903 resultados para SBR, aeratori a membrana, Air Lift, processo di nitrificazione, depurazione piccole comunità


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La presente dissertazione si apre con l’analisi della costa dell’Emilia Romagna, in particolare quella antistante la città di Cesenatico. Nel primo capitolo si è voluto fare un breve inquadramento delle problematiche che affliggono le acque costiere a debole ricambio. Il Mare Adriatico e in particolare le acque costiere, ormai da più di trent’anni, sono afflitti da una serie di problemi ambientali correlati all’inquinamento. Sulla costa romagnola, già verso la metà degli anni settanta, le prime estese morie di organismi viventi acquatici avevano posto sotto gli occhi dell’opinione pubblica l’insorgenza di situazioni drammatiche per l’ambiente, per la salute pubblica e per due importanti settori dell’economia regionale e nazionale quali il turismo e la pesca. Fino ad allora aveva dominato la diffusa convinzione che la diluizione nell’enorme quantità di acqua disponibile avrebbe consentito di immettere nel mare quantità crescenti di sostanze inquinanti senza intaccare in misura apprezzabile la qualità delle acque. Questa teoria si rivelò però clamorosamente errata per i mari interni con scarso ricambio di acqua (quali per esempio il Mare Adriatico), perché in essi le sostanze che entrano in mare dalla terraferma si mescolano per lungo tempo solo con un volume limitato di acqua antistante la costa. Solo se l’immissione di sostanze organiche è limitata, queste possono essere demolite agevolmente attraverso processi di autodepurazione per opera di microrganismi naturalmente presenti in mare. Una zona molto critica per questo processo è quella costiera, perché in essa si ha la transizione tra acque dolci e acque salate, che provoca la morte sia del plancton d’acqua dolce che di quello marino. Le sostanze estranee scaricate in mare giungono ad esso attraverso tre vie principali: • dalla terraferma: scarichi diretti in mare e scarichi indiretti attraverso corsi d’acqua che sfociano in mare; • da attività svolte sul mare: navigazione marittima e aerea, estrazione di materie prime dai fondali e scarico di rifiuti al largo; • dall’atmosfera: tramite venti e piogge che trasportano inquinanti provenienti da impianti e attività situati sulla terraferma. E’ evidente che gli scarichi provenienti dalla terraferma sono quelli più pericolosi per la salvaguardia delle acque costiere, in particolare vanno considerati: gli scarichi civili (enormemente accresciuti nel periodo estivo a causa del turismo), gli scarichi agricoli e gli scarichi industriali. Le sostanze estranee scaricate in mare contengono una grande abbondanza di sali nutrienti per i vegetali (in particolare nitrati e fosfati) che provengono dai concimi chimici, dai residui del trattamento biologico negli impianti di depurazione e dall’autodepurazione dei fiumi. Queste sostanze una volta giunte in mare subiscono un nuovo processo di autodepurazione che genera ulteriori quantità di nutrienti; i sali di fosforo e azoto così formati si concentrano soprattutto nelle acque basse e ferme della costa e vengono assimilati dalle alghe che possono svilupparsi in modo massivo: tale fenomeno prende il nome di eutrofizzazione. La produzione eccessiva di biomasse vegetali pone seri problemi per la balneazione in quanto può portare a colorazioni rossastre, brune, gialle o verdi delle acque; inoltre la decomposizione delle alghe impoverisce di ossigeno l’acqua, soprattutto sul fondo, provocando morie della fauna ittica. Nello specifico, in questo lavoro di tesi, si prende in considerazione il Porto Canale di Cesenatico, e come le acque da esso convogliate vadano ad influenzare il recettore finale, ovvero il Mar Adriatico. Attraverso l’uso di un particolare software, messo a mia disposizione dal D.I.C.A.M. è stata portata avanti un’analisi dettagliata, comprendente svariati parametri, quali la velocità dell’acqua, la salinità, la concentrazione dell’inquinante e la temperatura, considerando due possibili situazioni. A monte di ciò vi è stata una lunga fase preparatoria, in cui dapprima sono state recepite, attraverso una campagna di misure progettata ad hoc, ed elaborate le informazione necessarie per la compilazione del file di input; in seguito è stato necessario calibrare e tarare il programma, in quanto sono state apportate numerose variazioni di recepimento tutt’altro che immediato; dopodiché è stata introdotta la geometria rappresentante l’area presa in esame, geometria molto complessa in quanto trattasi di una zona molto ampia e non uniforme, infatti vi è la presenza di più barriere frangiflutti, sommerse ed emerse, che alterano in svariati punti la profondità del fondale. Non è stato semplice, a tal proposito, ricostruire l’area e ci si è avvalsi di una carta nautica riportante la batimetria del litorale antistante Cesenatico. Come è stato già detto, questa fase iniziale ha occupato molto tempo e si è dimostrata molto impegnativa. Non sono state comunque da meno le fasi successive. Inoltre, tale simulazione è stata effettuata su due scenari differenti, per poter valutare le differenti conclusioni alle quali essi hanno indotto. Dopo molti “tentativi”, l’eseguibile ha girato ed è arrivato al termine ricoprendo un lasso di tempo pari a ventiquattro ore. I risultati ottenuti in output, sono stati tradotti e vagliati in modo da essere graficati e resi più interpretabili. Segue infine la fase di analisi che ha portato alle deduzioni conclusive. Nei prossimi capitoli, si riporta nel dettaglio quello che in questo paragrafo è stato sinteticamente citato.

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L’obiettivo che l’elaborato si prefigge consiste nel dar forma ad un progetto palladiano rimasto sulla carta attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche. Nello specifico si è ricostruita Villa Mocenigo in forma tridimensionale attraverso uno schizzo del progetto fatto su carta dallo stesso Palladio nel 1550. Lo schizzo della pianta, conservato al RIBA di Londra, anticiperebbe il successivo progetto finale pubblicato ne “I Quattro Libri dell’Architettura” ma rimasto comunque incompiuta. Il linguaggio di base utilizzato per la definizione dell’ipotesi progettuale del modello 3D è stato attinto dalle regole generali di proporzionamento “alla maniera degli antichi” che lo stesso Architetto illustra nel suo trattato. Al fine di rendere l’ipotesi ricostruttiva il più possibile in linea con il metodo di proporzionamento palladiano, come esercitazione, si è partiti dallo studio preparatorio di un altro progetto: Villa Sarego, edificata solo in parte. A partire quindi dalla ricostruzione 3D basata sui disegni dei rilievi eseguiti dal CISAAP è stata avanzata l’ipotesi di ricostruzione totale della villa, completa della parte incompiuta. Lo studio sintetizzato in questo elaborato ha anche riguardato: la composizione architettonica e lo studio delle regole proporzionali evolutesi nel tempo; il processo di digitalizzazione e archiviazione delle opere palladiane e i progetti attualmente in corso; escursus storico sulle ville romane; le opera di Palladio, costruite e progettate.

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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.

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Il miglioramento dell’ambiente urbano e, in particolare, della qualità di vita dei cittadini, così come lo scriteriato consumo di territorio in favore della barbara cementificazione delle aree non edificate, sono diventate questioni di particolare rilievo nello scenario globale finalizzato al raggiungimento di un nuovo modello di sviluppo delle città. Gli abitanti dei centri urbani, oggi, sono costretti ad affrontare il sovraffollamento e i problemi ad esso connessi: il traffico, la congestione, l’inquinamento e gli effetti che questi fattori generano alla società. L’area oggetto di questa tesi, luogo a forte vocazione turistica, presenta questo tipo di problematiche soprattutto in corrispondenza della stagione estiva mentre, per il resto dell’anno, si trova ad affrontare il problema opposto di riduzione delle attività e dello spopolamento causate dalla stagionalità. L’espansione edilizia, avvenuta con estrema rapidità e durante un periodo caratterizzato da un forte sviluppo economico , non ha seguito gli indirizzi di un Piano che avrebbe se non altro evitato sprechi di territorio e una struttura così caotica. Tradizionalmente l’idea di densità è sempre stata considerata in maniera negativa rispetto alla questione urbana, in quanto simbolo di un uso intensivo e indiscriminato del territorio e causa della scarsa qualità di vita che caratterizza molte città. In realtà il concetto di densità può assumere un significato diverso: legato all’efficienza, alla qualità e alla sostenibilità. Densificare, infatti, secondo opportune linee guida e in relazione agli standard di qualità, significa sfruttare al meglio le risorse esistenti all’interno delle città, utilizzando il territorio senza sprechi e ricucendo le fratture in grado di generare situazioni di degrado ambientale. Un complesso e minuzioso processo di “densificazione” è in grado di apportare molti benefici al cittadino e alla comunità, come la trasformazione degli spazi inutilizzati o dismessi, la riduzione delle distanze e della mobilità veicolare, la limitazione dell’impatto energetico sull’ambiente e, non ultima, la promozione di una nuova immagine urbana connessa a nuove funzionalità e strutture. Densificare è però condizione necessaria ma non sufficiente per il miglioramento dell’ambiente urbano, infatti il termine “densità” non specifica nulla sul risultato qualitativo e quantitativo che si intende ottenere. “Creazione di un ambiente più propizio alla vita ed intenzionalità estetica sono i caratteri stabili dell’architettura; questi aspetti emergono da ogni ricerca positiva ed illuminano la città come creazione umana” . È in questo senso che deve essere letta la “densificazione” proposta da questa tesi per la riqualificazione di Misano Adriatico. Occorrerà riqualificare soprattutto quelle aree marginali del tutto prive dei requisiti urbani al fine di integrarle maggiormente al resto della città. A essa dovrà essere collegata una nuova visione di quelle che saranno le infrastrutture legate alla mobilità ed i servizi necessari alla vita della comunità. Essi non dovranno più essere visti come elementi di semplice collegamento o episodi isolati distribuiti a caso nel territorio, ma dovranno recuperare quell’importanza strategica che li portavano ad essere l’elemento catalizzatore e la struttura portante dell’espansione urbana. La riqualificazione della città sviluppata in questa tesi segue “la strategia dei luoghi complementari” teorizzata da O.M. Ungers secondo cui: “la città dei -luoghi complementari- è composta dal numero più grande possibile di aree diverse, nelle quali viene sviluppato un aspetto urbano particolare tenendo conto del tutto. In un certo senso è un sistema della -città nella città-. Ogni parte ha le sue proprie caratteristiche, senza però essere perfezionata e conclusa. […] Si cerca la molteplicità, la diversità, non l’unitarietà. La contraddizione, la conflittualità sono parte del sistema e rimangono insolute” . Il fine ultimo di questa tesi è quindi quello di proporre un’idea di città del nostro tempo, un prodotto complesso, non identificabile con un unico luogo ma con un insieme di luoghi che si sovrappongono e si integrano in maniera complementare mantenendo le peculiarità intrinseche del territorio a cui appartengono.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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Il presente studio riguarda l’applicazione della metodologia Life Cycle Assessment (LCA) ad una bottiglia di Passito di Pantelleria, prodotta dall’Azienda vitivinicola “Donnafugata” localizzata nel comune di Marsala in Sicilia. L’obiettivo di tale studio consiste nel quantificare e valutare le prestazioni energetico-ambientali derivanti dall’intero ciclo di vita del processo produttivo, nonché le fasi di produzione che presentano il maggiore impatto. Lo studio è stato ulteriormente approfondito effettuando una comparazione tra la produzione della singola bottiglia di Passito nei diversi anni 2007, 2008 e 2009 con lo scopo di determinare quali tra questi risulta avere il maggiore impatto ambientale. Gli impatti ambientali di un’Azienda vitivinicola risultano avere la loro particolare importanza in quanto la produzione di vino è un processo di natura complessa. Di conseguenza tali impatti possono compromettere le componenti fondamentali del processo produttivo, a partire dalle uve coltivate in vigna fino ad arrivare in cantina, dove avviene la trasformazione dell’uva in mosto e la successiva fase di vinificazione che determina il prodotto finale messo in commercio. Proprio attraverso il fluire delle seguenti fasi di trasformazione, in che misura queste consumano energia e producono emissioni? È importante sottolineare che lo studio del ciclo di vita di un prodotto può essere considerato come un supporto fondamentale allo sviluppo di schemi di etichettatura ambientale attraverso i quali è possibile indirizzare il consumatore finale verso beni più rispettosi dell’ambiente e fornire informazioni chiare e trasparenti sulle prestazioni ambientali del prodotto stesso. Allo stesso tempo tale strumento può essere adoperato dall’azienda per fornire garanzia delle credenziali ambientali del prodotto acquisendo così un vantaggio competitivo rispetto alle aziende concorrenti. Infatti, nell’ambito delle politiche comunitarie di prodotto, una delle applicazioni più significative della valutazione del ciclo di vita si ha nella dichiarazione ambientale di prodotto o EPD (Environmental Product Declaration). L’EPD è uno schema di certificazione volontaria che rappresenta un marchio di qualità ecologica per i prodotti, permettendo di comunicare informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale degli stessi. Per essere convalidabili, le prestazioni ambientali presenti nelle EPD devono rispettare i requisiti stabiliti dal PCR- Product Category Rules, un documento nel quale sono presenti le regole per lo studio di una certa categoria di prodotto. Il presente lavoro può essere suddiviso in cinque step successivi. Il primo prevede la descrizione della metodologia LCA, adottata per la quantificazione dell’impatto ambientale, analizzandone singolarmente le quattro fasi principali che la caratterizzano; il secondo presenta la descrizione dell’Azienda vitivinicola e del Passito di Pantelleria, oggetto della valutazione, mettendo in evidenza anche le particolarità ambientali del territorio Pantesco in cui il prodotto prende vita; il terzo fornisce una descrizione delle caratteristiche principali dello strumento applicativo utilizzato per l’analisi, SimaPro nella versione 7.3; il quarto descrive le diverse attività di lavorazione svolte nel complesso processo di produzione della bottiglia di Passito, focalizzando l’attenzione sui componenti primari dell’oggetto di valutazione ed il quinto riguarda la descrizione dell’analisi LCA applicata alla singola bottiglia di Passito.

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Questa tesi fornisce una realizzazione di alcuni test neuropsicologici, scelti in collaborazione di un neuropsicologo, che cercano di sostituire foglio e penna con touch screen e dita. L'obiettivo è quello di ricreare il test senza aggiungere agenti esterni derivanti dalla nuova interfaccia, per far sì che la fruizione del test sia buona almeno quanto quella del corrispettivo non digitale. Il risultato finale dovrebbe apportare dei vantaggi sostanziali al processo di somministrazione di questi test.

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Questo lavoro di tesi curriculare ripercorre attraverso l’analisi di tre progetti, che ho svolto durante il mio percorso di studi, le mie esperienze nell’ambito della riqualificazione di aree al margine del centro storico. In fase di tesi ho poi svolto un lavoro fotografico a supporto degli elaborati progettuali che ho invece redatto negli anni di corso dei laboratori. Il lavoro fotografico a posteriori è da intendersi non tanto come approfondimento delle scelte progettuali effettuate, ma come un ripensamento e una riflessione sui luoghi sui quali ho precedentemente svolto i progetti. Per elaborare questo lavoro ho applicato le conoscenze che ho acquisito nel corso di Storia e Tecnica della Fotografia e nei workshop fotografici ai quali ho partecipato come studente. Dei tre progetti presi in esame, due sono stati svolti nei Laboratori di Progettazione (precisamente II e IV) e uno nel Laboratorio di Sintesi Finale. Come già detto, questi tre progetti sono stati da me scelti perché accomunati dalla prossimità delle aree ai centri storici delle città. Il carattere di queste aree di studio, composto da molteplici identità, è frammentario e le identifica come aree di margine o di confine nelle quali si rende necessario un processo di analisi e di riqualificazione. In maniera differente e con risultati altalenanti, le amministrazioni stanno provvedendo a cercare di dare a questi luoghi un carattere di maggior omogeneità .

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Questa tesi di laurea nasce da una collaborazione con il Centro Studi Vitruviani di Fano, un’associazione nata il 30 Settembre 2010 nella mia città. Le note vicende riguardanti la Basilica vitruviana di Fano fanno della città adriatica il luogo più autorevole per accogliere un Centro Studi Internazionale dedicato all’opera di Vitruvio. Questa associazione è nata come contenitore di riferimento per eventi e iniziative legate al mondo della classicità intesa come momento storico, ma anche come più ampio fenomeno non solo artistico che interessa trasversalmente tutta la cultura occidentale. La creazione di un’istituzione culturale, di fondazione pubblico-privata, con l'obiettivo di porsi a riferimento internazionale per il proprio ambito di ricerca, è notizia comunque rilevante in un periodo in cui lo Stato vara l’articolo 7 comma 22 di una legge che ribadisce la fine dei finanziamenti agli enti, agli istituti, e alle fondazioni culturali. Il Centro Studi Vitruviani dovrà diventare presto sede di momenti scientifici alta, borse di studio, occasioni divulgative, mostre, iniziative didattiche. L’alto livello scientifico mi si è presentato subito chiaro durante questi mesi di collaborazione con il Centro, quando ho avuto l’occasione di incontrare e conoscere e contattare personalità quali i Professori Salvatore Settis, Pierre Gros, Howard Burns, Antonio Corso, Antonio Monterroso e Piernicola Pagliara. Attualmente nella mia città il Centro Studi ha una sede non adeguato, non è fruibile al pubblico (per problemi accessi in comune con altri Enti) e non è riconoscibile dall’esterno. L’attuale sede è all’interno del complesso conventuale del S.Agostino. Il Centro Studi mi ha proposto di valutare la possibilità di un ampliamento dell’associazione in questo edificio storico. Nel mio progetto è stato previsto un processo di acquisizione totale del complesso, con un ripensamento dell’accesso riconoscibile dall’esterno, e un progetto di rifunzionalizzazione degli spazi interni. È stata inserita un’aula per la presentazione di libri, incontri e congressi, mostre ed esposizioni, pubblicazioni culturali e specialistiche. Il fatto interessante di questa sede è che l’edificio vive sulle rovine di un tempio romano, già visitabile e inserite nelle visite della città sotterranea. Fano, infatti, è una città di mare, di luce e nello stesso tempo di architetture romane sotterranee. L’identità culturale e artistica della città è incisa nelle pieghe dei suoi resti archeologici. Le mura augustee fanesi costituiscono il tratto più lungo di mura romane conservate nelle città medio-adriatiche. Degli originari 1750 metri, ne rimangono circa 550. Di grande suggestione sono le imponenti strutture murarie rinvenute sotto il complesso del Sant’Agostino che hanno stimolato per secoli la fantasia e suscitato l'interesse di studiosi ed appassionati. Dopo la prima proposta il Centro Studi Vitruviani mi ha lanciato una sfida interessante: l’allargamento dell’area di progetto provando a ripensare ad una musealizzazione delle rovine del teatro romano dell’area adiacente. Nel 2001 l’importante rinvenimento archeologico dell’edificio teatrale ha donato ulteriori informazioni alle ricostruzione di una pianta archeologica della città romana. Questa rovine tutte da scoprire e da ripensare mi si sono presentate come un’occasione unica per il mio progetto di tesi ed, inoltre, estremamente attuali. Nonostante siano passati dieci anni dal rinvenimento del teatro, dell’area mancava un rilievo planimetrico aggiornato, un’ipotesi ricostruttiva delle strutture. Io con questo lavoro di Tesi provo a colmare queste mancanze. La cosa che ritengo più grave è la mancanca di un progetto di musealizzazione per inserire la rovina nelle visite della Fano romana sotteranea. Spero con questa tesi di aver donato materiale e suggestioni alla mia città, per far comprendere la potenzialità dell’area archeologica. Per affrontare questo progetto di Tesi sono risultate fondamentali tre esperienze maturate durante il mio percorso formativo: prima fra tutte la partecipazione nel 2009 al Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana Premio di Archeologia e Architettura “Giambattista Piranesi” organizzato nella nostra facoltà dal Prof. Arch. Sandro Pittini. A noi studenti è stata data la possibilità di esercitarci in un progetto di installazioni rigorosamente temporanee all’interno del sedime archeologico di Villa Adriana, grande paradigma per l’architettura antica così come per l’architettura contemporanea. Nel corso del quarto anno della facoltà di Architettura ho avuto l’occasione di seguire il corso di Laboratorio di Restauro con i professori Emanuele Fidone e Bruno Messina. Il laboratorio aveva come obiettivo principale quello di sviluppare un approccio progettuale verso la preesistenza storica che vede l'inserimento del nuovo sull'antico non come un problema di opposizione o di imitazione, ma come fertile terreno di confronto creativo. Durante il quinto anno, ho scelto come percorso conclusivo universitario il Laboratorio di Sintesi Finale L’architettura del Museo, avendo già in mente un progetto di tesi che si rivolgesse ad un esercizio teorico di progettazione di un vero e proprio polo culturale. Il percorso intrapreso con il Professor Francesco Saverio Fera mi ha fatto comprendere come l’architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente dell’edificio pubblico si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. È per questo che nei primi capitoli di questa Tesi ho cercato di restituire una seria e attenta analisi urbana della mia città. Nel progetto di Tesi prevedo uno spostamento dell’attuale Sezione Archeologica del Museo Civico di Fano nell’area di progetto. Attualmente la statuaria e le iscrizioni romane sono sistemate in sei piccole sale al piano terra del Palazzo Malatestiano: nel portico adiacente sono esposti mosaici e anfore sottoposte all’azione continua di volatili. Anche la Direttrice del Museo, la Dott.ssa Raffaella Pozzi è convinta del necessario e urgente spostamento. Non è possibile lasciare la sezione archeologica della città all’interno degli insufficienti spazi del Palazzo Malatestiano con centinaia di reperti e materiali vari (armi e uniformi, pesi e misure, ceramiche, staturia, marmi, anfore e arredi) chiusi e ammassati all’interno di inadeguati depositi. Il tutto è stato opportunamente motivato in un capitolo di questa Tesi. Credo fortemente che debbano essere le associazioni quali il CSV assieme al già attivissimo Archeclub di Fano e il Museo Archeologico, i veri punti di riferimento per questa rinascita culturale locale e territoriale, per promuovere studi ed iniziative per la memoria, la tutela e la conservazione delle fabbriche classiche e del locale patrimonio monumentale. Questo lavoro di Tesi vuole essere un esercizio teorico che possa segnare l’inizio di un nuovo periodo culturale per la mia città, già iniziato con l’istituzione del Centro Studi Vitruviani. L’evento folkloristico della Fano dei Cesari, una manifestazione sicuramente importante, non può essere l’unico progetto culturale della città! La “Fano dei Cesari” può continuare ad esistere, ma deve essere accompagnata da grandi idee, grandi mostre ed eventi accademici.

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Le biomasse hanno sempre rappresentato per l’umanità una fonte estremamente versatile e rinnovabile di risorse e tutt’oggi il loro impiego risulta vantaggioso in particolare per produrre energia termica ed elettrica attraverso processi di combustione, sistemi che tuttavia emettono sostanze dannose verso la salute umana e l’ecosistema. Queste pressioni ambientali hanno indotto alcune amministrazioni regionali (fra cui la Lombardia) a bandire temporaneamente l’installazione di nuovi impianti a biomasse, per prevenire e contenere le emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente. Il presente studio intende approfondire l’effetto ambientale di tali sistemi di riscaldamento domestico attraverso la tecnologia di analisi LCA (Life Cycle Assessment). Lo scopo dell’elaborato di Tesi consiste nell’eseguire un’analisi dell’intero ciclo di vita di due processi di riscaldamento domestico che utilizzino biomassa legnosa: una stufa innovativa a legna e una stufa a pellet. L’analisi ha quindi posto a confronto i due scenari con mezzi di riscaldamento domestico alternativi quali il boiler a gas, il pannello solare termico integrato con caldaia a gas e la pompa di calore elettrica. È emerso che tra i due scenari a biomassa quello a legna risulti decisamente più impattante verso le categorie salute umana e qualità dell’ecosistema , mentre per il pellet si è riscontrato un impatto maggiore del precedente nella categoria consumo di risorse. Dall’analisi di contributo è emerso che l’impatto percentuale maggiore per entrambi gli scenari sia legato allo smaltimento delle ceneri, pertanto si è ipotizzata una soluzione alternativa in cui esse vengano smaltite nell’inceneritore, riducendo così gli impatti. I risultati del punteggio singolo mostrano come lo scenario di riscaldamento a legna produca un quantitativo di particolato superiore rispetto al processo di riscaldamento a pellet, chiaramente dovuto alle caratteristiche chimico-fisiche dei combustibili ed alla efficienza di combustione. Dal confronto con gli scenari di riscaldamento alternativi è emerso che il sistema più impattante per le categorie salute umana e qualità dell’ecosistema rimane quello a legna, seguito dal pellet. I processi alternativi presentano impatti maggiori alla voce consumo di risorse. Per avvalorare i risultati ottenuti per i due metodi a biomassa è stata eseguita un’analisi di incertezza attraverso il metodo Monte Carlo, ad un livello di confidenza del 95%. In conclusione si può affermare che i sistemi di riscaldamento domestico che impiegano processi di combustione della biomassa legnosa sono certamente assai vantaggiosi, poiché pareggiano il quantitativo di CO2 emessa con quella assorbita durante il ciclo di vita, ma al tempo stesso possono causare maggiori danni alla salute umana e all’ecosistema rispetto a quelli tradizionali.

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Al giorno d’oggi i combustibili fossili come carbone, olio e gas naturale forniscono più del 75% dell’energia mondiale. Tuttavia, la crescente richiesta di queste fonti di energia non rinnovabili, si manifesta in un momento in cui le riserve naturali si stanno esaurendo; è stato infatti stimato che le riserve petrolifere di tutto il mondo possano essere sufficienti per fornire energia e produrre prodotti chimici per i prossimi quarant’anni. Per questo motivo la conversione delle biomasse per produrre energia e prodotti chimici sta diventando una valida alternativa per diversificare le fonti energetiche e ridurre il surriscaldamento globale. Le biomasse, infatti, oltre ad essere una fonte rinnovabile, generano minori emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili, perché la CO2 rilasciata nei processi di utilizzo viene bilanciata da quella consumata nel processo di crescita delle biomasse stesse. Lo sfruttamento delle biomasse per la produzione di building blocks per la chimica suscita particolare interesse, poiché le molecole ottenute sono già parzialmente funzionalizzate; ciò significa che la sintesi di prodotti chimici specifici richiede un minor numero di stadi rispetto ai building blocks petroliferi, con conseguente diminuzione di prodotti di scarto e sottoprodotti. Un esempio di queste potenziali “molecole piattaforma” è il 5-idrossimetilfurfurale (HMF), un importante composto derivato dalla disidratazione di zuccheri, intermedio chiave per la sintesi di un’ampia varietà di prodotti chimici e combustibili alternativi, tra cui l’acido 2,5- furandicarbossilico (FDCA), che è stato identificato tra i dodici composti chimici più importanti degli ultimi anni. Per esempio, il FDCA è un possibile sostituto dell’acido tereftalico, usato per produrre il polietilentereftalato (PET). Recentemente alcuni autori hanno riportato interessanti risultati sull’ossidazione dell’HMF a FDCA utilizzando catalizzatori a base di Au supportato. Questi catalizzatori mostrano però significativi problemi di disattivazione. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quindi lo sviluppo di catalizzatori attivi e stabili nella reazione di ossidazione dell’HMF a FDCA. Il lavoro portato avanti ha avuto come obbiettivi principali: l’ottimizzazione della sintesi di nanoparticelle di oro e oro/rame a diverso rapporto molare, mediante un processo di sintesi, in acqua, a basso impatto ambientale. Tale metodo di sintesi si basa sull’azione riducente del sistema glucosio-NaOH ed è stato messo a punto in lavori di tesi precedenti. Le nanoparticelle sintetizzate sono state utilizzate, quali fase attiva, per la preparazione di catalizzatori supportati su TiO2 e CeO2 lo studio dell’attività catalitica e riusabilità dei catalizzatori preparati nell’ossidazione in fase liquida del HMF a FDCA.

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I policlorobifenili (PCB) sono inquinanti tossici e fortemente recalcitranti che contaminano suoli e sedimenti di acqua dolce e marini. Le tecnologie attualmente impiegate per la loro rimozione (dragaggio e trattamento chimoco-fisico o conferimento in discarica) sono molto costose, poco efficaci o ad alto impatto ambientale. L’individuazione di strategie alternative, di natura biologica, consentirebbe lo sviluppo di un processo alternativo più sostenibile. Nel processo di declorurazione riduttiva i congeneri di PCB a più alto grado di clorurazione, che sono i più tossici, recalcitranti e maggiormente tendenti al bioaccumulo, vengono utilizzati da alcuni microrganismi anaerobici come accettori finali di elettroni nella catena respiratoria e bioconvertiti in congeneri a minor grado di clorurazione, meno pericolosi, che possono essere mineralizzati da parte di batteri aerobi. La declorurazione riduttiva dei PCB è stata spesso studiata in colture anaerobiche di arricchimento in terreno minerale ottenute a partire da sedimenti di acqua dolce; questi studi hanno permesso di dimostrare che batteri del phylum dei Chloroflexi e appartenenti al genere Dehalococcoides o filogeneticamente facenti parte del gruppo dei Dehalococcoides-like sono i decloruranti. Sono tuttavia scarse le informazioni riguardanti l'occorrenza della declorurazione dei PCB in ambienti marini, nei quali l'alta salinità e concentrazione di solfati influenzano diversamente l'evoluzione delle popolazioni microbiche. In sedimenti contaminati della laguna di Venezia è stata osservata declorurazione sia dei PCB preesistenti che di congeneri esogeni; questi studi hanno permesso l'ottenimento di colture di arricchimento fortemente attive nei confronti di 5 congeneri di PCB coplanari. In questa tesi, a partire dalle colture capaci di declorurare i PCB coplanari, sono stati allestiti nuovi passaggi di arricchimento su Aroclor®1254, una miscela di PCB più complessa e che meglio rappresenta la contaminazione ambientale. Le colture sono state allestite come microcosmi anaerobici in fase slurry, preparati risospendendo il sedimento nell'acqua superficiale, ricreando in tal modo in laboratorio le stesse condizioni biogeochimiche presenti in situ; gli slurry sterili sono stati inoculati per avviare le colture. Per favorire la crescita dei microrganismi decloruranti e stimolare così la decloruraazione dei PCB sono stati aggiunti inibitori selettivi di metanogeni (Bromoetansulfonato o BES) e solfato-riduttori (molibdato), sono state fornite fonti di carbonio ed energia (eD), quali acidi grassi a corta catena e idrogeno, utilizzate di batteri decloruranti noti, e per semplificare la comunità microbica sono stati aggiunti antibiotici cui batteri decloruranti del genere Dehalococcoides sono resistenti. Con questo approccio sono stati allestiti passaggi di arricchimento successivi e le popolazioni microbiche delle colture sono state caratterizzate con analisi molecolari di fingerprinting (DGGE). Fin dal primo passaggio di arricchimento nei microcosmi non ammendati ha avuto luogo un'estesa declorurazione dell'Aroclor®1254; nei successivi passaggi si è notato un incremento della velocità del processo e la scomparsa della fase di latenza, mentre la stessa stereoselettività è stata mantenuta a riprova dell’arricchimento degli stessi microrganismi decloruranti. Le velocità di declorurazione ottenute sono molto alte se confrontate con quelle osservate in colture anaerobiche addizionate della stessa miscela descritte in letteratura. L'aggiunta di BES o molibdato ha bloccato la declorurazione dei PCB ma in presenza di BES è stata riscontrata attività dealogenante nei confronti di questa molecola. La supplementazione di fonti di energia e di carbonio ha stimolato la metanogenesi e i processi fermentativi ma non ha avuto effetti sulla declorurazione. Ampicillina e vancomicina hanno incrementato la velocità di declorurazione quando aggiunte singolarmente, insieme o in combinazione con eD. E' stato però anche dimostrato che la declorurazione dei PCB è indipendente sia dalla metanogenesi che dalla solfato-riduzione. Queste attività respiratorie hanno avuto velocità ed estensioni diverse in presenza della medesima attività declorurante; in particolare la metanogenesi è stata rilevata solo in dipendenza dall’aggiunta di eD alle colture e la solfato-riduzione è stata inibita dall’ampicillina in microcosmi nei quali un’estesa declorurazione dei PCB è stata osservata. La caratterizzazione delle popolazioni microbiche, condotte mediante analisi molecolari di fingerprinting (DGGE) hanno permesso di descrivere le popolazioni batteriche delle diverse colture come complesse comunità microbiche e di rilevare in tutte le colture decloruranti la presenza di una banda che l’analisi filogenetica ha ascritto al batterio m-1, un noto batterio declorurante in grado di dealogenare un congenere di PCB in colture di arricchimento ottenute da sedimenti marini appartenente al gruppo dei Dehalococcoides-like. Per verificare se la crescita di questo microrganismo sia legata alla presenza dei PCB, l'ultimo passaggio di arricchimento ha previsto l’allestimento di microcosmi addizionati di Aroclor®1254 e altri analoghi privi di PCB. Il batterio m-1 è stato rilevato in tutti i microcosmi addizionati di PCB ma non è mai stato rilevato in quelli in cui i PCB non erano presenti; la presenza di nessun altro batterio né alcun archebatterio è subordinata all’aggiunta dei PCB. E in questo modo stato dimostrato che la presenza di m-1 è dipendente dai PCB e si ritiene quindi che m-1 sia il declorurante in grado di crescere utilizzando i PCB come accettori di elettroni nella catena respiratoria anche in condizioni biogeochimiche tipiche degli habitat marini. In tutte le colture dell'ultimo passaggio di arricchimento è stata anche condotta una reazione di PCR mirata alla rilevazione di geni per dealogenasi riduttive, l’enzima chiave coinvolto nei processi di dealogenazione. E’ stato ottenuto un amplicone di lughezza analoga a quelle di tutte le dealogenasi note in tutte le colture decloruranti ma un tale amplificato non è mai stato ottenuto da colture non addizionate di PCB. La dealogenasi ha lo stesso comportamento di m-1, essendo stata trovata come questo sempre e solo in presenza di PCB e di declorurazione riduttiva. La sequenza di questa dealogenasi è diversa da tutte quelle note sia in termini di sequenza nucleotidica che aminoacidica, pur presentando due ORF con le stesse caratteristiche e domini presenti nelle dealogenasi note. Poiché la presenza della dealogenasi rilevata nelle colture dipende esclusivamente dall’aggiunta di PCB e dall’osservazione della declorurazione riduttiva e considerato che gran parte delle differenze genetiche è concentrata nella parte di sequenza che si pensa determini la specificità di substrato, si ritiene che la dealogenasi identificata sia specifica per i PCB. La ricerca è stata condotta in microcosmi che hanno ricreato fedelmente le condizioni biogeochimiche presenti in situ e ha quindi permesso di rendere conto del reale potenziale declorurante della microflora indigena dei sedimenti della laguna di Venezia. Le analisi molecolari condotte hanno permesso di identificare per la prima volta un batterio responsabile della declorurazione dei PCB in sedimenti marini (il batterio m-1) e una nuova dealogenasi specifica per PCB. L'identificazione del microrganismo declorurante permette di aprire la strada allo sviluppo di tecnologie di bioremediation mirata e il gene della dealogenasi potrà essere utilizzato come marker molecolare per determinare il reale potenziale di declorurazione di miscele complesse di PCB in sedimenti marini.

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Sperm cells need hexoses as a substrate for their function, for both the maintenance of membrane homeostasis and the movement of the tail. These cells have a peculiar metabolism that has not yet been fully understood, but it is clear that they obtain energy from hexoses through glycolisis and/or oxidative phosphorylation. Spermatozoa are in contact with different external environments, beginning from the testicular and epididymal fluid, passing to the seminal plasma and finally to the female genital tract fluids; in addition, with the spread of reproductive biotechnologies, sperm cells are diluted and stored in various media, containing different energetic substrates. To utilize these energetic sources, sperm cells, as other eukaryotic cells, have a well-constructed protein system, that is mainly represented by the GLUT family proteins. These transporters have a membrane-spanning α-helix structure and work as an enzymatic pump that permit a fast gradient dependent passage of sugar molecules through the lipidic bilayer of sperm membrane. Many GLUTs have been studied in man, bull and rat spermatozoa; the presence of some GLUTs has been also demonstrated in boar and dog spermatozoa. The aims of the present study were - to determine the presence of GLUTs 1, 2, 3, 4 and 5 in boar, horse, dog and donkey spermatozoa and to describe their localization; - to study eventual changes in GLUTs location after capacitation and acrosome reaction in boar, stallion and dog spermatozoa; - to determine possible changes in GLUTs localization after capacitation induced by insulin and IGF stimulation in boar spermatozoa; - to evaluate changes in GLUTs localization after flow-cytometric sex sorting in boar sperm cells. GLUTs 1, 2, 3 and 5 presence and localization have been demonstrated in boar, stallion, dog and donkey spermatozoa by western blotting and immunofluorescence analysis; a relocation in GLUTs after capacitation has been observed only in dog sperm cells, while no changes have been observed in the other species examined. As for boar, the stimulation of the capacitation with insulin and IGF didn’t cause any change in GLUTs localization, as well as for the flow cytometric sorting procedure. In conclusion, this study confirms the presence of GLUTs 1, 2 ,3 and 5 in boar, dog, stallion and donkey spermatozoa, while GLUT 4 seems to be absent, as a confirmation of other studies. Only in dog sperm cells capacitating conditions induce a change in GLUTs distribution, even if the physiological role of these changes should be deepened.

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In questo elaborato prenderemo in esame la questione della progettazione di un sistema software atto a gestire alcuni dei problemi legati alla raccolta dei dati in ambito medico. Da tempo infatti si è capita l'importanza di una speciale tecnica di raccolta dei dati clinici, nota in letteratura col nome di "patient-reported outcome", che prevede che siano i pazienti stessi a fornire le informazioni circa l'andamento di una cura, di un test clinico o, più semplicemente, informazioni sul loro stato di salute fisica o mentale. Vedremo in questa trattazione come ciò sia possibile e, soprattutto, come le tecniche e le tecnologie informatiche possano dare un grande contributo ai problemi di questo ambito. Mostreremo non solo come sia conveniente l'uso, in campo clinico, di tecniche automatiche di raccolta dei dati, della loro manipolazione, aggregazione e condivisione, ma anche come sia possibile realizzare un sistema moderno che risolva tutti questi problemi attraverso l'utilizzo di tecnologie esistenti, tecniche di modellazione dei dati strutturati e un approccio che, mediante un processo di generalizzazione, aiuti a semplificare lo sviluppo del software stesso.

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Nella tesi sono rielaborati i dati etnografici, prodotti in Italia ed in Ghana, con una ricerca sul campo di oltre un anno. Attraverso la ricostruzione di un progetto di co-sviluppo che mobilita i migranti in quanto attori di sviluppo, ed in questo caso l’associazione ghanese di Modena per avviare alcune iniziative di sviluppo economico, umano e sostenibile nel paese d’origine, si sono indagate le forme concrete di transnazionalismo attivate da questo gruppo sociale. Nell’analisi, prettamente antropologica, si rivela come, nel progetto di co-sviluppo osservato, le identità etniche, le relazioni asimmetriche di genere ed i processi di negoziazione politica sono celati ed agiti dai diversi attori sociali coinvolti. Si sono inoltre osservate le forme di partecipazione politica in Italia ed in Ghana rivelando come il collettivo ghanese abbia avviato un processo di depoliticizzazione dello sviluppo nel contesto d’origine e, nonostante ciò, sia divenuto nel paese d’immigrazione un nuovo attore politico. Particolare attenzione è stata posta alle produzioni discorsive dello sviluppo e della diaspora, evidenziando come i collettivi migranti se ne riapproprino e le riformulino nelle pratiche quotidiane.