonomici delle specie e raggruppando le stesse nei rispettivi gruppi trofici. Le variabili ambientali considerate sono state quelle relative alla tipologia del sedimento e quelle relative alla morfodinamica Le comunità macrobentoniche delle spiagge di Lido di Spina e di Lido di Dante sono risultate relativamente più simili tra loro, nonostante i due siti fossero i più distanti. A Lido di Spina e Lido di Dante sono state rinvenute associazioni di specie, come Scolelepis squamata ed Eurydice spinigera, tipiche delle spiagge sabbiose europee esposte al moto ondoso. In questi due siti, è risultato dominante il bivalve Lentidium mediterraneum, la cui ecologia e modalità di distribuzione aggregata permette di evidenziare il maggiore idrodinamismo che caratterizza i due siti. A Bellocchio, invece, è stato riscontrato un maggior numero di specie. Questo sito è caratterizzato dalla presenza di patch di giovanili del bivalve Mytilus galloprovincialis che sembrerebbe determinare il pattern del resto della comunità fungendo da ecosystem engineer. In termini di gruppi trofici, a Lido di Spina e a Lido di Dante prevalgono Filtratori, Carnivori e Detritivori di Superficie mentre Bellocchio è dominato da Filtratori e Misti discostandosi dagli altri siti per le sue condizioni del tutto particolari. Per quanto riguarda i descrittori abiotici, Lido di Spina e Lido di Dante, rispetto a Bellocchio, presentano una fascia intertidale più corta, pendenze maggiori, granulometrie più grossolane e risultando quindi, in generale, meno dissipative.

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La presente tesi indaga le potenzialità, in termini di criteri operativi di inserimento ambientale e procedure di intervento, che possono derivare dall’analisi dei fenomeni insediativi facendo riferimento ai concetti di ‘transizione’ e ‘resilienza’. L’attuale periodo di crisi sembra scaturire dal disequilibrio di due fattori: le esigenze umane e l’ambiente. La contestualizzazione degli interventi, il graduale adattamento alle risorse ambientali locali e la valorizzazione dei processi “dal basso” sembrano consentire di riappropriarsi sia del valore identitario dei luoghi, dando risposta ai problemi di natura sociale evidenziati, sia della eco-compatibilità delle trasformazioni, del corretto utilizzo delle risorse energetiche e della gestione delle dinamiche economiche, in risposta ai problemi ambientali analizzati. Il prefigurare applicazioni pratiche del modello di trasformazione indagato alla scala edilizia, utilizzando tavole parametriche di analisi del costruito, viste d’insieme planivolumetriche ed elaborazioni di dati e immagini, può consentire la gestione di eventuali fasi di programmazione e di pianificazione da parte delle amministrazioni finalizzate a favorire e non ostacolare i presenti e futuri fenomeni di transizione. Particolarmente significativa appare l’analisi delle diverse tendenze di ricerca progettuale in atto, con riferimento a contributi caratterizzati da un’impostazione fenomenologica e tipo-morfologica, che dimostra l’attualità degli argomenti affrontati. La ricerca di Dottorato si conclude con l’applicazione dei criteri operativi di inserimento ambientale e delle procedure di intervento individuati ad uno specifico caso di studio.

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Lo studio delle malattie che colpiscono i coralli rappresenta un campo di ricerca nuovo e poche sono le ricerche concentrate nell’Oceano Indo-Pacifico, in particolare nella Repubblica delle Maldive. Lo scopo di questa ricerca è stato approfondire le conoscenze riguardo distribuzione, prevalenza e host range della Skeleton Eroding Band (SEB) nell’atollo di Faafu. Durante il lavoro, svolto in campo tra il novembre e il dicembre 2013, sono state indagate le isole di: Magoodhoo, Filitheyo e Adangau al fine di rilevare differenze nei livelli di prevalenza della SEB in relazione ai diversi gradi di utilizzo da parte dell’uomo delle 3 isole. Il piano di campionamento ha previsto la scelta casuale, in ciascuna delle isole, di 4 siti in cui sono stati realizzati 3 belt transect e 3 point intercept transect a 2 profondità predefinite. La SEB è stata ritrovata con una prevalenza media totale di 0,27%. Dai risultati dell’analisi statistica le differenze fra le isole non sono apparse significative, facendo ipotizzare che i livelli di prevalenza differiscano a causa di oscillazioni casuali di carattere naturale e che quindi non siano dovute a dinamiche legate al diverso sfruttamento da parte dell’uomo. I generi Acropora e Pocillopora sono risultati quelli maggiormente colpiti con valori di prevalenza totale di 0,46% e 1,33%. Infine è stata rilevata una correlazione positiva tra il numero di colonie di madrepore affette dalla SEB e il numero di colonie in cui la malattia è associata alla presenza di lesioni provocate da danni meccanici. I dati di prevalenza ottenuti e le previsioni di cambiamenti climatici in grado di aumentare distribuzione, host range, abbondanza della patologia, pongono l’accento sulla necessità di chiarire il ruolo delle malattie dei coralli nel deterioramento, resilienza e recupero dei coral reefs, al fine di attuare politiche di gestione adatte alla protezione di questi fragili ecosistemi.

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Questa tesi muove dal Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che il Comune di Bologna sta costruendo insieme ad altri tre partners attraverso il progetto life + BLUEAP. L’obiettivo della tesi è quello di presentare le evidenze attuali dei cambiamenti climatici nella situazione locale bolognese e vedere come la pianificazione urbanistica possa avere un ruolo importante nel prevenire e rallentare questi effetti e limitarne gli impatti a qualunque scala si intervenga; sia a livello di progetto urbano sia di politiche integrate ai piani urbanistici, si può tendere verso scelte “clima consapevoli”. Presenterò anche, quindi, una soluzione progettuale con comparazione del grado di resilienza dell’area prima e dopo l’intervento. L’ambito di studio e di progetto scelto è quello del fiume Reno, nel suo tratto di attraversamento urbano, perché mostra una serie di criticità legate al cambiamento climatico, rendendo evidenti i punti deboli e il livello di resilienza del sistema.

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L’obbiettivo ultimo di questo elaborato è quello di valutare il rischio per un evento sismico e un evento idrogeologico di tre reti di condotte per la distribuzione dell’acqua, per poter assegnare ai vari gradi di rischio un opportuno intervento. Le condotte delle reti sono identificate con: ID, materiale, pressione nominale, diametro nominale, portata, spessore, tipologia di giunti, rivestimento, protezione catodica, anno di posa, collocazione. Noti i dati, si possono calcolare le classi dei fattori vulnerabilità, esposizione e pericolosità, relativa ad ogni singola condotta e all’intera rete. La vulnerabilità valuta i fattori di suscettibilità e resilienza di una condotta, l’esposizione valuta i costi ad essa associati e la pericolosità valuta la possibilità degli eventi scelti in base alla collocazione fisica della condotta. Le classi sono successivamente combinate per conoscere il rischio della condotta rispetto l’intera rete. Valutato il livello di rischio abbinato al livello di vulnerabilità della condotta, si ottiene l’intervento opportuno per la condotta analizzata.

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La presente tesi di dottorato ha riguardato l'indagine fitochimica della biodiversità spontanea di Humulus lupulus L. in Emilia Romagna e la valutazione degli effetti del clima dell'Italia settentrionale sul metabolismo secondario di cultivar di luppolo. In particolare, lo studio ha previsto l'individuazione di ecotipi di luppolo provenienti da zone planiziali e collinari di'Emilia Romagna e Lombardia, la loro messa a dimora in un campo collezione appositamente allestito, e il monitoraggio della resa di campo e della produzione di metaboliti secondari di natura polare (acilfluoroglucinoli, flavonidi isoprenilati) e apolare (terpeni e sequiterpeni). Gli obiettivi primari sono stati la valutazione di entità da portare direttamente in coltivazione o da introdurre in percorsi di breeding del luppolo in Italia, oltre all'ottimizzazione di metodi innovativi per lo screening dell'intero germoplasma italiano. Per definire le caratteristiche fitochimiche dei coni di luppolo sono stati messi a punto metodi cromatografici HPLC-UV, HPLC-MS/MS e GC-MS e metodi spettroscopici 1H-NMR. Nel corso del triennio i metodi sono stati applicati a 10 cultivar e oltre 30 ecotipi , alcuni dei quali hanno fornito dati anche a conclusione dell'intero periodo di acclimatazione. Per tutti si è anche verificata la resilienza alle diverse condizioni climatiche incontrate Le analisi chimiche hanno permesso di individuare una sostanziale differenza tra gli ecotipi e le cultivar, con i primi che si caratterizzano per una produzione modesta di α-acidi e β-acidi e un profilo aromatico ricco di isomeri del selinene. Questo risultato può essere interessante per l’industria della birra nazionale e in particolare per il settore dei microbirrifici artigianali, in quanto i luppoli più pregiati sono proprio quelli con un basso contenuto di acidi amari e ricchi di oli essenziali che possano impartire alle birre prodotte note aromatiche particolari e legate al territorio. L’indagine agronomica monitorata su tre anni di produzione ha anche fatto emergere la resistenza degli ecotipi italiani al clima caldo e siccitoso e ha evidenziato invece come le cultivar estere abbiano limiti fisiologici a queste condizioni. Confrontando il profilo fitochimico delle cultivar coltivate in Italia con i prodotti acquistati nei paesi d’origine è emerso che il metabolismo secondario per alcune cultivar è particolarmente differente, come nel caso della cultivar Marynka, che rispetto agli standard commerciali ha prodotto in Italia coni ricchi di oli essenziali con alte quantità di trans-β-farnesene, cambiandone le caratteristiche da varietà amaricante ad aromatica. I risultati ottenuti dimostrano la fattibilità della coltivazione di Humulus lupulus L. sul territorio nazionale con ottime prospettive di produttività per gli ecotipi italiani. Inoltre da questi primi risultati è ora possibile intraprendere un programma di breeding per la creazione di nuove varietà, più resistenti al caldo e con le caratteristiche desiderate in base all’utilizzo del prodotto, sia per quanto riguarda l’industria della birra, sia la cosmetico-farmaceutica per la produzione di estratti.

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Il presente elaborato di tesi tratta la valutazione di differenti sistemi di controventatura, sia dal punto di vista di risposta ad un evento sismico che in termini di perdite economiche legate al danneggiamento delle varie componenti. Tra di esse è presentata anche una nuova tipologia strutturale, ideata per ridurre il comportamento “soft-story” e “weak-story”, tipico delle strutture controventate convenzionali. In questo caso, è integrata alla struttura una trave reticolare metallica, che funge da supporto verticale ed è progettata per rimanere in campo elastico. Tale sostegno garantisce una distribuzione più uniforme degli sforzi lungo l’intera altezza della struttura, anziché concentrarli in un unico piano. La ricerca tratta lo studio della fattibilità economica di questa nuova tecnologia, rispetto alle precedenti soluzioni di controventatura adottate, confrontando le perdite economiche delle diverse soluzioni, applicate ad un unico prototipo di edificio collocato a Berkeley, CA. L’analisi sismica tiene in considerazione di tre diversi livelli di intensità, riferiti a un periodo di ritorno di 50 anni, corrispondente alla vita dell’edificio: questi sono caratterizzati dalla probabilità di ricorrenza, rispettivamente del 2%, 10% e 50% ogni 50 anni. L’ambito di ricerca presentato è estremamente innovativo e di primario interesse per lo sviluppo di uno studio sulla resilienza, che può essere adattato anche in un modello di urbanizzazione futura.