925 resultados para blog sogni letteratura scrittura lettura romanzo
Resumo:
L'elaborato presenta le opere della giovane scrittrice portoghese Ana Filipa Batista, blogger e scrittrice portoghese di diciassette anni, che ha conosciuto il suo debutto editoriale a soli undici anni. L’elaborato è articolato in tre capitoli, nei quali si ripercorre in ordine cronologico la carriera della giovane scrittrice, proponendo un’analisi delle sue opere dal punto di vista dei temi, dello stile, del linguaggio. Ogni capitolo è corredato da opportune traduzioni dal portoghese in italiano per poter guidare meglio il lettore attraverso il percorso suggerito. Ogni citazione è accompagnata dalla mia traduzione in nota o a fronte, mentre nel caso di testi particolarmente lunghi, si troverà la mia traduzione nel corpo della tesi e la versione originale portoghese in appendice.
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Partendo dal problema del rapporto fra la ricostruzione di un evento storico e lo statuto del testo che lo ricostruisce, la tesi si concentra nella lettura di opere riguardanti la Seconda guerra mondiale. Sono in questo senso cruciali due opere autobiografiche trattate nella prima parte del lavoro, Rue Labat Rue Ordener di Sarah Kofman (1993) e Kindheitsmuster di Christa Wolf (1976). In questi due testi la dottoranda prova a recuperare da una parte la rimemorazione letteraria di due esperienze infantili della guerra insieme opposte e complementari dal punto di vista del posizionamento della testimonianza. Il testo della Wolf ibrida la narrazione finzionale e la memoria dell’evento storico vissuto nel ricordo di una bambina tedesca, il testo della Kofman recupera in una maniera quasi psicanalitica la memoria di una bambina ebrea vittima inconsapevole e quesi incosciente della Shoah. Di fronte a due topoi apparentemente già piu volte ripercorsi nella letteratura critica del trauma postconflitto, la tesi in questione cerca di individuare il costituirsi quasi inevitabile di un soggetto identitario che osserva, vive e successivamente recupera e racconta il trauma. Se alcune posizioni della moderna storiografia e della contemporanea riflessione sulla scrittura storiografica, sottolineano la forza e l’importanza dell’elemento narrativo all’interno della ricostruzione storica e dell’analisi dei documenti, questa tesi sembra indicare una via possibile di studio per la letteratura comparata. Una via, cioè, che non si soffermi sui fattori e sui criteri veridizionali del testo, criteri e fattori che devono restare oggetto di studio per gli storici , ma che piuttosto indaghi sul nesso ineludibile e fondativo che la scrittura stessa svela e pone in essere: il trauma, l’irrompere dell’evento storico nell’individuo diventa elemento costitutivo della propria identità, elemento al quale è difficile dare una posizione stabile ma che allo stesso tempo non si può evitare di raccontare, di mettere in discorso. Nella narrazione letteraria di eventi storici esiste dunque un surplus di senso che sta tutto nella costituzione di una posizione dalla quale raccontare, di un punto di vista. Il punto di vista (come ci ricorda De Certeau ne Les lieux des autres in quel saggio dedicato ai cannibali di Montaigne,che viene poi ripreso senza essere mai citato da Ginzburg ne Il filo e le tracce) non è mai dato a priori nel discorso, è il risultato di un conflitto e di una lotta. Il testo che rende conto e recupera la memoria di un passato storico, in particolare di un passato storico conflittuale, di una guerra, di una violenza, per quanto presenti un punto di vista preciso e posizionato, per quanto possa apparire un frutto di determinate strategie testuali e di determinati obiettivi pragmatici, è pur sempre una narrazione il cui soggetto porta in sé, identitariamente, le ferite e i traumi dell’evento storico. Nei casi di Wolf e Kofman abbiamo quindi un rispecchiamento reciproco che fra il tentativo di una ricostruzione della memoria infantile e il recupero dell’elemento intersoggettivo e storico si apre alla scrittura e alla narrazione. La posizione del soggetto che ha vissuto l’irrompere del dramma storico nel discorso lo costituisce e lo delega a essere colui che parla e colui che vede. In un qualche modo la Storia per quanto possa essere creatrice di eventi e per quanto possa trasformare l’esistenza del soggetto non è essa stessa percepibile finché non si posiziona attraverso il soggetto trasformato e modificato all’interno del discorso. In questa continua ricerca di un equilibrio possibile fra realtà e discorso si pone il problema dell’essere soggetto in mezzo ad altri soggetti. E questo in un duplice aspetto: nell’aspetto della rappresentazione dell’altro, cioè nel problema di come la memoria riorganizzi e ricrei i soggetti in gioco nell’evento storico; e poi nella rappresentazione di se stesso per gli altri, nella rappresentazione cioe del punto di vista. Se nel romanzo autobiografico di Kofman tutta la storia veniva a ricondursi alla narrazione privata del soggetto che, come in una seduta psicanalitica recupera e insieme si libera del proprio conflitto interiore, della propria memoria offesa; se nel romanzo di Wolf si cercava un equilibrio fra una soggettivita infantile ormai distante in terza persona e una soggettività rammemorante che prendeva posizione nel romanzo nella seconda persona; la cerniera sia epistemologica sia narratologica fra la prima e la seconda parte della tesi pare essere Elsa Morante e il suo romanzo La Storia. L’opera della Morante sembra infatti farsi pieno carico della responsabilità di non poter piu ridurre la narrazione del trauma alla semplice presa in carico del soggetto autobiografico. Il soggetto che, per dirla ancora con De Certeau, può esprimere il proprio punto di vista perche in qualche modo si è salvato dalla temperie della storia, non si pone nel discorso come punto di inizio e di fine di qualsiasi percezione del trauma, ma si incarna in uno o più personaggi che in un qualche modo rappresentino l’irrapresentabile e l’irrapresentato. La storia diventa quindi elemento non costitutivo di un'identità capace di ri-raccontarsi o almeno non solo, diventa fattore costitutivo di un’identità capace di raccontare l’altro, anzi gli altri, tutti coloro che il conflitto, la violenza ha in un qualche modo cancellato. Così accade all’infanzia tradita e offesa del piccolo Useppe, che viene soffocato non solo nella sua possibilita di svilupparsi, di essere punto di vista del discorso, ma anche nella possibilita di essere osservatore vivo dell’evento; cosi accade a Ida, donna e madre, che la Storia lentamente e inesorabilmente spersonalizza riducendola a essere soggetto passivo e vittima degli eventi. Ecco quindi che la strada aperta dalla Morante permette alla memoria di proiettarsi in una narrazione comune e di condividere e suddividere la posizione centrale del soggetto in una costellazione differente di soggetti. A questo punto si apre, attraverso le tecniche della storia orale e la loro narrativizzazione, una strategia di recupero della memoria evidenziata nell’ultima parte della tesi. La strada intrapresa da autori come i Wu Ming e come Andrea Levy ne è un esempio. Sganciati per evidenti ragioni biografiche e anagrafiche (sono tutti nati ben dopo la fine del secondo conflitto mondiale) da qualsiasi tentazione autobiografica, i primi intraprendono una vera e propria ridistribuzione dei punti di vista sulla storia. In romanzi come Manituana si viene a perdere, almeno a un primo e forse piu superficiale livello, qualsiasi imposizione fissa del punto di vista. Una molteplicità di soggetti si prende carico di raccontare la storia da differenti posizioni, ma la apparente molteplicità degli sguardi non si riduce a una frammentazione dell’etica del racconto quanto piuttosto alla volontà di fare emergere tra gli altri anche il punto di vista dello sconfitto e dell’inerme. Al passato oscuro della violenza storica si contrappone in un qualche modo la messa in discorso del soggetto che cerca attraverso la costituzione non solo di un soggetto ma di una pluralitàdi voci , di ritrovare un’ armonia, di riassimilare la propria memoria condividendola nel testo letterario.
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Varcare le frontiere della Storia attraverso le storie personali dei suoi personaggi ha sempre affascinato la sensibilità creatrice di Anita Desai, i cui romanzi possono essere considerati un interessante esempio di letteratura di confine, che riesce nel difficile compito di misurarsi, con eleganza e sensibilità, nella rappresentazione delle più feroci forme di marginalizzazione. Proponendo un dialogo tra alterità, che apre alle complessità storico-culturali in maniera del tutto a-ideologica e imparziale, la scrittrice indoinglese procede alla “provincializzazione” dell’India attraverso le numerose ambivalenze prodotte nelle zone frontaliere analizzate. Dalla rappresentazione della frontiera identitaria esterna, ovvero dall’ambivalente rapporto intrattenuto con il colonizzatore/ex-colonizzatore inglese, alla rappresentazione della frontiera identitaria interna, ovvero l’analisi delle contraddittorie relazioni tra le componenti etniche del subcontinente, Desai arriva infine a problematizzare storie di ambivalenti processi di marginalizzazione prodotti da mondi culturali così diversi come la Germania nazista, o gli indiani Huichol del lontano Messico, tracciando geografie culturali inedite della grande ragnatela della Storia. Desai riesce così a recuperare voci liminali spesso trascurate dalla postcolonialità stessa, per riconfigurarle in un’esplorazione profonda del comune destino dell’umanità, voci straniate e stranianti che acquisiscono un vero e proprio status di agency discorsiva, proiettando la sua scrittura verso una dimensione cosmopolitica. L’opera di Desai diventa indubbiamente un’opportunità concreta per scorgere nella differenza l’universalità di una comune umanità, vale a dire un’opportunità per vedere nell’alterità un’identità ribaltata.
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In questo lavoro si conduce un’indagine sulle relazioni tra letteratura, diritto e scienze mediche all’interno del romanzo cosiddetto "giudiziario", sviluppatosi in Italia nel periodo compreso tra l’Unità e i primi anni del XX secolo. La nostra analisi si concentra in particolare sulla costruzione della figura del delinquente, intesa come prodotto specifico della suddetta relazione interdisciplinare. In questa prospettiva, abbiamo rilevato che la caratterizzazione di tale figura costituisce il principale tra i procedimenti narrativi osservabili in vari romanzi del periodo postunitario. Concentrandoci inoltre sulla definizione del genere, abbiamo affrontato l’ormai annoso dibattito sulla nascita (quando non sull’esistenza stessa) del poliziesco italiano, dimostrando come solo all’interno di una stretta relazione tra letteratura, diritto e scienze mediche sia possibile cogliere a pieno il valore di questi romanzi nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima, di carattere storico, si propone una nuova definizione del genere "giudiziario", dopo aver vagliato e discusso le ipotesi sino ad ora avanzate dalla critica. Nella seconda parte si affrontano due casi di studio esemplari: La colonia felice di Carlo Dossi e Il romanzo di Misdea di Edoardo Scarfoglio. Su ognuno di essi abbiamo condotto un’accurata analisi testuale, che ci ha permesso di esaminare la caratterizzazione delle diverse figure delinquenti dimostrando l’efficacia del metodo interdisciplinare adottato con particolare riguardo alle teorie di Cesare Lombroso.
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Questa tesi consiste in una proposta di traduzione del libro per ragazzi: "La bibliothécaire" dell'autrice Gudule. Il lavoro parte da una definizione della letteratura per l'infanzia attraverso i suoi elementi costitutivi: appartenenza al sistema formativo e insieme a quello letterario; doppio destinatario dell'opera (ragazzi e adulti mediatori); disparità di conoscenze tra autore e lettore. Al lettore viene dedicata particolare attenzione, attraverso uno studio delle fasce d'età e dei generi tradizionalmente dedicati a ciascuna. In seguito si analizza lo stato della letteratura per l'infanzia in relazione al sistema letterario: in particolare, si propongono due visioni opposte, una che vede questa letteratura come marginale, inferiore, e l'altra che invece le riconosce pari dignità rispetto alla letteratura per adulti. La parte teorica si conclude con l'analisi della traduzione per l'infanzia: dopo alcuni accenni alle teorie traduttive che hanno più influenzato il settore, si pongono criteri per distinguere traduzione e adattamento e si definiscono le motivazioni ideologiche che possono portare a modificare il testo. Si descrivono inoltre alcuni modi in cui il traduttore può rendere evidente il suo intervento, facendo sentire la sua voce nel testo tradotto. Si elencano infine i problemi di mediazione culturale e i modi in cui il traduttore può farvi fronte. La seconda parte della tesi si concentra sull'analisi del testo, per individuarne i temi centrali ed evidenziare i problemi da risolvere durante la traduzione: un rilievo particolare lo ha l'intertestualità, alla base dell'intero libro, e il rapporto dei personaggi con la lettura, la scrittura e in generale con la lingua. Il commento alla traduzione spiega le motivazioni dietro alle scelte traduttive, in particolare quelle legate ad un uso particolare della lingua e alla traduzione delle citazioni e allusioni ad altri testi presenti nel romanzo.
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Questo elaborato nasce da un interesse personale, quello per il romanzo Educazione Siberiana e per l'autore Nicolai Lilin. Da qui è nata un'idea di analisi del romanzo da un punto di vista culturale e traduttologico, nonostante l'opera sia scritta in italiano. Il titolo dell'elaborato descrive la traduzione come lettura ideale: il traduttore, come figura che si pone tra due lingue e due culture, rappresenta infatti il lettore ideale di un'opera tradotta, poiché ha a disposizione le conoscenze della cultura di partenza e di quella di arrivo. Per questo motivo, è attraverso il suo lavoro che tale opera può essere trasmessa ad un lettore medio. Il lettore medio potenzialmente può non conoscere nulla della lingua e della cultura originaria. Come "russista" e studentessa di traduzione, madrelingua italiana, mi sono posta nella posizione di lettrice ideale, che dispone di un bagaglio culturale che va oltre la cultura che si acquisisce in base alle proprie origini. L'obiettivo di questa tesi è perciò quello di effettuare una rilettura del romanzo attraverso i realia, cioè termini e concetti che fanno riferimento ad aspetti propri di una cultura, in questo caso quella russa, per i quali spesso non esiste una traduzione ufficiale e che prevedono, da parte del traduttore, una grande conoscenza della cultura di partenza. Tuttavia mentre il lettore medio critica la veridicità dei racconti crudi e spesso violenti presenti nel romanzo, il traduttore-lettore ideale si rende conto di come alcuni realia della cultura russa siano stati riportati in maniera imprecisa nella lingua italiana. Si analizzeranno quindi i realia trattati in maniera imprecisa, i realia che funzionano e i linguaggi culturali dell'opera a partire dall'articolo di presentazione del romanzo e la sua trasposizione cinematografica.
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Il lavoro a partire dalla traduzione del romanzo autobiografico Je ne parle pas la langue de mon père dell’autrice francese di origine algerina Leïla Sebbar, si propone di riflettere sul rapporto tra esilio e meticciato culturale e sulla relazione che questi intrattengono con la traduzione. Il primo capitolo vuole fornire un’introduzione al tema della migrazione nella letteratura postcoloniale in quanto luogo privilegiato per la costruzione di paradigmi identitari, con particolare riferimento alle letterature francofone, al caso maghrebino e algerino. In questo ambito un’attenzione speciale è dedicata alle scritture femminili e a come la prospettiva di genere arricchisca il panorama letterario migrante di inedita sensibilità e complessità. La seconda sezione si focalizza sull’opera di Leïla Sebbar e sulla peculiare posizione che l’autrice occupa nel contesto francofono contemporaneo per terminare con un’analisi puntuale della pluralità delle istanze di Je ne parle pas la langue de mon père in quanto significanti delle tematiche dell’esilio e del meticciato. In particolare viene presa in considerazione la natura ibrida del genere testuale e l’apporto lessicale e sintattico della lingua arabo-berbera come elemento stilistico e identitario. Il terzo capitolo presenta una personale proposta di traduzione italiana del testo, nella prospettiva di una pubblicazione all’interno di un reale scenario editoriale. Basandomi sulle problematiche incontrate in sede traduttiva, ho cercato di definire il ruolo del traduttore e di valutare l’adeguatezza degli strumenti di cui dispone, tanto all’interno del testo quanto nell’apparato paratestuale, al momento di veicolare lingue terze e mondi altri. Una parentesi è dedicata all’esame dei limiti legati alla ricezione di un testo di questo tipo nel mondo editoriale italiano. Infine, la personale esperienza traduttiva viene raffrontata con alcuni contributi all’interno del dibattito contemporaneo sulla traduzione della letteratura postcoloniale.
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L'oggetto di questo elaborato è la proposta di traduzione dell'introduzione e del primo capitolo del romanzo Zahvărlen v prirodata dello scrittore bulgaro Milen Ruskov. Questo autore, sebbene sia pressoché sconosciuto in Italia, ha ottenuto numerosi riconoscimenti letterari, tra cui il Premio dell'Unione Europea per la letteratura nel 2014. La scelta di traduzione è ricaduta su Zahvărlen v prirodata in quanto questo romanzo è l'ultimo scritto da Ruskov e anche l'unico a non essere stato tradotto in lingua italiana. È la storia del viaggio di due medici tra la Spagna e l'Inghilterra e della nuova panacea del XVI secolo, il tabacco. In quest'opera si mescolano assieme creatività stilistica, precisione linguistica e ricchezza lessicale, elementi che ricreano perfettamente l'ambientazione cinquecentesca della storia. Di conseguenza, tali caratteristiche della prosa di Ruskov obbligano il traduttore a operare scelte di resa creative anche nella lingua d'arrivo. Nel primo capitolo si propone una presentazione generale dell'autore e delle tematiche affrontate nel romanzo, il secondo è invece dedicato alla proposta di traduzione e, infine, nel terzo capitolo si commentano i problemi traduttivi riscontrati.
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La città di São Paulo è la più grande megalopoli dell’emisfero sud. Alle sue dimensioni esagerate corrisponde una complessità sociale che è difficile afferrare e comprendere nella sua interezza. Questo lavoro analizza come la letteratura brasiliana contemporanea affronti il problema della rappresentazione della megalopoli. Allo stesso tempo, ci si propone di indagare in che modo la scrittura risenta del contesto in cui viene prodotta mettendo in relazione la forma caotica e dispersiva della città con la frammentazione riscontrata nelle opere letterarie. In particolare, sono state analizzate le opere di João Antônio e Luiz Ruffato in cui la città appare non solo come scenario delle vicende narrate, ma come protagonista della narrazione. Nei primi due capitoli sono stati affrontati temi di carattere urbanistico, politico, economico e sociale per descrivere alcune delle dinamiche che nel secolo scorso hanno interessato São Paulo, trasformando la città da piccolo centro di provincia in enorme megalopoli. Privilegiando un approccio di tipo culturale, nel descrivere il processo storico sono stati presi in considerazione testi letterari, film e documenti fotografici oltre che contributi provenienti dalla sociologia e da altre aree delle scienze umane. Quando sono state trattate questioni che hanno interessato l’intero Brasile, come l’abolizione della schiavitù e l’insorgere negli ultimi decenni del preoccupante fenomeno della violenza urbana, è stato necessario uscire dalla dimensione locale per accennare al Paese come Stato nazionale. In questi casi, si è cercato di non cadere nella trappola di un discorso che rappresenti la realtà brasiliana come omogenea. Piuttosto, attraverso una prospettiva critica, si è cercato di far emergere alcune delle molteplici sfaccettature del Brasile, dando particolare rilievo a quelle voci che nel discorso ufficiale sono state emarginate. Lo stesso vale per São Paulo. La tesi sostenuta in questo lavoro è che non esista una São Paulo unica né unitaria; esiste una città diversa a seconda dell’angolo da cui la si osserva. Ciò diventa evidente nelle opere letterarie analizzate nel III capitolo: i racconti di João Antônio, il romanzo di Luiz Ruffato, le mini cronache raccolte per strada di Fernando Bonassi. Senza ambire a un’impossibile visione d’insieme, ognuna di queste opere mette in scena frammenti della realtà paulistana e crea una cartografia propria della città.
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Nonostante l’importanza crescente degli scrittori latinos caraibici all’interno della letteratura nordamericana, le loro opere sono ancora poco conosciute in Italia. Lo scopo di questa tesi è di presentare il filone degli scrittori caraibici che scrivono e pubblicano negli Stati Uniti attraverso la traduzione di alcuni capitoli tratti dal romanzo How the García girls lost their accents della scrittrice newyorchese di origini dominicane Julia Álvarez. L’elaborato è diviso in cinque capitoli: il primo inizia fornendo una breve panoramica del contesto storico e letterario in cui si inseriscono gli autori latinos, per poi proseguire con la descrizione delle caratteristiche principali di questo filone; una breve parentesi verrà dedicata anche alla sua difficile collocazione letteraria. Nel secondo capitolo viene presentata l’autrice e la sua opera. Il terzo capitolo si focalizza sulla struttura e i temi principali del romanzo e su una descrizione più dettagliata dei capitoli scelti per la traduzione. Nel quarto capitolo vengono riportate le mie proposte di traduzione per quattro dei capitoli del romanzo. Infine, l’ultimo capitolo è composto da un’analisi dettagliata del processo di traduzione che include alcune riflessioni preliminari sul testo, la descrizione di alcune delle teorie più recenti dei Translation Studies e delle strategie messe in atto durante il processo di traduzione.
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Nel presente elaborato mi propongo di sviluppare un’analisi sulla letteratura postcoloniale, concentrandomi su un ramo specifico di quest’ultima, la black British literature, con annessa proposta di traduzione di alcuni capitoli del romanzo “Never far from nowhere”, pubblicato nel 1996 da una delle maggiori esponenti della narrativa black British, la scrittrice inglese di origini giamaicane Andrea Levy. Nel primo capitolo, l’intento principale è quello di far luce sulle analogie esistenti fra traduzione letteraria e letteratura postcoloniale. Nel secondo capitolo, mi concentrerò in particolare sulla black British literature: la narrativa inglese prodotta dagli immigrati provenienti dai Paesi del Commonwealth, sviluppatasi in Gran Bretagna in seguito al flusso migratorio degli anni Cinquanta. Il terzo capitolo sarà dedicato alla biografia e alle opere di Andrea Levy, agli episodi che hanno in qualche modo segnato la sua vita e determinato la sua scelta di diventare scrittrice. Nel quarto capitolo, infine, presenterò il romanzo che ho scelto di tradurre, Never far from nowhere. Seguirà un commento alla traduzione in cui ripercorro tutti i passaggi che mi sono parsi più problematici da tradurre. L’obiettivo di questo elaborato è di valorizzare un genere letterario che è stato a lungo sottovalutato, nonostante la sua enorme portata storica e ideologica, il suo carattere di testimonianza e la valenza che ha assunto non solo per l’identità black British, ma per l’identità britannica a tutto tondo.
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La letteratura per l’infanzia è un mondo ancora poco esplorato e studiato e ciò è particolarmente vero per quelle culture erroneamente considerate molto lontane dalla nostra. È un campo estremamente delicato su cui lavorare in quanto i libri per i bambini hanno, oltre a intrattenerli, lo scopo di educarli e dare loro delle linee guida durante tutto il periodo di crescita. La presente tesi si propone di fornire una traduzione verso l’italiano di alcuni capitoli tratti dal romanzo per bambini Zhuizong Xiao Lüren 追踪小绿人 (Sulle tracce degli omini verdi) dello scrittore Jin Bo 金波 (1935). Il primo capitolo fornisce una descrizione, seppur breve, della letteratura per l’infanzia in Cina, in particolare a partire dagli anni ’70 a oggi. Il secondo capitolo presenta la proposta di traduzione di alcuni capitoli del romanzo e, infine, il terzo capitolo riguarda il relativo commento traduttologico.
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o scopo di questa tesi è quello di fornire un'analisi esaustiva del romanzo thriller Twist di Harkaitz Cano e proporre una traduzione del primo capitolo «Cambalache, 1983». Quest'ultimo, in particolare, offre un esempio dello stile di scrittura di Cano e rappresenta allo stesso tempo una notevole sfida per il traduttore e una coinvolgente lettura. La proposta di traduzione e l'analisi delle difficoltà incontrate nel corso del processo traduttivo sono precedute prima da una presentazione della produzione letteraria dell'autore e del contesto storico-sociale in cui nasce il romanzo, e poi da un breve ma interessante approfondimento su trama, stile e temi dell'opera, in cui non mancano collegamenti e spunti di riflessione sulla storia, sulla cultura e sulla società basca e spagnola.
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Questa tesi descrive alcune tecniche realizzative e algoritmi di controllo per il posizionamento delle testine di lettura/scrittura in hard disk drive magnetici. Viene presentata l'attuazione a due stadi delle testine per incrementare la banda frequenziale del sistema, in cui un motore VCM funge da primo stadio e come secondo stadio si utilizza un microattuatore, di tipo piezoelettrico o elettromagnetico o elettrotermico. Il posizionamento della testina sulle tracce magnetiche dei dischi contenenti i dati si divide in due fasi: track-seeking e track-following, che presentano diversi requisiti di velocità e precisione, per questo motivo si descrive il metodo dello switching control. Successivamente viene formulato un modello matematico nello spazio degli stati degli stati dell'attuatori a due stadi e il relativo controllo in retroazione, basato su osservatore dello stato. Inoltre per il track-seeking si propone il controllo a due gradi di libertà e per il track-following il metodo del disaccoppiamento della sensitività. Infine si riportano due novità tecnologiche per gli hard disk magnetici: l'attuazione a tre stadi, che sfrutta un secondo microattuatore, di tipo termico, e gli hard disk riempiti d'elio ed ermeticamente sigillati, che semplificano il controllo grazie alla minore turbolenza del gas e al suo minor peso.