927 resultados para Apprendimento, Automatico, Tris, Scacchi, Annotazioni, Gioco


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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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Data coming out from various researches carried out over the last years in Italy on the problem of school dispersion in secondary school show that difficulty in studying mathematics is one of the most frequent reasons of discomfort reported by students. Nevertheless, it is definitely unrealistic to think we can do without such knowledge in today society: mathematics is largely taught in secondary school and it is not confined within technical-scientific courses only. It is reasonable to say that, although students may choose academic courses that are, apparently, far away from mathematics, all students will have to come to terms, sooner or later in their life, with this subject. Among the reasons of discomfort given by the study of mathematics, some mention the very nature of this subject and in particular the complex symbolic language through which it is expressed. In fact, mathematics is a multimodal system composed by oral and written verbal texts, symbol expressions, such as formulae and equations, figures and graphs. For this, the study of mathematics represents a real challenge to those who suffer from dyslexia: this is a constitutional condition limiting people performances in relation to the activities of reading and writing and, in particular, to the study of mathematical contents. Here the difficulties in working with verbal and symbolic codes entail, in turn, difficulties in the comprehension of texts from which to deduce operations that, once combined together, would lead to the problem final solution. Information technologies may support this learning disorder effectively. However, these tools have some implementation limits, restricting their use in the study of scientific subjects. Vocal synthesis word processors are currently used to compensate difficulties in reading within the area of classical studies, but they are not used within the area of mathematics. This is because the vocal synthesis (or we should say the screen reader supporting it) is not able to interpret all that is not textual, such as symbols, images and graphs. The DISMATH software, which is the subject of this project, would allow dyslexic users to read technical-scientific documents with the help of a vocal synthesis, to understand the spatial structure of formulae and matrixes, to write documents with a technical-scientific content in a format that is compatible with main scientific editors. The system uses LaTex, a text mathematic language, as mediation system. It is set up as LaTex editor, whose graphic interface, in line with main commercial products, offers some additional specific functions with the capability to support the needs of users who are not able to manage verbal and symbolic codes on their own. LaTex is translated in real time into a standard symbolic language and it is read by vocal synthesis in natural language, in order to increase, through the bimodal representation, the ability to process information. The understanding of the mathematic formula through its reading is made possible by the deconstruction of the formula itself and its “tree” representation, so allowing to identify the logical elements composing it. Users, even without knowing LaTex language, are able to write whatever scientific document they need: in fact the symbolic elements are recalled by proper menus and automatically translated by the software managing the correct syntax. The final aim of the project, therefore, is to implement an editor enabling dyslexic people (but not only them) to manage mathematic formulae effectively, through the integration of different software tools, so allowing a better teacher/learner interaction too.

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Abstract deutsch Die im Rahmen dieser Arbeit dargestellten Anthracen-amphi-chinone wurden durch Oxidation ihrer 9,10-Dihydro-2,3,6,7-tetrahydroxy-Derivate gewonnen, während zwei literaturbekannte Anthracen-amphi-chinone aus den entsprechenden 2,3,6,7-Tetrahydroxy-anthracenen dargestellt wurden. Bei gleicher Substitution wurden identische Produkte gefunden.Die entstandenen Produkte sollten in Diels-Alder-Reaktionen umgesetzt werden. Von allen Hydroxyverbindungen konnten bei der Oxidation mit 2,3-Dichlor-5,6-dicyano-p-benzochinon in Gegenwart von Cyclooctin die entsprechenden Cyclooctin-Addukte erhalten werden. Dadurch wurde nachgewiesen, daß die Oxidationen über die Bis-o-chinone verlaufen, obwohl es nicht gelang, Bis-ortho-benzochinone zu isolieren, die in 9- und 10-Stellung ein Protonen tragen. Stattdessen erhielt man durch eine Keto-Enol-Tautomerie die entsprechenden amphi-Chinone.Drei Bis-chinone wurden direkt mit Cyclooctin umgesetzt und lieferten bei gleicher Substitution die identischen Reaktionsprodukte. Die Cyclooctin-Addukte reagierten beim Bestrahlen durch CO-Eliminierung zu Kohlenwasserstoffen.Bei der Oxidation der Hydroxyverbindungen mit DDQ in Gegenwart von Pentamethyl-cyclopentadien erhielt man die entsprechenden PMCP-Addukte. Dabei reagieren die Chinone als Heterodien.Die Reaktivität von 1,5-Cyclooctadiin mit ortho-Benzochinonen wurde durch die Umsetzung mit 4,5-Dimethyl-ortho-benzochinon untersucht. Dabei wurde festgestellt, daß das Diin mit zwei Molekülen des Chinons reagiert.Mit den erhaltenen Ergebnissen wurde eine Diels-Alder-Polyaddition von 9,10-Dihydro-9,10-ethano-9,10-dimathyl-anthradichinon-(2,3;6,7) mit 1,5-Cyclooctadiin durchgeführt. Bei dieser Reaktion gelangte man zu Oligomeren.

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Presentazione dello sviluppo di un ambiente per il progetto concettuale ed il disegno automatico dei dirigibili: inserendo le specifiche di missione è possibile visualizzare alcuni dati preliminari utili al dimensionamento, alla stima dei pesi, alla definizione dell'apparato propulsivo. L'integrazione con un modello 3D parametrico sviluppato in solidworks permette poi di ottenere un semplice modello del dirigibile da utilizzare come punto di partenza per ulteriori analisi. Sono inclusi alcuni casi di studio in cui si presenta come può essere utilizzato l'ambiente. Vengono inoltre indicati alcuni possibili margini di miglioramento.

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In der vorliegenden Arbeit wird ein prochirales, aus natürlichen Resourcen gewonnenes Azulen, das Guajazulen genutzt, um neuartige chirale Cyclopentadienyl-Systeme aufzubauen. Mit Alkalimetallhypersilaniden als starke und sperrige Nukleophile gelingt es hypersilylsubstituierte Gujazulenide zu synthetisieren. Diese wurden mittels Elementaranalyse, NMR-Spektroskopie und Röntgendiffraktometrie charakterisiert. Durch nachfolgende Metathesen mit Übergangsmetallhalogeniden konnten in vielen Fällen die entsprechenden Metallocene erhalten werden. Die Experimente enthüllen eine ausgeprägte Regioselektivität der Addition des sperrigen Hypersilyanions an das Guajazulen, die durch das eingesetzte Lösungsmittel graduell verändert werden kann. In nicht-koordinierenden Lösungsmitteln findet man ausschließlich eine Addition an der 6-Position, die 6-Hypersilyl-2,6-dihydroguajazulenide (6-Hyp-Hgual) (M=Li 1, K 2, Cs 4) in ausgezeichneten Ausbeuten liefert. In polaren Solventien erhält man hingegen Mischungen der 6- und 8-Regioisomeren: 2 bzw. (8-Hyp-Hgual) (3). 2 bleibt aber hierbei das Hauptprodukt. Röntgenbeugungsexperimente zeigen, dass 1 im Kristall als dimerer Sandwich-Komplex, meso-[Li2(6-Hyp-Hgual)2], und die THF-Solvate (thf)4K(6-Hyp-Hgual) (2a) sowie (thf)4K(8-Hyp-Hgual) (3a) jeweils als Halb-Sandwich-Komplexe in einer racemischen Mischung vorliegen. Die Verbindungen 1, 2, 3 and 4 eignen sich sehr gut dazu, in Metathesereaktionen als Precursor für neuartige chirale Metallozen-Komplexe eingesetzt zu werden. Insbesondere das Kaliumderivat 2 besticht durch die einfache und relativ preiswerte Synthese, die erzielten hohen Ausbeuten (>80%) und seine leichte Handhabbarkeit. In THF als Solvent wurden die Metallocene 5:5-M’(6-Hyp-Hgual)2 (M’ = Mn 5, Fe 6, Ni 8) und 5:5-Fe(8-Hyp-Hgual)2 (7) erhalten. Bei Verwendung einiger redox-aktiver Metallhalogenide beobachtet man jedoch die Zersetzung der Metallocene unter Bildung des oxidativen Kopplungsproduktes (3-Hyp-6-Hgual)2 (9) sowie der Ausscheidung von Metall. Die Umsetzung von Halogeniden der Gruppe 4 (TiCl3 and M’’Cl4 (M’’ = Ti, Zr, Hf)) mit 2 liefert in THF ausschließlich die Metallozendichloride M’’(6-Hyp-Hgual)2Cl2 (M’’ = Ti (10), Zr (11), Hf (12)). Die erhaltenen Metallozenderivate fallen als Diastereomeren-Gemische an, die sich durch fraktionierende Kristallisation teilweise oder vollständig in ihre Bestandteile, das jeweilige R,R-Racemat und das R,S-meso-Diastereomer auftrennen lassen. Die Strukturen der rac-Diastereomere konnten durch Beugungsexperimente aufgeklärt werden. Durch eine Metathese von 2 mit Hyp-Cl kann eine zweite Hypersilylgruppe in die 2-Position des Guajazulen-Gerüstes eingeführt werden. Das entstehende 2,6-bis(Hyp)-H2gua (14) kann anschließend mit nBuLi in das extrem luft- und feuchtigkeitsempfindliche Li[2,6-bis(Hyp)-Hgual] (15) überführt werden, dass wie 1 eine dimere Sandwich-Struktur aufweist. Durch Einführung des zweiten Hypersilylrestes werden die chemischen Eigenschaften des Azulenids dramatisch verändert. Während Verbindung 1 sich als guter Precursor für Metallocene erwies, gelang es uns bislang nicht, entsprechende Derivate der Verbindung 15 zu isolieren.

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Die Hypersilylgruppe (Me3Si)3Si stellt einen sehr sperrigen, Elektronen liefernden Substituenten dar und kann zur Stabilisierung niedriger Oxidationsstufen sowie ungewöhnlicher Strukturelemente dienen. Durch Reaktionen der base-freien Hypersilanide der Alkalimetalle sowie des Dihypersilylplumbandiyls mit unterschiedlichsten phosphorhaltigen Reagenzien konnten eine Reihe hypersilyl-stabilisierter Phosphor- und Bleicluster-Verbindungen erhalten werden. Kaliumhypersilanid reagiert in Toluol glatt mit weißem Phosphor bei Raumtemperatur in Toluol unter quantitativer Bildung von rotem Kalium-bis(hypersilyl)tetraphosphenid [(Me3Si)3Si]2P4K2 (1), einem Kaliumsalz des Tetraphosphens (Me3Si)3Si-PH-P=P-PH-Si(SiMe3)3. In Benzol oder Toluol steht 1 im Gleichgewicht mit dem dimeren Octaphosphanid [(Me3Si)3Si]4P8K4 (2). Bei längerem Stehen der toluolischen Lösungen zerfällt 1 langsam vermutlich in Folge einer Protolyse zum gelben Pentaphosphanid [(Me3Si)3Si]3P5K2 (4). Aus benzolischer Lösung konnte hingegen ein weiteres Oktaphosphanid, [(Me3Si)3Si]3P8K3 (5), isoliert werden. Führt man die Reaktion Kaliumhypersilanid mit P4 in stärker koordinierenden Lösungsmitteln wie Diethylether durch, so entstehen neben 1 größere Mengen des Triphosphenids [(Me3Si)3Si]2P3K (3); dieses enthält ein Triphosphaallyl-Anion mit partieller P-P-Doppelbindung. Setzt man Lithiumhypersilanid mit weißem Phosphor um, so beobachtet man eine vollständig andere Produktpallette. Als Hauptprodukte lassen Polyphosphane wie beispielsweise [(Me3Si)3Si]2P4 (6) nachweisen, das zu 1 analoge [(Me3Si)3Si]2P4Li2 (7) entsteht nur in vergleichsweise kleinen Mengen. In der Gegenwart von Hexahydro-1,3,5-trimethyl-S-triazin, entsteht aus Lithiumhypersilanid und P4 hingegen im wesentlichen [(Me3Si)3Si]2P3Li (8) neben beträchtlichen Mengen von (Me3Si)4Si. Dessen Bildung erfordert eine Si-Si-Bindungsspaltung im Verlauf der Reaktion. Die Reaktion von Natriumhypersilanid mit P4 verläuft sehr unübersichtlich, das Pentaphosphanid [(Me3Si)3Si]3P5Na2 (9) ist das einzige isolierbare Produkt. Setzt man 1 mit [(Me3Si)2Si]2Sn um, so bilden sich überraschenderweise, je nach verwendetem Solvens [(Me3Si)3Si]3P4SnK (10) oder [(Me3Si)3Si]2[(Me3Si)2N]P4SnK (11). Alle neuen Verbindungen wurden NMR-spektroskopisch charakterisiert, die Phosphenide 1, 7, 8 sowie die Phosphanide 2, 4, 5, 9, 10 darüber hinaus durch Kristallstrukturanalysen. Dihypersilylplumbandiyl und -stannandiyl reagieren bei tiefer Temperatur mit P4, MPH2 (M=Li, K), PMe3, and PH3 zu formalen Lewis-Säure-Base-Addukten. Die Addukte {[(Me3Si)3Si]2PbPH2}M [M = Li (15), K (18)], {{[(Me3Si)3Si]2Pb}2PH2}M [M = Li (19), K (20)], und [(Me3Si)3Si]2EPMe3 [E = Pb (21), Sn (22)] wurden als kristalline Feststoffe erhalten und konnten vollständig charakterisiert werden. Die metastabilen Addukte {[(Me3Si)3Si]2E}4P4 (E = Pb, Sn) und [(Me3Si)3Si]2PbPH3 konnten lediglich NMR-spektroskopisch nachgewiesen werden. Bei Raumtemperatur entstehen in Folge von Ligandenaustausch-Prozessen die kristallographisch charakterisierten Heterokubane [(Me3Si)3Si]4P4E4 [E = Pb (12), Sn (14)], das Diphosphen (Me3Si)3SiP=PSi(SiMe3)3 (13) sowie der Pb2P2-Heterocyclus [(Me3Si)3SiPbP(H)Si(SiMe3)3]2 (17). Bei tiefer Temperatur wird aus einer sehr langsamen Reaktion von Dihypersilylplumbandiyl und PH3 in sehr kleinen Ausbeuten ein weiteres, völlig unerwartetes Produkt gebildet: der Bleicluster [(Me3Si)3Si]6Pb12 (23). Er weist ein verzerrt ikosaedrisches, zentrosymmetrisches Pb12-Gerüst auf. Nach jetzigen Erkenntnissen läuft seine Bildung über das nicht fassbare Hydridoplumbandiyl HPbSi(SiMe3)3, das intermediär durch Substituentenaustausch zwischen Pb[Si(SiMe3)3]2 and PH3 entsteht. Der Ersatz des Phosphans durch andere Hydridquellen wie (Ph3PCuH)6, (iBu)2AlH, and Me3NAlH3 führt ebenfalls zur Bildung von Bleiclustern, allerdings ist jetzt der Cluster [(Me3Si)3Si]6Pb10 (24) das Hauptprodukt. Beide Cluster, 23 und 24, gehorchen den Wade-Regeln.