183 resultados para fantastic
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Pós-graduação em Letras - IBILCE
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La ricerca si propone di inquisire il modo in cui il fantastico del primo Novecento utilizza la rappresentazione finzionale degli oggetti ai fini della propria emersione. Si ipotizza che certi schemi rappresentativi elaborati da autori fantastici come Hoffmann, Poe o Maupassant siano riscontrabili anche nella letteratura del XX secolo, e vengano reimpiegati per rispondere a una mutata situazione socioculturale. La tesi è bipartita: la prima parte, che è a sua volta suddivisa in due capitoli, funziona da cornice teorica e storica alle analisi testuali. Vi si discute del concetto di immagine; e da tale discussione viene derivata una precisa idea di spazio e di oggetto letterari. In seguito si procede a una ricostruzione della storia del fantastico ottocentesco (dalla quale non sono assenti riflessioni teoriche e in particolare genologiche), che da un lato è volta a storicizzare l’idea di “genere fantastico”; dall’altro ha come obiettivo l’identificazione di una tipologia di oggetti strutturalmente legata a quel genere narrativo. Due sono le classi di oggetti così individuate, e altrettanti i capitoli che compongono la seconda parte del lavoro. Entrambi i tipi di oggetto, che per semplicità si possono chiamare oggetti-feticcio e oggetti spettrali, stanno a metà strada tra immaginario e reale; ma mentre l’oggetto-feticcio ha qualcosa in più rispetto a un oggetto descritto realisticamente, l’oggetto spettrale ha un che di deficitario, e non giunge al risultato di una completa materializzazione. Tra gli autori affrontati compaiono Papini, Pirandello, Bontempelli, Savinio, Landolfi; né mancano riferimenti ad autori di altre nazioni da Kafka a Sartre, da James a Virginia Woolf, in ottemperanza all’idea di considerare il fantastico italiano all’interno di una più ampia geografia letteraria.
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L’ucronia (Alternate History) è un fenomeno letterario ormai popolare e molto studiato, ma non lo sono altrettanto lo sue origini e i suoi rapporti con la storia “fatta con i se” (Counterfactual History), che risale a Erodoto e a Tito Livio. Solo nell’Ottocento alcuni autori, per vie largamente autonome, fecero della storia alternativa un genere di fiction: Louis Geoffroy con Napoléon apocryphe (1836), storia «della conquista del mondo e della monarchia universale», e Charles Renouvier con Uchronie. L’utopie dans l’histoire (1876), storia «della civiltà europea quale avrebbe potuto essere» se il cristianesimo fosse stato fermato nel II secolo. Questi testi intrattengono relazioni complesse con la letteratura dell’epoca di genere sia realistico, sia fantastico, ma altresì con fenomeni di altra natura: la storiografia, nelle sue forme e nel suo statuto epistemico, e ancor più il senso del possibile - o la filosofia della storia - derivato dall’esperienza della rivoluzione e dal confronto con le teorie utopistiche e di riforma sociale. Altri testi, prodotti in Inghilterra e negli Stati Uniti nello stesso periodo, esplorano le possibilità narrative e speculative del genere: tra questi P.s’ Correspondence di Nathaniel Hawthorne (1845), The Battle of Dorking di George Chesney (1871) e Hands Off di Edward Hale (1881); fino a una raccolta del 1931, If It Had Happened Otherwise, che anticipò molte forme e temi delle ucronie successive. Queste opere sono esaminate sia nel contesto storico e letterario in cui furono prodotte, sia con gli strumenti dell’analisi testuale. Una particolare attenzione è dedicata alle strategie di lettura prescritte dai testi, che subordinano i significati al confronto mentale tra gli eventi narrati e la serie dei fatti autentici. Le teorie sui counterfactuals prodotte in altri campi disciplinari, come la storia e la psicologia, arricchiscono la comprensione dei testi e dei loro rapporti con fenomeni extra-letterari.
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Con le "Imagini degli dei degli antichi", pubblicate a Venezia nel 1556 e poi in più edizioni arricchite e illustrate, l’impegnato gentiluomo estense Vincenzo Cartari realizza il primo, fortunatissimo manuale mitografico italiano in lingua volgare, diffuso e tradotto in tutta l’Europa moderna. Cartari rimodula, secondo accenti divulgativi ma fedeli, fonti latine tradizionali: come le ricche "Genealogie deorum gentilium" di Giovanni Boccaccio, l’appena precedente "De deis gentium varia et multiplex historia" di Lilio Gregorio Giraldi, i curiosi "Fasti" ovidiani, da lui stesso commentati e tradotti. Soprattutto, però, introduce il patrimonio millenario di favole ed esegesi classiche, di aperture egiziane, mediorientali, sassoni, a una chiave di lettura inedita, agile e vitalissima: l’ecfrasi. Le divinità e i loro cortei di creature minori, aneddoti leggendari e attributi identificativi si susseguono secondo un taglio iconico e selettivo. Sfilano, in trionfi intrisi di raffinato petrarchismo neoplatonico e di emblematica picta poesis rinascimentale, soltanto gli aspetti figurabili e distintivi dei personaggi mitici: perché siano «raccontate interamente» tutte le cose attinenti alle figure antiche, «con le imagini quasi di tutti i dei, e le ragioni perché fossero così dipinti». Così, le "Imagini" incontrano il favore di lettori colti e cortigiani eleganti, di pittori e ceramisti, di poeti e artigiani. Allestiscono una sorta di «manuale d’uso» pronto all’inchiostro del poeta o al pennello dell’artista, una suggestiva raccolta di «libretti figurativi» ripresi tanto dalla maniera di Paolo Veronese o di Giorgio Vasari, quanto dal classicismo dei Carracci e di Nicolas Poussin. Si rivelano, infine, summa erudita capace di attirare appunti e revisioni: l’antiquario padovano Lorenzo Pignoria, nel 1615 e di nuovo nel 1626, vi aggiunge appendici archeologiche e comparatistiche, interessate al remoto regno dei faraoni quanto agli esotici idoli orientali e dei Nuovi Mondi.
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Postmodernism, deconstruction and subversion have been the buzzwords of the last few decades. But not any longer. Ever since the end of the millennium an increasingly perceptible desire to turn towards other concerns can be noted. Only, what comes after postmodernism? Where are we going now? Irmtraud Huber suggests some answers to these questions, focusing on novels by Michael Chabon, Mark Z. Danielewski, Jonathan Safran Foer and David Mitchell and highlighting the ways in which they go beyond postmodernism and turn from deconstruction to reconstruction. Approaching the question from an unusual direction by exploring the novelists' particular use of the fantastic mode, this book offers both further insights into the present aesthetic shift and a new perspective on the literary fantastic.
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In the annals of cognitive neuroscience there are examples of fantastic memory abilities (e.g., Luria, 1968) that befuddle the vast majority of us with normal mnemonic skills. Although such feats have yet to be demonstrated in other species, extraordinary memory may not be unique to humans. One possible example comes from a study by Inoue and Matsuzawa (2007), which showed that following extensive training, a chimpanzee, Ayumu, displayed superior working memory than human volunteers. Recently, Humphrey (2012) hypothesized that Ayumu outperformed the human participants because he had synaesthesia, a condition in which a stimulus (an inducer) will involuntarily elicit an atypical ancillary experience (a concurrent) (e.g., graphemes eliciting color photisms) (Ward, 2013). Specifically, Humphrey posits that Ayumu spontaneously developed grapheme-colour synaesthesia through “cross-cortical leakage” (p. 354) between the parietal cortex, which may support the storage of overlearned sequences, and adjacent colour-coding regions, during working memory training. Humphrey speculates that the synaesthetic associations elicited colour after-images during training with numerals, and, in turn, facilitated superior performance. Here we challenge this hypothesis and argue that it makes a number of assumptions that are not supported by current research.
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Este trabajo se propone iluminar, a partir de los datos aportados en diversas entrevistas, algunos aspectos del proceso creador de Antonio Di Benedetto para contribuir a un mayor conocimiento de su poética, especialmente de las reflexiones sobre la creación. Se parte del núcleo autobiográfico para ahondar en los inicios de su actividad de escritor: los años de aprendizaje, la imitación de su madre, una innata narradora, y las influencias de las lecturas de los grandes maestros narradores. A continuación se profundiza en la importancia del silencio en la obra de Di Benedetto, tanto en su función temática como estilística, ya que éste es el núcleo de un decir riguroso, esencial, donde lo no dicho adquiere valor y peso en sí mismo. Finalmente se estudia la estrecha vinculación de sus obras con el particular momento vital, así como su insistente búsqueda de perfección, que lo llevan a explorar las posibilidades expresivas y comunicativas de las diversas modalidades de la ficción, como la narrativa experimental y la fantástica.
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Este artículo investiga las relaciones que existen entre autoficción y metaficción en la literatura contemporánea, sobre todo en el marco de la posmodernidad. Si bien la bibliografía refiere estos conceptos, en general, al campo de la novela, aquí se analizan en dos cuentos de escritores argentinos paradigmáticos: Borges y Cortázar. Se intenta demostrar que estos procedimientos se generan en tramas complejas, que contienen una fábula fantástica y permiten inferir, además, algunos aspectos de las poéticas implícitas de sus autores. Esta propuesta, netamente híbrida, produce en el lector el extrañamiento de la reunión de pactos antitéticos y su actitud es compleja en relación con la verosimilitud. Su contrato de lectura oscila desde la certeza de lo autobiográfico hasta la ficción más descarnada. El lector decidirá acompañar o no a los autores en estos laberintos verbales aunque estará avisado de los procedimientos más evidentes: ficcionalidad, intertextualidad, autoconciencia, autorreflexividad, mise en abyme, entre otros.
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Los historiadores medievalistas se concentran, en la actualidad, en descubrir y penetrar el sistema de valores, creencias y sentimientos de hombres y mujeres de aquella época, cómo se representaban el mundo y el espíritu de una sociedad para la cual lo invisible merecía tanto interés como lo visible. Los Bestiarios fueron considerados en su época libros de historia natural y sus autores pretendieron darles características científicas, pero al dotarlos de un tono moralizante, acudir a las leyendas y apelar a los animales más inverosímiles y fantásticos concebidos por el hombre medieval, pasaron a formar parte «de aquel dominio de lo maravilloso donde se expresa el imaginario de una época». Por consiguiente, al recurrir a la alegoría como procedimiento expresivo privilegiado y procurar educar las conciencias en las reglas de la ecumenidad cristiana, de ser pretendidos textos científicos se convirtieron en una de las más sorprendentes páginas de la literatura medieval. En ellos pesa más la valoración alegórica de las criaturas descriptas que la veracidad de las descripciones. La literatura didáctica fue uno de los mecanismos que se emplearon para lograr la adhesión al ideal cristiano. Los autores de los Bestiarios describían las bestias y usaban esa descripción como base de una enseñanza alegórica. De este modo, al mismo tiempo que algunos animales representaron a Cristo, otros simbolizaron el Mal o se convirtieron en proyección de los vicios y defectos humanos. Este trabajo se propone analizar la representación literaria de algunos de estos animales como expresión del imaginario de una época.
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El propósito de estas páginas es demostrar que el modo gótico ingresa a la literatura argentina para poner en evidencia la inestabilidad de la estructura de género y consecuentemente provocar una revisión del sistema literario. En segundo lugar se establecen las afiliaciones del gótico con lo fantástico cuya característica particular en la literatura argentina es que no abandona la referencia a lo real. Como ejemplo se propondrá una lectura de la obra Ganarse la muerte, de Griselda Gambaro.
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Debato la permanencia de la cultura clásica en Italo Calvino, considerando la producción crítica del propio autor sobre el "clásico" (y los Clásicos) y la relación de su obra ficcional con la épica, la comedia y la tragedia griegas. Más específicamente, comento: 1) en relación con la crítica, las nociones de clásico utilizadas por el autor en el análisis tanto de obras Antiguas como de subsiguientes de estas (y a ellas relacionadas); 2) en relación con la ficción de Calvino, elementos persistentes en la literatura como I) el ideal heroico, II) el pastiche y la crítica mediante figuras fantasiosas e inusitadas y III) el uso de una cultura popular fabulosa como base para la formación de una literatura y para el debate de cuestiones contemporáneas al literato - como un teatrólogo griego. Acredito que la reflexión, aunque sea breve, colabora con el pensamiento de la modernidad no como disociada de una tradición, sino como lugar de debate y uso de esa tradición
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La tesis estudia los cuentos, obras teatrales y producción periodística de los últimos diez años de la obra de Roberto Arlt (1932-1942), la reestructuración de su proyecto creador en los años treinta y sus relaciones en el campo literario de la época.
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El lugar común que identifica a la literatura de Silvina Ocampo como fantástica resulta un pretexto tranquilizador que de algún modo domestica su rareza. En las interpretaciones críticas actuales sigue funcionando esta idea reductora que, si para una coyuntura determinada resultaba explicativa, hoy se revela improcedente. Entiendo que, en sus momentos más característicos, los relatos de Ocampo se definen menos por los tópicos y procedimientos que involucran lo sobrenatural, lo anormal o lo irreal, que por una forma de la escritura cuyo desatino deja atónito al lector. Para leer esta literatura en nuevos términos, pienso en el nonsense como relato de la insensatez, un modo de uso de la locura como estética y como ética.
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En mi trabajo investigo las nuevas modulaciones de la ciencia ficción en el cine argentino de las últimas décadas observando cómo determinados saberes tales como la ciencia, la medicina y la biotecnología, están presente en su imaginario. Observaré cómo cierta fantasía futurista se encuentra impregnada de un substrato arcano que remite a un imaginario mitológico en diálogo permanente con los mitos del propio psicoanálisis y la antropología culturalista. Para ello, analizaremos cómo se articula o desarticula la máquina antropológica observando las tensiones en torno al tratamiento de los cuerpos y la configuración de las subjetividades